Interpretazione e confronto di una bilingue iscrizione che sta sopra una Mummia Egiziana nel Regio Museo di Torino/Capitolo I
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Capitolo II | ► |
Capitolo I.
Storia ed iscrizione greca della mummia di Peteménofi.
È cosa da far meraviglia come fra le centinaia e centinaia di mummie d’ogni qualità, che, da venti e più anni a questa parte, dalle sponde del Nilo furono portate in Europa, così poche se ne sieno trovate finora munite di qualche iscrizione o manuscritto in lingua greca. Egli è però fuor di dubbio che gli Egiziani, signoreggiati per oltre tre secoli dai Greci, ebbero quell’idioma cosi famigliare, sarei quasi per dire, quanto il linguaggio loro nazionale; perchè, quantunque a que’ tempi la lingua egizia fosse la sola che in Egitto si potesse adoperare utilmente ne’ publici contratti e negli atti forensi, abbiamo però già più d’un esempio che uomini di nome egiziano e non greco, soleano far tradurre in greco que’ documenti per loro uso private. Erano greche le epigrafi delle monete; greche, per la maggior parte, le iscrizioni che si ponevano in fronte ai monumenti d’allora. Gli stessi decreti onorevoli, che dai sacerdoti; dai magistrati si collocavano
ne’ templi, accoppiavano per lo più col testo egiziano il volgarizzamento greco, come ne fanno fede il prezioso cippo di Rosetta, ed il nostro torinese, scritti ambedue nell’uno e nell’altro idioma.
Nè le cose variarono punto sotto i Romani: pare anzi che in Egitto, sotto il loro dominio, la lingua greca fosse divenuta quella del Governo, poichè le monete continuarono a coniarvisi con greche leggende in nome degl’Imperatori; e greci parimente, più assai che latini, sono i titoli che si leggono tuttora sugli edifizi innalzati o restaurati in quella età; cosi che si può dire in generale che la lingua di Roma fu sempre un’idioma straniero per gli Egiziani.
Vero è che le leggende delle mummie, e tutto ciò che spettava alle sepolture, essendo cose dipendenti dalla religione, non presero mai norma dalle civili vicende: ma si mantennero invariabili come la religione medesima, fino all’esterminio del politeismo presso quella nazione.
Ho notato in fatti che anche que’ pochissimi cadaveri imbalsamati, i quali si distinguono dagli altri per qualche greco epitafio, non sono mai senza qualche leggenda o papiro scritto in lingua sacra, od in caratteri ieratici. Queste sole iscrizioni, volute da un uso antichissimo, e dettate dalla religione, non si ommettevano mai (vedi la nota a in fine); le altre, all’incontro, siccome private innovazioni, s’ incontrano raramente sulle tombe, e sono prove non dubbie della tendenza universale di quel popolo verso le straniere costumanze, negli ultimi periodi della sua esistenza.
Quando Winkelmann scriveva la sua Storia dell'Arte, pare che in Europa non s’avesse ancora notizia d’altra mummia egiziana con greca epigrafe, fuorchè di quella trovata in Menfi dal rinomato viaggiatore Pietro Della Valle, ed acquistata di poi in Roma pel museo di Dresda1. Ma su quella mummia, ornata in ogni parte di segni geroglifici, tutta l’iscrizione greca consisteva nell'apostrofe od acclamazione: Εὐ+ύχι (sic), che allora fu letta malamente: Εὐτύχι invece di Εὐψύχει, ed interpretata pel nome del defunto. Si può vedere ciò che lasciò scritto su questo particolare il dotto Kirker nel suo Edipo egizio.2
Ed anche adesso, fra tanta dovizia di cose antiche egiziane, non più di due o tre mummie sì fatte sono ben conosciute in Europa. Alcune altre ve ne debbono essere nel nuovo museo britannico: ma queste, nello stato di confusione in cui si trova tuttavia quella bellissima collezione, non sono state per anche esposte al publico, nè fin qui, ch’io mi sappia, esaminate od illustrate da alcuno.
Fra queste mummie quella di cui si è più parlato finora è quella recata ultimamente a Parigi dall’intrepido viaggiatore il sig. Cailliaud. Ma convien pur confessare, che, per quanto quel raro monumento sia stato colà proclamato come cosa unica3, e che ingegni chiarissimi abbiano preso ad illustrarlo4, le sue varie iscrizioni si trovano ridotte in sì misero stato, che la greca epigrafe, senza parlare del rimanente, la quale era composta da prima di ventisette vocaboli, ora appena ne presenta sei o sette abbastanza conservati da potersi leggere senza stento; di modo che si può dire che sia stata piuttosto imaginata che letta o supplita dal suo perspicace commentatore.
Ma, valga il vero, la mummia che, sotto quest’aspetto, è veramente da pregiarsi sovra ogni altra, e per la sorprendente sua conservazione, e per le sue diverse scritture, e per le notizie che ne può somministrare, non è fin qui ben conosciuta ancora. Essa era già da qualche tempo nei magazzini di Livorno confusa col resto della collezione del Cav. Drovetti; ora, grazie alla munificenza sovrana, fa parte anch’essa di questo regio museo egiziano, ed è senza fallo uno de’ suoi più belli e preziosi ornamenti.5
Questa mummia fu ritrovata da un viaggiatore piemontese, il sig. Lebolo, in un profondo sepolcro presso all’antica Tebe, sulla sponda libica del Nilo, dov’è dì presente il villaggio arabo di Gournah. La struttura di quel sepolcro non differiva da quella degli altri che sono colà in gran numero, se non in ciò cne invece di essere semplicemente scavato nel sasso o nel terreno, era, nel fondo del suo pozzo, fabbricato di mattoni, e tutto ornato internamente di pitture diverse.6
Quivi stavano riposti dodici o tredici sarcofagi di legno, altri più altri meno ben conservati. Tutti erano di forma quadrata con coperchio semicircolare, tranne uno tagliato tuttavia nel modo più comune sulla foggia del corpo umano; ed erano tutti fregiati delle solite leggende religiose in geroglifici, ed ornati di figure simboliche a più colori, col ritratto del loro defunto. Uno solo conservava ancora esternamente l’apparenza del legno del sicomoro, senza traccia alcuna di gesso, gomme o colori con cui potesse essere stato altre volte ricoperto; nè so bene se sulle casse mortuali egiziane siasi più veduta una simile particolarità. Oltre di ciò sei o sette di quelle urne presentavano pure alcune brevi iscrizioni in lingua greca.
