Faratti, il padre ti rammenta, o figlio:
Ma serba a chi l’uccide il tuo perdono.
Questi accenti parea, questo consiglio 230Profferir l’infelice, e chete intanto
Gli discorrean le lagrime dal ciglio.
Piangean tutti d’intorno; e dall’un canto
Le fiere guardie impietosite anch’esse
Sciogliean, poggiate sulle lance, il pianto. 235Cotai sul vaso acerbi fatti impresse
L’artefice divino; e, se vietato1,
Se conteso il dolor non gliel avesse,
Il resto de’ tuoi casi effigïato
V’avria pur anco, o re tradito, e degno 240Di miglior scettro e di piú giusto fato.
E ben lo cominciò: ma l’alto sdegno
Quel lavoro interruppe, e alla pietate
Cesse alfin l’arte ed all’orror l’ingegno.
Poiché, di doglia piene e d’onestate2, 245Si fur l’alme due dive a quel feroce
Spettacolo di sangue approssimate,
Sul petto delle man fêro una croce;
E, sull’illustre estinto il guardo fise,
Senza moto restârsi e senza voce, 250Pallide e smorte come due recise
Caste viole o due ligustri occulti
Cui né l’aura né l’alba ancor sorrise.
Poi con lagrime rotte da’ singulti
Baciâr l’augusta fronte, e ne serraro 255Gli occhi nel sonno del Signor sepulti;
Ed, il corpo composto amato e caro,
Vi pregâr sopra l’eterno riposo,
Disser l’ultimo vale, e sospiraro.
E quindi in riverente atto pietoso 260Il sacro sangue, di che tutto orrendo
Era intorno il terreno abbominoso,
Nell’auree tazze accolsero piangendo;
Ed ai quattro guerrier vestiti a bruno
Le presentâr spumanti; una dicendo: 265Sorga da questo sangue un qualcheduno3
↑e, se vietato ecc.: Cosí Dedalo, presso Virgilio [En. VI, 30], non può, pel dolore, scolpire su le porte del tempio di Febo in Cuma il tristo fatto di suo figlio Icaro: Tu quoque magnam Partem opere in tanto, sineret dolor, Icare, haberes. Bis conatus erat casus effingere in auro: Bis patriae cecidere manus. Cfr. la nota al v. 97, p. 34.