Istoria del Concilio tridentino/Libro secondo/Capitolo VIII
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CAPITOLO VIII
(gennaio-febbraio 1547).
[Trattazione dei sacramenti. — Fissazione ed esame degli errori su di essi in generale, sul battesimo e sulla confermazione.— Particolari dispute sul numero e necessitá dei sacramenti, sul modo come operano, sull’intenzione di chi li amministra. — Del battesimo e della confermazione. — La congregazione per la riforma fissa il decreto sugli abusi nel ministero dei sacramenti. — Dispute sulla gratuitá dell’amministrarli. — Si fissano i canoni.]
Ma per non confonder le materie narrerò tutt’insieme quello che alli sacramenti aspetta, dove non occorre se non considerazione per il piú speculativa e dottrinale, per non interromper il filo della materia beneficiale, nella quale occorsero cose che aprirono la via ad importanti e pericolosi accidenti. In materia dei sacramenti furono formati articoli dai deputati, e prescritto alli teologi il modo di parlar sopra di quelli in un foglio comunicato a tutti, con ordine che dicessero se tutti erano eretici o vero erronei, e se dalla sinodo dovevano esser condannati; e quando forse alcuno non meritasse dannazione, adducessero le ragioni e autoritá. Appresso esplicassero qual sia stato in tutti quelli il parere delli concili e delli santi Padri, e quali degli articoli si ritrovino giá reprobati, e quali restino da condennare; e se nella proposta materia ad alcuno occorresse qualche altro articolo degno di censura, l’avvertissero; e in tutto ciò fuggissero le questioni impertinenti, de quali si può disputar l’una e l’altra parte senza pregiudicio della fede, e ogni altra superfluitá o longhezza di parole.
Delli sacramenti in universale erano quattordici articoli.
I. Che li sacramenti della Chiesa non sono sette, ma sono manco quelli che veramente possono esser chiamati sacramenti.
II. Che li sacramenti non sono necessari, e senza loro gli uomini possono acquistar da Dio la grazia per mezzo della fede sola.
III. Nessun sacramento esser piú dell’altro degno.
IV. Che li sacramenti della legge nova non danno la grazia a quelli che non vi pongono impedimento.
V. Che li sacramenti mai hanno dato la grazia o la remissione dei peccati, ma la sola fede del sacramento.
VI. Che immediate dopo il peccato di Adamo da Dio sono stati instituiti i sacramenti, per mezzo de’ quali fu donata la grazia.
VII. Per li sacramenti esser data la grazia solamente a chi crede che li peccati gli sono stati remessi.
VIII. Che la grazia non è data nei sacramenti sempre e a tutti, quanto s’aspetta ad esso sacramento, ma solo quando e dove è parso a Dio.
IX. Che in nessun sacramento è impresso carattere.
X. Che il cattivo ministro non conferisce il sacramento.
XI. Che tutti li cristiani di qualsivoglia sesso hanno ugual potestá nel ministerio della parola di Dio e del sacramento.
XII. Che ogni pastor ha potestá di allongar, abbreviar e mutar a beneplacito suo le forme dei sacramenti.
XIII. Che l’intenzione dei ministri non è necessaria, e non opera cosa alcuna nelli sacramenti.
XIV. Che li sacramenti sono stati instituiti solo per nutrir la fede.
Del battesimo erano articoli diciassette.
I. Che nella chiesa romana e cattolica non vi è vero battesmo.
II. Che il battesmo è libero, e non necessario alla salute.
III. Che non è vero battesmo quelio che è dato dagli eretici.
IV. Che il battesmo è penitenzia.
V. Che il battesmo è segno esteriore, come la terra rossa nelli agnelli, e non ha parte nella giustificazione.
VI. Che il battesmo si debbi rinnovare.
VII. Il vero battesmo esser la fede, qual crede che li peccati sono rimessi ai penitenti.
VIII. Che nel battesmo non è estirpato il peccato, ma solamente non imputato.
IX. Esser la medesma virtú del battesmo di Cristo e di Gioanni.
X. Che il battesmo di Cristo non ha evacuato quello di Gioanni, ma gli ha aggiorno la promessa.
XI. Che nel battesmo la sola immersione è necessaria, e gli altri riti usati in esso esser liberi e potersi tralasciar senza peccato.
XII. Che sia meglio tralasciar il battesmo dei putti che battezzarli mentre non credono.
XIII. Che li putti non debbono esser battezzati, perché non hanno fede propria.
XIV. Che li battezzati in puerizia, arrivati all’etá di discrezione, debbono esser rebattezzati, per non aver creduto.
XV. Che quando li battezzati nell’infanzia sono venuti in etá, si debbono interrogare se vogliono ratificar il battesmo, e negandolo, debbono esser lasciati in libertá.
XVI. Che li peccati commessi dopo il battesmo sono rimessi per la sola memoria e fede d’esser battezzato.
XVII. Che il voto del battesmo non ha altra condizione che della fede, anzi annulla tutti gli altri voti.
Della confermazione erano quattro articoli.
I. Che la confermazione non è sacramento.
II. Che è instituito dai Padri, e non ha promessa della grazia di Dio.
III. Che ora è una ceremonia oziosa, e giá era una catechesi, quando li putti gionti all’etá rendevano conto della sua fede inanzi la Chiesa.
IV. Che il ministro della confermazione non è il solo vescovo, ma qualonque sacerdote.
Nelle congregazioni tutti li teologi convennero in asserire il settenario numero e dannar per eresia la contraria sentenzia, atteso il consenso universale delle scole, incominciando dal Maestro delle sentenzie, che primo ne parlò determinatamente, sino a questo tempo. A questo aggiongevano il decreto del concilio fiorentino per gli armeni, che determina quel numero; e per maggior confermazione era aggiorno l’uso della chiesa romana, del quale concludevano che conveniva tenerlo per tradizione apostolica e articolo di fede. Ma per la seconda parte dell’articolo non concordavano tutti, dicendo alcuni che era assai seguir il concilio fiorentino, qual non passò piú inanzi; poiché il decidere li sacramenti propri non esser né piú né meno presuppone una decisione: qual sia la vera e propria essenza e difinizione del sacramento, cosa piena di difficoltá, per le molte e varie difinizioni portate non solo dalli scolastici, ma anco dalli Padri, delle quali attendendo una, converrá dire che sia proprio sacramento quello che, considerando l’altra, doverá esser escluso dal numero. Esser anco questione tra li scolastici se il sacramento si possi difinire, se abbia unitá, se sia cosa reale o vero intenzionale; e non esser cosa ragionevole in tanta ambiguitá delli principi fermar con tanto legame le conclusioni. Fu raccordato che san Bernando e san Cipriano ebbero per sacramento il lavar dei piedi; e che sant’Agostino fa ogni cosa sacramento, cosí chiamando tutti li riti con che si onora Dio; e altrove, intendendo la voce piú ristrettamente che la proprietá non comporta, fece sacramenti soli quelli di che espressamente vien parlato nella Scrittura del novo Testamento, e in questo significato pose solamente il battesmo e l’eucaristia, se ben in un luoco dubitò se alcun altro ve n’era.
