In morte di Ugo Bassville/Canto III
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CANTO TERZO
Contenuto: Il Bassville narra a Luigi della sua andata a Roma a suscitarvi (ma invano contro la potenza del ponteficato) le ree scintille di libertà (1-60); poi, della ferita mortale ricevuta, del pentimento e della pena impostagli per purgazione (61-96): quindi lo supplica di perdono, che Luigi le concede di tutto cuore, manifestando la speranza che il pontefice sappia, con le sue preghiere, cacciare di Francia i nuovi Amaleciti (97-168). Poscia l’anima del re sale gloriosa alla visione di Dio (169-198), mentre che in Parigi intorno al sacro suo corpo, che ha in guardia un cherubino, s’affolla una gran turba di ombre, sitibonde di quel sangue (199-228): fra queste appaiono i quattro regicidi che tagliarono poc’anzi il capo all’infelice Capeto, poi Druidi, poi i Giansenisti e i principali scrittori che promossero colle loro opere la rivoluzione (229-327): i quali disputano a chi di loro tocchi la maggior parte dell’onore nell’aver spinto gli uomini a uccidere il tiranno (328-352).
La fronte sollevò1, rizzossi in piedi
L’addolorato spirto, e le pupille
Tergendo a dire incominciò: Tu vedi,
Signor, nel tuo cospetto Ugo Bassville,
5Della francese libertà mandato
Sul Tebro a suscitar le ree scintille2.
Stolto3, che volli coll’immobil fato
Cozzar della gran Roma, onde ne porto
Rotta la tempia e il fianco insanguinato;
10Ché di Giuda il leon4 non anco è morto;
Ma vive e rugge, e il pelo arruffa e gli occhi,
Terror d’Egitto, e d’Israel conforto5;
E se monta in furor, l’aste e gli stocchi
Sa spezzar de’ nemici, e par che gridi:
15Son la forza di Dio, nessun mi tocchi.
Questo leone in Vaticano io vidi
Far coll’antico e venerato artiglio
Securi e sgombri di Quirino6 i lidi;
E a me, che nullo mi temea periglio,
20Fe’ con un crollo della sacra chioma
Tremanti i polsi e riverente il ciglio7.
Allor conobbi che fatale è Roma,
Che la tremenda vanità di Francia
Sul Tebro è nebbia che dal sol si doma;
25E le minacce una sonora ciancia,
Un lieve insulto di villana auretta
D’abbronzato guerriero in su la guancia.
Spumava la tirrena onda suggetta
Sotto le franche prore, e la premea
30Il timor della gallica vendetta;
E tutta per terror dalla scillea
Latrante rupe8 la selvosa schiena
Infino all’Alpe l’Appennin scotea.
Taciturno ed umíl volgea l’arena
35L’Arno9 frattanto, e paurosa e mesta
Chinava il volto la regal Sirena10.
Solo il Tebro levava alto la testa,
E all’elmo polveroso la sua donna
In Campidoglio rimettea la cresta:
40E, divina guerriera in corta gonna,
Il cor piú che la spada all’ire e all’onte
Di Rodano opponeva e di Garonna11;
In Dio fidando, che i trecento al fonte
D’Arad prescelse12, e al Madianita altero
45Fe’ le spalle voltar, rotta la fronte;
In Dio fidando, io dico, e nel severo
Petto del santo suo pastor13, che solo
In saldo pose la ragion di Piero.
Dal suo pregar, che dritto spiega il volo
50Dell’Eterno all’orecchio e sulle stelle14
Porta i sospiri della terra e il duolo,
I turbini fur mossi e le procelle
Che del Varo15 sommersero l’antenne
Per le sarde e le còrse onde sorelle.
55Ei sol tarpò del franco ardir le penne;
L’onor d’Italia vilipesa e quello16
Del borbonico nome egli sostenne.
E cento volte sul destin tuo fello17
Bagnò di pianto i rai. Per lo dolore
60La tua Roma fedel pianse con ello.
Poi, cangiate le lagrime in furore,
Corse urlando col ferro, ed il mio petto
Cercò d’orrende faci allo splendore18;
E spense il suo magnanimo19 dispetto
65Sí nel mio sangue, ch’io fui pria di rabbia,
Poi di pietade miserando obbietto.
Eran sangue i capei, sangue le labbia,
E sangue il seno: fe’ del resto un lago
La ferita20, che miri, in su la sabbia.
