In morte di Lorenzo Mascheroni (1891)/Canto quarto

Canto quarto

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Canto terzo Canto quinto
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CANTO QUARTO

Contenuto: Il Verri narra come l’amor di patria, che rivive immortale oltre la tomba, lo spingesse poco prima ad abbandonare il cielo e a rivedere Milano, che di fuorî gli parve ancor bella e beata, ma non di dentro, che sembrogli un inferno (1-27). Furto, tirannia, ignoranza immiseriscono e [p. 159 modifica]quasi uccidono in culla la figlia del valore di Bonaparte, senza che autorità s’opponga (28-87). — E che poteva fare autorità inerme? — chiede il Mascheroni. Deporsi, grida il Parini: e il Beccaria approva (88-111). Il Verri riprende a dire che al terrore suscitatogli in petto per tante ribalderie commesse da tanti malvagi, fuggí di Milano, non senza esser prima disceso alla sua casa per abbracciarvi, ombra invisibile, i suoi (112-174). Visitò campagne e città lombarde, e prima Pavia, poi Como e il paesello del Parini, ove il memore affetto del Marliani innalzava all’amico un funebre ricordo (175-258). Quindi giunse a Bergamo, afflitta per la morte di Lesbia Cidonia, e, visitati i paesi della Lombardia orientale, ove per tutto era pianto, discese a Ferrara, culla perenne di poesia (259-321). Qui, presso un sepolcro, vide un’ombra, cinta il capo di lauro, mesta e sdegnosa, e la chiese del nome e della cagione de’ suoi sospiri (323-337).

Sacro di patria amor che forza acquista
     Ed eterno rivive oltre l’avello1
     (Cominciò l’alto insubre economista),
Desìo che pure ne’ sepolti è bello
     5Di visitar talvolta ombra romita
     Le care mura del paterno ostello,
E con gli affetti2 della prima vita
     Le vicende veder di quel pianeta
     Che l’alme al fango per patir marita3,
10Mi fean poc’anzi abbandonar la lieta
     Regïon delle stelle: e il patrio nido4
     Fu dolce e prima del mio vol la meta.
Per tutto armi e guerrier, tripudio e grido
     Di libertà; per tutto e danze e canti,
     15Ed altari alle Grazie ed a Cupido,
E operose officine5, e di volanti
     Splendidi cocchi fervida la via,
     E care donne e giovinetti amanti6,
Sclamar mi fenno a prima giunta: Oh mia
     20Gentil Milano, tu sei bella ancora!
     Ancor bella e beata è Lombardia!
Poi nell’ascoso penetrai (ché fuora
     Sta le piú volte il riso e dentro il pianto),

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     E venir mi credei nell’Antenòra,
25Nella Caína7, o s’altro luogo è tanto
     Maledetto in inferno ove faccoglia
     Tutte insieme le colpe Radamanto8.
Dell’albergo fatal9 guardan la soglia
     Le Cabale pensose10 e l’Impostura
     30Che per vestirsi la virtú dispoglia11,
La Fraude che si tocca il petto e giura,
     La fallace Amistà che sul tuo danno
     Piange e poi t’abbandona alla ventura.
Carezzanti negli atti in volta vanno
     35Le bugiarde Promesse, accompagnate
     Dalle guarrule Ciance e dall’Inganno.
Sta fra le valve12 a piè profan vietate
     Il Favor, che bifronte or apre, or chiude,
     E dice all’un: Non puossi; e all’altro: Entrate.
40Su e giú sospinte le Speranze nude
     Van zoppicando, e inseguele per tutto
     Colei che tutte le speranze esclude13.
Con umil carta in man lurido e brutto
     Grida il Bisogno, e sua ragione apporta;
     45Ma duro niego de’ suoi gridi è il frutto:
Ché voce di ragion là dentro è morta,
     E de’ pieni scaffali tra le borre14
     Dorme giustizia in gran letargo assorta;
Né dall’alto suo sonno la può sciorre
     50Che il sonante cader di quella piova15

