In morte di Lorenzo Mascheroni (1891)/Canto quinto

Canto quinto

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Canto quarto
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CANTO QUINTO

Contenuto: L’ombra, ch’è poi dal Verri riconosciuta per quella dell’ Ariosto, rimprovera l’Italia d’esser fetida sentina d’ogni vizio, e d’aver abbandonato il valore antico; quindi risponde d’essersi là recata per la traslazione che la patria pietosa fece delle sue ceneri ( 1-51 ). Ma venuta non fosse, che non l’avrebbe veduta oppressa (52-66). Nel mentre, avviene sul territorio ferrarese un’innondazione dei fiumi Reno e Panaro, cui s’aggiunge un turbine feroce, che schianta alberi e distrugge raccolti: fuggono spaventati e impoveriti gli abitanti, i lamenti dei quali non ascolta il governo, che pensa soltanto a sé (67-147). L’ombra dell’Ariosto manda un grido e sparisce; e il Verri passa a Bologna, a Modena, a Reggio, assai mutate da quel che furono (148-221). La narrazione è interrotta da una voce che grida: «pace al mondo», cui risponde festante il cielo. I quattro spiriti si volgono dalla parte donde venne la voce, e veggono uscire dalla Senna un fiume di luce e in mezzo ad esso un eroe, che ripone la spada nel fodero ed offre l’olivo alla nemica d’Europa, l’Inghilterra (222-246). Tutte le deità marine, già timorose della guerra, escono festose a galla, e il Commercio si ridesta a rinvigorire di novella vita l’Europa e l’Italia, se vorrà liberarsi de’ malvagi e se i suoi reggitori sapranno adempierne tutte le speranze (247-288). [p. 171 modifica]

Non mi fece risposta quell’acerbo1,
     Ma riguardommi colla testa eretta
     A guisa di leon queto e superbo2.
Qual uomo io stava che a scusar s’affretta
     5Involontaria offesa, e piú coll’atto
     Che col disdirsi umíl fa sua disdetta3.
E lo spirto parea quei che distratto
     Guata un oggetto e in altro ha l’alma intesa,
     Finché dal suo pensier sbattuto e ratto4
10Gridò con voce d’acre bile accesa:
     «Oh d’ogni vizio fetida sentina5,
     «Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa
Ch’or questa gente or quella è tua reina
     Che già serva ti fu? Dove lasciasti,
     15Poltra vegliarda, la virtú latina?
La gola e ’l sonno6 ti spogliâr de’ casti
     Primi costumi, e fra l’altare e ’l trono
     Co’ tuoi mille tiranni adulterasti7;
E mitre e gonne e ciondolini8 e suono
     20Di molli cetre abbandonar ti fenno
     Elmo ed asta e tremar dell’armi al tuono.
Senza pace tra’ figli e senza senno,
     Senza un Camillo, a che stupir, se avaro9
     Un’altra volta a’ danni tuoi vien Brenno10?
25Or va’! coltiva il crin, fatti riparo
     Delle tue psalmodíe11: godi, se puoi,
     D’aver cangiato in pastoral l’acciaro!
Tacque ciò detto il disdegnoso. I suoi
     Liberi accenti e al crin gli avvolti allori,
     30De’ poeti superbia e degli eroi12,
M’eran già del suo nome accusatori13,
     All’intelletto mio manifestando
     Quel grande che cantò l’armi e gli amori14.
Perch’io, la fronte e ’l ciglio umíl chinando,
     35Oh gran vate, sclamai, per cui va pare15