Per l’altra parte si diceva; esser necessario stabilire per articolo che li sacramenti propri non sono né piú né meno, per reprimere l’audacia cosí delli luterani che li fanno ora due, ora tre, ora quattro, come anco di quelli che eccedono li sette; e se nei Padri si trova alcune volte numero maggiore e alcune volte minore, questo esser nato perché allora, inanzi la determinazione della Chiesa, era lecito ricevere la voce ora in piú ampio, ora in piú restretto significato. E qui per stabilire il proprio e, come li scolastici dicono, la sufficienza di questo settenario, cioè che né piú né meno sono, fu usata longhezza noiosa nel racconto delle ragioni dedutte da sette cose naturali, per quali s’acquista e conserva la vita, dalle sette virtú, dalli sette vizi capitali, dalli sette difetti venuti per il peccato originale, dalli sei giorni della creazione del mondo e settimo della requie, dalle sette piaghe dell’Egitto, e anco dalli sette pianeti, dalla celebritá del numero settenario, e da altre congruitá usate dalli principali scolastici per prova della conclusione; e molte ragioni perché le consecrazioni delle chiese, delli vasi, delli vescovi, abbati e abbadesse e monache non siano sacramenti, né l’acqua benedetta, né il lavar dei piedi di san Bernardo, né il martirio, né la creazione de’ cardinali o la coronazione del papa.
Fu raccordato che per raffrenar gli eretici non bastava condannare l’articolo, chi non nominava anco singolarmente ognuno delli sacramenti, acciò qualche mal spirito non escludesse alcuno delli veri e sostituisse delli falsi. Fu appresso raccordato un altro ponto essenziale all’articolo, cioè il determinar l’institutore di tutti li sacramenti, che è Cristo, per condannar l’eresia de’ luterani, che ascrivono a Cristo l’ordinazione del solo battesmo ed eucaristia; e che per fede debbia esser tenuto Cristo per institutore, era allegato sant’Ambrosio e sant’Agostino, e sopra ogni altro la tradizione apostolica. Dal che nissun discordava; ma bene altri dicevano che non conveniva passar tanto inanzi, ed era assai star tra li termini del concilio fiorentino, massime atteso che il Maestro delle sentenzie tenne che l’estrema onzione fosse da san Giacomo; e san Bonaventura con Alessandro che la confermazione avesse principio dopo gli apostoli; e l’istesso Bonaventura con altri teologi fanno gli apostoli autori del sacramento della penitenzia. E del matrimonio si troverá che da molti vien detto che da Dio nel paradiso fu instituito; e Cristo stesso, quando di quello parla (che era il luoco proprio per dirne l’autore), non allora a sé, ma al Padre nel principio attribuisce l’instituzione. Per tanti rispetti consegnavano che quel ponto non fosse aggiornto, acciò non si condannasse opinione da cattolici tenuta. Li dominicani in contrario, con qualche acerbitá di parole, affermavano che si possono esponere quei dottori e salvarli con varie distinzioni, perché essi si sarebbono sempre rimessi alla Chiesa; ma non era da trapassar senza condanna l’audacia luterana, che con sprezzo della Chiesa ha introdotto quelle falsitá; e non esser da tollerar ai luterani temerari quello che si comporta ai santi Padri.
Il secondo articolo della necessitá dei sacramenti volevano altri che non fosse dannato cosí assolutamente, ma fosse distinto, essendo certo che non tutti sono assolutamente necessari. Un’altra opinione era che si dovesse dannare chi diceva non esser li sacramenti necessari nella Chiesa, poiché certo è non tutti essere necessari ad ogni persona, anzi alcuni esser incompatibili insieme, come l’ordine e il matrimonio. La piú comune nondimeno fu che l’articolo fosse dannato cosí assolutamente per due ragioni: l’una, perché basta la necessitá di uno a far che l’articolo, come giace, sia falso; l’altra, perché tutti sono in qualche modo necessari, chi assolutamente, chi per supposizione, chi per convenienza, chi per utilitá maggiore; con maraviglia di chi giudicava non convenire con equivocazione tanto moltiplice formar articoli di fede; per sodisfar li quali, quando furono li canoni composti, si aggionse, condannando chi teneva li sacramenti non necessari, ma superflui, con questo ultimo termine ampliando la significazione del primo.
Dell’altra parte dell’articolo molti erano di parere che si omettesse, poiché, per quel che tocca alla fede, giá nella sessione precedente era difinito che sola non bastasse; e la distinzione del sacramento in voto, diceva il Marinaro, è ben cosa vera, ma dalli scolastici soli usata, all’antichitá incognita e piena di difficoltá; perché negli Atti degli apostoli nell’instruzione del centurione Cornelio l’angelo disse che le orazioni sue erano grate a Dio, prima che sapesse il sacramento del battesmo e li altri particolari della fede; e tutta la casa sua, intentendo la concione di san Pietro, ricevette lo Spirito Santo prima che fosse instrutta della dottrina de’ sacramenti; e dopo ricevuto lo Spirito Santo, fu da san Pietro insegnata del battesmo, onde non avendone notizia alcuna, potè riceverlo in voto. E il ladro in croce moribondo, illuminato allora solamente della virtú di Cristo, non sapeva de’ sacramenti per potersi a quelli votare; e molti santi martiri nel fervore della persecuzione, convertiti nel veder la costanza d’altri, e immediate rapiti e uccisi, non si può, se non divinando, dire che avessero cognizione de’ sacramenti per votarsi. Però esser meglio lasciar la distinzione alle scole, e tralasciar di metterla nelli articoli di fede. A questo repugnava la comune opinione, con dire che, quantonque le parole della distinzione fussero nove e scolastiche, però si doveva credere il significato esser insegnato da Cristo e aversi per tradizione apostolica: e quanto agli esempi di Cornelio, del ladro e martiri, doversi sapere che sono due sorti di voto del sacramento, uno esplicato e l’altro implicato, e questo secondo almeno esser necessario; cioè che attualmente non avevano il voto, ma l’averebbero avuto se avessero saputo: le quali cose erano concesse dagli altri per vere, ma non obbligatorie come articoli di fede. Ma queste difficoltá, dove non potevano convenire, si rimettevano alla sinodo, cioè alla congregazione generale.
Sí come avvenne anco del terzo articolo; il quale quantonque ognuno l’avesse per falso, imperocché tutti accordavano che, risguardando la necessitá e utilitá, il battesmo precede, ma attendendo la significazione, il matrimonio; chi guarda la dignitá del ministro, la confermazione; chi la venerazione, l’eucaristia; ma non potendosi dire qual sia piú degno senza distinzione, esser meglio tralasciar a fatto l’articolo che non può esser inteso senza sottilitá. Un’altra opinione era che si dovessero esplicare tutti i rispetti della dignitá. Una media fu che all’articolo si aggiongesse la clausola, cioè «secondo diversi rispetti», la qual era piú seguitata; ma con dispiacere di quelli a chi non poteva piacere che la sinodo s’abbassasse a queste scolasticarie inette (che cosí le chiamavano) e volesse credere che Cristo introducesse queste tenuitá d’opinione nella sua fede.