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     Che fe’ lo stupro dell’acrisia torre.
Quest’io vidi nell’antro in cui si cova
     Della patria il dolor16, che con grand’arte
     Tutto giorno si affina e si rinnova;
55Tal che, guasta il bel corpo d’ogni parte,
     Trae già l’ultimo fiato e muore in culla
     La figlia del valor di Bonaparte17.
Circuisce la misera fanciulla
     Multiforme di mostri una congrega,
     60Che la sugge, la spolpa e la maciulla18:
Il furto, ch’al poter fatto è collega;
     Tirannia, che col dito entro gli orecchi,
     Scòstati, grida alla pietà che prega;
Ignoranza, che losca fra gli specchi19
     65Banchetta, e l’osso che non unge arcigna20
     Getta al merto giacente in su gli stecchi.
E la patria frattanto, empia matrigna,
     Nega il pane a’ suoi figli, e a tal lo dona
     Stranier, cui meglio si darìa gramigna.
70Mossi piú addentro il piede; e in logra zona21
     Vidi l’inferma che Finanza ha nome,
     Che scheletro pareva e non persona.
Colle man disperate entro le chiome
     Guarda i vuoti suoi scrigni, e stupefatta
     75Cerca e non trova dell’empirli il come.
Or la forza le invia fusa e disfatta
     La pubblica sostanza22; or la meschina
     Perdendo merca e supplicando accatta23.
Scorre a fiumi il danaro, e la rapina
     80Di color mille e cento man l’ingozza
     E giú nell’ampio ventre lo ruina
Con sì gran fretta, che talor la strozza
     Tutto no ’l cape, e il vome, e vomitato
     Lo ricaccia nell’epa e lo rimpozza24;
85Né del pubblico sazia, anco il privato
     Aver divora; e il vede e lo consente

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     Suprema e muta autorità di stato.
Chiusa e stretta da forza prepotente
     (Dolce interruppe allor Lorenzo) e in forse
     90Di maggior danno, e inerme e dependente25,
Che far poteva autorità? — Deporse,
     Gridò fiero Parini: e, steso il dito,
     Gli occhi e la spalla brontolando torse.
Strinse allora le labbia in sé romito26
     95Dei delitti il sottil ponderatore27;
     E, Fu giusto, poi disse, il tuo garrito28.
Forza li vinse: e che può forza in core
     Che verace virtute in sè raduna?
     Cede il giusto la vita e non l’onore;
100L’onor, su cui né strale di fortuna,
     Né brando, né tiranno, né lo stesso
     Onnipossente non ha possa alcuna.
Qual madre, che del figlio intende espresso29
     Grave fallo, si tace e non fa scusa,
     105Ma china il guardo per dolor dimesso
E tuttavolta col tacer l’escusa;
     Tal si fece Lorenzo, mansueta
     Alma cortese a perdonar sol usa.
Ma col cenno del capo il fier poeta
     110Plause a quel dir, che il generoso fiele30
     De’ bollenti precordii31 in parte acqueta.
Apri di nuovo al ragionar le vele
     Verri frattanto, e Non ancor, soggiunse,
     Tutto scorremmo questo mar crudele.
115115 Poichè protetta la rapina emunse
     Del popolo le vene, e di ben doma
     Putta sfacciata il portamento assunse;
La meretrice, che laggiú si noma
     Libertà depurata32, iva in bordello
     120120 Coi vizi tutti che dier morte a Roma.
Alla fronte lasciva era cappello

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     Il berretto di Bruto33, ma di serva
     Avea gli atti, il parlare ed il mantello.
E la seguìa di drudi una caterva,
     125Che da questa d’Italia34 a quella fogna
     A fornicar correa colla proterva35.
Altri, perduta nel peccar vergogna,
     Fuggì la patria no, ma il manigoldo;
     Altri è resto di scopa, altri di gogna36;
130Qual repe37 e busca ruffianando il soldo;
     Qual è spia; qual il falso testimonio
     Vende pel quarto e men d’un leopoldo38.
Quei chiede un Robespier che il sangue ausonio
     Sparga, e le funi e la Senavra impetra39
     135Con questo che biscazza40 il patrimonio.
V’ha chi, ventoso raschiator di cetra,
     Il pudor caccia e sè medesmo in brago,
     E segnato da Dio corre alla Vetra41.
V’ha chi salta in bigoncia dallo spago42;
     140V’ha chi versuto ciurmador le quadre
     Muta in tonde figure, e non è mago43.
Disse rea d’adulterio altri la madre,
     E di vile semenza di convento
     Sparso il solco44 accusò del proprio padre.
145Altri è schiuma di prete45, e fraudolento
     De’ galeotti arringator, per fame