Tutte quelle mummie ebbero allora vario destino. La meglio conservata, la più pregevole per ogni rispetto, quella non dipinta e con greco epitafio, or dianzi mentovata, fu acquistata dal Cav. Drovetti, e da questo, col rimanente della sua collezione, fu ceduta a S. M. il Re di Sardegna, come già si è detto; e di questa appunto io andrò qui partitamente ragionando.
Una o due, di quelle mummie distinte con iscrizione greca, furono vendute dal sig. Lebolo al generale prussiano Conte Minutoli: ma queste, per quanto ne fui assicurato, nel transitare da Alessandria in Europa, perirono sulle coste inospitali dell’Affrica, con molte altre cose rare raccolte in Egitto da quell’Erudito. Il sig. Cailliand ebbe quella di cui si e già parlato; ed un’altra finalmente rimase presso il sig. D’Anastasi Vice-Console svezzese in Alessandria; la quale, s’io non erro, dee essere quella stessa le cui epigrafi, copiate cola da M.r Grey, furono poi comunicate al publico per cura della Società egiziana di Londra nello scorso anno 1823.7
Le iscrizioni greche degli accennati sarcofagi sono ora in parte conosciute, e saranno qui da me nuovamente riferite ad illustrazione del mio argomento. Delle rimanenti mummie trovate dal sig. Lebolo in quel medesimo sepolcro, alcune furono da lui sparate colla speranza che potessero contenere qualche papiro od altra cosa preziosa. Una rimaneva ancora intatta presso di lui, in Trieste, sono ora pochi mesi; ed è quella, come dissi, di forma ordinaria egiziana, e la più bella di tutte in quanto al merito delle sue pitture. Due altre finalmente passarono pure nel museo del Cav. Drovetti, ed ora conservansi anch’esse in questo regio gabinetto.
Queste due mummie, fra le tante che fanno parte di questa doviziosa raccolta, sono fra quelle poche le quali, avendo avuto la sorte di sfuggire la carnificina degli sciorinatori del lazzaretto di Livorno, quando in mal punto arrivarono colà, sono giunte fra noi assai meno malconce delle altre. Sono fatte con doppia cassa; l’interiore ha forma egizia, l’altra è quadrata; tutte sono coperte di geroglifici, ed ornate, sopra un fondo bianco, di figure a più colori, ma di uno stile ben inferiore di merito, e diverse da quelle delle pitture che si vedono sulle mummie de’ secoli precedenti. I loro cadaveri sono fasciati con tela rossa, ed erano coperti superiormente con una bellissima reticella fatta di cannoncini di smalto di color celeste, col solito grande scarabeo sul petto, col quattro genii assistenti: ma questi ornamenti hanno molto sofferto ne’ viaggi. Uno de’ loro cadaveri e quelle d’un uomo, l’altro è quello di una donna ivi nominata: la padrona di casa, ovvero la madre di famiglia Buon-anno. Ambedue queste mummie sono senza corona sul capo, nè presentano alcuna traccia di greca iscrizione.
Non mancano però esempi di mummie tutte egiziane ornate di corona, ed avrò fra poco occasione di citarne più d’una di questo regio museo. Non so perciò se vi sieno ragioni bastanti per affermare che l’uso d’incoronare i defunti fosse affatto sconosciuto presso gli Egizi, massime negli ultimi tempi; e che la corona sia un indizio sufficiente per giudicare di greca origine i cadaveri che ne vanno adorni. E che cosa saranno elleno mai se non corone funerali quegl’intrecci a ghirlande fatte con foglie di diversa qualità cucite insieme, le quali si trovano quasi sempre nelle casse delle mummie femminili, e talvolta ancora in quelle degli uomini?
Io sono debitore alla cortesia del sig. Lebolo delle notizie sin qui esposte; le quali mi furono anche confermate da un altro viaggiatore italiano che ebbe parte in quegli scavi; le comunico perciò al publico con molta confidenza.
Nè debbo qui dimenticare di soggiungere che egli è in una delle mummie sovraccennate che fu ritrovato il più grande manuscritto greco in papiro di questa regio gabinetto8. lo fui assicurato piii volte di questo fatto, a voce ed in isci’itto, dal sig Lebolo medesimo; non so vei-amente come si possa conciliare questo suo dire cotv cio- che fu asserito da certi Arabi al sig. Casati intorno all’origine comune di tutti i manuscritti grcci scoperti in Egitto in questi ultimi anni9. Questo fatto assai rilevante merita perciò di essere meglio verificato.10
Ma lasciando stare per ora ogni altra considerazione veniamo al sarcofago di cui abbiamo principalmente ad occuparci. Il cadavere ch’esso racchiude è quello di un bambino di cinque anni non ancora compiti; la cassa è una sola, fatta con certo legno bianco e gentile come il pioppo, ch’io giudico perciò essere quello del sicomoro, il meno raro in Egitto, e quello che si adoperava più comunemente in simili lavori. Questa cassa, siccome ho già notato, non è dipinta esternamente, ma presenta invece due preziose iscrizioni, una in pessimi caratteri greci, l’altra in segni geroglifici delineati con eguale noncuranza; quali appunto sogliono essere tutti quelli de’ tempi romani cui essa appartiene: contuttociò è lavorata con ottime proporzioni, e finita con molto garbo e diligenza. La sua figura è quella di un quadrato oblungo, voltato superiormente a semicerchio, e fiancheggiato negli angoli da quattro colonne parimente quadre, come si può vedere nella tav. 1. che va unita a questo ragionamento. Differisce perciò dalla maggior parte degli altri sarcofagi egizi, i quali sono fatti per lo più ad imitazioni della forma del corpo umano imbalsamato. Dissi per lo più, perchè, non v’ha dubbio che in tutte le età gli Egiziani adoperarono ad un tempo e l’una e l’altra maniera di casse; come ne fanno testimonianza le tombe degli antichi Re delle dinastie diospolitane trovate negl’ipogei di Tebe. Più raramente però si giovarono di quelle rettangolari, le quali per lo più destinavansi per riporvi i cadaveri de’ piccioli animali riputati sacri. Di queste in fatti ve ne sono parecchie in questa reale collezione, che nessuno dirà certamente essere opere greche, come si vorrebbero generalmente tutte le mummie egiziane di tal conformazione. Io nol crederò già, quando esse non presentino, oltre la figura della cassa, altri particolari che valgono veramente a dichiararle tali.