Nel quarto tutti furono di parere che l’articolo fosse condannato; anzi aggionsero che era necessario amplificarlo, condannando specificatamente la dottrina zuingliana, qual vuole che li sacramenti non siano altro che segni, per quali li fedeli dalli infedeli si discernono, o vero atti ed esercizi di professione della fede cristiana, ma alla grazia non abbino altra relazione, se non per esser segni d’averla recevuta. Appresso ancora raccordarono che si dannassero cosí quelli che negano li sacramenti conferire la grazia a chi non pone impedimento, ma ancora chi non confessa la grazia esser contenuta nelli sacramenti e conferita non per virtú della fede, ma ex opere operato. Ma, venendo ad esplicare il modo di quella continenza e causalitá, ognuno concordava che per tutte quelle azioni che eccitano devozione s’acquista grazia, e ciò non nasce dalla forza dell’opera medesima, ma dalla virtú della devozione che è nell’operante, e queste tali nelle scuole si dice che causano la grazia ex opere operantis. Altre azioni sono che causano la grazia non per la devozione di chi opera o di chi riceve l’opera, ma per virtú dell’opera medesima. Cosí sono li sacramenti cristiani, per quali la grazia è ricevuta, purché nel soggetto non vi sia impedimento di peccato mortale che l’escluda, quantonque non vi sia devozione alcuna. E cosí per l’opera medesima del battesimo esser data la grazia ad un fanciullo che non ha moto alcuno d’animo verso quello, e parimente ad un nato pazzo, perché non vi è impedimento di peccato. L’istesso fa il sacramento della cresma e quello dell’estrema onzione, quando bene l’infermo abbia perduta la cognizione. Ma s’un averá peccato mortale, nel quale perseveri attualmente o vero abitualmente, per la contrarietá non riceverá grazia, non perché il sacramento non abbia virtú di produrla ex opere operato, ma perché il recipiente non è capace, per esser occupato da una qualitá contraria.
Ma convenendo tutti in questo, erano differenti perché li dominicani asserivano che, quantonque la grazia sia una qualitá spirituale creata immediate da Dio, nondimeno nelli sacramenti è una virtú instrumentale ed effettiva, la quale causa nell’anima una disposizione per riceverla; e pertanto si dice che contengono la grazia, non che sia in loro come in un vaso, ma come l’effetto è nella sua causa, adducendo un sottil esempio: sí come lo scalpello è attivo non solo nello scagliare la pietra, ma anco nel dar la forma alla statua. Li francescani dicevano non potersi capire come Dio, causa spirituale, per un effetto spirituale, che è la grazia, adoperi istromento corporeo: assolutamente negavano ogni virtú effettiva o dispositiva nei sacramenti, dicendo che l’efficacia loro d’altro non viene se non perché Dio ha promesso che qualonque volta sará ministrato il sacramento, egli donerá la grazia. Per il che si dice contenerla come in segno efficace, non per virtú che sia in lui, ma per la divina promissione d’una infallibile assistenza a quel ministerio; il quale perciò è causa, perché, quello posto, segue l’effetto non per virtú che in lui sia, ma per promessa divina di donar la grazia allora, sí come il merito si dice causa del premio, non per attivitá alcuna. Il che non solo provavano per l’autoritá di Scoto e di san Bonaventura loro teologi, ma per quella anco di san Bernardo, qual dice che si riceve la grazia per li sacramenti, sí come il canonico s’investe per il libro e il vescovo per l’anello. La prolissitá con che erano esposte le ragioni da ambe le parti era grande, e non minore l’acrimonia. Censuravansi fra loro: li dominicani dicevano che l’altro parere era prossimo al luterano, e gli altri che il loro essendo impossibile, dava materia agli eretici di calunniare la Chiesa. Non fu possibile ad alcuni buoni prelati metter concordia, con dire che, essendo concordi nella conclusione che li sacramenti contengono e sono causa della grazia, poco importasse dirlo piú in un modo che nell’altro; anzi che meglio fosse, non descendendo ad alcuno di essi, star nell’universale; replicando li frati che non si trattava di parole, ma dello stabilire o dell’annichilare li sacramenti. Non si sarebbe fatto fine, se il legato Santa Croce non avesse ordinato che si passasse al rimanente, e che in fine si sarebbe tornato a questo passo ed esaminato se era necessario decidere il ponto o tralasciarlo.
Dalli legati furono chiamati li generali degli ordini, e pregati a far officio con li suoi di trattar con modestia e caritá, e non con tanto affetto alla setta propria; mostrando che non erano chiamati se non per trattare contra l’eresie, al che era molto contrario il farne nascer di nove con le dispute. E fu anco da loro dato conto a Roma, e mostrato quanto fosse pericolosa la libertá che li frati s’assumevano, e dove potesse terminare; e posto in considerazione al pontefice che una moderazione fosse necessaria, perché andando fama di quelle dissensioni e delle censure che una parte prononciava contra l’altra, non poteva se non nascer scandolo e poca riputazione del concilio.
Il quinto articolo fu stimato da tralasciare, come deciso nella precedente sessione. Ma fra’ Bartolomeo Miranda raccordò che Lutero, per quel suo paradosso che li sacramenti non danno la grazia se non eccitando la fede, cavò anco conclusione che siano di ugual virtú quei della legge vecchia e dell’evangelica, la qual opinione era da condannare come contraria alla dottrina de’ Padri e della Chiesa, avendo tutti detto che li sacramenti vecchi erano segni solamente della grazia, ma li novi la contengono e la causano. Alla conclusione nessun contradisse; ma li franciscani proponevano che non si dovesse dire della legge vecchia, ma della mosaica, atteso che la circoncisione essa ancora causava la grazia, ma non era sacramento mosaico; la qual da Cristo fu anco detto esser non da Moisé, ma dai padri, e anco perché altri sacramenti innanzi Abramo conferivano e causavano la grazia: replicando li dominicani che san Paulo disse chiaro Abramo aver ricevuto la circoncisione solo in segno; che essendo egli il primo a chi fu data, tanto vuol dire quanto che in segno solamente è instituita.
E sopra il modo di causar e contener la grazia tornavano le questioni in campo. Fra’ Gregorio di Padoa in questo proposito disse essere cosa chiara appresso li dialettici che le cose del medesmo genere hanno identicitá tra loro e differenzia. Se li sacramenti vecchi e novi avessero sola differenza, non sarebbono tutti sacramenti, se non con equivocazione; se solo convenienza, sarebbono in tutto l’istessa cosa. Però esser da avvertire di non metter difficoltá in cose chiare per qualche diversitá di parole; che sant’Agostino aveva detto questi e quelli esser diversi nel segno, ma pari nella cosa significata: e in un altro luoco, esser diversi nella specie visibile, ma gl’istessi nell’intelligibile significazione; e altrove pose la differenza, perché quelli furono promissivi e questi indicativi: il che in un altro luoco esprime con altro termine, dicendo quelli prenonciativi e questi contestativi. Da che appar chiaro che molte sono le convenienze e molte le differenze, le quali nessun uomo sensato poteva negare; e però con prudenza quell’articolo non esser stato posto da principio, né esser a proposito toccarlo nel decreto presente. Uscí fuori un’altra opinione, qual sentí che, senza descendere a particolari, si dovesse dannar l’opinione de’ luterani e zuingliani: imperocché essi dicono nessun’altra differenza trovarsi tra li sacramenti vecchi e novi, se non nelli riti. Ma si è mostrato che altre ve ne sono; adonque condannarli di questo solo: non metter altra differenza, senza descendere a dire qual ella sia.