70E me, cui tema e amor rendean presago
Di maggior danno21, e non avea consiglio,
Piú che la morte combattea22 l’immago
Dell’innocente mio tenero figlio23
E della sposa, ahi lasso!, onde paura
75Del lor mi strinse non del mio periglio.
Ma24, come seppi che paterna cura
Di Pio salvi gli avea, brillommi il core,
E il suo sospese palpitar natura25.
Lagrimai di rimorso26; e sull’errore
80Che già lunga stagion l’alma travolse
La carità poteo piú che il terrore.
Luce dal ciel vibrata allor mi sciolse
Dell’intelletto il buio, e il cor pentito
Al mar di tutta la pietà si volse27.
85L’ali apersi a un sospiro; e l’infinito
Amor nel libro, dove tutto è scritto
Il mio peccato cancellò col dito.
Ma giustizia mi niega al ciel tragitto28,
E vagante ombra qui mi danna, intanto
90Che di Francia non vegga ulto il delitto.
Questi me ’l disse, che mi viene accanto
(Ed accennò ’l suo duca) e che m’ha tolto
Alla fiumana dell’eterno pianto29.
Tutte drizzaro allor quell’alme il volto
95Al celeste campion, che in un sorriso
Dolcissimo le labbra avea disciolto.
Or tu, per l’alto sir del paradiso,
Che al suo grembo t’aspetta e il ciel disserra
(Proseguí l’ombra piú infiammata in viso),
100Per le pene tue tante in su la terra,
Alla mia stolta fellonia perdona,
Né raccontar lassú che ti fei guerra.
Tacque; e tacendo ancor dicea: Perdona;
E l’affollate intorno ombre pietose
105Concordemente replicâr: Perdona30.
Allor l’alma regal con disïose
Braccia si strinse l’avversaria al seno,
E dolce in caro favellar rispose:
Questo amplesso ti parli, e noto appieno
110Del re, del padre il core e dell’amico
Ti faccia, e sgombri il tuo timor terreno.
Amai, potendo odiarlo, anco il nemico;
Or m’è tolto il poterlo, e l’alma spiega
Piú larghi i voli dell’amore antico.
115Quindi là dove meglio a Dio si prega
Il pregherò, che presto ti discioglia
Del divieto fatal che qui ti lega.
Se i tuoi destini intanto o la tua voglia
Alla sponda giammai ti torneranno,
120Ove lasciasti la trafitta spoglia;
Per me trova le due che là si stanno
Mie regali congiunte31, e che gli orrendi
Piangon miei mali ed il piú rio32 non sanno.
Lieve sul capo ad ambedue discendi
125Pietosa visïon (se la tua scorta
Lo ti consente), e il pianto ne sospendi.
Di tutto che vedesti annunzio apporta
Alle dolenti: ma del mio morire
Deh! sia l’immago fuggitiva e corta.
130Pingi loro piuttosto il mio gioire,
Pingi il mio capo di corona adorno
Che non si frange né si può rapire.
Di’ lor che feci in sen di Dio ritorno,
Ch’ivi le aspetto, e là regnando in pace
135Le nostre pene narreremci un giorno.
Vanne poscia a quel grande, a quel verace
Nume del Tebro33, in cui la riverente
Europa affissa le pupille e tace;
Al sommo dittator della vincente
140Repubblica di Cristo, a lui che il regno
Sortí minor del core e della mente:
Digli che tutta a sua pietà consegno
La franca fede combattuta; ed egli
Ne sia campione e tutelar sostegno.
145Digli che tuoni dal suo monte e svegli
L’addormentata Italia, e alla ritrosa
Le man34 sacrate avvolga entro i capegli,
Sí che dal fango suo la neghittosa35
Alzi la fronte, e sia delle sue tresche
150Contristata una volta e vergognosa.
Digli che invan l’ibere e le tedesche
E l’armi alpine36 e l’angliche e le prusse
Usciranno a cozzar colle francesche,
Se non v’ha quella37 onde Mosè percusse
155Amalecco38 quel dí che i lunghi preghi
Sul monte infino al tramontar produsse.
Salga egli dunque sull’Orebbe, e spieghi39
Alto le palme; e, s’avverrà che stanco
Talvolta il polso al pio voler si nieghi,
160Gli sosterranno il destro braccio e il manco
Gl’imporporati Aronni e i Calebidi
De’ quai soffolto40 e coronato ha il fianco.