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     Va trafficando Cristo in sacramento.
Tutto è strame, letame e putridame
     D’intollerando puzzo, e lo fermenta
     150Tutto quanto de’ vizi il bulicame46.
E questa ciurma ell’è colei che addenta
     I migliori, colei che tuona e getta
     D’itala libertà le fondamenta?
Oh inopia di capestri! oh maladetta
     155Lue47 cisalpina! ch patria! oh giusto Iddio!
     Perché pigra in tua mano è la saetta48?
Terror mi prese a tanto; e, nell’obblío
     Del mio stato immortale, al patrio tetto,
     Per celarmi, tremante il piè fuggío.
160Oh mia dolce consorte! oh mio diletto
     Fratello! oh quanto nell’udir mi piacqui49
     Da voi nomarmi coll’antico affetto,
E ricordar siccome amai né tacqui
     La pubblica ragion, sin che, già franta
     165De’ buon la speme, addio vi dissi, e giacqui!
Piansi di gioia nel veder cotanta
     Carità della patria, e come intera
     De’ miei figli nel cor la si trapianta.
Ed io vana allor corsi ombra leggera,
     170E gli strinsi, e sentii tutta in quel punto
     La dolcezza di padre e piú sincera.
Ma il tenero lor petto al mio congiunto
     Ahi! quell’amplesso non intese, e invano
     Vivi corpi abbracciai spirto defunto.
175Mi staccai da’ miei cari; e di Milano
     Ratto fuggendo, a quel sordo mi tolsi
     Delle lagrime altrui gonfio oceàno.
Città discorsi e campi; e pria mi volsi
     Al longobardo piano50, ove superbe
     180Strinser catene al re de’ Franchi i polsi,
E il villan coll’aratro ancor tra l’erbe

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     Urta le gallic’ossa, e quell’aspetto
     Par che ’l natio rancor gli disacerbe51.
Vidi ’l campo ove Scipio giovinetto
     185Contro i punici dardi allo spirante
     Padre fe’ scudo del roman suo petto52.
Vidi l’umil Agogna53 intollerante
     Del suo fato novel; vidi la valle
     Cui nome ed ubertà fa la sonante
190Sesia54. Di là varcai per arduo calle
     L’alpe che55 il nutritor di molte genti
     Verbano56 adombra colle verdi spalle.
Quindi del Lario57 attinsi le ridenti
     Rive, e la terra ove alla luce aprîrsi
     195I solerti di Plinio occhi veggenti58;
Ed or l’odi di Volta insuperbirsi,
     Che vita infonde59 pe’ contatti estremi
     Di due metalli60 (maraviglia a dirsi!)
Nei membri già di pelle e capo scemi
     200Delle rauche di stagno abitatrici,
     E di Galvan ricrea gli alti sistemi.
I placidi cercai poggi felici
     Che con dolce pendío cingon le liete
     Dell’Eupili61 lagune irrigatrici;

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205E nel vederli mi sclamai: Salvete,
     Piagge dilette al ciel, che al mio Parini
     Foste cortesi di vostr’ombre quete62,
Quando ei fabbro di numeri63 divini,
     L’acre bile64 fe’ dolce e la vestía
     210Di tebani concenti e venosini65.
Parea de’ carmi tuoi66 la melodia
     Per quell’aure ancor viva, e l’aure e l’onde
     E le selve eran tutte un’armonia.
Parean d’intorno i fior, l’erbe, le fronde
     215Animarsi e iterarmi in suon pietoso:
     Il cantor nostro ov’è? chi lo nasconde?
Ed ecco in mezzo di ricinto ombroso67
     Sculto un sasso funèbre che dicea:
     Ai sacri mani68 di parin riposo.
220E donna69 di beltà che dolce ardea
     (Tese l’orecchio, e fiammeggiando il vate
     Alzò l’arco del ciglio, e sorridea70)
Colle dita venía bianco-rosate
     Spargendolo di fiori e di mortella,
     225Di rispetto atteggiata e di pietate71.
Bella la guancia in suo pudor; piú bella
     Su la fronte splendea l’alma serena,
     Come in limpido rio raggio di stella.

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Poscia che dati i mirti ebbe a man piena72,
     230Di lauro, che parea lieto fiorisse
     Tra le sue man, fe’ al sasso una catena;
E un sospir trasse affettuoso, e disse:
     Pace eterna all’amico: e te chiamando
     I lumi al cielo sí pietosi affisse,
235Che gli occhi anch’io levai, certa aspettando
     La tua discesa. Ah qual mai cura o quale
     Parte d’Olimpo ratteneati, quando
Di que’ bei labbri il prego erse73 a te l’ale?
     Se questa indarno l’udir tuo percuote,
     240Qual’altra ascolterai voce mortale?
Riverente in disparte alle devote
     Ceremonie assistea colle tranquille
     Luci nel volto della donna immote
Uom d’alta cortesia74, che il ciel sortille,
     245Piú che consorte, amico. Ed ei, che vuole
     Il voler delle care alme pupille,
Ergea d’attico gusto eccelsa mole75,
     Sovra cui d’ogni nube immacolato
     Raggiava immemor del suo corso il sole.
250E Amalia la dicea dal nome amato
     Di costei, che del loco era la diva
     E piú del cor che al suo congiunse il fato.
Al pio rito funèbre, a quella viva
     Gara d’amor mirando, già di mente
     255Del mio gir oltre la cagion m’usciva.
Mossi al fine; e quei colli ove si sente
     Tutto il bel di natura abbandonai,
     L’orme segnando al cor contrarie e lente76.

