In morte di Ugo Bassville/Canto II
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CANTO SECONDO
Contenuto: Seguitando il loro viaggio, l’angelo ed Ugo giungono alle porte di Parigi nella mattina del 21 gennaio, e, chiusi in una nube, penetrano, poco dopo le nove, in questa città, atra sentina d’ogni vizio (1-79). Tutto è occupato da silenzio orrendo: mute sono le opere del giorno: si odono soltanto voci di madri che si serrano i figli al petto, e di spose che tentano su le soglie d’impedire l’uscita ai mariti (80-99). Ma invano, ché le ombre de’ Druidi vengono incitando al sangue i loro degni nepoti (100-126). E quale non è il dolore di Ugo nel vedere alzato l’orribile palco di morte e Luigi procedere, come agnello innocente, al supplizio? (127-150). Intanto Dio pesa in cielo il fato di Parigi e il regicidio fa traboccar la bilancia alla terra (151-165). In quel punto giunge Luigi al palco ferale e le ombre di quattro regicidi lo trascinano sotto la mannaia e gli mozzano il capo. Trema al gran delitto il mondo; solo i Francesi sono lieti del sangue versato e desiderosi di altro versarne (166-228). Nel mentre, l’anima di Luigi poggia all’alto e vengono ad incontrarla festosi i beati, morti per la causa del trono e della religione; ed ecco che fra esse s’apre il passo l’anima piangente di Ugo e viene a prostrarsi a’ piedi del re, che le chiede chi sia e il perché di tanto dolore (229-247).
Alle tronche parole, all’improvviso
Dolor che di pietà l’angel dipinse1,
Tremò quell’ombra e si fe’ smorta in viso;
E sull’orme cosí si risospinse
Del suo buon duca che davanti andava
Pien del crudo pensier che tutto il vinse2.
Senza far motto3 il passo accelerava,
E l’aria intorno tenebrosa e mesta
Del suo volto la doglia accompagnava.
10Non stormiva una fronda alla foresta4,
E sol s’udía tra’ sassi il rio lagnarsi,
Siccome all’appressar della tempesta.
Ed ecco manifeste al guardo farsi
Da lontano le torri, ecco l’orrenda
15Babilonia francese5 approssimarsi.
Or qui vigor la fantasia riprenda6,
E l’ira e la pietà mi sian la Musa
Che all’alto e fiero mio concetto ascenda.
Curva la fronte7 e tutta in sé racchiusa
20La taciturna coppia oltre cammina;
E giunge alfine alla città confusa,
Alla colma di vizi atra sentina,
A Parigi, che tardi e mal8 si pente
Della sovrana plebe cittadina.
25Sul primo entrar della città dolente9
Stanno il Pianto, le Cure e la Follía
Che salta e nulla vede e nulla sente.
Evvi il turpe Bisogno e la restía
Inerzia colle man sotto le ascelle10,
30L’uno all’altra appoggiati11 in su la via.
Evvi l’arbitra12 Fame, a cui la pelle
Informasi dall’ossa e i lerci denti
Fanno orribile siepe alle mascelle.
Vi son le rubiconde Ire furenti,
35E la Discordia pazza il capo avvolta13
Di lacerate bende e di serpenti.
Vi son gli orbi Desiri, e della stolta
Ciurmaglia i Sogni e le Paure smorte
Sempre il crin rabbuffate e sempre in volta.
40Veglia custode delle meste porte
E le chiude a suo senno e le disserra
L’ancella14 e insieme la rival di Morte;
La cruda, io dico, furibonda Guerra
Che nel sangue s’abbevera e gavazza
45E sol del nome fa tremar la terra.
Stanle intorno l’Erinni15, e le fan piazza,
E allacciando le van l’elmo e la maglia
Della gorgiera16 e della gran corazza;
Mentre un pugnal battuto alla tanaglia
50De’ fabbri di Cocito17 in man le caccia,
E la sprona e l’incuora alla battaglia
Un’altra furia18 di piú acerba faccia,
Che in Flegra19 già del cielo assalse il muro
E armò di Brïareo le cento braccia;
55Di Dïagora poscia e d’Epicuro20
Dettò le carte, ed or le franche scuole
Empie di nebbia e di blasfema impuro21,
E con sistemi e con orrende fole
Sfida l’Eterno22, e il tuono e le saette
60Tenta rapirgli e il padiglion del sole23.
