In morte di Ugo Bassville/Canto IV

Canto IV

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Canto III
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CANTO QUARTO


Contenuto: Il poeta si propone di dire come tutto il mondo s’armò contro la Francia, e di continuare la narrazione del pellegrinaggio del suo eroe (1-12). Udite le bestemmie di que’ superbi, Ugo chiede all’angelo come mai tra’ morti s’aggiri l’ombra del vivo Raynal; a cui l’altro risponde che solo il corpo, avvivato da un demone, è in Marsiglia, ma che l’anima è da un pezzo in inferno (13-33). S’aprono le porte del cielo e scendono tre cherubini, ministri di morte e di sventura, che vengono a collocarsi presso l’altro ch’è a guardia del corpo di Luigi: al loro primo apparire le ombre dannate fuggono (34-108). Da un tempio escono la Fede e la Carità, che sostengono ciascuna nelle due mani coppe preziose, portanti scolpite quattro tra le piú orribili scene della rivoluzione (109-243): s’appressano al cadavere di Luigi, che compongono in pace e al quale pregano riposo; poi raccolgono il sangue sparso a terra nelle coppe, che consegnano, invocando vendetta, a’ quattro cherubini (244-294). Questi, su’ quattro venti rivolano verso il cielo, e, fattasi già notte, riversano esse coppe, e di sangue si tinge tutto l’orizzonte e sangue piove su la terra (295-315). Per effetto della strana pioggia, tutta Europa s’arma contro la Francia: nell’aria si sentono cozzi di spade e clangori di squille: Ugo, piangendo, chiede all’angelo a chi mai volgeranno propizie le sorti (316-391).


Batte a vol piú sublime aura sicura
     la farfalletta dell’ingegno mio1,
     lasciando la città della sozzura2.
E dirò come congiurato uscío
     5a dannaggio3 di Francia il mondo tutto:

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     Tale il senno4 supremo era di Dio.
Canterò l’ira dell’Europa e il lutto,
     Canterò le battaglie ed in vermiglio
     Tinto de’ fiumi e di due mari5 il flutto.
10E d’altro pianto andar bagnata il ciglio
     La bell’alma vedrem, di che la diva6
     Mi va cantando l’affannoso esiglio.
Il bestemmiar di quei superbi udiva
     La dolorosa; ed accennando al duce
     15La fiera di Renallo ombra cattiva,
Come, disse, fra’ morti si conduce7
     Colui? Di polpe non si veste e d’ossa?
     Non bee per gli occhi tuttavia la luce8?
E l’altro: La sua salma ancor la scossa
     20Di morte non sentí; ma la governa
     Dentro Marsiglia d’un demón la possa9;
E l’alma geme fra i perduti eterna-
     Mente10 perduta: né a tal fato è sola,
     Ma molte che distingue11 ira superna.
25E in Erebo di queste assai ne vola
     Dall’infame congrèga12, in che s’affida
     Cotanto Francia, ahi stolta!, e si consola.
Quindi un demone spesso ivi s’annida
     In uman corpo, e scaldane le vene,
     30E siede e scrive nel senato e grida;
Mentre lo spirto alle cocenti pene
     D’Averno si martira. Or leva il viso,
     E vedi all’uopo chi dal ciel ne viene.
Levò lo sguardo: ed ecco all’improvviso,
     35Là dove il cancro il piè d’Alcide abbranca
     E discende la via del paradiso13,
Ecco aprirsi del ciel le porte a manca
     Su i cardini di bronzo; e una virtude14

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     Intrinseca le gira e le spalanca.
40Risonò d’un fragor profondo e rude
     Dell’Olimpo la volta, e tre guerrieri
     Calar fur visti di sembianze crude.
Nere sul petto le corazze, e neri
     Nella manca gli scudi, e nereggianti
     45Sul capo tremolavano i cimieri;
E furtive dall’elmo e folgoranti
     Scorrean le chiome della bionda testa
     Per lo collo e per l’omero ondeggianti.
La volubile bruna sopravvesta
     50Da brune penne ventilata15 addietro
     Rendea rumor di pioggia e di tempesta.
Del sopracciglio sotto l’arco tetro
     Uscían lampi dagli occhi, uscía paura,
     E la faccia parea bollente vetro16.
55Questi, e l’altro campion seduto a cura
     Dell’estinto Luigi, angeli sono
     Di terrore, di morte e di sventura17.
Venir son usi dell’Eterno al trono,
     Quando acerba a’ mortai volge la sorte
     60E rompe la ragion del suo perdono18.
D’Egitto il primo l’incruente porte
     Nell’arcana percosse orribil notte,
     Che fur de’ padri le speranze morte19.
L’altro è quel che sul campo estinte e rotte
     65Lasciò le forze che il superbo Assiro
     Contro l’umile Giuda avea condotte20.
Dalla spada del terzo i colpi usciro,
     Che di pianto sonanti e di ruina