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Vagai per tutto: nel tugurio entrai
     260Dell’infelice, e il ricco vidi in grembo
     Dell’auree case piú infelice assai.
Salii, discesi, e risalii lo sghembo77
     Sentier di balze e fiumi, e, il mio cammino
     Oltre l’Adda78 affrettando ed oltre il Brembo,
265Alla tua patria giunsi, o pellegrino79
     Di Bergamo splendor che qui m’ascolti;
     E mesta la trovai del repentino
Tuo dipartire e lagrimosi i volti
     Su la morta di Lesbia80 illustre salma,
     270Che al cielo i vanni per seguirti ha sciolti.
Brillò di gaudio a quell’annunzio l’alma
     Dell’amoroso geomètra, e uscire
     Parve alcun poco dell’usata calma.
E già surto partìa, per lo desire
     275Di riveder quel volto che le penne
     Di Pindo ai voli gli solea vestire81;
Ma dignitosa coscienza82 il tenne
     E il narrar grave di quell’altro saggio,
     Che, precorso un sorriso83, cosí venne
280Seguitando il suo dir: Dritto il vïaggio
     Di là volsi al terren che il Mella84 irriga,
     Ricco d’onor, di ferro e di coraggio.
Quindi al Benàco85 che dal vento ha briga
     Pari al liquido grembo d’Amfitrite86
     285Quando irato Aquilon l’onde castiga.
Quindi al fiume87, ove tardi diffinite
     Fur l’italiche sorti, e non del duce

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     Ma de’ condotti il cor88 vinse la lite.
E l’Adige seguii fino alla truce89
     290Adria, ove stanchi già del lungo corso
     Trenta seguaci il re de’ fiumi90 adduce.
Tutto in somma il paese ebbi trascorso
     Che alla manca del Po tra ’l mare e ’l monte91
     Sente de’ treni cisalpini il morso.
295E di dolore, di bestemmie e d’onte
     Per tutto intesi orribili favelle,
     Che le chiome arricciar ti fanno in fronte:
Pianto di scarna plebe a cui la pelle
     Si figura dall’ossa92, e per le vie
     300Famelica suonar fa le mascelle:
Pianto d’orbi93 fanciulli e madri pie,
     D’erba e d’acqua cibate, onde94 di mulse
     E d’orzo sagginar95 lupi ed arpie:
Pianto d’attrite meschinelle, avulse96
     305Ai sacri asili97 e con tremanti petti i
     Di porta in porta ad accattar compulse98:
Pianto di padri, ahi lassi!, a dar costretti
     L’aver, la dote, e tutto, anche le poche
     Care memorie de’ piú sacri affetti:
310Cupi sospiri e voci or alte or fioche
     Di tutte genti, per gridar pietade
     E per continuo maledir già roche.
D’orror fremetti; e venni alla cittade
     Che dal ferro si noma99. O dalle Muse
     315Abitate mai sempre alme contrade,
Onde tanta pel mondo si diffuse
     Itala gloria e tal di carmi vena100
     Che non Ascra, non Chio101 la maggior schiuse,
D’onor, di cortesia nutrice arena,
     320Come giaci deserta! e dal primiero
     Splendor caduta, e di squallor sol piena!
Questi sensi io volgea nel mio pensiero,

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     Quando un’ombra102 m’occorse alla veduta
     Mesta sì, ma sdegnosa in atto altero.
325Sovresso103 un marmo sepolcral seduta
     Stava l’afflitta, e della manca104 il dosso
     Era letto alla guancia irta e sparuta.
Ombrata avea di lauro non mai scosso105
     La spazïosa fronte e sui ginocchi
     330Epico plettro, che dall’aura mosso
Dir fremendo parea: Nessun mi tocchi.
     Ver’ lui mi spinsi, e dissi: O tu che spiri
     Dolor cotanto e maestà dagli occhi,
Soddisfami d’un detto a’ miei desiri;
     335Parlami ’l nome tuo, spirto gentile.
     Parlami la cagion de’ tuoi sospiri;
Se nulla106 puote onesto prego umile.