Parmi de’ nuovi Amaleciti41 i gridi
Dall’Olimpo sentir, parmi che Pio
165Di Francia, orando, ei sol gli scacci e snidi.
Quindi ver’ lui di tutto il dover mio
Sdebiterommi in cielo, e finch’ei vegna,
Di sua virtú42 ragionerò con Dio.
Brillò, ciò detto, e sparve; e non è degna
170Ritrar terrena fantasia gli ardori
Di ch’ella il cielo balenando segna.
Qual si solleva il sol fra le minori
Folgoranti sostanze43, allor che spinge
Sulla fervida curva44 i corridori,
175Che d’un solo color tutta dipinge
L’eterea volta, e ogni altra stella un velo
Ponsi alla fronte e di pallor si tinge45;
Tal fiammeggiava di sidereo46 zelo,
E fra mille seguaci ombre festose
180Tale ascendeva la bell’alma al cielo.
Rideano al suo passar le maestose
Tremule figlie della luce47, e in giro
Scotean le chiome ardenti e rugiadose48.
Ella tra lor d’amore e di desiro
185Sfavillando s’estolle, infin che, giunta
Dinanzi al trino ed increato Spiro,
Ivi queta il suo volo, ivi s’appunta49
In tre sguardi beata, ivi il cor tace
E tutta perde del desío la punta50.
190Poscia al crin la corona del vivace
Amaranto51 immortal e su le gote
Il bacio ottenne dell’eterna pace.
E allor s’udiro consonanze e note
D’ineffabil dolcezza, e i tondi balli
195Ricominciâr delle stellate rote.
Piú veloci esultarono i cavalli
Portatori del giorno, e di grand’orme
Stampâr l’arringo degli eterei calli.
Gioiva intanto del misfatto enorme
200L’accecata Parigi, e sull’arena52
Giacea la regal testa e il tronco informe;
E il caldo rivo della sacra53 vena
La ria terra bagnava, ancor piú ria
Di quella che mirò d’Atreo la cena54.
205Nuda e squallida intorno vi venía
Turba di larve di quel sangue ghiotte55,
E tutta di lor bruna era la via.
Qual da fesse muraglie e cave grotte
Sbucano di Minèo l’atre figliuole56,
210Quando ai fiori il color toglie la notte,
Ch’ir le vedi e redire e far carole
Sul capo al vïandante o sovra il lago,
Finché non esce a saettarle57 il sole;
Non altrimenti a volo strano e vago
215D’ogni parte erompea l’oscena schiera;
Ed ulular s’udiva, a quell’immago
Che fan sul margo d’una fonte nera
I lupi sospettosi e vagabondi
A ber venuti a truppa in su la sera.
220Correan quei vani58 simulacri immondi
Al sanguigno ruscel, sporgendo il muso,
L’un dall’altro incalzati e sitibondi.
Ma in guardia vi sedea nell’arme chiuso
Un fiero cherubin, che, steso il brando,
225Quel barbaro sitir rendea deluso.
E le larve a dar volta, e mugolando
A stiparsi, e parer vento che rotto
Fra due scogli si vada lamentando.
Prime le quattro comparian che sotto
230Poc’anzi al taglio dell’infame scure
L’infelice Capeto avean tradotto.
Di quei tristi seguían l’atre figure59
Che d’uman sangue un dí macchiâr le glebe
Là di Marsiglia a nelle selve impure.
235Indi a guisa di pecore e di zebe60
Venía lorda di piaghe il corpo tutto
D’ombre una vile miserabil plebe;
Ed eran quelli61 che fecondo e brutto
Del proprio sangue fecero il mal tronco
240Che diè di libertà sí amaro il frutto.
Altri62 forato il ventre ed altri ha cionco63
Di capo il busto, e chi trafitto il lombo,
E chi del braccio e chi del naso è monco;
E tutti intorno al regio sangue un rombo,
245Un murmure facean che cupo il fiume64
Dai cavi gorghi ne rendea rimbombo.
Ma lungi li tenea la punta e il lume
Della celeste spada, che mandava
Su i foschi ceffi un pallido barlume.
250Scendi, pïeria dea65, di questa prava
Masnada66 i piú famosi a rammentarme,
Se l’orror la memoria non ti grava.
Dimmi, tu che li sai, gli assalti e l’arme
Onde il soglio67 percossero e la fede,
255E di nobile bile empi il mio carme.