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     D’Achille all’ira la follia d’Orlando!
Ben ti disdegni a dritto, e con amare
     Parole Italia ne rampogni, in cui
     Dell’antico valore orma non pare.
40Ma dimmi, o padre: chi da’ marmi bui16
     Suscitò l’ombra tua? — Concittadino17
     Amor, rispose; e dirò come il fui18.
Fra i boati di barbaro latino1920
     Son tre secoli omai ch’io mi dormía
     45Nel tempio sacro al divo di Cassino.
Pietosa cura della patria mia
     Qui concesse piú degna e taciturna
     Sede alla pietra che il mio fral21 copría.
Fra il canto delle Muse alla dïurna
     50Luce fui tratto: e la mia polve anch’essa
     Riviver parve e s’agitò nell’urna.
Ma desto non foss’io, ché manomessa
     Non vedrei questa terra e questi marmi
     Molli del pianto di mia gente oppressa!
55Oh qualunque tu sia, non dimandarmi
     Le sue piaghe, per Dio!, ma trar m’aita
     Di lassú22 la vendetta a consolarmi.
Di ragion, di pietade hanno schernita
     I tiranni la voce; e fu delitto
     60Supplicare e mostrar la sua ferita.
Fu chiamato ribelle ed interditto23

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     Anche il sospiro, e il cittadin fedele
     Or per odio percosso, or per profitto:
E le preghiere intanto e le querele
     65Derise e storpie gemono alle porte
     Inesorate24 di pretor crudele.
Mentr’egli si dicea, ferinne un forte
     Muggir di fiumi, che tolte le sponde
     S’avean sul corno25, orror portando e morte.
70Stendean Reno e Panár le indomit’onde
     Con immensi volumi26 alla pianura;
     E struggendo venían le furibonde
La speranza de’ campi già matura.
     Co’ piangenti figliuoi fugge compreso
     75Di pietade il villano e di paura;
Ed, uno in braccio e un altro per man preso,
     Ad or ad or si volge, e studia27 il passo
     Pel compagno tremando e per lo peso28;
Ch’alto il flutto l’insegue, e con fracasso
     80Le capanne ingoiando e i cari armenti
     Fa vortice di tutto e piomba al basso.
Ed allora un rumor d’alti lamenti,
     Un lagrimare, un dimandar mercede,
     Con voci che farían miti i serpenti29.
85Ma non le ascolta chi in eccelso siede
     Correttor delle cose, e con asperso
     Auro di pianto al suo poter provvede30.
Mentre che d’una parte in mar converso
     Geme il pian ferrarese, ecco un secondo
     90Strano lutto dall’altra e piú diverso31.
In terra, in mare e per lo ciel profondo
     Ecco farsi silenzio; il sol tacere32
     All’improvviso, e parer morto il mondo.
Le nubi in alto orribilmente nere,
     95Altre stan come rupi, altre ne miri

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     Senza vento passar basse e leggiere.
Tutti dell’aure i garruli sospiri
     Eran queti, e le foglie al suol cadute
     Si movean roteando in presti giri.
100D’ogni parte al coperto le pennute
     Torme33 accorrono, e in téma di salvarse
     Empiono il ciel di querimonie acute.
Fiutan l’aria le vacche, e immote e sparse
     Invitan sotto alle materne poppe
     105Mugolando i lor nati a ripararse.
Ma con muso atterrato e avverse34 groppe
     L’una all’altra s’addossano le agnelle,
     Pria le gagliarde e poi le stanche e zoppe.
Cupo regnava lo spavento; e in quelle
     110Meste sembianze di natura il core
     L’appressar già sentía delle procelle:
Quando repente udissi alto un rumore,
     Qual se a tuoni commisto giú da’ monti
     Vien di molte e spezzate acque il fragore.
115Quindi un grido: Ecco il turbo: e mille fronti
     Si fan bianche; e le nebbie e le tenèbre
     Spazza il vento sí ratto, che piú pronti
Vanno appena i pensier. S’alza di crebre
     Stipe35 un nembo e di foglie e di rotata36
     120Polvere, che serrar fa le palpebre.
Mugge volta a ritroso e spaventata
     Dell’Eridano37 l’onda, e sotto i piedi
     Tremar senti la ripa affaticata38.
Ruggiscono le selve; ed or le vedi
     125Come fiaccate rovesciarsi in giuso
     E inabbissarsi se allo sguardo credi:
Or gemebonde rïalzar diffuso
     L’enorme capo, e giú chinarlo ancora,
     Qual pendolo che fa l’arco all’insuso39.
130Batte il turbo crudel l’ala sonora40,