Varianti

[p. 159 modifica] [p. 160 modifica]N. B. Le varianti de’ canti IV e V, oltre che da alcune delle stampe dette (cfr. p. 135), sono state ricavate dal v. IV delle Opere inedite e rare di V. M.: Piacenza, Del Maino, 1834, che s’indica con un O.

37. Sta su le soglie a piè (O.) Sta su le valve (L.).
38. Il favor che bizzarro (O.).
41. e al fianco hanno per tutto (O.).
44. e sua ragion gli è scorta, (O.).

[p. 161 modifica]

52. Questo vidi (O.).

[p. 162 modifica]

90. Di maggior danno, autorità prudente (O.). Di maggior danno, e inerme, dipendente, (L.). N
91. Che far dovea? — Ciò ch’io già fe’, deporse (O.).
107. Tal si stette Lorenzo (O.).

[p. 163 modifica]

123. Avea gli atti, il crin mozzo ed il mantello (O.).
131-2. qual è falso testimonio Pel quarto e meno ancor d’un leopoldo (O.).
140. V’ha chi truffa, chi ciurma, chi quadre (O.).
145. Altri schiuma di preti (O.).

[p. 164 modifica]

148. Tutto strame (O.).
151. E questa ciurma s’è colei (O.).
168. nel core si trapianta (C.).

[p. 165 modifica]

202-258. Questi versi sul monumento del Parini sono nel testo quali il M. li pubblicò insieme coi Sepolcri del Foscolo e del Pindemonte nel 1808 in Brescia: qui reco le varianti (che son quelle senza indicazione) della prima forma ch’ebbero dal poeta, quale si legge in alcune stampe della Mascheroniana e anche nel Resnati.

[p. 166 modifica]

208-16. E lui spiraste i numeri divini, Che sovente obliar fêro ad Apollo I tebani concenti e i venosini. Io le mirava, e non venia satollo Mai del mirar; ché rapido il piacere L’un dall’altro sorgea come rampollo: Quando un accento non lontan mi fère Che il tuo nome suonava. Disïoso Donde quel suono uscía corsi a vedere.
211. de’ carmi suoi (O.).
220. Ed una non so ben se donna o dea (Cosí legge anche l’ediz. C.).
221-2. (Tese l’orecchio, aguzzò gli occhi il vate, E spianava le rughe e sorridea)

[p. 167 modifica]

229. poscia che dato (Cosí legge anche l’ediz. C.).
235-240. Che gli occhi anch’io levai, fermo aspettando Che tu scendessi, e vidi che mortale Grido agli eterni non salia piú, quando Il costei prego a te non giunse; il quale Se alle porte celesti invan percote, Per là dentro passar null’altro ha l’ale.
242. Cerimonie (O.).
247-9. Sol per farle contente, eccelsa mole D’attico gusto ergea, su cui fermato Pareami in cielo, per gioirne, il sole.
251. Di colei,

253. Al pietoso olocausto 255. la ragion m’usciva [p. 168 modifica]

261. De suoi tesori (O.).
274. E già surto movea (O.).
279-80. Che sorrise alcun poco, e il suo dir venne Seguitando cosi: Dritto (O.).

[p. 169 modifica] [p. 170 modifica]