Ma il sesto era censurato dalli dominicani, con dire esser proprio delli sacramenti evangelici il dar la grazia, e dagli antichi non esser stata ricevuta se non per virtú della devozione, essendo tale l’opinione di san Tomaso. Per principal fondamento adducevano la determinazione del concilio fiorentino: che li sacramenti della legge vecchia non causavano la grazia, ma figuravano che doveva esser data per la passione di Cristo. Ma perché san Bonaventura e Scoto sostennero che la circoncisione conferiva grazia ex opere operato (anzi aggionse Scoto che immediate dopo il peccato di Adamo fu instituito un sacramento, nel quale alli fanciulli era data una grazia per virtú di quello, cioè ex opere operato), li francescani dicevano l’articolo contener il vero e non poter essere censurato; e facevano gran fondamento che, col dire di san Tomaso li fanciulli inanzi Cristo esser salvati per la fede paterna, non per virtú di sacramenti, si faceva lo stato de’ cristiani di peggior condizione. Perché non giovando adesso alli fanciulli la fede paterna senza battesmo, e dicendo sant’Agostino che si dannò un fanciullo essendo morto mentre dal padre era portato per esser battezzato, se in quel tempo la sola fede bastava, la condizione delli figli de’ cristiani era deteriore. In queste difficoltá da molti fu proposto che l’articolo, come probabile, fosse omesso.
Del tralasciar il settimo e l’ottavo fu somma concordia. Ma nel nono, del carattere, proponeva fra’ Dominico Soto da dechiarare che ha fondamento nella Scrittura divina ed è stato tenuto sempre nella Chiesa per tradizione apostolica; ancor che da tutti li Padri non sia stato usato il nome, la cosa significata nondimeno esser antichissima. Da altri non li fu concesso una tanta ampiezza, perché non si vedeva che né Graziano né il Maestro delle sentenzie ne avessero fatto menzione; anzi Gioanni Scoto disse che per parole della Scrittura o delli Padri non era necessario porlo, ma solo per l’autoritá della Chiesa: modo consueto a quel dottore di negar le cose con maniera di cortesia. Degno era sentire che cosa intendevano fosse, e dove situato, per le molte e varie opinioni de’ scolastici; ponendolo alcuni qualitá, fra quali erano quattro opinioni, secondo le quattro specie della qualitá. Chi lo disse una potestá spirituale, altri un abito o disposizione, altri una spiritual figura; e non era senza approbatori l’openione che fosse una qualitá sensibile metaforica. Chi la volse una real relazione, altri una fabbrica della mente, restando a questi il dechiarare quanto fosse lontano dal niente. Del soggetto dove stia, la stessa varietá era molesta, essendo posto da chi nell’essenza dell’anima, da chi nell’intelletto, da altri nella volontá; e non mancò chi li diede luoco nelle mani e nella lingua. Era parere di fra’ Geronimo portughese dominicano che si statuisse tutti li sacramenti imprimere una qualitá spirituale inanzi che sopravvenga la grazia, qual essere de due generi: una, che mai si può scancellare; l’altra, che può perdersi e racquistarsi; quella chiamarsi carattere, questa esser un certo ornamento. Li sacramenti che donano la prima, non replicarsi, poiché il suo effetto sempre dura; quelli che danno l’ornato, replicarsi quando il loro effetto è perduto: cosa di bell’apparenza, ma da pochi approvata, per non trovarsi altro autore di quell’ornato che san Tomaso: qual anco, se ben lo partorí, non lo giudicò degno di educazione. Ma quantonque tutti concordassero in questo generale, che tre sacramenti hanno il carattere, alcuni usarono modestia, dicendo doversi approbare come cosa piú probabile, non però necessaria; in contrario altri, che era articolo di fede, per averne fatto menzione Innocenzio terzo, e per esser poi cosí difinito dal concilio fiorentino.
Che la bontá del ministro non sia necessaria, fu l’articolo tanto ventilato da sant’Agostino in tanti libri contra li donatisti, che ebbero li teologi materia di parlare concordemente; e oltre quello, fu per fondamento principale allegato che l’articolo fu condannato dal concilio di Costanza fra gli errori di Giovanni Viglef.
L’undecimo, tutti li voti furono per condannarlo, come contrario alla Scrittura, alla tradizione, all’uso della Chiesa universale.
Il duodecimo, delle forme dei sacramenti, fu distinto, come quello che due sensi può ricevere: o vero per forma intendendo le parole essenziali, secondo che si dice ogni sacramento aver la sua materia, l’elemento sensibile, e la forma, la parola; o vero per forma intendendo tutta la formula o rito del ministerio, che include molte cose non necessarie, ma condecenti; e però consegnarono che se ne facessero due canoni. Per il primo fosse dannato per eresia chi dice che la forma possi esser mutata, essendo da Cristo instituita: ma per il secondo senso, se ben le cose accidentali possono ricever mutazione, però quando alcun rito è introdotto con pubblica autoritá, o ricevuto e confermato dall’uso comune, non debbe esser in potestá di ognuno, ma solamente del pontefice romano, come capo universale di tutta la Chiesa, mutarlo, quando per qualche novo rispetto convenga.
Per il terzodecimo, della intenzione del ministro, non potevano dissentire dal concilio fiorentino che l’ha per necessaria; ma che intenzione si ricerca, era difficile da esplicare, per la varietá delli sensi umani circa il valore ed efficacia delli sacramenti; per il che non può essere l’istessa intenzione di doi che abbiano diversa opinione. La risposta comune era che basta aver l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa; la qual esposizione riponendo le difficoltá medesme (perché, per la varia openione degli uomini qual sia la Chiesa, anco l’intenzione loro nel ministrar il sacramento riuscirebbe varia), pareva che si potesse dire non esser differente, quando tutti hanno l’istessa mira di fare quello che da Cristo è stato instituito e la Chiesa osserva, se ben si avesse per vera Chiesa una falsa, pur che il rito di questa e di quella sia l’istesso.