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     Schianta, uccide le mèssi e le travolve,
     Poi con rapido vortice le vora41;
E tratte in alto le diffonde e solve
     Con immenso sparpaglio. Il crin si straccia
     135Il pallido villan, che tra la polve
Scorge rasa de’ campi già la faccia,
     E per l’aria dispersa la fatica
     Onde ai figli la vita e a sè procaccia,
E percosso l’ovil, svelta l’aprica42
     140Vite appiè del marito olmo, che geme
     Con tronche braccia su la tolta amica.
Oh giorno di dolor! giorno d’estreme
     Lagrime! E crudo chi cader le vede
     E non le asciuga, ma piú rio le spreme!
145E chi le spreme? Chi in eccelso siede
     Correttor delle cose, e con òr lordo
     Di sangue e pianto al suo poter43 provvede.
Poi che al duol di sua gente ogni cor sordo
     Vide il cantore della gran follía44
     150E di pietà sprezzato ogni ricordo,
Mise un grido e spari. Mentre fuggía,
     Si percotea l’irata ombra la testa
     Col chiuso pugno e mormorar s’udía.
Già il sol cadendo raccogliea la mesta
     155Luce dal campo della strage orrenda;
     Ed io, com’uom che pavido si desta
Né sa ben per timor qual via si prenda45,
     Smarrito errava, e alla città46 giungea
     Che spinge obliqua al ciel la Garisenda47.
160Cercai la sua grandezza; e non vedea
     Che mestizia e squallor, tanto che appena
     Il memore pensier la conoscea.
Ne cercai l’ardimento; e nella piena

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     De’ suoi mali esalava48 ire e disdegni
     165Che parean di lion messo in catena.
Ne cercai le bell’arti e i sacri ingegni
     Che alzar sublime le facean la fronte
     E toccar tutti del sapere i segni49;
Ed il felsineo vidi Anacreonte50
     170Cacciato di suo seggio, e da profani
     Labbri inquinato d’eloquenza il fonte.
Vidi in vuoto liceo51 spander Palcani
     Del suo senno i tesori, e in tenebroso
     Ciel la stella languir di Canterzani52;
175E per la notte intanto un lamentoso
     Chieder pane s’udia di poverelli,
     Che agli orecchi toglieva ogni riposo.
Giacean squallidi, nudi, irti i capelli53,
     E di lampe notturne al chiaror tetro
     180Larve uscite parean dai muffi avelli.
Batte la fame ad ogni porta, e dietro
     Le vien la febbre e l’angoscia e la dira54
     Che locato il suo trono ha sul ferètro.
Mentre presso al suo fin l’egro sospira,
     185Entra la forza e grida: Cittadino,
     Muori, ma paga: e il miser paga e spira.
Oh virtú! come crudo è il tuo destino55!
     Io so ben che piú bello è mantenuto
     Pur dai delitti il tuo splendor divino:
190So che sono gli affanni il tuo tributo56:
     Ma perché spesso al cor che ti rinserra.
     Forz’è il blasfema proferir di Bruto57?

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Con la sventura al fianco su la terra58
     Dio ti mandò, ma inerme ed impotente
     195De’ tuoi nemici a sostener la guerra;
E il reo felice e il misero innocente
     Fan sull’eterno provveder pur anco
     Del saggio vacillar dubbia la mente59.
Come che intorno il guardo io mova e ’l fianco60,
     200Strazio tanto vedea, tante ruine,
     Che la memoria fugge e il dir vien manco61.
Langue cara a Minerva e alle divine
     Muse la donna del Panár62, né quella
     Piú sembra che fu invidia alle vicine:
205Ma sul Crostolo63 assisa la sorella
     Freme, e l’ira premendo in suo segreto
     Le sue piaghe contempla e non favella.
Freme Emilia; e col fianco irrequïeto
     Stanca del rubro fiumicel64 la riva
     210Che Cesare saltò, rotto il decreto.
E de’ gemiti al suon che il ciel feriva,
     D’ogni parte iracondo e senza posa
     L’adriaco flutto ed il tirren muggiva.
Ripetea quel muggir l’Alpe pietosa,
     215E alla Senna il mandava, che pentita
     Dell’indugio pareva e vergognosa.
E spero io ben che la promessa aita
     Piena e presta sarà, ché la parola
     Di lui65 che diella non fu mai tradita:
220Spero io ben che il mio Melzi66, a cui rivola
     Della patria il sospiro... E piú bramava