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     Fischiar per l’aure di Sïon21 s’udiro,
70Quando la provocata ira divina
     Al mite genitor fe’ d’Absalone
     Caro il censo costar di Palestina22.
L’ultimo fiero volator garzone
     Uno è de’ sei23 cui vide l’accigliato
     75Ezechiello arrivar dall’aquilone,
In mano aventi uno stocco affilato
     E percotenti ognun che per la via
     Del Tau la fronte non vedean segnato.
Tale e tanta dal ciel se ne venía
     80Dei procellosi arcangeli possenti
     La terribile e nera compagnia;
Come gruppo di folgori cadenti
     Sotto povero ciel, quando sparute
     Taccion le stelle24 e fremon l’onde e i venti.
85Il sibilo sentí delle battute
     Ale Parigi: ed arretrò la Senna
     Le sue correnti stupefatte e mute25.
Vogeso ne tremò, tremò Gebenna26
     E il Bebricio Pirene27, e lungo e roco

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     90Corse un lamento per la mesta Ardenna28.
Al lor primo apparir dier ratto il loco
     L’assetate del Tartaro caterve,
     Un grido alzando lamentoso e fioco.
Come fugge29 talor delle proterve
     95Mosche lo sciame che alla beva intento
     Sul vaso pastoral brulica e ferve,
Che al toccar della conca in un momento
     Levansi tutte e quale alla muraglia,
     Qual si lancia alla mano e quale al mento:
100Tal si dilegua l’infernal ciurmaglia;
     Ed altri una pendente nuvoletta,
     D’ira sbuffando, a lacerar si scaglia;
Sovra il mar tremolante altri si getta,
     E sveglia le procelle; altri s’avvolve
     105Nel nembo genitor della saetta;
Si turbina30 taluno entro la polve,
     E tal altro col guizzo del baleno
     Fende la terra e in fumo si dissolve.
Dal sacro intanto orror del tempio uscièno
     110Di mezzo all’atterrate are31 deserte
     Due donne32 in atto d’amarezza pieno.
L’una velate e l’altra discoperte
     Le dive luci avea, ma di gran pianto
     D’ambo le gote si parean coverte.
115Era un vel bianco33 della prima il manto,
     Che parte cela e parte all’intelletto
     Rivela il corpo immaculato e santo.
Una veste inconsutile34 di schietto
     Color di fiamma l’altra si cingea,
     120Siccome il pellican35 piagata il petto.
E nella manca l’una e l’altra dea

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     E nella dritta in mesto portamento
     Una lucida coppa sostenea:
E sculto ciascheduna un argomento
     125Avea di duolo, in bei rilievi espresso
     Di nitid’oro e di forbito argento.
In una sculto si vedea con esso36
     Il figlio e la consorte un re fuggire37,
     Pensoso piú di lor che di sé stesso38;
130E un dar subito all’arme ed un fremire
     Di cruda plebe, e dietro al fuggitivo,
     Siccome veltri dal guinzaglio, uscire39;
Poi tra le spade ricondur cattivo40
     E tra l’onte quel misero innocente,
     135Morto al gioire ed al patir sol vivo41.
Mirasi dopo una perversa gente
     Cercar furendo a morte una regina,
     Dir non so se piú bella o piú dolente42;
Ed ancisi i custodi alla meschina,
     140E per rabbia delusa, orrendo a dirsi!,
     Trafitto il letto e la regal cortina.
V’era l’urto in un’altra ed il ferirsi
     Di cinquecento incontra a mille e mille43,
     E dell’armi il fragor parea sentirsi.
145Formidabile il volto e le pupille44,
     La Discordia scorrea tra l’irte lance,
     Tra la polve, tra ’l fumo e le faville
E i tronchi capi e le squarciate pance,
     Agitando la face che sanguigna
     150De’ combattenti scoloría le guance.

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Vienle appresso la Morte che digrigna
     I bianchi denti, ed i feriti artiglia
     Con la grand’unghia antica e ferrugigna45;
E pria l’anime felle ne ronciglia46
     155Fuor delle membra, e le rassegna47 in fretta
     Fumanti e nude all’infernal famiglia;
Poi, ghermite le gambe, ne si getta
     I pesanti cadaveri alle spalle,
     Né piú vi bada, e innanzi il campo netta.
160Dietro è tutto di morti ingombro il calle:
     Il sangue a fiumi il rio terreno ingrassa,
     E lubrico s’avvia verso la valle.
Scorre intorno il Furor coll’asta bassa,
     Scorre il Tumulto temerario, e il Fato
     165Ch’un ne percuote ed un ne salva e passa;
Scorre il lacero Sdegno insanguinato,
     E l’Orror co’ capelli in fronte ritti,
     Come l’istrice gonfio e rabbuffato.
Al fine in compagnia de’ suoi delitti
     170Vien la proterva Libertà francese,
     Ch’ebbra il sangue si bee di quei trafitti.
E son sí vivi i volti e le contese,
     Che non tacenti ma parlanti e vere
     Quelle immagini credi e quell’offese48.
175Altra scena di pianto, onde il pensiere
     Rifugge e in capo arricciasi ogni pelo49,
     Nella terza scultura il guardo fere50.
Sacro all’inclita donna del Carmelo
     Apriasi un tempio51, e distendea la notte
     180Sul primo sonno de’ mortali il velo:
Se non che dell’oscure artiche grotte
     Languían le mute abitatrici52 al cheto
     Raggio di luna indebolite e rotte.
Strascinavasi quivi un mansueto
     185Di ministri di Dio sacro drappello,
     Ch’empio dannava popolar decreto.
Un barbaro di lor si fea macello:

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     Ed ei, che schermo non avean di scudo
     Al calar del sacrilego coltello,
190Pietà, Signor, porgendo il collo ignudo,
     Signor, pietà, gridavano: e venía
     In quella il colpo inesorato e crudo.
Cadean le teste, e dalle gole uscía
     Parole e sangue53, per la polve il nome
     195Di Gesú gorgogliando e di Maria.
E l’un su l’altro si giacean, siccome
     Scannate pecorelle; e fean ribrezzo
     L’aperte bocche e le riverse chiome.
La luna il raggio ai visi esangui in mezzo
     200Pauroso mandava e verecondo,
     A tanta colpa non ben anco avvezzo;
Ed implorar parea d’un vagabondo
     Nugolo il velo ed affrettar raminga
     Gli atterriti cavalli ad altro mondo.
205Chi mi darà54 le voci ond’io dipinga
     Il subbietto feral che quarto avanza55,
     Sí ch’ogni ciglio a lagrimar costringa?
Uom d’affannosa ma regal sembianza,
     A cui, rapita la corona e il regno,
     210Sol del petto rimasta è la costanza,
Venía di morte a vil supplizio indegno
     Chiamato, ahi lasso!, e ve ’l traevan quelli
     Che fur dell’amor suo poc’anzi il segno.
Quinci e quindi accorrean sciolte i capelli56
     215Consorte e suora ad abbracciarlo, e gli occhi
     Ognuna avea conversi in due ruscelli.
Stretto al seno egli tiensi in su i ginocchi
     Un dolente fanciullo; e par che tutto
     Negli amplessi e ne’ baci il cor trabocchi,
220E sí gli dica: Da’ miei mali57 istrutto
     Apprendi, o figlio, la virtude, e cògli
     Di mie fortune dolorose il frutto.
Stabile e santo nel tuo cor germogli
     Il timor del tuo Dio, né mai d’un trono
     225Mai lo stolto desir l’alma t’invogli58.
E se l’ira del ciel sí tristo dono

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     Faratti, il padre ti rammenta, o figlio:
     Ma serba a chi l’uccide il tuo perdono.
Questi accenti parea, questo consiglio
     230Profferir l’infelice, e chete intanto
     Gli discorrean le lagrime dal ciglio.
Piangean tutti d’intorno; e dall’un canto
     Le fiere guardie impietosite anch’esse
     Sciogliean, poggiate sulle lance, il pianto.
235Cotai sul vaso acerbi fatti impresse
     L’artefice divino; e, se vietato59,
     Se conteso il dolor non gliel avesse,
Il resto de’ tuoi casi effigïato
     V’avria pur anco, o re tradito, e degno
     240Di miglior scettro e di piú giusto fato.
E ben lo cominciò: ma l’alto sdegno
     Quel lavoro interruppe, e alla pietate
     Cesse alfin l’arte ed all’orror l’ingegno.
Poiché, di doglia piene e d’onestate60,
     245Si fur l’alme due dive a quel feroce
     Spettacolo di sangue approssimate,
Sul petto delle man fêro una croce;
     E, sull’illustre estinto il guardo fise,
     Senza moto restârsi e senza voce,
250Pallide e smorte come due recise
     Caste viole o due ligustri occulti
     Cui né l’aura né l’alba ancor sorrise.
Poi con lagrime rotte da’ singulti
     Baciâr l’augusta fronte, e ne serraro
     255Gli occhi nel sonno del Signor sepulti;
Ed, il corpo composto amato e caro,
     Vi pregâr sopra l’eterno riposo,
     Disser l’ultimo vale, e sospiraro.
E quindi in riverente atto pietoso
     260Il sacro sangue, di che tutto orrendo
     Era intorno il terreno abbominoso,
Nell’auree tazze accolsero piangendo;
     Ed ai quattro guerrier vestiti a bruno
     Le presentâr spumanti; una dicendo:
265Sorga da questo sangue un qualcheduno61