328. Ombrosa avea (C).

Note

  1. 1. Sacro di patria amor ecc.: «Si può dire che quasi tutte le... dipinture di città, di parti politiche, di nequizie e di miserie pubbliche, e specialmente di personaggi che assunti in cielo non parlano di altro che dell’Italia, sono realtà viva, immediatamente colta e convertita in arte. Quei loro discorsi, poi, rivelano un amor patrio quasi dantesco; come sono eziandio di stampa dantesca quelle, direi, rassegne di città italiane e quei particolari geografici che comunicano la massima evidenza alle cose descritte». Zumb.. p. 181.
  2. 7. con gli affetti ecc.: co’ sentimenti della vita mortale.
  3. 8. di quel pianeta ecc.: della terra.
  4. 11. il patrio nido: Milano.
  5. 16. operose: piene d’operai e di lavoro. - di volanti ecc.: Virgilio Georg. III. 107: volat vi fervidus axis.
  6. 18. Questo verso corrisponde, in qualche modo al quindicesimo; ché le Grazie son quelle che rendono specialmente care le donne, e Amore quello che infiamma
  7. 24. Antenòra... Caina: due de quattro spartimenti in che è diviso l’ultimo cerchio dell’inferno dantesco, ove sono puniti i traditori de’ parenti e della patria. Cfr. c. XXXII, passim.
  8. 27. Radamanto: uno de’ tre giudici dell’inferno pagano. Gli altri due erano Eaco e Minosse. Cfr. Virgilio En. VI, 566.
  9. 28. Dell’albergo fatal: dell’infausto palazzo, sede del governo. Cfr., per una descrizione consimile, i vv. 25 e segg.. p. 63.
  10. 29. Le Cabale pensose: gl’intrighi, che pensano come poter bene ingannare. Inutile aggiungere che qui le Cabale e gli altri vizi sono personificati.
  11. 30. Che per vestirsi ecc.: Parini (Od. III, 43), dell’Impostura: «I suoi dritti il merto cedo A la tua divinitade, E virtú la sua mercede».
  12. 37. valve: imposte delle porte (lat.).
  13. 42. Colei ecc.: la disperazione.
  14. 47. borre: carte dimenticate. È detto in senso dispregiativo e figurato, ché borra è cimatura di panno o ammasso di peli che s’adopera per imbottire cuscini od altro.
  15. 50. quella piova ecc.: la pioggia dell’oro, sotto forma della quale Giove arrivò a penetrare nella torre ove Acrisio re d’Argo aveva rinchiusa la figliuola Danae. Cfr. Orazio Od. III, xvi, 1 e segg.
  16. 52. in cui si cova ecc.: Parini Od. X, 63: «Colà dove nel muto Aere il destin de’ popeli si cova».
  17. 57. La figlia ecc.: la Cisalpina.
  18. 60. la maciulla: la dirompe «a guisa di maciulla». Dante Inf. xxxiv, 56.
  19. 64. fra gli specchi: in mezzo alle ricchezze e agli ornamenti.
  20. 65. che non unge: spolpato del tutto. — arcigna: e auche questo a malincuore,
  21. 70. logra zona: in logora cintura, veste.
  22. 76. Or la forza ecc.: ora la forza per mezzo delle tasse le invia la pubblica ricchezza, che viene in tal modo distrutta.
  23. 78. Perdendo merca ecc.: riceve prestiti, che le costano un occhio e le sono d’umiliazioue.
  24. 84. lo rimpozza: lo ricaccia in quel pozzo, ch’è il suo ventre.
  25. 90. dependente: soggetta al Direttorio francese, che la teneva come schiava.
  26. 94. romito: raccolto. Dante Purg. vi, 72: «E l’ombra, tutta in sé romita, Surse...».
  27. 95. Dei delitti ecc.: il Beccaria.
  28. 96. garrito: rampogna.
  29. 103. espresso: narrato.
  30. 110. il generoso fiele: il nobile sdegno.
  31. 112. precordii: le parti aderenti al cuore: qui, il cuore stesso.
  32. 119. Depurata: Depurare voleva dire, nel gergo d’allora, togliere od escludere dagli uffici pubblici tutti quelli, anche valonti ed onesti, che fossero non
  33. 122. di Bruto: repubblicano.
  34. 125. da questa d’Italia: Chiamando fogna anche il resto d’Italia, indica ch’erano eguali a’ ricordati i vizi che deturpavano i repubblicani dello altre province venuti in Lombardia.
  35. 126. proterva: arrogante, sfacciata.
  36. 129. scopa... gogna: De’ malfattori. alcuni si frustavano (scopa), altri si ponevano alla berlina (gogna).
  37. 150. repe: striscia come rettile (lat.). Marchetti Lucr. III, 160: «Non sentiamo Il cheto andar d’ogn’animal che repa».