Le proporzioni di questo nostro sarcofago sono quali si convengono ad una creatura di pochi anni; e lungo poco più d’un metro, cioè due piedi ed un’oncia e mezza della misura piemontese; largo once dieci ed un ottavo; ed alto once nove e mezza. E quando io adopero la misura del piede di Piemonte, detto nei bassi tempi piede di Liutprando, tanto vale come se mi servissi dell’antica misura egiziana11; perchè il cubito o metro antico d’Egitto, che si conserva preziosissimo in questo regio gabinetto, non supera veramente che d’un quarto d’oncia, ossia d’un centimetro circa, il mentovato piede.12
Il cadavere di quel fanciullo, fasciato com’è, pesa poco meno di settanta libbre, vale a dire assai più che non dovrebbe in proporzione del suo volume. Ma questo eccesso di peso e cosa assai frequente nelle mummie, e si dee attribuire alla quantità del bitume e de’ sali che si solevano impiegare nello imbalsamarle. A motivo di questo peso, molte ne furono distrutte colla fuducia di trovare cose preziose fra le loro fasce; quella di Peteménone portata a Parigi dal sig. Cailliaud ebbe questo fine: ma rare volte la fortuna seconda queste belle speranze, ed intanto sono spregate senza riparo non poche mummie che sarebbe cosa ben fatta di conservare intatte ne’ musei, per far vedere il modo, quasi sempre vario, con cui elle sogliono essere fasciate, ornate o coperte esternamente, o per altri motivi degni di egual considerazione.
Una tela di lino tinta in rosso, il colore della quale dovea essere altre volte anche più bello e vivace che era non è, involge e nasconde intieramente quel piccolo defunto13; e moltissime fasce stringono quella tela per ogni verso, incrocicchiandosi regolarmente, e con molto garbo, a guisa di rete. Il capo della mummia e coronato da una ghirlanda fatta di cartone dorato, ed intessuta di certe foglie, che quasi si potrebbero dire di olivo, se fossero tripartite, o fosse tra esse qualche bacca o frutto che servisse a meglio caratterizzarle.
In questo regio museo si vedono le maschere di due mummie fra loro somigliantissime, egualmente incoronate con una fronda non diversa dalla teste accennala, ma fatte di stucco colorato in verde. Una di quelle maschere apparteneva alla mummia di una donna; l’altra a quella di un uomo, sulla quale si legge l’epigrafe seguente: ΚΑΛΑΝΤΙС ΥΙΟС ЄΚΝΟΥΑС. Ve n’e pure una terza in tutto simile alle precedenti, ma priva di ghirlanda e d’iscrizione.
Non dubito punto che tutte queste maschere non sieno state tolte a quelle mummie, che, come ho già detto, furono trovate dal sig. Lebolo nello stesso sepolcro dove stava quella del nostro bambino, e poi da lui medesimo sfasciate; perchè so che quel Signore solea cedere al Cav. Drovetti le cose che andava scoprendo, e che moltissimo contribuì ad accrescere la sua raccolta.
Di corona era parimente fregiata la mummia posseduta dal sig. Cailliaud: ma sì quella che le altre or mentovate appartenevano a persone adulte, che poterono averle meritate o nell’esercizio dei loro uffizi od altrimenti; non si può però dire la medesima cosa del nostro fanciullino, e difficilmente ancora di una donna.14
Io non posso quindi acconsentire all’opinione di chi crede che quelle corone, non meno che la forma rettangolare degli accennati sarcofagi, facciano testimonianza dell’origine greca di tutte le sopraddette mummie; e che le medesime debbano apparlenere ad una stessa famiglia, perchè furono partecipi di una medesima tomba15. Perciocchè se questo fosse vero, tutti que’ cadaveri imbalsamali avrebbero dovuto essere egualmente decorati di quel distintivo; avere un’epigrafe greca sulla loro cassa; portare nomi greci, e discendere dal medesimo padre, o da un avo comune. Queste cose non convengono certamente alle mummie di quel sepolcro; sarei quindi piuttosto propenso a credere che quella tomba non fosse altrimenti greca, nè propria di una sola famiglia, ma che abbia servito per qualche società, arte o sodalizio sia civile, sia religiose, instituito poco prima del regno dell’Imp. Adriano, al qual tempo si riferiscono le prime iscrizioni di quel monumento. Presso gli antichi Egiziani non erano sconosciute sì fatte congregazioni; ed alle medesime potevano aver parte tanto gl’indigeni quanto gli stranieri. Tale era, per modo d’esempio, quella dei Colchiti in Tebe, di cui è fatta menzione nel già mentovato grande manuscritto greco di questo reale gabinetto; e tale parimente quella de’ Basilisti, accennata nella lapide scoperta dal sig. Ruppel nell’isola di Bacco presso le Cateratte, ed egregiamente ora illustrata dal ch. sig. Letronne.16
Fra le fasciature del nostro bambino imbalsamato, sul capo e sui piedi, vedonsi due piccoli rotoli schiacciati di papiro, ivi attaccati mediante alcune gocce di un mastice o gomma non molto diversa dalla nostra cera lacca. Contengono questi manuscritti il nome e la figliazione del defunto, colle solite preci agli dei dell’Amente scritte in caratteri ieratici; de’ quali manuscritti avremo fra poco occasione di parlare.