In questo particolare dal vescovo di Minori fu proposto cosa degna d’esser commemorata qui, e da tutti riputata e stimata di gran considerazione. Egli disse che alli luterani, quali non danno altra virtú alli sacramenti che di eccitar la fede, la qual però può esser destata in altra maniera, poco importa ricever il vero sacramento; onde anco dicono che non sia necessario; e pur tuttavia hanno per inconveniente che la malizia dell’empio ministro, che non avesse intenzione di conferir il vero sacramento, possi nuocer, convenendo attendere quello che il fedel riceve, non quello che gli sia dato. Ma alli cattolici, che, secondo la veritá, danno al sacramento efficacia per donar la grazia a chi non pone impedimento, poiché rarissime volte occorre che per altro mezzo s’ottenga la grazia, li fanciulli certo e molti di poco senno non hanno la salute per altro mezzo. E gli uomini ordinari hanno cosí tenue disposizione, che senza il sacramento non mai sarebbe bastante. E quei pochi che, come fenici, hanno disposizione perfetta, ricevono grazia maggiore per il sacramento; onde molto importa al cristiano esser certo se lo riceve vero ed efficace. Se un sacerdote, che tenga cura di quattromila o vero cinquemila anime, fosse un incredulo, ma solenne ipocrita, e nell’assolvere li penitenti, nel battezzar li putti e nel consecrar l’eucaristia avesse secreta intenzione di non far quello che la Chiesa fa, converrebbe dire che li putti fossero dannati, li penitenti non assoluti, e tutti senza il frutto della comunione. Né giova dire che la fede supplisce, perché alli putti certo no; agli altri, secondo la dottrina cattolica, non può far l’effetto del sacramento; e se lo può fare nel caso della malizia del ministro, che può esser anco ordinaria, perché non può farlo sempre? E l’attribuir tanta virtú alla fede sarebbe un levar la virtú alli sacramenti e dar nell’opinione luterana.
Considerava che afflizione averá un padre di tenero amore verso il suo figliuolino moribondo, se dubiterá dell’intenzione del prete battezzante. Similmente uno, che si senti con imperfetta disposizione e sia per battezzarsi, che ansietá doverá aver che forsi il prete non sia un finto cristiano e se ne burli, e non abbia intenzione di battezzarlo, ma lavarlo o bagnarlo per irrisione! E il medesmo si consideri nella confessione e nel ricevere l’eucaristia. Soggiongeva: se alcuno dicesse che questi casi sono rari, Dio volesse che cosí fosse e in questo corrotto secolo non vi fosse da dubitare che siano frequenti, ma siano rarissimi, e sia anche un solo. Sia un tristo prete che finga, e non abbia intenzione di ministrar il vero battesmo ad un fanciullo; questo poi, fatto uomo, sia creato vescovo d’una gran cittá e vivi in quel carico molti anni, sí che abbia ordinato gran parte delli preti: bisogna dire che quello, come non battezzato, non è ordinato, né meno sono ordinati li promossi da lui; onde in quella gran cittá non vi sará il sacramento dell’eucarestia, né della confessione, che non può esser senza il vero sacramento dell’ordine, né questo senza il vero vescovo, né può ricever l’ordine chi non è battezzato. Ecco per malizia d’un ministro in un solo atto milioni di nullitá de sacramenti; e chi vorrá che Dio supplisca con la sua onnipotenza in tanta frequenza, e vorrá che con rimedi estraordinari provegga alle cose quotidiane, piú tosto fará credere che Dio per sua provvidenza abbia provvisto che simil accidenti non possino occorrere. Però, diceva il vescovo, ad ogni inconveniente Dio ha provveduto con aver ordinato che sia vero sacramento quello che è amministrato col rito instituito da lui, se ben interiormente il ministro portasse altra intenzione. Aggionse però che ciò non repugna alla dottrina comune de’ teologi e alla determinazione del concilio fiorentino; che l’intenzione si ricerca perché ciò s’intende non della interna, ma di quella che per l’opera esteriore si manifesta, se ben interiormente vi fosse una contraria: e cosí sono levati tutti gl’inconvenienti, che altrimenti sarebbono innumerabili. Molte altre ragioni addusse per prova, e in fine portò un esempio scritto da Sozomeno: che essendo ridotti li putti di Alessandria al mare per giocar tra loro, si diedero ad imitar scherzando le azioni solite farsi in chiesa; e Atanasio, creato da loro vescovo del gioco, batteggiò altri fanciulli non prima batteggiati; la qual cosa intesa da Alessandro, vescovo alessandrino di celebre memoria, si conturbò, e chiamati li putti, e interrogato quello che il finto vescovo aveva loro fatto e detto, ed essi risposto, e inteso che tutto il rito ecclesiastico fu osservato, col conseglio de altri sacerdoti approvò il battesmo: la qual approbazione non si potrebbe sostenere, quando si ricercasse una intenzione tale, come gli altri dicevano, ma sí ben nel modo ch’egli esprimeva.
Questa dottrina non fu approvata dagli altri teologi, ma ben restarono storditi tutti dalla ragione, non sapendo risolverla; restando nondimeno nella dottrina appresa, che l’intenzione vera del ministro sia necessaria, o attuale o virtuale, e che con una intenzione interna contraria, non ostante qualonque esterna demostrazione, il sacramento non sia valido. Non debbo restar di narrar anco, se ben questo sará un anticipar il tempo proprio, che quantonque la sinodo dopo determinasse assolutamente che l’intenzione del ministro è necessaria, come ognuno può vedere, questo prelato nondimeno restò nel suo parere, anzi un anno dopo scrisse un libretto di questa materia, dove afferma che la sinodo tridentina fu del suo parere, e che secondo il senso suo si debbe intendere la determinazione del concilio.
Dell’ultimo articolo, per le cose dette negli altri, non vi fu difficoltá che da tutti non fosse condennato.
La materia del battesmo fu di maggior espedizione. Nel terzo articolo, di quello che è dato dagli eretici, tutti fondarono sopra la dottrina delle scole, ricevuta dal concilio fiorentino, che il sacramento ricerca materia, forma e intenzione; e che l’acqua è materia, forma l’espressione dell’atto nel nome del Padre, Figlio e Spirilo Santo, l’intenzione, di fare quello che la Chiesa fa. Onde fermarono la conclusione per indubitata, che hanno vero battesmo quegli eretici che convengono con noi in queste tre cose; e tanto asserivano aversi per tradizione apostolica, ed esser stato stabilito giá sino da Stefano primo, pontefice romano, principiando il terzo secolo, e approvato da tutta la Chiesa seguente; se ben li intendenti l’antichitá ben sanno che questo non fu il parer di Stefano, né in quei tempi si sapeva forma, materia o intenzione; e quel pontefice assolutamente sentí che non si dovevano battezzar li conversi da qualsivoglia eresia, non facendo eccezione di alcuna; anzi che in quei tempi gli eretici, fuor che pochi montanisti, erano gnostici che usavano stravaganti battesmi, per le esorbitantissime opinioni che avevano della divinitá e della persona di Cristo; e quei battesmi è certo che non avevano la forma usata ora, e nondimeno riceveva la chiesa romana allora a penitenza ogni sorte di eretico indifferentemente senza battezzarlo. Sí come li vescovi di Africa con quei di Cappadocia erano per diametro opposti, dicendo che conveniva rebattezzar tutti gli eretici, il concilio niceno tenne via di mezzo, statuendo che li catari non si rebattezzassero, ma sí ben li paulianisti e montanisti. La sinodo constantinopolitana numerò molti eretici che dovessero esser rebattezzati, e altri che fossero ricevuti col loro battesmo, in quali sarebbe cosa molto diffícile mostrare che usassero la nostra forma. Ma quel che piú di tutto importa è che san Basilio attesta che in Roma non si rebattezzavano li novaziani, encratici e saccófori, quali egli rebattezzava, non avendo quel santo per assurda questa diversitá; solo dicendo che sarebbe stato bene congregar molti vescovi per risolver di operar concordemente. Ma a queste cose non attendendo piú che alla favola, si attennero alla corrente dottrina che l’eretico veramente battezza, se usa le parole e ha l’intenzione della Chiesa.