Capitano di mille alto si vede
Uno spettro passar lungo ed arcigno,
Superbamente coturnato il piede,
È costui di Ferney68 l’empio e maligno
260Filosofante69, ch’or tra’ morti è corbo,
E fu tra’ vivi poetando un cigno.
Gli vien seguace il furibondo e torbo
Diderotto70, e colui che dello spirto
Svolse il lavoro e degli affetti il morbo.
265Vassene solo l’eloquente ed irto
Orator del Contratto71, e al par del manto
Di sofo ha caro l’afrodisio mirto;
Disdegnoso d’aver compagni accanto
Fra cotanta empietà, ché al trono e all’ara
270Fe’ guerra ei sí, ma non de’ santi al santo.
Segue una coppia nequitosa72 e rara
Di due tali accigliate anime ree,
Che il diadema ne crolla e la tïara73.
L’una74 raccolse dell’umane idee
275L’infinito tesoro e l’oceàno75
Ove stillato ogni venen si bee.
Finse l’altra76 del fosco americano
Tonar la causa, e regi e sacerdoti
Col fulmine ferí del labbro insano.
280Dove te lascio, che per l’alto77 roti
Sí strane ed empie le comete, e il varco
D’ogni delirio apristi a’ tuoi nipoti?
E te78 che contro Luca e contro Marco
E contro gli altri duo79 cosí librato
285Scocchi lo stral dal sillogistic’arco?
Questa d’insania tutta e di peccato
Tenebrosa falange il fronte avea
Dal fulmine celeste abbrustolato;
E della piaga il solco si vedea
290Mandar fumo e faville; e forte ognuno
Di quel tormento dolorar parea.
Curvo il capo ed in lungo abito bruno
Venía poscia uno stuol quasi di scheltri,
Dalle vigilie attriti e dal digiuno.
295Sul ciglio rabbassati ha i larghi feltri,
Impiombate le cappe80, e il piè sí lento,
Che le lumacce al paragon son veltri.
Ma sotto il faticoso vestimento
Celan ferri e veleni; e qual tra’ vivi,
300Tal vanno ancor tra’ morti al tradimento.
Dell’ipocrito d’Ipri81 ei son gli schivi
Settator tristi, per via bieca e torta
Con Cesare e del par con Dio cattivi.
Sí crudo82 è il nume di costor, sí morta,
305Sí ripiena d’orror del ciel la strada,
Che a creder nulla e a disperar ne porta.
Per lor sovrasta al pastoral la spada,
Per lor83 tant’alto il soglio si sublima,
Ch’alfine è forza che nel fango cada.
310Di lor empia fucina uscí la prima
Favilla, che segreta il casto seno
Della donna di Pietro84 incende e lima.
Né di tal peste sol va caldo e pieno
Borgofontana85, ma d’Italia mia
315Ne bulica e ne pute anco il terreno.
Ultimo al fier concilio comparía,
E su tutti gigante sollevarse
Coll’omero sovran si discopría
E colle chiome rabbuffate e sparse,
320Colui86 che al discoperto e senza téma
Venne contro l’Eterno ad accamparse;
E ne sfidò la folgore suprema,
Secondo Capaneo87, sotto lo scudo
D’un gran delirio ch’ei chiamò sistema.
325Dinanzi gli fuggía sprezzato e nudo
De’ minor spettri il vulgo: anche Cocito88
N’avea ribrezzo, ed abborría quel crudo.
Poich’ebber densi e torvi circuíto
Il cadavero sacro, ed in lui sazio
330Lo sguardo, e steso sorridendo il dito;
Con fiera dilettanza in poco spazio
Strinsersi tutti, e diersi a far parole,
Quasi sospeso il sempiterno strazio.
A me (dicea l’un d’essi), a me si vuole
335Dar dell’opra l’onor, che primo osai
Spezzar lo scettro e lacerar le stole.
A me piuttosto, a me che disvelai
De’ potenti le frodi (un altro grida),
E all’uom dischiusi sul suo dritto i rai.
340Perché l’uom surga e il suo tiranno uccida,
Uop’è (ripiglia un altro) in pria dal fianco
Dell’eterno timor tôrgli la guida.
Questo fe’ lo mio stil leggiadro e franco
E il sal samosatense89, onde condita
345L’empietà piacque e l’uom di Dio fu stanco.
Allor fu questa orribil voce udita;
I’ fei di piú90, che Dio distrussi: e tacque;
Ed ogni fronte apparve sbigottita.
Primamente un silenzio cupo nacque,
350Poi tal s’intese un mormorío profondo,
Che lo spesso cader parea dell’acque
Allor che tutto addormentato è il mondo.