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     Quel magnanimo dir; ma nella gol
Spense i detti una voce che gridava:
     Pace al mondo: e quel grido un improvviso
     225Suon di cetere e d’arpe accompagnava.
Tutto quanto l’Olimpo era un sorriso
     D’amor; né dirlo né spiegarlo appieno
     Pur lingua lo potria di paradiso.
Si rizzâr tutte e quattro in un baleno
     230L’alme lombarde in piedi; e ver’ la plaga67,
     D’onde il forte venia nuovo sereno,
Con pupilla cercâro intenta e vaga
     Quest’atomo rotante68, ove dell’ire
     E degli odii si caro il fio si paga.
235E largo un fiume dalla Senna uscire
     Vider di luce, che la terra inonda
     E ne fa parte al ciel nel suo salire.
Tutto di lei si fascia e si circonda
     Un eroe, del cui brando alla ruina69
     240Tacea muta l’Europa e tremebonda.
Ed ei l’amava: e, nella gran vagina
     Rimesso il ferro, offrí l’olivo al crudo70

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     Avversario maggior della meschina;
E col terror del nome e coll’ignudo
     245Petto e col senno disarmollo, e pose
     Fine al lungo di Marte orrido ludo71.
Sovra il libero mar le rugiadose
     Figlie di Dori72 uscîr, che de’ metalli
     Fluttuanti il tonar tenea nascose:
250Drimo, Nemerte, e Glauce73 de’ cavalli
     Di Nettuno custode, e Toe74 vermiglia
     Di zoofiti75 amante e di coralli;
Galatea che nel sen della conchiglia
     La prima perla invenne, e Doto e Proto,
     255E tutta di Nerèo l’ampia famiglia;
Tra cui confuse de’ Tritoni a nuoto
     Van le torme proterve. In mezzo a tutti
     Dell’onde il re76 da’ gorghi imi commoto
Sporge il capo divino, e, al carro addutti
     260Gli alipedi77 immortali, il mar trascorre
     Su le rote volanti e adegua i flutti.
Cade al commercio, che ritorte abborre,
     Il britannico ceppo; e per le tarde78
     Vene la vita che languía ricorre.
265Al destarsi, al fiorir delle gagliarde

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     Membra del nume79, la percossa ed egra
     Europa a nuova sanità riarde;
Nuova lena le genti erge e rintegra,
     E tu di questo, o patria mia, se saggio
     270Farai pensiero, andrai piú ch’altri allegra;
E le piaghe tue tante e l’alto oltraggio
     Emenderai, che fêrti anime ingorde
     Di libertà piú ria che lo servaggio,
Anime stolte, svergognate e lorde
     275D’ogni sozzura. Or fa che tu ti forba80
     Di tal peste, e il passato ti ricorde.
E voi81 che in questa procellosa e torba
     Laguna di dolore82 il piè ponete,
     Onde il puzzo purgarne che n’ammorba;
280Voi ch’alla mano il temo vi mettete
     Di conquassata nave (e tal vi move
     Senno e valor, che in porto la trarrete);
Voi della patria le speranze nuove
     Tutte adempite; e, di giustizia il telo83
     285Animosi vibrando, udir vi giove
Che disse in terra e che poi disse in cielo
     Lo scrittor dei delitti e delle pene84:
     Ei di parlarvi, e voi, rimosso il velo85,
D’ascoltar degni il ver che v’appartiene.