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     Vendicator, che col ferro e col foco
     Insegua chi lo sparse: né veruno
Del delitto si goda, né sia loco
     Che lo ricovri: i flutti avversi ai flutti,
     270I monti ai monti, e l’armi all’armi invoco.
Il tradimento tradimento frutti:
     L’esiglio, il laccio, la prigion, la spada
     Tutti li perda e li disperda tutti.
E chi62 sitía piú sangue a per man cada
     275D’una virago, ed anima funèbre
     A dissetarsi in Acheronte vada.
E chi63, rïarso da superba febre,
     Del capo altrui si fea sgabello al soglio64,
     Sul patibolo chiuda le palpèbre,
280E gli emunga il carnefice l’orgoglio:
     Né ciglio il pianga; né cor sia che, fuora
     Del suo tardi morir, senta cordoglio.
La veneranda dea parlava ancora;
     E già fuman le coppe, e a quei campioni
     285Il cherubico volto si scolora;
Pari a quel della luna, allor che proni
     Ruota i pallidi raggi e in giú la tira
     Il poter delle tessale canzoni65.
E l’occhio sotto l’elmo un terror spira,
     290Che buia e muta l’aria ne divenne,
     E tremò di quei sguardi e di quell’ira.
Dei quattro opposti venti in su le penne
     Tutti a un tempo fêr vela i cherubini,
     Ed ogni vento un cherubin sostenne.
295Già il sol lavava lagrimoso i crini66
     Nell’onde maure, e dal timon sciogliea
     Impauriti i corridor divini;

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Ché la memoria ancor retrocedea
     Dal veduto delitto; e chini e mesti
     300Espero67 all’auree stalle i conducea;
Mentre la notte di pensier funesti
     E di colpe nudrice e di rimorsi
     Le mute riprendea danze celesti;
Quando per l’aria cheta erte levôrsi68
     305Le quattro oscure visïon tremende,
     E l’una all’altra tenea vòlti i dorsi.
Giunte là dove69 la folgore prende
     L’acuto volo e furibonda il seno
     Della materna nuvola scoscende,
310Inversero le coppe; e in un baleno
     Imporporossi il cielo, e delle stelle
     Livido fessi il virginal sereno.
Inversero le coppe; e piobber quelle
     Il fatal sangue, che tempesta roggia70
     315Par di vivi carboni di fiammelle.
Sotto la strana rubiconda pioggia
     Ferve irato il terren che la riceve,
     E rompe in fumo: e il fumo in alto poggia71,
E i petti invade penetrante e lieve
     320E le menti mortali, e fa che d’ira
     Alto incendio da tutte si solleve.
Arme fremon le genti, arme72 cospira
     L’orto e l’occaso, l’austro e l’aquilone,
     E tutta quanta Europa arme delira.
325Quind’escono del fier settentrïone
     L’aquile bellicose73, e coll’artiglio
     Sfrondano il franco tricolor bastone74.
Quinci move75 dall’anglico coviglio
     Il biondo imperator della foresta76
     330Il tronco stelo a vendicar del giglio77.
Al fraterno ruggito alza la testa

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     L’annoverese impavido cavallo
     E il campo colla soda unghia calpesta78.
D’altra parte sdegnosa esce del vallo
     335E maestosa la gran donna ibera79
     Al crudele di Marte orrido ballo;
E, scossa la cattolica80 bandiera,
     In su la rupe pirenea s’affaccia,
     Tratto il brando e calata la visiera;
340E la celtica putta alto minaccia,
     E l’osceno berretto81 alla ribalda
     Scompiglia in capo e per lo fango il caccia.
Ma del prisco valor ripiena e calda
     La sovrana dell’Alpi82 in su l’entrata
     345Ponsi d’Italia, e ferma tiensi e salda;
E alla nemica la fatal giornata83
     Di Guastalla e d’Assietta ella rammenta
     E l’ombra di Bellisle invendicata,
Che rabbiosa s’aggira e si lamenta
     350In val di Susa e arretra per paura
     Qualunque la vendetta ancor ritenta.
Mugge fra tanto tempestosa e scura
     Da lontan l’onda della sarda Teti,
     Scoglio84 del franco ardire e sepoltura.
355Mugge l’onda tirrena irrequïeti
     Levando i flutti, e non aver si pente
     Da pria sommersi i mal raccolti abeti85.
Mugge l’onda d’Atlante orribilmente,
     Mugge l’onda britanna; e al suo muggito
     360Rimormorar la baltica si sente.
Fin dall’estremo americano lito

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     Il mar s’infuria; e il Lusitan86 n’ascolta
     Nel buio della notte il gran ruggito.
Sgomentossi, ristette, e a quella volta
     365Drizzò l’orecchio di Bassville anch’essa
     L’attonit’ombra in suo dolor sepolta.
Palpitando ristette; e alla convessa
     Regïon87 sollevando la pupilla
     Traverso all’ombra sanguinosa e spessa,
370Vide88 in su per la truce aria tranquilla
     Correr spade infocate; ed aspri e cupi
     N’intese i cozzi ed un clangor di squilla.
Quindi gemere i boschi, urlar le rupi89,
     E piangere le fonti e le notturne90
     375Strigi91 solinghe, e ulular cagne e lupi;
E la quïete92 abbandonar dell’urne
     Pallid’ombre fur viste, e per le vie
     Vagolar sospirose e taciturne;
Starsi i fiumi93, sudar sangue le pie
     380Immagini de’ templi, ed involato
     Temer le genti eternamente il die.
O pietosa mia guida, che campato
     M’hai dal lago d’Averno, e che mi porti
     A sciogliere per gli occhi il mio peccato;
385Certo di stragi e di sangue e di morti
     Segni orrendi vegg’io: ma come? e donde?
     E a chi propizie volgeran le sorti?
Al suo duce sí disse, e avea feconde
     Di pianto la francese ombra le ciglia.
     390Vienne meco, e il saprai, l’altro risponde;
Ed amoroso per la man la piglia94.