Varianti
223. Per la selva seguitando vanne 6. a suscitar l’empie scintille
45. A suon di tuba fe’ voltar la fronte;
48. Fe’ salva la ragion di Cristo e Piero. 70. E me, che tema
277. del negro americano
312. Della donna di Piero
Note
- ↑ La fronte sollevò: Cfr. Dante Inf. xxxiii, 1.
- ↑ Le ree scintille: quelle della rivoluzione.
- ↑ Stolto, perché «Che giova nelle fata dar di cozzo?» Dante Inf. ix, 97.
- ↑ di Giuda il leon: Giacobbe morente chiamò Giuda, uno de’ suoi dodici figli, giovine leone (Genesi XLIX, 9): e leone di Giuda fu poi chiamato Cristo, nato della stirpe di lui. Qui l’espressione biblica è riferita al pontefice. Si vegga del Monti un «Frammento di una parafrasi delle benedizioni di Giacobbe moribondo»: ed. Card. p. 3.
- ↑ Terror ecc.: Gli Ebrei in Egitto furono oppressi con ogni sorta di schiavitú (Esodo I, passim): quindi Egitto venne a significare il popolo nemico del popolo ebraico, che dal mutato nome di Giacobbe (Genesi XXXII, 28), fu chiamato Israele. Qui, Israele sta a significare il popolo cristiano; Egitto, i nemici di esso popolo e piú particolarmente i rivoluzionari di Francia.
- ↑ Quirino: fu il nome di Romolo assunto in cielo.
- ↑ Tremanti ecc.: Dante Inf. i, 9: «Ch’ella mi fa tremar le vene e i
- ↑ dalla scillea... rupe: dallo stretto di Messina. Scilla, amata da Glauco, fu cangiata dalla rivale Circe in un mostro, che nella parte superiore era donna, ma i fianchi aveva coperti di sei teste di cani, che latravano orribilmente. Cfr. Virgilio En. III, 420; Ovidio Metam. XIII, 730 ecc.
- ↑ L’Arno: Firenze, timorosa di far resistenza alla Francia.
- ↑ la regal Sirena: Napoli. Cfr. la nota v. 176 della Musog.
- ↑ Di Rodano... e di Garonna: di Francia. Cfr. la nota al v. 39, p. 4.
- ↑ che i trecento ecc.: «Stando gli Amaleciti e i Madianiti accampati nella valle di Iezrael, Iddio comandò a Gedeone di scegliere al fonte di Arad trecento guerrieri di Israele, i quali di nottetempo, suonando le trombe e gridando: La spada del Signore e di Gedeone, sparsero lo scompiglio nel campo numeroso di que’ nemici del nome israelita; e li misero in fuga». Mt. Cfr. Giudici, VII.
- ↑ santo suo pastor: Pio VI. Cfr. la nota al v. 40, p. 4.
- ↑ e sulle stelle ecc.: Tasso I, 11: «al Cielo Riporta de’ mortali i preghi e ’l zelo».
- ↑ del Varo ecc.: cfr. la nota al v. 88 del c. I.
- ↑ del borbonico nome: de’ Borboni, reali di Napoli.
- ↑ fello: crudele.
- ↑ Cercò ecc.: Scrive il Fortini, citato nella nota d’intr.: «Ma i romani, già infuriati, salirono le scale (della casa Moutte), forzarono le porte dell’appartamento ove s’era rifugiato, rovinarono quanto trovarono di mobili in tutto il casamento, ed arrestarono il temerario (il Bassville), che aveva avuti colpi di bastone, calci, pugni, ed una stilettata al basso ventre; e sarebbe anzi rimasto morto, se i soldati non l’avessore salvato, con metterselo in mezzo e portarlo ad un quartiere là vicino».
- ↑ magnanimo: È parola tutt’altro che conveniente al fatto accennato: ma qui ha una particolare e chiara ragion d’essere. Cfr. la nota al v. 42 del c. I.
- ↑ fe’ del resto ecc.: Dante Purg. v, 83; «e lí vid’io Delle mie vene farsi in terra laco».
- ↑ Di maggior danno: dell’uccisione anche de’ miei.
- ↑ combattea: addolorava fortemente.