Varianti

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328. Ombrosa avea (C).

[p. 171 modifica] [p. 172 modifica]

36. all’ire (O.).
39. Dell’antico valor (O.).
40. Ma dinne, o padre (O.).
43. Fra boati (O.).

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62. Anco sl sospiro (O.).
78. Per lo campo tremando (C.).
82. Ed allora un sonar (O.).
89. ecco il secondo (C.).

[p. 174 modifica]

125. Come falciate rovesciarsi (C.).
128. e giú curvarlo ancora (C.). — e giú tornarlo ancora (O.).

[p. 175 modifica]

133. E tutte in alto (O.). [p. 176 modifica]
164. Velava ire e disdegni (O.).
180. dai mesti avelli (C.).
182. e l’agonia e la dira (C.).

[p. 177 modifica]

199. e il fianco (O.).
202. Piange cara a Minerva (O.).
217. Spero ben che (O.).
221. il sospir ... (O.).

[p. 178 modifica]

225. Suono di cetre (C.).
232. Con pupilla cercar (L.).
235. L’ediz. L. reca di questo verso e de’ segg. la variante che da essa riporto: E dall’antica parte al ciel salire Vider fosca e tremenda una figura, Che passando fa gli astri impallidire. Venía ravvolta di sanguigna e scura Meteora, e tutta la celeste traccia Seminava di lampi e di paura; Qual lugubre cometa che si slaccia Gli orridi crini, e l’atterrita terra Dislocar da’ suoi cardini minaccia. Era questi il nemboso angiol di guerra, Che al ciel torna traendo in suo sentiero Le procelle adunate in Inghilterra. Solo ei torna, dappoi che il gran guerriero, Cui fu da Dio spedito, al suo rivale Cesse del mondo il disputato impero. Pigra la forza allor delle bianch’ale L’almo di pace portator non tenne, Ma piú veloce di partico strale Sull’atlantico mar sciolse le penne, E le d’olivo sospirate fronde Sul colmo infisse delle brune antenne, Alto gridando: Libertà dell’onde: E l’onde che l’udîr, liete da tutti Corsero i seni a carezzar le sponde. Surse libero allora il re de’ flutti, E, dalle stalle d’Etiopia algose Gli alipedi immortali al caro addutti, Fuor de’ gorghi chiamò le rugiadose Figliuole di Nereo che de’ metalli Fluttuanti il tonar tenea nascose; Glauce che i verdi di Nettun cavalli Pasce d’ambrosia, e Drimo, e Spio vermiglia, Di zoofiti amante e di coralli, Galatea che nel sen della conchiglia La prima perla invenne, e Doto, e

[p. 179 modifica]Proto; Scorta è l’una al nocchier quando periglia; L’altra a Freio condusse dal remoto Nilo de’ Franchi il salvator, delusa L’anglica rabbia e de’ malvagi il vóto. Nisea pur v’era, e Xanto ed Aretusa Dai pronti dardi, e tutta alfin di Dori La diva prole co’ Triton confusa. Venian danzando a torme e di canori Inni allettando i venti e il mar molcendo Cui dolce increspa l’amator di Clori. Cantavan l’ira dell’eroe tremendo, Del cui ferro poc’anzi la ruina Crollò l’Europa e la salvò vincendo; Ché solo per dar pace alla meschina La spada ei trasse, e, l’arroganza doma De’ superbi, la rese alla vagina. Dicean come d’allòr carca la chioma Stese all’Anglo la man come il cor nudo, Cui non vide l’egual la prisca Roma; E il terror solo del gran nome al crudo Nemico oppose, e disarmollo; e l’empio Finí di Marte il sanguinoso ludo. Tu la discordia ancor che rio fe’ scempio Della tua patria hai vinta, e la stringesti Nel chiuso di Bellona orrido tempio.