Varianti

[p. 83 modifica] [p. 84 modifica]25. assai ne cola

[p. 85 modifica]63. Che feo de’ padri

[p. 86 modifica] [p. 87 modifica]93. alzando doloroso e fioco.

95. Mosche uno stuolo che

[p. 88 modifica]127. Occulto in una si vedea

[p. 89 modifica] [p. 90 modifica] [p. 91 modifica] [p. 92 modifica] [p. 93 modifica]

Note

  1. Batte ecc.: La farfalletta ecc. fende aria non esiziale (fuor di metaf.: tratta di non turpi argomenti) per innalzarsi a volo piú sublime. Dante Purg. i, 1: «Per correr miglior acqua alza le vele Omai la navicella del mio ingegno, Che lascia dietro a sé mar sí crudele».
  2. la città della sozzura: Parigi. La perifrasi va intesa, com’è chiaro, in significato tutto morale; ché qui sarebbe fuor di proposito ricorrere, come fecero alcuni, al significato etimologico del primitivo nome di quella città (Lutetia: la città del fango).
  3. dannaggio: danno. Arcaismo usato una sol volta da Dante: cfr. Inf. xxx, 136.
  4. senno: volere.
  5. di due mari: del Mediterraneo e dell’Atlantico.
  6. la diva: la Musa.
  7. si conduce: si muove, procede. Dante Purg. v, 6: «E come vivo par che si conduca».
  8. Non bee ecc.: non è ancor vivo?
  9. La sua salma ecc.: Quest’invenzione del porre in inferno le anime degli scellerati che sono ancor vivi, e di farne intanto governare il corpo da un demonio, è tutta dantesca. Cfr. Inf. xxxiii, 129 e segg.
  10. 22. eterna... mente: Per questa divisione dell’avverbio nelle sue parti, cfr. Dante Par. xxiv, 16; Ariosto XXVIII, 41 ; Manzoni La Pass., 87 ecc.
  11. Distingue dalle altre, e quindi punisce particolarmente.
  12. Dall’infame congrega: dall’Assemblea nazionale.
  13. Là dove ecc.: In quella parte del firmamento ch’è tra la costellazione del cancro e quella d’Alcide, cioè poco distante dall’Orsa maggiore.
  14. e una virtude intrinseca ecc.: e una forza ch’è loro propria ecc. Anche Omero nell’Iliade (V, 749 e VIII, 393) attribuisce alle porte del cielo il potere di aprirsi per intrinseca forza.
  15. Da brune penne ventilata: Particolarità, tolta dalla descrizione di alcuni angeli di Dante (Purg. VIII, 28): «Verdi... Erano in veste, che da verdi penne Percosse traèn dietro e ventilate».
  16. bollente vetro: Espressione dantesca: cfr. Purg. xxvii, 49.
  17. angeli sono ecc.: Il Varano, anch’esso degli angeli vendicatori (Vis. I, 252): «Vedi quei, che a recar la morte e il lutto Stanno su l’ale pronti aspri guerrieri Coll’occhio attento in aspettar il cenno, Contro cui scampo arte, o valor non speri».
  18. La ragion ecc.: la sua misericordia.
  19. D’Egitto ecc.: Allude allo sterminio de’ primogeniti d’Egitto (decima piaga), perché Faraone si risolvesse a lasciar partire gli Ebrei. A’ quali Dio ordinò di tingere col sangue dell’agnello le loro porte, affinché l’angelo potesse distinguerle da quelle non insanguinate (incruente) degli Egizi. Cfr. Esodo XII, 21-31. — Varano Vis. cit. 562: «L’altro, ch’agita in aria i vanni arditi, È quel, che nella notte in Ciel segnata Lo squallor mise negli Egizi liti, E scannò i primi figli...».
  20. L’altro ecc.: Senacheribbo, re dell’Assiria, era per assediare e prendere Gerusalemme, quando per lo preghiere d’Ezechia re di Giuda il suo esercito sterminato fu distrutto da un angelo. Cfr. Re IV, xix, 35 e seg. — Varano Vis. cit. 274: «L’altro, cui scritto su le ciglia apparso Sterminator, colle man
  21. Sion: Gerusalemme, sul monte Sion.
  22. Quando ecc.: Il censo fatto da Gioab, per ordine di Davide (il mite ecc.), di tutta la Palestina, tranne le tribú di Levi e di Beniamin, fu di «un milione e cento mila uomini atti a maneggiar la spada; e quattrocento settanta mila combattenti di Giuda». Paralipomeni I, xxi, 5. Quest’atto di superbia del re fu punito severamente: «che per tre dí la spada del Signore e la pestilenza vada in giro per lo paese, e che l’angelo del Signore vada facendo strage in tutte le regioni d’Israele» . Op. e loc. cit., 12 e 15 e seg. — Varano Vis. cit., 280: «Questi nella Giudea, mentr’egli offerse In sacrifizio a Dio vittime tante, La strada all’aure venenate aperse Del buon re sciolto in pianto agli occhi avante».