  38. 132. leopoldo: moneta austriaca, cosí detta dal nome dell’imperatore di cui recava l’effige.
  39. 134. le funi e la Senavra impetra: merita (impetra), come pazzo, d’esser mandato alla Senavra (manicomio fuor di Milano) e legato colle funi, perché furente. Qui non può alludere, come parve ad alcuni, al Lattanzi, che fu alla Senavra sì, ma dopo la composizione della Mascher. Quanto all’elocuzione, si noti la chiara e bella endiadi le funi e la Senavra per le funi della Senavra.
  40. 135. biscazza: disperde giocando.
  41. 136. V’ha chi ecc.: «L’accocca di nuovo al Gianni, cui dice segnato da Dio, perché era gobbo. — Vetra, piazza in Milano ove si faceva giustizia de’ malfattori». Mg. — ventoso: vuoto.
  42. 139. salta ecc.: diventa di ciabattino tribuno.
  43. 140. chi versuto ecc.: chi, astuto ingannatore, fa veder nero il bianco, pur non essendo mago.
  44. 144. il solco: la via alla generazione. In questo senso l’usarono anche l’Alamanni (Colt. II, 51) e il Marchetti (Lucr. IV, 277).
  45. 145. Altri ecc.: «Fu in que’ tempi di depravata libertà in cui si videro preti e frati apostatare tra le oscene danze intorno all’albero della libertà; o predicare intolleranti e feroci principii d’irreligione o di
  46. 150. de’ vizi il bulicame: il bollente fiume de’ vizi. Bulicame, propriamente, era una scaturigine d’acqua calda presso Viterbo, resa celebre da Dante (Cfr. Inf. xiv, 79), che usa bulicame anche nel general significato di sangue bollente: Cfr. Inf. xii, 128.
  47. 155. Lue: peste.
  48. 156. Perché pigra ecc.: Dante Par. xxvii, 57: «O difesa di Dio, perché pur giaci?».
  49. 161. piacqui: compiacqui.
  50. 179. Al longobardo piano ove ecc.: alle pianure di Pavia, ove il 24 febbraio 1525 avvenne la famosa battaglia in cui Francesco I (1494-1547), re di Francia, fu fatto prigioniero
  51. 183. che ’l natio ecc.: che ingentilisca quella rozzezza di sentimenti ch’egli ebbe da natura.
  52. 184. ove ecc.: ove accadde la battaglia del Ticino (vinta da Annibale), in cui restò ucciso Paolo Emilio, invano difeso dal figlio suo adottivo P. Cornelio Scipione, soprannominato poi l’Africano.
  53. 187. Agogna: fiumicello alla destra di Novara, la «quale, tolta alla repubblica cisalpina, era passata proprio allora a far parte del dipartimento della Sesia.
  54. 188. la valle ecc.: la Val Sesia, che prende nome dal fiume principale che la bagna.
  55. 191. che: È soggetto.
  56. 192. Verbano: il piú grande de’ laghi subalpini d’Italia, che però si chiama Lago Maggiore, ed è formato dal Ticino.
  57. 193 Lario: il lago di Como il quale, partendo dalle falde delle Alpi Rezie, si stende da settentrione a mezzogiorno, e a Bellagio si divide in due rami, orientale l’uno verso Lecco, occidentale l’altro verso Como. Lario è il nome che gli dà anche Virgilio: cfr. Geor. II, 159.
  58. 194. la terra ecc.: Como, che fu patria del grande naturalista Autore:Plinio il vecchio (23-79 d. C.). - Di terra per città s’hanno moltissimi esempi in Dante. Cfr. Inf. v, 97; viii, 130; ix, 104; xvi, 9, xx, 98; xxi, 40; xxvii, 43; Purg. vi, 75; Par. ix, 92 ecc.
  59. 197. Che vita ecc.: Accenna alla teoria del magnetismo animale e dell’elettricità, scoperta dal bolognese Luigi Galvani (1737-1798) e perfezionata da Alessandro Volta, comasco (1745-1827), per mezzo dell’invenziono della pila, a cui se si attacca una rana (le rauche ecc.) scorticata e senza capo, salta quasi come se fosse viva.
  60. 198. due metalli: lo zinco e il rame.
  61. 204. Eupili: cosí era chiamato dagli antichi il lago di Pusiano in Brianza (cfr. Plinio St. N. III, 23), presso il quale sorge il paesello di Bosisio, che fu patria di G. Parini. Od. 1,33: «Colli beati o placidi Che il vago Eupili mio Cingete con dolcissimo
  62. 207. cortesi di vostr’ombre quete: Parini Od. I, 41: «Già la quiete, a gli uomini Sí sconosciuta, in seno De le vostr’ombre apprestami Caro albergo sereno».
  63. 208. numeri: armonie, versi.