La nostra cassa è pure diversa da quante altre ne ho vedute finora pel modo con cui si può aprire. Essa non s’apre già verso la metà della sua altezza come le altre, ma, tolti alcuni perni, l’intiero corpo della cassa si stacca dal fondo in cui è conficcato, e dove riposa il suo cadavere imbalsamato. Ma siccome troppo lunga e difficile sarebbe stata questa operazione ogni qual volta fosse venuto in pensiero ad alcuno di rivedere quel defunto, perciò si ebbe l’accorgimento di lasciar movibile una delle doghe che formano la convessità del coperchio della cassa medesima, acciò si potesse levare e rimettere a piacimento. Ed affinchè ogni commettitura della cassa col fondo fosse ermeticamente sigillata, e la mummia rimanesse aderente al fondo stesso, fu versato su di questo, in istato di fusione, uno strato di certa sostanza nera, lucida, dura, vetrina, simile alla pece, la quale in parte vi si vede ancora. Io ho cimentata questa sostanza coll’alcool e col fuoco, ed ho riconosciuto non esser ella altra cosa che l’asfalto o pece minerale, conosciuta più comunemente col nome di bitume giudaico, del quale gli Egiziani fecero uso grandissimo nella preparazione delle mummie, ed in ogni altra loro domestica masserizia.17
Ma sarebbe meraviglia se in questo nostro sarcofago, benchè privo affatto d’ornamenti esteriori, mancasse pure l’effigie del defunto, che suol trovarsi o dipinta od in rilievo in tutte le mummie egiziane. Essa vi è di fatto, ma è nascosta nell’interno della cassa, dove l’intiera figura del bambino si vede ritratta a colori sul fondo medesimo su cui egli si giace. La pittura è conservata perfettamente, tranne quel tanto che è rimasto coperto dal bitume sopraddetto. Il colore delle carni è bronzino; il disegno di tutta la persona, ma principalmente della testa, è barbaro; nè saprei meglio paragonarlo che a quelle figure di maniera greca che si facevano in Italia nel duodecimo e decimoterzo secolo, con lunghe proporzioni, membra rigide e secche, ed occhi da spiritato. Sopra tutto vogliono essere osservate le orecchie, le quali, non solamente sono situate più in alto di quel che dovrebbero essere, ciò che è comune a quasi tutte le figure egiziane, ma sono inoltre appuntate superiormente quali sarebbero quelle d’un gatto, ovvero d’un satiro, o d’un fauno18. Il fanciullo ha indosso una tunica di color rosso tendente al paonazzo chiaro, con maniche corte assai; gli pende dalla cintura un grembiale a righe perpendicolari di diversi colori, il quale è assicurato alle spalle con due straccali. Sulla riga di mezzo evvi una legenda in geroglifici, la quale è però sì mal tratteggiata, e così imbrattata da quel bitume, che poco ormai se ne potrà ricavare. Sul capo ha una parrucca nera coronata di rosso; le sue orecchie sono ornate con due grandi pendenti che hanno forma di aspidi; e di questa forma sono pure gli smanigli che gli stringono i polsi. Gli scende dal collo sul petto un vezzo che ha l’apparenza di essere fatto di smalti gialli, verdi, rossi ec., al quale sta attaccato in fondo un piccolo ornamento del color dell’oro. Noi abbiamo in questa collezione uno di que’ vezzi composto realmente di palline di smalto verde benissimo lavorate, dal quale pende in simil guisa un piccolo globo d’ oro alquanto schiacciato, somigliante alla bolla che i nobili Romani soleano portare appesa al petto nella loro giovine età19. Nelle mummie di più antica data, invece dl qnesta bolla, alcune volte si trova appeso un piccolo papiro, ovvero una tavoletta di legno, od anche uno scarabeo20, od un amuleto.
Sul piano stesso che serve di sondo al sarcofago, sopra il capo del defunto, vedesi dipinta un’ampollina, segno fonetico della lettera n, che è l’iniziale del nome della dea Nefte, madre d’Osiride sovrano del Tartaro, la quale, come divinità tutelare de’ morti, vedesi per solito rappresentata dagli Egizi sulle casse delle loro mummie in diverse maniere, ma per lo più colla figura di una donna munita di due grandissime ali d’uccello, ovvero colle braccia aperte quasi in atto di abbracciare od accogliere il trapassato. Ai due lati, fra vari rozzi fogliami sono rappresentali, sotto forme muliebri, due genii, ovvero due paredri d’Osiride, i quali porgono al defunto colla destra un emblema di color verde simile a quel geroglifico fonetico, che nell’alfabeto del ch. sig. Champollion, al n.° 3a, corrisponde alla lettera od aspirazione cofta Hovi. Queste cose hanno tutte certamente il simbolico loro significato, ma non è sempre nè cosa facile, nè sicura di volerne dar ragione.
Tutto in questa nostra mummia è di una stupenda conservazione; l’esteriore stesso della cassa, anche dopo tanti viaggi, scosse e trasporti che ebbe a soffrire, è tuttora in sì buon essere, e d’un’apparenza sì nuova ancora che si direbbe fatto in questi giorni. Ed e questa appunto l’interrogazione che fa ogni persona che la vede.
Esternamente, sulla facciata minore di questa cassa, su quella cioè che corrisponde ai piedi del cadavere, vedesi la già mentovata iscrizione in lingua greca, delineata in nero in sei linee, ma con tanta negligenza che, quand’anche la sua data non fosse certa, porgerebbe per se stessa argomento bastante per giudicarla opera della decadenza d’ogni buona arte in Egitto. La medesima cosa si può dire della scrittura ieratica dei papiri, e della geroglifica o sacra della leggenda già mentovata, come ciascuno potrà vedere nei fac-simili di tutte quelle iscrizioni, delineati con tutta verità e diligenza nelle tavole che vanno unite a questa lezione. Sul vertice poi della curva, che serve di coperchio alla stessa cassa, sta la predetta leggenda in lingua sacra, la quale si stende per tutta la lunghezza dello stesso coperchio in una sola linea poco più larga di tre dita.