Il quarto articolo, che il battesmo sia penitenza, attesa la forza del parlare suo, da molti non fu tenuto per falso, allegando che l’Evangelista dicesse san Gioanni aver predicato il battesmo della penitenzia, e che Agli ebrei, al sesto, san Paulo chiamasse il battesmo con nome di penitenza; e cosí abbiano parlato anco molti Padri. Onde l’articolo non poteva esser condennato, se non quando dicesse il battesmo esser il sacramento della penitenza: ma perché in questo senso pareva il medesimo col decimosesto articolo, i piú furono di parere di tralasciarlo.
Il nono e decimo, pertinenti al battesmo di Gioanni, molti erano di parere che fossero tralasciati, poiché non parlandosi di quelli della legge vecchia, meno conveniva parlar di quello che fu intermedio, essendo lo scopo di trattar delli sacramenti della nova legge. Ma dall’altra parte fu detto che la mente degli eretici non è di alzare il battesmo di Gioanni al pari di quello di Cristo, ma di abbassar quello di Cristo a quel di Gioanni, inferendo che sí come questo non dava la grazia, ma era pura significazione, cosí anco il nostro: il che è formalissima eresia.
Nell’undecimo, dei riti, volevano alcuni che si distinguessero li sustanziali dagli altri, dicendo che quei soli non si possono tralasciar senza peccato. Altri volevano escluder il caso della necessitá solamente, fuor della quale non fosse lecito tralasciare manco li non sustanziali; poiché avendoli la Chiesa, che è retta dallo Spirito Santo, instituiti, hanno necessitá per il precetto, se ben non per la sustanza del sacramento. Allegarono molti capitoli de’ pontefici e concili, che di alcuno di quei riti parlano; li quali tutti resterebbono vani, quando fosse concessa libertá ad ognuno di far mutazione. Quella parte che della immersione parla, se ben è piú espressa figura della morte, sepoltura e resurrezione di Cristo, era nondimeno da tutti dannata con allegare molti luochi de’ profeti, dove si parla d’aspersione o effusione di acqua, quali tutti litteralmente dicevano doversi intender del battesmo.
Contra quei tre, che del battesmo de’ putti parlano, fu il parer di tutti con allegare la dottrina delli antichi Padri e delli scolastici; e molte invettive furono fatte contra Erasmo, attribuendoli l’invenzione del decimoquinto, qualificandola per empia e perniciosa, e che aprirebbe una via di abolir a fatto la religione cristiana: aggiongendo che se li fanciulli degli ebrei circoncisi, venendo all’etá, erano debitori di servar tutta la legge ed erano puniti per le trasgressioni, molto piú era cosa giusta constringer li figli de’ fedeli ad osservar la cristiana; che meritamente l’universitá di Parigi aveva condannato quell’articolo, e la sinodo lo doveva condannare. Il sedicesimo concludevano esser compreso negli articoli superiori, perché leverebbe la penitenzia, un altro delli sette sacramenti. Ma l’ultimo tutti dissero esser contrario al proprio ministerio del battesmo, nel bel principio del quale vien avvertito il catecumeno che, volendo andare alla vita eterna, è necessaria l’osservanza di tutti i comandamenti.
Per li articoli circa la confirmazione non vi fu alcuna differenza, per aver fondamento nel concilio fiorentino, il qual da tutti era allegato; e quello che nel terzo articolo si dice, che giá li giovani rendessero conto della sua fede in presenza della Chiesa, generalmente fu deciso con dire che, non usandosi in questi tempi, si doveva credere che mai per il passato fosse stato usato, perché la Chiesa non averebbe intermessa quella ceremonia. Furono portati molti luochi de’ concili e scrittori antichi con menzione del crisma e di onzione, che non possono convenir ad instruzione né esame. Per il che conclusero dover esser riputata vanissima l’ignoranza di chi vuol al presente, contra al comun senso di tutta la Chiesa, mutar un sacramento tanto principale in un rito, che forse in qualche particolar luogo fu una volta usato, ma non mai fu universale come l’onzione del crisma.
Sopra l’ultimo articolo fu molta difficoltá, per il fatto di san Gregorio papa, che concesse quel ministerio alli semplici preti. Nel che li franciscani, per la dottrina di san Bonaventura che, seguito da Gioanni Scoto e dall’ordine loro, attribuiva al solo vescovo questo ministerio, avendo per nullo l’attentato da un prete (il che fu anco tenuto da papa Adriano IV), rispondevano che quella fu permissione, e per quella volta sola, e contra il voler del papa per fuggir lo scandolo di quei popoli; o vero che quell’onzione da Gregorio permessa non era sacramento della confermazione. La qual risposta non essendo piaciuta a san Tomaso, perché non libera totalmente il papa dall’aver errato, egli trovò temperamento con dire che, quantonque il vescovo sia ministro della confermazione, possi nondimeno esser ministrato dal prete con permissione del papa. Al che opponevano gli altri la dottrina della chiesa romana esser assoluta; che da Cristo sono instituiti li ministri delli sacramenti, a’ quali se ben il papa può comandare quanto all’esercizio del ministerio, non può però in modo alcuno fare che il sacramento ministrato da altri sia valido, né che il conferito dal ministro instituito da Cristo, eziandio contra il precetto di esso papa, sia nullo: e però se Cristo ha instituito il vescovo per ministro, il papa non lo può conceder al prete; se Cristo ha concesso che il prete possi, non lo può impedire il papa; parendo gran cosa che negli altri sacramenti, tutti di maggior necessitá, Cristo avesse prescritto il ministro, senza lasciar nessuna libertá agli uomini; e in questo, che si può ad ogni meglior opportunitá differire, avesse usato una singolaritá, della quale per seicento anni, che furono sino a Gregorio, nessuno avesse mai fatto minima menzione: e far un articolo di fede sopra quattro parole dette per occasione, ché se quell’Epistola si fosse perduta, mai nessuno averebbe inventato quella distinzione insolita in tal materie, né applicabile ad altro che a questo luoco di Gregorio.
Non sodisfacendosi altri delle resoluzioni né dell’una né dell’altra parte, proposero alcuni che si pigliassero le parole del concilio fiorentino e non si cercasse piú oltre; altri pigliarono termine che si condennasse solo chi dirá il prete e non il solo vescovo esser ordinario ministro, lasciando che con quella parola ambe le opinioni potessero valersi, essendo libero l’inferire: «adonque ci è un altro ministro straordinario», o vero dire: «adonque non ve ne può esser altro, perché li sacramenti non hanno ministro se non ordinario».