  64. 209. L’acre bile ecc.: addolcí degli allettamenti dell’arte la bile che gli ferveva in petto contro i vizi del suo tempo. Allude, com’è manifesto, al Giorno.
  65. 210. Di tebani ecc.: de’ suoni della poesia pindarica e oraziana.
  66. 211. tuoi: perché il Verri parla al Parini.
  67. 217. L’avv. Rocco Marliani nella sua villa, che, dal nome della moglie, chiamò Amalia, posta su una collina di Erba, donde si scorgeva il lago di Pusiano, fece erigere all’amico Parini un monumento, protetto da lauri, e incidervi sopra i vv. di lui, un po’ mutati, che servono di chiusa all’ode XVII: «Qui ferma il passo, e attonito Udrai del tuo cantore Le commosse reliquie Sotto la terra argute sibilar».
  68. 219. Mani: cosí chiamavano gli antichi le anime de’ buoni morti.
  69. 220. donna: la sposa del Marliani.
  70. 221. Tese ecc.: Per mezzo di questi atti vuole il p. significare l’ammirazione vivissima, che della bellezza femminile ebbe sempre il Parini.
  71. 225. Di rispetto ecc.: Ricorda, per la forma del verso, il dantesco (Purg. x, 78): «Di lagrime atteggiata e di dolore».
  72. 229. dati i mirti ecc.: Virgilio En. VI, 883: Manibus date libia plenis. Cfr. anche Dante Purg. xxx, 21.
  73. 238. erse: elevò.
  74. 244. Uom ecc.: il Marliani.
  75. 247. eccelsa mole: la villa detta.
  76. 258. L’orme ecc.: cfr. il v. 57, p. 53 e la nota corrispondente.
  77. 262. sghembo: tortuoso.
  78. 264. L’Adda sorge dalle Alpi Rezie, bagna per il lungo tutta la Valtellina, entra nel lago di Como, passa per le terre e vicino alle mura di Lodi e, dopo un corso di 282 chilometri circa, si scarica nel Po a 11 chilometri sopra Cremona. — Brembo: affluente dell’Adda presso Bergamo.
  79. 265. pellegrino: raro, insigne. Petrarca P. I, son. 159: «Leggiadria singolare e pellegrina».
  80. 269. Lesbia: la Grismondi. Cfr. la nota d’introd.
  81. 275. che le penne ecc.: che gli soleva essere ispirazione al poetare. Dante Par. xv, 53: «colei (Beatrice) Ch’all’alto volo ti vestì le piume». Cfr. anche Par. xxv, 49 e seg.
  82. 277. dignitosa coscienza: cfr. Dante Purg. i, 8.
  83. 279. precorso un sorriso: avendo prima sorriso.
  84. 281. Mella: il «biondo Mela» del Pindemonte (Sep., 1), fiume che scorre vicino a Brescia.
  85. 283. Benàco: il lago di Garda, chiamato dagli antichi Benaco. Cfr. Plinio St. N. II, 106. Virgilio (Georg. II, 160) fa testimonianza delle gravi tempeste che alle volte lo turbano: Fluctibus et fremitu assurgens Benace marino. — che dal vento ha briga: Dante Par. vii, 68, «il golfo Che riceve da Euro maggior briga».
  86. 284. d’Amfitrite: del mare. Cfr. la nota al v. 100 del Serm. sulla Mit.
  87. 286. al fiume ecc.: all’Adige formato da molti piccoli ruscelli che nascono dalle Alpi Elvetiche, e bagna Trento, Roveredo, Verona,
  88. 288. de’ condotti il cor: il coraggio de’ soldati austriaci.
  89. 289. truce: tempestosa.
  90. 291. il re de’ fiumi: cfr. la nota al v. 88, p. 127.
  91. 293. tra ’l mare e ’l monte: tra le Alpi e l’Adriatico.
  92. 298. a cui la pelle ecc.: cfr. la nota al v. 31, p. 63.
  93. 301. orbi: orfani.
  94. 302. onde: in senso finale si costruisce col congiuntivo assai meglio che, come qui, con l’infinito. Cfr. Ariosto XII, 46 e XVI, 46; Parini Od. IV, 113 ecc. — mulse: acque con miele.
  95. 303. sagginar: ingrassare.
  96. 304. avulse: strappate (lat. ).
  97. 305. Ai sacri asili: ai conventi.
  98. 306. compulse: spinte.
  99. 313. alla cittade ecc.: a Ferrara.
  100. 317. tal di carmi vena: Allude specialmente all’Ariosto e al Tasso, che poetarono, come tutti sanno, alla corte «di Ferrara.
  101. 318. Ascra... Chio: l’una patria di Esiodo, l’altra una delle sette che si contesero il vanto d’aver dato i natali ad Omero.
  102. 323. un’ombra: quella dell’Ariosto.
  103. 325. Sovresso: cfr. la nota al V. 127, p. 88.
  104. 326. e della manca ecc.: Dante Purg. vii, 107: «L’altro vedete c’ha fatto alla guancia Della sua palma, sospirando, letto».
  105. 328. non mai scosso: vuol dire che la fama dell’Ariosto non è mai venuta meno.
  106. 337. nulla: qualche cosa.