  23. Uno è de’ sei ecc.: Ezechiele, condotto in ispirito dentro il tempio di Gerusalemme, vide entrare «per la strada della porta superiore, che guarda settentrione» sei angeli «e in mano di ognun di essi uno strumento di morte: eravi anche un uomo (angelo) in mezzo a loro vestito di roba di lino, e aveva appeso a’ fianchi un calamaio da scrivere... E il Signore gli disse: va per mezzo alla città, per mezzo a Gerusalemme, e segua un thau sullo fronti degli uomini, che gemono e sono afflitti per tutte le abbominazioni, che si fanno in mezzo ad essa. E a quelli disse....: Passate per la città, seguitando lui, e percuotete: non s’impietosisca l’occhio vostro, e non abbiate pietà... Non uccidete però alcuno, che veggiate aver sopra di sé il thau, e date principio (alla strage) dal mio santuario». Ezech. IX, 2-6. Cfr. il sonetto del Frugoni: L’Angelo sterminatore.
  24. Taccion le stelle: Catacresi, che deriva da quella di Dante (Inf. i, 60): «Mi ripingea là dove il sole tace». Cfr. la nota al v. 219, p. 17.
  25. ed arretrò ecc.: Virgilio En. VIII, 240: refluitque exterritus amnis. Cfr. anche En. IX, 124, Salmi CXIII, 3 ecc.
  26. Vogeso: i monti Vosgi, che separano l’Alsazia dalla Lorena. Ariosto XXVII, 101: «Tremò Parigi, e turbinossi Senna All’alta voce, a quell’orribil grido; Rimbombò il suon fin alla selva Ardenna Sí, che lasciâr tutte le fiere il nido. Udiron l’Alpi e il monte di Gebenna...». — Gebenna: cfr. la nota al v. 181, c. I.
  27. il Bebricio Pirene: «Ai monti Pirenei il poeta dà l’aggiunto di Bebricio, perché il loro nome vuolsi derivato da Pirene figlia di Bebrice, la quale ebbe in essi la tomba dopo di essere stata violata da Ercole e straziata dalle fiere. Un tal fatto vedilo narrato da Silio Italico nel libro III della Guerra Punica». Mt.
  28. Ardenna: «detta dai Latini Arduenna, è una selva che comincia all’estremità dei Vosges ed occupa un grande spazio della Sciampagna. Ai tempi di Cesare (giusta il testimonio di lui) stendevasi per cinquecento e piú miglia di terreno». Mt.
  29. Come fugge ecc.: Similitudine, che deriva da un’altra omerica. Iliad. II, 614 (trad. M.): «Come lo sciame dell’impronte mosche, Che ronzano in april nella capanna, Quando di latte sgorgano le secchie, Chi...».
  30. Si turbina: s’avvolge a guisa di turbine.
  31. are: altari.
  32. Due donne: la Fede e la Carità.
  33. Il vel bianco, che significa la purezza della Fede, cela all’intelletto umano parte del corpo di essa, perché non tutte le verità dogmatiche sono manifeste e intelligibili all’uomo.
  34. inconsutile: non cucita, com’era la veste di Cristo.
  35. il pellican: il pellicano, della classe de’ palmipedi, è simbolo della carità e anche dell’eucaristia, perché si credette erroneamente che si piagasse il petto a fine di nutrire del proprio sangue i suoi figli.
  36. esso: Riempitivo, che si congiunge elegantemente alle preposizioni senza alterarne il significato. Cfr., p. e., Dante Inf. xxiii, 51; xxxiv, 41; Purg. ii, 10 ecc.
  37. un re fuggire: «La fuga di Luigi XVI a Varennes tentata nella notte del 21 giugno 1791. È noto ch’egli e la sua famiglia furono riconosciuti a Sainte-Menehould, inseguiti e ricondotti a Parigi nel giorno 25 dello stesso mese». Mt.
  38. Pensoso ecc.: Petrarca P. III, canz. ii, 101: «Pensoso piú d’altrui che di sé stesso».
  39. Siccome veltri ecc.: Dante Inf. xiii, 126: «Come veltri che uscisser di catena».
  40. cattivo: prigioniero (lat.).
  41. Morto ecc.: Tasso IV, 36: «Cosa vedi, signor, non pur mortale, Ma già morta ai diletti, al duol sol viva».
  42. Mirasi ecc.: «Nella giornata del 6 di ottobre 1789 una torma di scellerati, uomini e donne, venuti a Versailles, entrarono nel castello reale, e, uccise le guardie, s’introdussero per una scaletta nella stanza in cui poc’anzi dormiva la regina, e trovato il letto ancor tiepido, ma non lei, che all’udire l’orrendo trambusto erasi occultamente sottratta, quello per atroce rabbia trapassarono con piú colpi di pugnale o di lancia. E fu buona sorte che i ribaldi non conoscessero l’adito alla stanza del re, dove la regina erasi rifuggita». Mt.