Mentre li articoli sopra detti furono discussi dalli teologi, nella congregazione de’ canonisti, formata per raccogliere e rimediare agli abusi concernenti le materie stesse delli sacramenti in generale, e del battesmo e confirmazione, fu formato un decreto continente sei capi, che in sustanzia diceva:
Che la sinodo, volendo levar gli abusi introdotti dagli uomini o dai tempi, e insegnare li ministri delle chiese e gli altri fedeli come si debbono governare nel custodirli, ministrarli e riceverli, ordina:
I. Che li sacramenti ecclesiastici siano liberalmente conferiti, e per ministrarli nessuna cosa sia riscossa o vero addimandata sotto qualsivoglia pretesto, né sia posto in mostra cassetta, vaso, drappo o altra tal cosa, per quale tacitamente appaia che si dimandi; né meno sia negato o differito il sacramento sotto pretesto di qual si voglia longa e antica consuetudine di non conferirli se non ricevuta prima determinata mercede, o vero anco sodisfazione di qualche cosa del resto debita; atteso che né il pretesto di consuetudine, né la longhezza del tempo sminuisce, anzi accresce il peccato, e li contraffacenti sottogiacciono alle pene statuite dalle leggi contra li simoniaci.
II. Il sacramento del battesmo non sia conferito in luochi profani, ma solo nelle chiese, salvoché per urgente necessitá, ed eccettuati li figliuoli dei re e principi, secondo la costituzione di Clemente V; la qual però non abbia luoco in tutti quelli che hanno dominio, ma solo nelli principi grandi: né li vescovi diano la cresma se non vestiti con paramenti condecenti, e nelle chiese, luochi sacri o case episcopali.
III. Il sacramento del battesmo sia amministrato da sacerdoti periti e idonei nelle chiese matrici solamente, nelle quali sia il fonte battismale, eccetto che se, per la gran difficoltá di andar a quelle, paresse alli vescovi concederlo anco in altre chiese, o da immemorabil tempo sia stato concesso; nelle qual chiese sia custodita l’acqua benedetta presa dalla chiesa matrice, in un vaso mondo e condecente.
IV. Nel battesmo e cresma non sia admesso piú che uno per padrino, il quale non sia infame, né scomunicato, né interdetto, né sotto la pubertá, né monaco, o altro che non possi esequir quello che promette: e nella cresma non sia ricevuto per padrino chi non è cresimato esso.
V. Per levar l’abuso in molti luochi introdotto di portar l’acqua del battesmo in volta, o vero condur li putti cresimati con la fronte legata (a fine di fare molti compadri col lavar delle mani e col scioglier la fronte), atteso che nessuna compaternitá con questi modi si contrae, non permettino li sacerdoti che l’acqua del battesmo sia portata fuori di chiesa, ma subito sia gettata nel sacrario, e il fonte battesmale sia serrato; e li vescovi, quando danno la cresma, facciano star due chierici alla porta della chiesa, quali sleghino e lavino le fronti dei cresmati, e non lascino uscir della chiesa alcuno ligato. Abbiano ancora li vescovi diligente cura di non confirmare alcuno scomunicato né interdetto, né che sia in peccato mortale.
E quantonque con maggior facilitá li canonisti fossero convenuti in questi decreti che li teologi nelle loro discussioni, con tutto ciò vi furono tra loro alcune differenze, nella resoluzione de quali non potendo convenire, dopo averle longamente disputate formarono li dubbi, rimettendo la decisione di quelli alla congregazione generale. Era il primo dubbio, se alle parole del decreto, cioè «nessuna cosa sia riscossa, o vero addimandata», si doveva aggiongere ancora: «né ricevuta». Il secondo, se si doveva anco aggiongere: «eziandio sotto pretesto di qualsivoglia consuetudine». Il terzo, se era bene aggiongersi qualche parole per significare che la sinodo non proibisce le oblazioni volontarie, o vero che le proibisce solo quando sono date per risguardo del sacramento, e non per altri rispetti di pietá; o pur se il decreto si debbe lasciar nella sua universalitá.
Ma nella congregazione generale fu la medesima difficoltá, la quale non fu possibile concordare. Quelli che volevano le aggionte per proibir anco il ricevere e il pretesto della consuetudine, allegavano l’Evangelio: «Date liberalmente quello che liberalmente avete ricevuto», e molti canoni con anatemi a chi dá e a chi riceve cosa temporale per la spirituale. Che la consuetudine contra la legge divina e naturale è una corruttela, e non può aver luoco; che nel titolo di simonia è represa e dannata la consuetudine di dar o ricever per il possesso de’ benefici, per le benedizioni delle nozze, per le sepolture, benedizione del crisma o vero olio, e ancora per la terra della sepoltura: il che tanto maggiormente si debbe applicare alli sacramenti; che non proibendo la consuetudine, non sará fatto niente, perché la corruttela è introdotta per tutto, e ognuno si scuserá con quella; che sí come nel decreto si ha dannato la consuetudine di ricever alcuna cosa inanzi, per la medesma ragione si debbe dannar la consuetudine di recever dopo, perché altramente con aver condannato quella sola, si vien ad approvar questa. E quanto alle oblazioni volontarie, volevano che generalmente fosse proibito il dare e ricever alcuna cosa poco inanzi o poco dopo, per qualonque respetto si voglia, imperocché per ragion del tempo si ha da presumere che sia dato per il sacramento: e per questo era allegata la glosa, la qual dice che, quantonque il metter danari nella cassetta sia opera di pietá, nondimeno il farlo al tempo del sacramento ricevuto induce suspizione di simonia; doversi aver rispetto al tempo nel quale la cosa, che del rimanente sarebbe stimata buona, ha specie di malizia; esser precetto divino levar ogni occasione di scandolo e astenersi da ogni apparenza di male, e per far che li sacramenti siano amministrati con puritá, proibir assolutamente le offerte spontanee nelli tempi che li sacramenti sono amministrati, esortando li fedeli a quelle nelli altri tempi e occasioni.
Per l’altra parte era detto che un canone del concilio cartaginese quarto concede che sia ricevuto quello che è offerto da chi fa battezzar i suoi figli; che li teologi, dopo aver determinato che per li sacramenti niente di temporale può esser ricevuto, insieme consentono che si possi ricever per la fatica nell’amministrarli; e molto piú quando non è dato o ricevuto per rispetto del sacramento, ma per ragion di limosina; che questo sarebbe un levar a’ laici le occasioni di esercitar le opere di pietá; che levando le offerte volontarie, li poveri curati non averanno di che sostentarsi. Allegavano l’autoritá di san Paulo, che non sia lecito metter la musarola all’animal che batte il grano nell’ara, e chi serve all’altare, dell’altare debbe vivere. Non doversi mai confessare che vi sia alcuna consuetudine introdotta di dare o ricevere alcuna cosa per il ministerio de’ sacramenti, perché essendo quella generale per tutto, sarebbe un dire che nella Chiesa universale sia stato tollerato, anzi approbato un abuso pernicioso; e però non fa bisogno parlar di levar una consuetudine la qual non è introdotta: e pensando di voler porger rimedio a quello che non è male, ma è stimato tale per la fiacchezza della conscienza d’alcuni, far una piaga mortale nella Chiesa. Per ragione principalissima dicevano che Innocenzio III, nel concilio generale, capitolo Ad apostolicam, de simonia, non solamente dechiara per lodevole la consuetudine in questa materia di oblazione nel ministerio dei sacramenti e ordina che sia osservata, ma ancora che il vescovo debbia punir chi tenta di mutarla. Per il che il determinar adesso il contrario sarebbe con immenso scandolo condannar un pontefice e un concilio generale, come approbatori e difensori d’un error pernicioso.