247. Sopra (O.).
259. Sporge il capo divin (O.).
262. Cadde al commercio (O.).

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Note

  1. 1. acerbo: superbo, indomito: usato in questo senso metaforico anche da Dante. Inf. xxv, 18: «Ov’è, ov’è l’acerbo?».
  2. 3. A guisa ecc.: Dante Purg. vi, 66: «A guisa di leon quando si posa».
  3. 6. disdetta: ritrattazione.
  4. 9. sbattuto e ratto: scosso e rapito.
  5. 11. Oh d’ogni vizio ecc.: Son due versi dell’Ariosto stesso (XVII, 76).
  6. 16. La gola ecc.: Ricorda quel notissimo del Petrarca (P. III, son. 1): «La gola e ’l sonno e l’ozïose piume Hanno dal mondo ogni vertú sbandita».
  7. 18. adulterasti: cfr. la nota al v. 16, p. 122.
  8. 19. ciondolini: qui, lusso.
  9. 23. avaro: pol desiderio che ha di ricchezze.
  10. 24. Brenno: qui, sta per invasore in generale, ed in opposizione al concetto di un salvatore: Camillo.
  11. 26. psalmodíe: canti de’ salmi.
  12. 30. De’ poeti ecc.: cfr. la nota al v. 25, p. 41.
  13. 81. accusatori: discopritori.
  14. 33. che cantò ecc.: L’Orlando, come tutti sanno, comincia: «Le donne, i cavallier, l’armi, gli amori, Le cortesie, l’audaci imprese io canto».
  15. 35. va pare ecc.: è uguale all’Iliade l’Orlando.
  16. 40. da’ marmi bui: dal sepolcro.
  17. 41. Concittadino: di patria.
  18. 42. come il fui: come fui suscitato.
  19. 43. «L’Ariosto, morto in Ferrara il 6 giugno del 1533, era stato sepolto senza alcun onore nella chiesa dei Benedettini. È noto che S. Benedetto (480-543) fu il primo istitutore della vita monastica in occidente e fondatore del monastero di Monte Cassino. Quarant’anni dopo, Agostino Mosti, gentiluomo ferrarese, ornò la tomba di quell’illustro con iscrizioni e bassi rilievi: ma nel 1612 un pronipote del poeta gli fece erigere un magnifico sarcofago, ove con sacra cerimonia ne fece deporre lo ossa. Un terzo trasporto piú solenne fu fatto non solo delle sue ceneri, ma pur anco di tutto il gran deposito, dalla lontana chiesa di S. Benedetto sino al palazzo delle scuole, detto volgarmente lo studio pubblico, e vicinissimo all’antica paterna casa dell’Ariosto, dove in faccia alla seconda sala della Biblioteca fu onorevolmente collocato... Questa cerimonia, solennizzata per due giorni di festa e da prose e rime stampate, ebbe luogo dopo la seconda venuta de’ Francesi in Italia nel 1801, e nel giorno anniversario della morte dell’Ariosto. Il Monti, per una licenza convenevole alla poesia, fa un anacronismo indietreggiando questo avvenimento di qualche anno». Mg.
  20. 43. i boati ecc.: i canti dei frati. È dispregiativo.
  21. 48. fral: corpo.
  22. 57. Di lassú: cfr. la nota al v. 35, p. 53.
  23. 61. interditto: proibito.
  24. 66. Inesorate: che non si lasciano commovere a preghiere.
  25. 69. sul corno: cfr. la nota al v. 337, p. 108.
  26. 71. volumi: avvolgimenti.
  27. 77. studia: affretta.
  28. 78. Pel compagno ecc.: Virgilio En. II, 729: pariter comitique onerique timentem.
  29. 81. che farian ecc.: E il Petrarca (P. III, canz. 11, 65), con immagine consimile: «Ch’Annibale, non ch’altri farian pio».
  30. 86. e con asperso ecc.: e con denari bagnati del pianto di chi paga le gravi tasse ecc.