  43. V’era ecc.: «La giornata del 10 agosto 1792, nella quale si segnalarono per la loro fedeltà, di cui tutti rimasero vittime, i pochi Svizzeri [900] che erano a guardia delle Tuileries, combattendo contro alle migliaia di furibondi venuti ad assaltare quella regia abitazione». Mt.
  44. Formidabile ecc.: Accusat. di relaz.: cfr. la nota al v. 26, p. 3.
  45. ferrugigna: del color della ruggine.
  46. ne ronciglia: ne cava fuori con un ronciglio o uncino.
  47. rassegna: consegna.
  48. E son ecc.: Cfr., per idee consimili. Dante Purg. xii, 67 e Tasso XVI, 2.
  49. e in capo ecc.: Cfr. la nota al v. 140, c. I.
  50. fere: ferisce.
  51. Sacro ecc.: «La chiesa del Carmine in Parigi era stata convertita in una prigione per rinchiudervi i vescovi ed i sacerdoti che avevano rifiutato di prestare giuramento alla Costituzione. La maggior parte di essi fu trucidata nel giardino annesso alla chiesa dagli emissari di coloro che reggevano il Municipio di Parigi, nel giorno 2 di settembre 1792». Mt.
  52. le mute abitatrici: le poco lucide stelle. Cfr. la nota al v. 84.
  53. Dalle gole uscía ecc.: Dante Inf. xiii, 43: «Cosí di quella scheggia usciva insieme Parole e sangue».
  54. Chi mi darà ecc.: Cfr. la nota al v. 31 del Serm. sulla Mit.
  55. Il soggetto della quarta scoltura è il supplizio di Luigi XVI.
  56. sciolte i capelli: Cfr. la nota al v. 150.
  57. Da’ miei mali ecc.: «Il poeta in queste terzine pose in versi alcune sentenze del testamento di Luigi XVI». Mt.
  58. né mai d’un trono ecc.: Virgilio Georg. I, 37: Nec tibi regnandi veniat tam dira cupido.
  59. e, se vietato ecc.: Cosí Dedalo, presso Virgilio [En. VI, 30], non può, pel dolore, scolpire su le porte del tempio di Febo in Cuma il tristo fatto di suo figlio Icaro: Tu quoque magnam Partem opere in tanto, sineret dolor, Icare, haberes. Bis conatus erat casus effingere in auro: Bis patriae cecidere manus. Cfr. la nota al v. 97, p. 34.
  60. onestate: decoro.
  61. Sorga ecc.: Virgilio En. IV, 625: Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor, Qui face Dardanidos ferroque sequare colonos... litora litoribus contraria fluctibus undas Imprecor, arma armis.
  62. E chi ecc.: Allude a Gian Paolo Marat, nato di genitori calvinisti a Baudry nel principato di Neuf-châtel nel 1744, autore del famoso giornale L’amico del popolo e uno de’ piú feroci e ardenti giacobini nel periodo del Terrore. Fece parte, com’è noto, dell’infame Comitato di salute pubblica. Fu ucciso il 13 luglio 1793 dall’eroica fanciulla (virago: di sentimenti virili) Carlotta Corday, nata di nobile famiglia a Caen (Normandia) nel 1768. Venne condannata a morte, che sopportò con intrepidezza nel 17 dello stesso mese.
  63. E chi ecc.: Vuol dire Massimiliano Robespierre, nato nel 1759 da un avvocato di Arras, eletto nell’89 deputato del terzo stato all’Assemblea degli stati generali, e poi primo deputato di Parigi alla Convenzione nazionale. Idoleggiato dal popolaccio, iniziò nel 10 marzo del ’93 il regime del Terrore. Accusato poi di ambire la dittatura, fu, per opera specialmente del Tallien, dichiarato fuori della leggo e ghigliottinato il 27 luglio del ’94.
  64. al soglio: alla dittatura.
  65. Il poter ecc.: La Tessaglia fu sede famosa di arti magiche. Orazio (Ep. V, 45) dice che la maga Folia Ariminese sidera, excantata voce Thessala, Lunamque coelo deripit. Cfr. anche Tasso XVI, 37 ecc.
  66. lavava ecc.: tramontava. Cfr. la nota al v. 359 della Musog. — lagrimoso: per l’orribile vista della morte del re.
  67. Espero: la stella di Venero dopo il tramonto del sole. — i: li.
  68. Quando ecc.: Verso consimile a quel di Dante (Inf. xxvi, 36): «Quando i cavalli al cielo erti levôrsi».
  69. là dove: in quella regione dell’aria dove.
  70. roggia: infocata.
  71. poggia: si solleva.