- ↑ figlio: «Aveva nome Franc. Maria Giuseppe Orlando, ma si chiamava soltanto con quest’ultimo nome. Capitano di cavalleria nel 1813, fu nel ’31 nominato capo squadrone, nel ’37 luogotenente colonnello e nel ’46 maresciallo di campo. È morto il 18 marzo 1857. Mutò il paterno cognome di Hugon in quello di Husson de Bassville». Sforza.
- ↑ Ma ecc.: Vedi la nota d’introd.
- ↑ E il suo ecc.: e il mio cuore di marito e di padre fu tranquillo.
- ↑ Lagrimai di rimorso: «Dopo aver fatto una pubblica ritrattazione, richiese i Sacramenti, dei quali fu munito, e morí con l’assistenza del curato e dello stesso Mons. Vice Gerente». Fortini.
- ↑ Al mar ecc.: Dante Inf. viii, 7: «Ed io, rivolto al mar di tutto il senno, Dissi...»
- ↑ Ma giustizia ecc.: Cfr. i vv. 22 e segg. del c. I e le note corrisp.
- ↑ Alla fiumana ecc.: all’inferno.
- ↑ Perdona: Questa ripetizione della stessa rima è fatta per dar maggior risalto all’idea. Cosí Dante (Purg. xx. 65-7-9) ripete la parola ammenda in rima per accentuare, con grave ironia, ad opere malvage della Casa di Francia.
- ↑ Mie regali congiunte: Le due zie di Luigi XVI, che s’erano rifugiate in Roma fino da’ primi del 1791.
- ↑ il piú rio: la morte su la ghigliottina.
- ↑ Nume del Tebro: Pio VI.
- ↑ Le man ecc.: Petrarca P. III, canz. ii, 14: «Le man l’avvess’io avvolto entro capegli!»
- ↑ Sí che ecc.: Petrarca op. cit. 23: «Sí che la neghittosa esca del fango».
- ↑ alpine: piemontesi.
- ↑ quella: la preghiera.
- ↑ Amalecco: «È noto per le sacre carte che essendo stato Israele assalito dagli Amaleciti [in Raphidim], Mosè comandò a Giosuè di uscire contro di essi a battaglia, e ch’egli, presa la sua verga, salí sull’Oreb accompagnato da Aronne e da Hur. Quivi tenendo le mani alzate al cielo, faceva sí che gl’Israeliti vincevano, ma s’ei le abbassava, superavanli quei di Amalecco; e fu d’uopo, poich’egli stancavasi, che Aronne ed Hur lo facessero sedere su d’una pietra, e, sostenendogli lo braccia fino al tramonto del sole, ottenessero alle armi di Giosuè per tal modo una compiuta vittoria. — Esodo XVII, [8-13]. — Sotto il nome di imporporati, Aronni e Calebidi, piú avanti, s’intendono i cardinali, de’ quali sono immagine Aronne ed Hur figlio di Caleb». Mt.
- ↑ e spieghi ecc.: Filicaia, canz.: E fino a quando... «Ei (Innocenzo XI) dall’esquilio colle Ambo in ruina dell’orribil Geta, Mosè novello, estolle A te le braccia, che da un lato regge Speme, e Fede dall’altro».
- ↑ soffolto: sostenuto.
- ↑ de’ nuovi Amaleciti: de’ rivoluzionari.
- ↑ Di sua virtú ecc.: Dante Inf. ii, 73: «Quando sarò dinanzi al Signor mio, Di te mi loderò sovente a lui». Cfr. anche Per l’onom. della mia don., 50 e segg.
- ↑ Folgoranti sostanze: stelle.
- ↑ fervida curva: eclittica.
- ↑ e ogni altra stella ecc.: Petrarca P. III, canz. iii, 69: «Si come ’l sol co’ suoi possenti rai Fa subito sparir ogni altra stella....» Cfr. anche P. I, canz. vii, 40 e seg.
- ↑ sidereo: celeste.
- ↑ le... figlie della luce: le stelle.
- ↑ «Le parole ardenti e rugiadose hanno un che di ripugnante tra loro; perché, se le chiome delle stelle sono rugiadose, come possono essere ardenti? La rugiada che sta sopra un corpo, ne spegne l’ardore, se vi è». Della V., p. 111.
- ↑ s’appunta: si fissa nella contemplazione di Dio, «Ove s’appunta ogni ubi ed ogni quando». Dante Par. xxix, 12.
- ↑ E tutta ecc.: Dante Par. xxii, 25: «Io stava come quei che in sé repreme La punta del desio …».