  31. 90. diverso: orribile, tremendo. Cfr., per lo stesso uso del diverso, Dante Inf. vi, 13; vii, 105 ecc.
  32. 92. il sol tacere: cfr. la nota al v. 219, p. 17.
  33. 100. le pennute torme: le varie specie d’uccelli.
  34. 106. avverse: rabbuffate.
  35. 118. di crebre stipe: un nugolo di minuti stecchi. Crebre, a significar, come qui, quantità d’oggetti, usarono anche l’Ariosto (O. F. XLII, 17) e il Parini (Od. VIII, 69).
  36. 119. rotata: spinta in giro.
  37. 122. Eridano: Po. Cfr. la nota al v. 38, p. 127.
  38. 123. affaticata: tormentata dalle condo del fiume e dalla bufera.
  39. 129. Qual pendolo ecc.: Ogni punto di un pendolo, oscillando intorno al proprio asse orizzontale, descrive un arco all’insú.
  40. 130. Batte ecc.: scuote la sua ala sonora, cioè fa grande strepito.
  41. 132. vora: divora, porta con sé. Verso onomatopeico.
  42. 139. percosso: ucciso. Petrarca Trionf. d. Fam. I, 61: «Poi quel Torquato che ’l figliuol percusse». — aprica: esposta al sole.
  43. 147. al suo poter: alla sua potenza e fortuna.
  44. 149. della gran follia: della pazzia d’Orlando.
  45. 156. com’uom ecc. Dante Purg. ii, 132: «Com’uom che va, né sa dove riesca». Potrarca P. I, son. 14: «Vommene in guisa d’orbo sonza luce, Che non sa ’ve si vada, e pur si parte».
  46. 158. alla città ecc.: a Bologna.
  47. 159. Garisenda: la torre pendente Garisenda fu fondata probabilmente nel 1110 da Filippo e Oddo Garisendi, e forse in antico era assai piú alta che ora, poiché, per testimonianza di Benvenuto da Imola, fu di molto mozzata dall’Oleggio. Ora è di metri 47,51 d’altezza. Cfr. G. Gozzadini: Le torri gentilizie di Bologna ecc.: Bologna, Zanichelli, 1875, p. 271.
  48. 164. esalava: mandava fuori, manifestava.
  49. 168. E toccar ecc.: e raggiungere la massima sapienza.
  50. 169. il felsineo... Anacreonte: il conte Lodovico Vitt. Savioli (1729-1804), senatore bolognese, autore delle canzonette che intitolò Amori, per cui è qui paragonato ad Anacreonte. Di idee repubblicane, cadde in disgrazia del papa e fu privato, per poco, dell’insegnamento della Storia universale. Fu mandato deputato della repubblica cispadana a Parigi, e dalla repubblica italiana a’ comizi di Lione. Napoleone nel 1802 lo nominò prof. di Diplomazia nella università bolognese. Cfr. per altre notizie, Mazz., p. 284.
  51. 172. liceo: università. — Palcani: Luigi Palcani Caccianemici (1748-1802), prof. di Logica poi di Fisica e di Matematica nell’università di Bologna. Fu de’ deputati a’ comizi di Lione. Cfr. per maggiori notizie, Mazz., p. 231.
  52. 174. Canterzani: Sebastiano Canterzani (1734-1819), prof. di Astronomia, poi di Ottica e di Fisica generale nell’università di Bologna. Cfr. Mazz., p. 82.
  53. 178. squallidi ecc.: accus. di relaz.: cfr. la nota al v. 26, p.3.
  54. 182. la dira ecc.: la morte.
  55. 187. Oh virtú ecc.: Quest’apostrofe ricorda allo Zumb. (p. 183) un luogo dell’ode del Thomas Gray L’Avversità, in cui «si trova non pur lo stesso sentimento, ma eziandio la stessa immagine».
  56. 190. tributo: premio.