L’epigrafe greca e così intatta che non vi manca neppure una lettera; nella leggenda pero, verso la metà, si desiderano tre o quattro geroglifici, che erano già cancellati quando la cassa fu deposta ne’ magazzini di Livorno.
Ora se, non ostante le cose sin qui dette, noi porremo la nostra mummia a confronto colla maggior parte delle antiche opere che si ammirano nelle principali raccolte d’Europa, ella avrà tuttavia vanto di molta antichità, siccome quella che spetta al principio del secolo secondo dell’era volgare. Ma in tal collezione di cose egizie qual è ora la torinese, ove sono tanti i monumenti anteriori al dominio de’ Persiani, al regno di Sesostri, ed alla diciottesima dinastia, diciotto secoli prima della redenzione, questa mummia apparisce cosa quasi moderna; ed e veramente la meno antica che possediamo con certa data. Ed in ciò appunto sta il suo maggior pregio; perchè sono rari assai gli esemplari che ci sono rimasti dello stato infelice delle arti presso gli Egiziani in quegli ultimi loro periodi.
Ma è tempo ormai che scendiamo ai particolari delle suddette iscrizioni. Ed ecco primieramente il testo, e la traduzione dell’epitafio in lingua greca.
ΤΑΦΗ • ΠЄΤЄΜЄΝωΦΙΟС • ΥΙΟΥ
ΠΑΒωΤΟС • ЄΓЄΝΝΗΘΗ • Γ • L • ΑΔΡΙΑΝΟΥ
ΤΟΥ • ΚΥΡΙΟΥ • ΧΟΙΑΚ • ΚΔ • ЄΤЄΛЄΥΤΑ •
Ζ • L • ЄΠΑΓΟΜЄΝωΝ • Δ • ωΣΤЄ • ЄΒΙωСЄΝ
ЄΤΗ • Δ • ΜΗΝΑС • Η • ΗΜЄΡΑС • Ι
ЄΥ+ΥΧЄΙ
Sepolcro di Peteménosi figlio di Pavoto, il quale nacque nell’anno terzo d’Adriano il signore, il dì ventiquattro del mese di choiac; mori nell’anno settimo, il dì quarto degli epagomeni; di maniera che ei visse quattro anni, otto mesi e dieci giorni. — Possa tu essere felice, ovvero, sta di buon animo.
Il nome del fanciullo deposto nel nostro sarcofago è dunque, Peteménosi ovvero Petaménosi, che è quanto dire: colui che è dedicato, od appartiene ad Amenosi; farse al divino Memmone dei Greci; o piuttosto: alla celeste dimora d’Ammone. Egli cessò di vivere nell’anno 133. dell’era volgare, il dì ventisette d’agosto; cioè il quarto fra i giorni epagomeni, ossia addizionali dell’anno; che è quanto dire mille e settecento anni prima dell’anno corrente. Questa è, presso a poco, l’epoca precisa del nostro monumento; dico presso a poco, perchè accadeva talvolta che gli Egizi non davano sepoltura ai loro defunti se non molti mesi dopo il loro trapasso21. Più d’un motivo dava luogo presso di loro a questa pratica così diversa dagli usi nostri: ma le ceremonie che accompagnavano l’atto dello imbalsamare, e le lunghe e molte operazioni necessarie a quest’uopo dovevano anch’esse avere una gran parte in questo ritardo.
In questa iscrizione la figliazione del giovine Peteménofi è accennata col solo nome del padre di lui; nel che fu seguita piuttosto l’usanza dei Romani e de’ Greci che quella della sua nazione. Poichè nelle leggende funebri in caratteri sacri, che scrivevansi sulle casse delle mummie, gli Egiziani solevano segnare per la più il solo nome della madre del defunto; nè credo che sieno frequenti gli esempi contrari a questa loro antichissima usanza22. Ne’ papiri sepolcrali per altro, tanto in caratteri ieratici come in segni geroglifici, s’incontra pur talvolta il nome del padre dell’estinto, ma sempre unito a quelle della genitrice, e per lo più dopo di questo.
Non così si osserva ne’ papiri scritti in lingua greca ovvero in lingua popolare, sotto il dominio de’ Greci e dei Romani; in questi, che non contengono per lo più se non cose forensi, o domestici affari, la figliazione è sempre derivata dal genitore; e se la madre vi e pur nominata lo è in secondo luogo, od in mancanza del padre.23
Fanno fede di quest’uso i papiri greci, ed i demotici di questo regio gabinetto, che non son pochi, e quelli già publicati altrove, ed ultimamente ancora in Inghilterra dal ch. D.r Young24. E fra tutti questi uno solo ne conosco che in apparenza faccia eccezione ad una tale pratica, ed è il manuscritto greco sopra papiro del museo borgiano, illustrato dal ch. Schow25. Ma questo documento, che è senza dubbio contemporaneo al dominio de’ Romani, non contiene altra cosa se non che una lunghissima serie di nomi propri d’uomini scavatori d’un fosso, registrata, come pare, per uso privato di qualche tempio; e nelle sue formole non dee quindi aver avuto altra norma che l’arbitrio dello scrittore. Oltre a ciò deesi pure avvertire che quivi la madre, per lo più, non è nominata se non quando il genitore o non si conosceva, o non era più tra vivi, come in questo caso: Νεάνιων ἀπάτωρ Ὄρσιτος. Neanione privo di padre, ovvero di padre sconosciuto, figlio di Orsite.26
Tutti gli altri papiri, all’incontro, scritti in lingua greca od in caratteri demotici, i quali nell’indicare la figliazione de’ contraenti si scostano dal metodo più comunemente adoperato dagli Egiziani nelle cose sepolcrali, sono per solito atti publici, non dipendenti da canoni religiosi, i quali nelle loro formalità doveano essere sottoposti all’impero d’altre leggi da non potersi impunemente trasgredire.