- ↑ Amaranto: fiore ch’è simbolo dell’immortalità (gr. amárantos: che non si corrompe. Cfr. Plinio St. Nat. XXI. 8).
- ↑ e sull’arena ecc. Virgilio En. II, 557: lacet ingens litore truncus, Avulsumque humeris caput, et sine nomine corpus.
- ↑ sacra: della sacra persona del re.
- ↑ Di quella ecc.: di Micene, ove il re Atreo per punire suo fratello Tieste che gli aveva sedotta la moglie, gl’imbandí in un convito le membra del figlio nato da quell’incesto.
- ↑ di quel sangue ghiotte: Cfr. Stazio Teb. IV, 449.
- ↑ di Minèo l’atre figliuole: le nottole, che furono già figlie di Minèo tebano e sprezzatricl del culto di Bacco. Cfr. Ovidio Metam. IV, 389.
- ↑ A saettarle co’ raggi, che son come saette di luce. Cfr. Dante Purg. ii, 55.
- ↑ vani simulacri: Virg. En. VI. 292: tenues sine corpore vitas.
- ↑ Di quei tristi ecc.: cfr. la nota al v. 106, c. II
- ↑ zebe: capre. cfr. Dante Inf. xxxii, 15.
- ↑ Ed eran quelli ecc.: «Gli uomini, che dipoi egli viene rammentando, non fecondarono già del proprio sangue quel mal tronco (della rivoluz.); essi furono soltanto i precursori della rivoluzione dell’89, alla quale apersero la strada colle opere, che essi avevano pubblicate parecchi anni prima; ed erano morti quasi tutti avanti la rivoluzione stessa... Quei rivoluzionari di cui si può dire... che fecero fecondo ecc. sono i Girondini e i Giacobini». Della V., p. 113.
- ↑ Altri ecc. Queste anche le pene dei commettitori di scissure religiose, civili e domestiche in Dante. Cfr. Inf. xxviii, passim.
- ↑ cionco: mozzo, troncato. Berni Or. I. LVI, 14: «Rimase quella personaccia cionca Del braccio e spalla destra, e della testa». In Dante (Inf. ix, 18) è «speranza cionca».
- ↑ il fiume: la Senna.
- ↑ pïeria dea: Musa. Cfr. la nota al v. 16 della Musog.
- ↑ Masnada: compagnia cattiva. In antico non ebbe mal senso: cfr., p. e., Dante Inf. xv, 41 e Purg. ii, 130.
- ↑ il soglio: la monarchia.
- ↑ di Ferney ecc.: Franc. Maria Arouet (1694-1778), ch’ebbe il soprannome di Voltaire da una terra di proprietà materna, e visse lungamente a Ferney, in quel di Ginevra. Autore di svariatissime opere, tra le quali un poema epico (Henriade) e parecchie tragedie (per questo ha coturnato il piede), fu de’ piú efficaci cooperatori della rivoluzione e dell’ateismo. È chiamato il Luciano moderno per la facilità, il brio e l’eleganza dell’ingegno, e pel disprezzo e l’odio in che ebbe la Divinità. Cfr la nota al v. 349.
- ↑ Filosofante: È dispregiativo. — corbo: il corvo è l’opposto del cigno e pel colore e pel suo gracchiare. Cfr. la nota al v. 260, p. 18.
- ↑ Diderotto: Dionigi Diderot (1713-1784), scrittore ardente, impetuoso, promosse col D’Alembert l’Enciclopedia, alla quale lavorò circa un trent’anni, e che serví a diffondere principi materialistici. — e colui ecc.: Hélvetius (1715-1771). «Ne’ suoi discorsi De l’Esprit si attribuiscono alla materia le operazioni dell’anima, e si vuol mostrare che gli uomini non sono retti che dalle voluttà e dall’interesse». Mt.
- ↑ l’eloquente ecc.: Gian Giacomo Rousseau (1712-1778), autore del Contratto sociale, dell’Emilio, delle Confessioni e di piú altre opere. Va solo, perché non fu propriamente degli Enciclopedisti; ha caro il mirto di Venere (Afrodite: nata dalla spuma del mare), per le ardenti Lettere a Giulia; è disdegnoso d’aver compagni cosí empi, perché fu tutt’altro che ateo, come mostra la Professione di fede del vicario savoiardo.
- ↑ nequitosa: iniqua.
- ↑ Che il diadema ecc.: che ne restano scosse la monarchia e la fede.