  57. 192. il blasfema... di Bruto?: Bruto, presso ad uccidersi, dopo la disfatta di Filippi, avrebbe, secondo Cassio Dione (cit. dal Leopardi in principio della Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto, vicini a morte), dette queste parole: «O virtú miserabile, eri una parola nuda e io ti seguiva come tu fossi una cosa: ma tu sottostavi alla fortuna».
  58. 193. Con la sventura ecc.: È la sentenza di Socrate, che il Monti reca anche nella Lett. al Bett. (Card. p. 525): «Gli dei hanno mandata la virtú sulla terra accompagnata dalla sventura».
  59. 197. Fan ecc.: fanno dubitare anche al sapiente che esista o no la provvidenza divina.
  60. 199. Come che ecc.: Dante Inf. vi, 5: «come ch’io mi mova, E come ch’io mi volga, o ch’io mi guati».
  61. 201. e il dir ecc.: Dante Inf. iv, 147: «Che molte volte al fatto il dir vien meno».
  62. 203. la donna del Panár: Modena.
  63. 205. Crostolo: fiume, che scorro vicino a Reggio d’Emilia (la sorella).
  64. 209. Stanca: continuamente percuote tanto da stancarla. — del rubro fiumicel: del Rubicone, posto tra Ravenna e Rimini, confine del governo delle Gallie, affidato dal senato a Cesare, ma ch’egli varcò e fu come il primo segno della imminente caduta della repubblica.
  65. 219. Di lui: di Napoleone.
  66. 220. il mio Melzi: « Francesco Melzi di Eril [1753-1816], in appresso duca di Lodi, fu uno de’ piú saggi e piú illuminati cittadini di Milano. Riparatosi a Parigi por l’invasione degli Austro-Russi, fu dopo la battaglia di Marengo nominato da Bonaparte a vice-presidente della Repubblica Italiana, che governò per quattro anni con molto senno e prudenza». Mg.
  67. 230. la plaga: la parte di ciclo.
  68. 233. Quest’atomo rotante: la terra, ch’è, al dire dell’Alighieri, «L’aiuola che ci fa tanto feroci». Par. xxI, 151.
  69. 239. alla ruina: all’impeto, alla potenza.
  70. 242. l’olivo al crudo ecc.: la pace all’ terra. Allude al trattato d’Amiens (27 marzo 1802) per il quale restava libero il commercio marittimo e la Francia, la Spagna e la Repubblica Batava ritornavano in possesso delle loro colonie, tranne Ceylan e l’isola della Trinità cedute all’Inghilterra. Ma la pace durò poco, ché questa non volle cedere, come s’era stabilito, all’Ordine di Malta l’isola sua.
  71. 246. di Marte orrido ludo: la guerra.
  72. 248. Figlie di Dori: cfr. la nota al v. 14, p. 30. — de’ metalli ecc.: de’ cannoni delle navi.
  73. 250. Drimo, Nemerte e Glauce: Divinità marine, come Doto, Proto e i Tritoni.
  74. 251. Toe: ninfa marina.
  75. 252. zoofiti: corpi che partecipano della pianta e dell’animale, come le spugne e simili.
  76. 258. Dell’onde il re: Nettuno. — commoto: richiamato.
  77. 260. Alipedi: cfr. la nota al v. 15, p. 31. — adegua: appiana.
  78. 263. tarde: affievolite.
  79. 266. del nume: del commercio stesso.
  80. 275. ti forba: ti pulisca, ti netti. Dante Inf. xv, 69: «Da’ lor costumi fa che tu ti forbi».
  81. 277. E voi ecc.: Si volge a’ nuovi governatori della Cisalpina dopo la battaglia di Marengo.
  82. 278. Laguna di dolore: Dante (Purg. vi. 76), anch’egli dell’Italia; «di dolore ostello».
  83. 284. il telo: il dardo.
  84. 287. Lo scrittor ecc.: il Beccaria.
  85. 288. rimosso il velo: tolti gli ostacoli, che v’impedivano di ascoltare la verità. — Il poema rimase qui, non si sa perché, interrotto.