Io porto opinione che nelle prime età fosse uso generale in Egitto di segnare la figliazione col solo nome della madre, a cagione probabilmente della poligamia, che, secondo Diodoro di Sicilia, fu pur un tempo permessa presso quel popolo27; e che un tal uso si sia mantenuto costante nelle cose religiose e sepolcrali sino agli ultimi tempi: e se andò pur talvolta soggetto a mutazioni, come si è detto, ei fu negli affari civili, e non dipendenti dalla religione; come accadde per tante altre antichissime costumanze presso quella nazione, o seguendo di buon grado l’esempio degli stranieri suoi dominatori, o sottomettendosi ai loro comandi.
Ma affinchè più facilmente si possa dar giudizio sulle diverse maniere con cui gli Egiziani usarono di manifestare la figliazione de’ defunti nei loro greci epitafi, fra questi io riferirò quì nuovamente que’ pochi che già si conoscono; avvertendo che tutti provengono da un medesimo sepolcro, cioè da quello scoperto dal sig. Lebolo in Gournah, come si è già detto. II loro testo originale gioverà ancora per fare degli utili confronti nella diversa loro maniera di sintassi e di ortografia.
1.º Iscrizione della mummia portata a Parigi dal sig. Cailliaud, illustrata e supplita dal ch. sig. Letronne28.
Πετεμένων ὁ καί Ἀμμώνιος Σωτῆρος ...... ἐτῶν εἴκοσι ἑνός, μηνῶν Δ, καί ἡμερῶν εἴκοσι δύο• ἐτελεύτησε ΙΘ L Τραϊανοῦ τοῦ κυρίου, παϋνὶ Η.
Petemenone, detto anche Ammonio, figlio di Sotero...... visse vent’un anno, quattro mesi e venti due giorni; morì nell’anno decimonono di Traiano il Signore, il giorno ottavo di Payni; cioè ai 2. di giugno dell’anno 116. dell’era cristiana.
Come si è già avvertito questa iscrizione è così mal conservata che, non ostante la somma perspicacia dell’illustratore, rimarrà sempre qualche dubbio nella sua vera lezione.
2.° Epitafio portato dall’Egitto da M.r Grey, e pubblicato dalla Società egiziana di Londra.
Ταφὴ Τφοῦτος Ἡρακλείου Σωτῆρος, μητρὸς Σαραϖοῦτος ἐγενήθη (sic) τῷ Є. L. Ἀδριανοῦ τοῦ κυρίου, ἀθὺρ ΙΒ. καὶ ἐτελεύτησεν τῷ ΙΑ. L., μηνί τυβί Κ, ἐτῶν ϛ, μηνῶν δύω (καὶ) ἡμερῶν Η, καὶ ἐτάφη τῷ ΙΒ. L., μηνί αθύρ ΙΒ.
Tomba di Tfute figlia d’Eraclio Sotero e di Sarapute, la quale nacque nell’anno quinto di Adriano il Signore, il dì dodici di Athyr (8. novembre an. 120. dell’e. v.); morì nell’anno undecimo, il dì venti di Tybi (15. gennaio an. 127. dell’e. v.), in età di anni sei, mesi due e giorni otto; ed ebbe sepoltura nell’anno duodecimo, il dì dodici di Athyr (3. novembre del medesimo anno 127.) Che è quanto dire, nell’anno egiziano seguente, nel giorno anniversario di sua nascita, quasi dieci mesi dopo la sua morte.29
3.° Epigrafe di una delle mummie acquistate dal Gen. Minutoli.
СЄΝΧωΝСΙС . Η . ΚΑΙ . СΑΠΑΥΛΙС . ΠΡЄСΒΥΤΕΡΑ . ΠΙΚωΤΟС . ΓЄΝΗΘЄΙСΑ . ΤωΙ . Δ . L . ΘΕΟΥ . ΤΡΑΙΑΝΟΥ . ΠΑΧωΝ . ΙΖ . ΕΤЄΛЄΥΤΗЄΝ . ΤωΙ . Θ . L . ΑΝΤωΝΙΝΟΥ . ΚΑΙСΑΡΟС . ΚΥΡΙΟΥ . ΦΑΜЄΝωΘ . ΙЄ ωСΤΕ . ЄΒΙωСЄΝ . ЄTΗ . ΜΔ . ΜЄΝΑС . ΔΕΚΑ .
ΘΑΡЄΙ
Senchonsis, detta ancora Sapaulis, figlia primogenita di Picolo, nata nell’anno quarto del divo Traiano, ai diciasette di Pachon (12. maggio dell’anno 101. dell’era volg.); morì nell’anno nono d’Antonino Cesare il Signore, ai quindici di Phamenoth (11. marzo, an. 146.); di modo che visse quarantaquattro anni, e dieci mesi — Coraggio.
Questa iscrizione fu illustrata dal ch. sig. Raoul-Rochette30, e riprodotta dal sig. Letronne nelle sovracceanate sue Osservazioni, alla pag. 25.
4.° Epitaflo di una delle inummie disfalle dal sig. LcLolo, publicato dal sig. Lctronnc. (1)
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Sotero, Jiglio di Cornelio Pollione e cll Filute, Arconte di Tebe. Si puo vodcre cio che ha scritto il sig. Letronnc intorno a questa breve cpigrafc ncllc sue Osseivazioni piii volte cilale.
Ora dair esame e dal confronio dcj,di esposli epitasi non poclie cose degrie di nota s\ pos.souo ricavare ad illustrazioiie del nostro argoinenlo. E da osservarsi chc sul sai’cosago di Petemenoji, non meno chc sul secondo e sul qiiarlo del mentovali epilasi, si vedono sci-iltl i noini d’ambedue i genitori di epic’defunti: ma clie questi nomi sull’urna del nostro bambino trovaasi separali, imo sta nel teste greco, l’altro nelle scritture egiziane. Se qnesta nosti-a mummia non avesse avuto ahra epigrafe che la greca teste riferita, io non dubito puiito die anclie sulla sua cassa, come sulle altre sovracceiinate, tanto il nome del padre come quello della madrc si vcdrebbero egualmente insieme registrati. Cosi una famiglia forse greca d’origiiie, ma diveiiuta egiziana e per liinga dimora nel paesC; e pei successivi mairlmoiii, accoppiava tanto nella forma della cassa siinerea, come nella manicra delle epigrasi gli wsi delle due nazioni.