- ↑ L’una ecc.: Giovanni Le Rond D’Alembert (1717-1783), uno de’ piú celebri matematici del sec. xviii. Per l’Enciclopedia scrisse la famosa introduzione e gli articoli di matematica.
- ↑ L’espressione infinito tesoro accenna alla parte buona, cioè alla molta dottrina ch’è contenuta nell’Encicl.; l’oceàno ecc., alla parte cattiva, cioè alle idee di ateismo e di materialismo che vi sono raccolte.
- ↑ l’altra: Guglielmo Tomm. Francesco Raynal (1713-1796), che fu prima gesuita e vice curato in S. Sulpizio e poi, gettato l’abito, pubblicò nel 1770 la Storia filosofica ecc., piena di declamazioni contro principi e sacerdoti, ove difese gli Americani, maltrattati dagli Europei. Nel 31 maggío del ’91 in una lettera diretta all’Assemblea Nazionale disapprovò altamente i principi della rivoluzione; ma fu tenuto come un povero vecchio delirante.
- ↑ che per l’alto ecc.: Accenna a Pietro Bayle (1647-1706), che tolse occasione da una cometa apparsa nel 1680 por esporre dottrine scettiche ne’ Pensieri diversi ecc. Il suo Dizionario storico e critico è come un repertorio di tutte le obbiezioni mosse contro ogni principio religioso, a cui attinsero tutti gli altri atei che vennero poi.
- ↑ E te ecc: Nicola Fréret (1688-1749), autore di svariatissime opere, a cui furono attribuite, ma, sembra, a torto, la Lettera di Trasibulo a Leucippo e l’Esame degli apologisti della religione cristiana.
- ↑ gli altri duo: Giovanni e Matteo. — Si noti che coll’espressione cosí librato ecc. il p. viene a dire che il Fréret ragionava bene contro gli Evangelisti; mentre in sostanza vuol dire che ragionava male ed empiamente.
- ↑ Impiombate le cappe ecc.: Anche gl’ipocriti in Dante sono vestiti di cappe impiombate e vanno lentissimi. Cfr. Inf. xxiii, 70, 100 e segg.
- ↑ Dell’ipocrito d’Ipri: di Cornelio Giansenio (1585-1638), olandese, che fu vescovo d’Ipres in Fiandra. Nella sua opera principale Augustinus, pubblicata nel ’40 dopo la sua morte, intese esporre la dottrina di quel santo dottore; ma s’allontanò dalla credenza cattolica per alcune sue opinioni su la Grazia. Nel ’49 furono dalla facoltà teologica di Parigi formulate le cinque famose proposizioni contenenti tutta la sostanza dell’opera, che furono condannate come eretiche nel 13 maggio del ’53 da Innocenzo X e di nuovo da Clemente XI nel 15 luglio 1705. — schivi: intolleranti.
- ↑ Sí crudo ecc.: La prima proposizione giansenista era: Aliqua Dei praecepta hominibus iustis volentibus et conantibus secundum praesentes quas habent vires, sunt impossibilia: decet quoque illis gratia qua possibilia fiant.
- ↑ Per lor ecc.: Le idee de’ Giansenisti sul sovrastare della spada al pastorale sono esposte nell’opera dell’ardente giansenista Pasquale Quesnel (1634-1719): La sovranità dei re difesa: Parigi, 1704.
- ↑ Della donna di Pietro: della Chiesa.
- ↑ Borgofontana: certosa nel bosco di Villars-Coterets, dove si dice convenissero i Giansenisti per formulare la loro dottrina.
- ↑ Colui ecc.: Gian Battista Mirabaud, al quale fu attribuito il Sistema della natura ecc. (in cui si nega apertamente l’esistenza di Dio), ch’è invece di Paolo Tryry, barone d’Holbach (1723-1789), nato ad Heidelsheim nel Palatinato, ma vissuto e morto in Parigi.
- ↑ Capaneo «fu l’un de’ sette regi Ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’egli abbia Dio in disdegno, e poco par che il pregi». Dante Inf. xiv, 68.
- ↑ anche Cocito: l’inferno stesso. Cfr. la nota al v. 35, p. 38.
- ↑ il sal samosatense: lo spirito e la festività che imitai da’ Dialoghi di Luciano (fiorí intorno al 160 dell’èra volg.) di Samosata, città della Siria. Allude chiaramente al Voltaire.
- ↑ I’ fei di piú, ecc.: Allude, anche qui assai chiaramente, al Mirabaud: cfr. sopra la nota al v. 320.