  72. Arme ecc.: Bardo della S. N. VIII, 1: «E, alla possente voce, armi ogni lido, Armi freme ogni petto ogni pensiero».
  73. L’aquile bellicose: «L’aquila è l’arme delle tre grandi monarchie del Nord, Austria, Russia e Prussia». Mt.
  74. il franco tricolor bastone: l’albero della libertà, di tre colori: bianco, rosso e turchino.
  75. Quinci move ecc.: L’arme dell’Inghilterra è un Leone, quella dell’Elettorato, ora regno di Annover, è un Cavallo. Il poeta chiama fraterno il ruggito del Leone d’Inghilterra rispetto al Cavallo di Annover, perché ambedue questi stati appartengono alla casa di Brunswick». Mt.
  76. È il verso 87 della Bellezza dell’Univ.
  77. Giglio: i gigli d’oro erano, com’è noto, l’arma de’ reali di Francia.
  78. E il campo ecc.: Virgilio En. VIII, 596: Quadrupedante putrem sonitu quatit ungula campum. Bardo della S. N. IV, 94: «Scalpita la sonante ugna il terreno».
  79. la gran donna ibera: la Spagna.
  80. Cattolica, perché i re di Spagna da Ferdinando d’Aragona in poi ebbero il titolo di Cattolici.
  81. l’osceno berretto frigio, emblema della repubblica.
  82. La sovrana dell’Alpi: il Piemonte.
  83. la fatal giornata ecc.: «Nella battaglia che avvenne il giorno 19 di nov. dell’anno 1734 a Guastalla, i Francesi, in quell’anno medesimo già piú volte sconfitti dagli Austriaci, sarebbero stati messi novamente in rotta se non accorreva sul bel principio colla sua cavalleria il re di Sardegna Carlo Emmanuele, che sostenne l’azione e rintuzzò l’impeto dell’inimico. — Nel 1747 il cavaliere di Belle-Isle, fratello del maresciallo di questo nome, volendo segnalarsi con qualche grande impresa, tentò di penetrare in Italia per le Alpi dalla parte di Susa. Ma giunto al passo dell’Assietta si incontrò ne’ Piemontesi che lo attendevano, difesi da altissime e ben munite trincee. La pugna fu micidiale e disperata; i Piemontesi, quantunque minori di numero, avevano il vantaggio del luogo, e per ben due ore fecero macello dei Francesi a’ quali soprastavano. Il cavaliere di Belle-Isle diede non ordinarie prove di valore, e finalmente ricovette l’ultimo colpo, gloriosa magis morte occumbens (dice negli aurei suoi Commentarii Castruccio Bonamici) quam quae prudentem deceret ducem». Mt.
  84. Scoglio ecc.: Cfr. la nota al v. 88 del c. I.
  85. i mal raccolti abeti: la flotta riunita a giusto danno d’altri.
  86. il lusitan: il portoghese.
  87. alla convessa regïon: al cielo.
  88. In questa e nelle tre terzine segg. imita, ma non collo stesso ordine, la descrizione che Virgilio in fine del I delle Georgiche fa de’ portenti avvenuti dopo la morte di Cesare. Cfr. anche, a tal proposito, Ovidio Metam. XV, 782 e Tibullo II, v. 71. — Vide ecc.: Virgilio op. cit. 474: Armorum sonitum toto Germania coelo Audiit... Cfr. anche Macabei V, 2.
  89. Quindi ecc.: op. cit., 476: «Vox quoque per lucos vulgo exaudita silentes Ingens...
  90. e le notturne ecc.: op. cit. 470: Obscenaeque canes, importunaeque volucres Signa dabant....
  91. Strigi: i barbagianni.
  92. E la quïete ecc.: op. cit. 477: et simulacra modis pallentia miris Visa sub obscurum noctis...
  93. Starsi i fiumi: op. cit. 479: sistunt amnes... Et moestum inlacrimat templis ebur, aeraque sudant.
  94. Qui fu interrotta la cantica, che doveva finire con l’ingresso del Bassville nella gloria del cielo. Al qual proposito, scriveva il Monti, in data 1 ottobre 1794, all’amico Franc. Torti (Rosn. Ep., p. 86): «Ho anche voglia di mandarvi un saggio già stampato della mia Musogonia succeduta al sonno forse eterno del poema Bassvilliano: dico eterno, perché il rovescio delle vicende d’Europa distrugge tutto il mio piano, e non lascia piú veruna speranza di fine al Purgatorio del mio povero Eroe». «Nondimeno — aggiungeva il Maggi nell’ultima nota al poema — i quattro canti di questa altissima poesia hanno già bastante consistenza per sé, e certamente assai maggiore di quella delle Stanze del Poliziano, che cosí imperfette vengono tenute per uno de’ piú eleganti poemi italiani».