Confrontando inoltre il testo della nostra iscrizione, cui nulla raanoa, coi poclil avanzi di fpiello che era sulla mummia portala a Parigi dal sig. Cailliaud, noii mi so Iroppo persuadere che ivi, oltre il nome del padre e dell’avolo del dcfunto, si leggesse pure quello della madi’e di lui, come e parse all’egregio signor Lerronne (2); non ostante che questo nome materno si veda già piu volte i-ipetuto tra i geroglifici delineati sii quella cassa. E parmi che nella leggenda che sta sul feretro della giovine Tfute per ci«
(i) Observations cilltc pag.
(3) Observations cit. p.ig. 30. e 114 appunto non si Irovi fatta mcnzioiic lll Sarapute, madre di quellu hainbiiia, pcrche il nouie di lei era già stato regislrato iiel greco epitaflo di qiiella cassa. Ne sembra che si potessc far altritnenti, se si pon inenle alio stile sommameate coiiciso di quelle scrilture. Per la inedesiina ragioiie io vado argotneutando che tra i geroglifici i quali debbouo oniare la custodia dclla mummia summeatovata di Senclionsis, vi dcbba essere il nome di sua madre, che noil si vede segnato uel teslo greco; scppure quclla muinmia non ando preda del mare, come ho iiiteso assicurare da qualche viaggiatore.
Ma di queste pratiche egiziane e detlo abbastanza; ritorniamo ai particolari dcll’epitasio che dobbiamo esaminare. Quivi leggiamo che quel fuuciulliiio nacque il giorno veuliquatlro del mese egiziano di choiac, corrcndo in Egitlo (q) I’anno terzo del regno di 110, Adriavale a dire, sccondo la nostra maniera di dividere il tempo, il di venli di dicembre dell’anno cento dicioilo dell’era volgare; e che cesso di vivere nell’anno seltimo del medcsimo regno, nel quarto giorno degli epagomeni, che e quanlo dire ai vcntiselte d’agosto dell’anno cenlo venlitie. Calcolaudo quindi tulti i mesi egiziani a soli trenla giorni, come erano vcramente, e l’anno di giorni 365, compresi i cinc(iie intercalai’i, scnza trascurare il bisestile, il quale cadde nell’anno cento venti, troveremo che il tralto di tempo compreso fra le epoclic anzideite, corrisponde veraraente ai quatlro anni, otto mesi e dieci giorni che visse quella crcatura.
Ne’ più antichi tempi l’anno era composto, presso gli Egiziani, di soli trecento sessanta giorni, divisi in dodici mesi di trenta giorni ciascuno. Questo periodo non corrispondeva al corso annuale del sole; vago perciò ed incerto era sempre il principio del loro anno. Per rimediare a questo disordine, i Tebani31 imaginarono di aggiungere all'ultimo mese di ciascun anno cinque giorni, detti perciò epagomeni dal verbo greco ἑπάγειν aggiungere, intercalare. Ma non s'avvidero allora que' Sapienti che l'aggiunta di soli cinque giorni non era sufficiente a ridurre a una perfetta corrispondenza l’anno civile coll'anno solare. Fu d’uopo che dopo molti secoli Giulio Cesare, sull'avviso dell'astronomo egiziano Sosigene, ogni quarto anno prolungasse di un giorno il mese di febbraio; e gli astroiiomi alessandrint, imitando probabilmente il suo esempio, conseguirona dopo di lui il medesimo elFeito aunaentando parimente, ogni quarto anno, di un sesto giorno gli epagomeni. Quindi il prtncipio del loro primo mese, che avea nome del loro dio Thoth, il qual inese negU anni ordinari corrispondeva al di ventinove del mese I’omano di agosto o sestile negli anni bisestili, veniva a cadere nel giorno spgiiente. Cosi, scnza rinunziare alia nazionale loro maniera di dividere l’ anno, gli Egiziani ebbero modo di unifonnarsi alle saggt6 innovazioni, ed agli usi dei loro conquisfatori. (r)
L’ iscrizione della nostra mummia termina coU’aposlrofe Eut^v;(£! j la quale lin presstJ a poco lo stesso significato die il Qt/.pijst (s), con cui finisce l’ epitafio di Senchonsis. Ambedue sono dirette al defunto, e corrispondono al tiostro modo di dire: Ew’wa, fa coragglo, sta di buon aniino. Ambedue sono consentaiiee alia teologia degli Egizi circa lo stato fnturo delle anime, e sono la di« chiarazione di quelle speranze, di quel desiderio, che solo rimane a consolaziOne de’ superstiti, ch^ a nuovi e pli\ felici destini sieno cliiamati morendo i cari loro.
Gli Egiziani soleano risguardare i loro palazzi, e le loro abitazioni non pill die come slanze di pellegrini che non fanno che passare suUa faccia della terra: ma davano il tilolo di eterne e permanent!
iexx fjLtiaiv eirayouai, xai Tovra rS,Tpona, riv hicaiaio’ xi/xXo)" ayctni.Mftvso’. Diod. Sic. BibUoth. Lib. I. §. 5o. abitazioni ai sepolcri (i). Quindi non è meraviglia se qucsti erano custoillu con tanta religione, e con tania cura riparati dalle ingiiirie del tempo, e i.ascosìi agli sguanli dcglL iioaiiiii o ncllc caverne de’monli, o nella profoiidita de’poizi. Con tullo ciò egli c forza credere che fossero pur talvolla visitali ancora dai parenti, e dagli ainici degll esliilli. f Allrimcnti a qual fine si sarelibero cglino dale pcnsiero di registrarc tante minute parlicolarita sulle urne di pcrsone oscure, e dcgli slessL bambini? L’uso di simili epitasi era certamente sconosciuto presso gll anlichi Egiziani; i poclu esempi clie se ne conoscono sinora sono di un’epooa si pocorimota, e di uno stile cosx straniero a quel popolo, che parmi, considerando quelle tombe, quella di Petemeiiosi principalmcnte, di veder trasporlati sidle spondc del Nilo i colombari delle famiglic romane.