Era replicato dall’altra parte che lo statuto del concilio cartaginese condanna severamente l’esazione, tollerando l’offerta spontanea; ma è però emendato dal concilio eliberitano, il quale proibisce l’uso introdotto che il battezzato metteva qualche danaro nel vase. Che la invenzione de’ teologi distinguendo il ministerio del sacramento dalla fatica nel ministrarlo, e la distinzione di ricever per rispetto del sacramento o d’altro, insieme con quell’altra di primaria e secondaria intenzione, erano metafisiche e chimeriche, poiché le parole dell’Evangelio sono dette in termini assoluti, non soggette a cavilli né a glosse che distruggono il testo. Che Dio per Moisé e san Paulo nel proibir la musarola intendono che non sia negato l’alimento all’animal affamato, ma che non sia concesso al satollo di riempirsi superfluamente. Che non si può pretender povertá dell’ordine clericale, avendo non solamente competenti, anzi anco abbondanti entrate; ma l’abuso essere che li rettori delle chiese non fanno residenzia nei benefici, e pur vogliono per sé tutti li frutti, e affittano anco li incerti a poveri pretucci, li quali sono sforzati a vender tutto per vivere. Doversi piuttosto provvedere che tutti resedano nel suo beneficio, che averanno di che vivere e abbondare, e non usaranno vender li sacramenti ecclesiastici. E con questa occasione tornavano a dilatarsi sopra la residenza e sopra li beni che sarebbono seguiti dechiarandola de iure divino; soggiongendo poi che, se pur qualche beneficio curato è tenue, se gli provegga con l’unione d’altri benefici semplici; e quando non vi sia altro modo, si procuri che il populo li dia da viver. Esser meglio e grato a Dio il confessar l’error passato e rimediarlo, piú tosto che defenderlo e perseverar in quello. E il Cardinal del Monte, che del rimanente pareva a tutti poco inclinato a riformazione, in questo nondimeno sentiva vivamente per questa parte; e a quelli che allegavano l’autoritá di Innocenzo III e del concilio generale rispondeva che facevano gran torto a quel pontefice e a quei padri ad attribuirli che defendessero un tanto abuso, e mostravano la loro ignoranza, imperocché, leggendo li tre capi del medesmo concilio precedenti inanzi, averebbono veduto chiaro l’intenzione, e come quei padri proibirono ogni esazione, condannando anco la consuetudine in contrario; e in quel capitolo non si approvano le consuetudini di dar alcuna cosa per il ministerio de’ sacramenti, ma le altre lecite e oneste introdotte a favor delle chiese, come le decime, primizie, oblazioni solite a farsi all’altare, porzioni canoniche e altre tali lodevoli usanze, allegando che cosí era inteso il capitolo da Bartolo e da Romano.
Ancora li padri deputati a formar li decreti in materia della fede, considerate le sentenzie delli teologi e le conclusioni in quali erano convenuti, tralasciati e distinti li articoli secondo il ricordo loro, e ordinatigli anco in serie piú consequente, formarono tredici anatematismi sopra li sacramenti in universale, quattordici del battesmo e tre della cresma, esplicati con tal forma che non restava censurata alcuna delle opinioni cattoliche, e stando sul comune sodisfaceva a tutte le parti. Ma nel componer li capi per esplicare la dottrina, come s’era fatto della giustificazione, non fu possibile farlo che, usando li termini d’una delle opinioni, non paresse reprobata l’altra; cosa che né alli dottori piaceva per affetto alla propria setta, né alli legati e neutrali, per non seminar cause di novi scismi. Ma non essendo possibile esplicar la dottrina cosí delicatamente che non si pendesse piú da una delle parti, remisero alla congregazione generale il difinire il modo come li sacramenti contengano e causino la grazia.
Nella congregazione non fu minor perplessitá di quella che li deputati avevano: con tutto ciò una parte delli padri inclinava piú tosto a tralasciar affatto il capo della dottrina e passar con li soli anatematismi, come s’era fatto del peccato originale. L’altra parte voleva onninamente li capi della dottrina, allegando le ragioni usate quando si deliberò di trattar cosí la giustificazione, e che l’esempio introdotto allora era necessario seguire. Doversi usar ogni accuratezza per farlo con sodisfazione di tutte le parti; ma finalmente esser necessario farlo, e non esservi pericolo di alcuna divisione. Perché sí come li teologi presenti in concilio, se ben acremente defendono la propria opinione, si rimettono nondimeno alla sinodo, il che essendo certa cosa che faranno anco li assenti, non si debbe restar di far cosa perfetta per convincere li eretici.
Averebbe prevalso questa sentenzia, se non se gli fosse opposto vivamente Giovanni Battista Cigala, vescovo di Albenga e auditore della camera, il quale disse che per la lezione delle istorie non s’averebbe mai ritrovato che alcuno, se non costretto, deponesse l’opinione propria per esser condannata: e se ben tutti li cattolici dicono di rimettersi al giudicio della chiesa romana, con tutto ciò, se l’opinione sua fosse reprobata, non la muterebbono, ma piú pertinacemente la defenderebbono, maggiormente fortificandosi per l’opposizione; onde di sètte nascono eresie. Le quali per impedire, il vero modo esser tollerar tutte le opinioni e operare che nessuna danni l’altra, ma si viva in pace; né mai esser una tanto repugnante all’altra, che usando questa moderazione possi nascere alcun inconveniente; dove che senza questo, una differenza verbale, un apice minimo è sufficiente a divider tutto il mondo. Che molte delle opinioni de’ moderni innovatori s’averebbono potuto tollerare, se le avessero asserite con modestia, e senza dannar la chiesa romana e la dottrina delle scole. Questo avere costretto Leone a ritorcer contra Lutero quelle saette che egli prima tirò contra la sede apostolica. In somma diceva e replicava il savio prelato che le solite protestazioni de’ dottori di rimettersi alla Chiesa erano termini di creanza e riverenza, a’ quali era necessario corrispondere con altrettanto di rispetto, conservandosi neutrale tra le contrarietá; comportar cosí li termini del vivere che rispetti quello il quale vuol esser rispettato; e non creder mai che chi dice di rimettersi e sottoporsi abbia animo di farlo, se l’occasione venisse. Di che aver dato manifesto indicio Lutero, il quale, mentre ebbe da far con li soli frati questori in Germania in materia delle indulgenze, e anco con li dottori da Roma, sempre disse che si rimetteva al papa; e subito che Leone ricevette la promessa per reale, la qual era detta per pura apparenza, non solo Martino non attese la promessa, ma inveí maggiormente contra il pontefice, che non aveva fatto contra li questori in Germania.