Prima di passar oltrc, per non lasciar alcana parte della nostra greca iscrizione senza esame, non sara fuor di proposito di acceunare alcune cose inlorno all’indole della sua scrittura, le qnali, spero, non saranno riputate asialto inulili per la paleografia di que’ tempi.
È da notarsi, in prime luogo, che i caratteri di quell’epitafio sono di tal forma che greci barbari parmi s’abbiano a dire piuttosto che corsivi, o maiuscoli, ovvero cofti. E veramente nclla maniera di quelle lettere si scorgc un misto di tutte trc quelle scriiture.
2." Ciic nella parola evuyji la lettera H’ha la Ggura di una croce, la quale fu presa lalvolla per un T; non e pero cosa rara
(i) ..... Cioè: Gli Egiziani sogliono dar nome di osterie, o di luoghi d’ospizio agli albcrglii de’ viventi, siccome qnolli chp dcTon essort aljituli per poco Icinpo. nii r.Iiiamaiio case olcruc Ic sepulture tic’moiti, pcicliii nucsli Jepujuno fare clcnia djniora iiclll region’dc’ Irapassati. Per b qual cosa poco pcnsiero si d.inno nilla fabhrica dtlle lore abitaiioni, ma per contrario nt-l preparare i sepolcri luilla lisp.iriiiiaiio J’ui n.intcnli e ddigcnic- DiOiI. SwLib. 1. 5. 5i. pag. ij’i. edit. Bipont di trovarla scritta in quella guisa sui monumenti greco-egiziani di quella età. Cosi configurata si vedeva questa lettera nella medesima voce d’acclamazione li+u/t (sic), scritta sul petto della già mentovata mummia trovata in Menfi da Pietro Della Valle. Tale io pure la osservo in questo regio gabinetto sopra una medaglia alessandrina inedita di Filippo il giovane, e sopra una di quelle tavolette di legno che si appendevano al collo delle mummie de’ poveri prive di cassa, dove da una parte si legge: +GNMWN0HC. MA. (an. 4 1.), e dall’altra: OVTOC +GNM’j.5N0HC. ec.
3.° Che il segno abbreviate indice dell’anno, il quale nelle scritture greche maiuscole è scritto per solito colla forma di un L latino, nel nostro epitafio si vede posto dopo le lettere numerali degli anni, e non avanti di esse, come si osserva su tutte le monete imperiali alessandrine, e si praticò generalmente in Egitto nelle iscrizioni in lingua greca a que’ tempi. Questo segno, o lettera che si voglia dire, non era probabilmente altra cosa in sua origine, che quel simbolo geroglifico dimostratore dell’anno, che gli Egiziani, sin dalle prime età, usarono di porre avanti le loro date cronologiche.
4.° Che le lettere numerali, le quali servono nel nostro testo per segnare i giorni ed i mesi, sono ivi distinte dalle altre, come e uso, col mezzo di una linea retta tirata paralellamente sopra di esse: ma ne sono senza quelle desinate a rappresentare il numero degli anni. E così dovea essere, perchè queste sono ivi già abbastanza determinate col mezzo del mentovato simbolo annuale, mentre quelle nulla avrebbero che servisse a farle distinguere dalle altre lettere del testo.
5.° È finalmente da osservarsi che in questa nostra epigrafe le lettere numerali sono scritte nella solita maniera da sinistra a destra. Si toglie quindi ogni dubbio sal modo con cui esse vogliono parimente esser lette nell’epitafio di Senchonsis riferito poc’anzi, dove, in questa incertezza, le date furono diversamente interpretate dai suoi commentatori. V. Letronne Op. citata pag. 25.
Note
- ↑ Winckelmann. Stor. dell'Arte. Vol. I p. 71. ediz. romana.
- ↑ Kirker. Oedyp. Aegypt. Vol III Synt. XIII cap. 4. p. 405.
- ↑ Revue encicloped.. Paris. Septembre 1823. p. 770.
- ↑ Letronne. Observ. sur un zodiaque égypt. p. 13. Paris 1824.
Champollion. Lettre à M. Letroniit sur la momie rapportée par M. Cailliaud. Paris 1824 - ↑ Io ebbi campo di ben esaminare in Livorno questo raro monumento quando fui colà per sovrano comando a verificare lo stato di questa insigne raccolta, ed a metterla in istato di essere trasportata in questo R. museo. Volendo io avere il primo il piacere d’ illustrarlo in qualche modo, e di trarne tutti que’ lumi che dal confronto della sua doppia iscrizione si potevano sperare, esso non fu tolto dalla sua custodia, nè esposto al publico, se non dopo che io ebbi comunicate le presenti osservazioni ai dotti Archeologi torinesi nell’adunanza accademica del 19 d’agosto ora scorso.
- ↑ (Z,)
- ↑ Hieroglyphics collected by the ægypt. Society. Londou 1823. pl. 35.
- ↑ (c)
- ↑ Journal des Savans. Septembre 1822. Notice sur la manuscrits grecs etc. par Mons. Saint-Martin.
- ↑ (d)
- ↑ Descript de l’Egipte. VII. 269. ch IX. §. 6.
- ↑ (e)
- ↑ (f)
- ↑ (g)
- ↑ Letronne. Observations cit. p. 31.
- ↑ Recherches pour servir a l’histoire de l’Egypte etc. pag. 345.
- ↑ (h)
- ↑ (i)
- ↑ (k)
- ↑ (l)
- ↑ Vedi l’epitafio della mummia di Tphut, Young. Discoveries in Hieroglyphical literature, pag. 115; e qui sotto a pag 271.
- ↑ (m)
- ↑ (n)
- ↑ Discoveries in hieroglyph. literature. pag. 65. e seg.
- ↑ (o)
- ↑ Charta papiracea musei borgiani. Romae 1781. p. 9.
- ↑ (p)
- ↑ Letronne. Observations citate pag. 30.
- ↑ Hieroglyph, collec. by egypt. society. London 1823.
- ↑ Journal des Savans. Avril 1824
- ↑ .....