Come vide le facce maledette,
Arretrossi d’Ugon l’ombra turbata,
Ché in inferno arrivar la si credette:
E in quel sospetto sospettò24 cangiata
65La sua sentenza, e dimandar volea
Se fra l’alme perdute iva dannata.
Quindi tutta25 per téma si stringea
Al suo conducitor, che pensieroso
Le triste soglie già varcate avea.
70Era il giorno26 che, tolto al procelloso
Capro, il sol monta alla troiana stella,
Scarso il raggio vibrando e neghittoso;
E compito27 del dí la nona ancella
L’officio suo, il governo abbandonava
75Del timon luminoso alla sorella:
Quando chiuso da nube oscura e cava
L’angel coll’ombra inosservato e queto
Nella città di tutti i mali entrava.
Ei procedea depresso ed inquïeto
80Nel portamento, i rai28 celesti empiendo
Di largo ad or ad or pianto segreto;
E l’ombra si stupía, quinci29 vedendo
Lagrimoso il suo duca, e possedute
Quindi le strade da silenzio orrendo.
85Muto de’ bronzi il sacro squillo, e mute
L’opre del giorno, e muto lo stridore
Dell’aspre incudi e delle seghe argute30:
Sol per tutto un bisbiglio ed un terrore,
Un domandare, un sogguardar sospetto,
90Una mestizia che ti piomba al core;
E cupe voci di confuso affetto,
Voci di madri pie31, che gl’innocenti
Figli si serran trepidando al petto;
Voci di spose32 che ai mariti ardenti
95Contrastano l’uscita e sulle soglie
Fan di lagrime intoppo e di lamenti.
Ma tenerezza e carità33 di moglie
Vinta è da furia di maggior possanza,
Che dall’amplesso coniugal gli scioglie.
100Poiché fera menando oscena danza
Scorrean di porta in porta affaccendati
Fantasmi di terribile sembianza;
De’ Druidi34 i fantasmi insanguinati,
Che fieramente dalla sete antiqua
105Di vittime nefande stimolati,
A sbramarsi venían la vista obliqua35
Del maggior de’ misfatti onde mai possa
La loro superbir semenza36 iniqua.
Erano in veste d’uman sangue rossa37;
110Sangue e tabe grondava ogni capello,
E ne cadea una pioggia ad ogni scossa.
Squassan altri un tizzone, altri un flagello
Di chelidri e di verdi anfesibene38,
Altri un nappo di tosco, altri un coltello:
115E con quei serpi percotean le schiene
E le fronti mortali, e fean, toccando
Con gli arsi tizzi, ribollir le vene.
Allora delle case infuriando
Uscían le genti, e si fuggía smarrita
120Da tutti i petti la pietade in bando.
Allor39 trema la terra oppressa e trita
Da cavalli, da rote e da pedoni;
E ne mormora l’aria sbigottita;
Simile al mugghio di remoti tuoni,
125Al notturno del mar roco lamento,
Al profondo ruggir degli aquiloni.
Che cor40, misero Ugon, che sentimento
Fu allora il tuo, che di morte vedesti
L’atro vessillo volteggiarsi al vento?
130E il terribile palco erto41 scorgesti,
Ed alzata la scure, e al gran misfatto
Salir bramosi i manigoldi e presti;
E il tuo buon rege42, il re piú grande, in atto
D’agno innocente fra digiuni lupi,
135Sul letto de’ ladroni a morir tratto;
E fra i silenzi delle turbe cupi
Lui sereno43 avanzar la fronte e il passo
In vista44 che spetrar potea le rupi?
Spetrar le rupi e sciorre in pianto un sasso:
140Non le galliche tigri45. Ahi! dove spinto
L’avete, o crude? Ed ei v’amava! oh lasso!
Ma piangea46 il sole di gramaglia cinto,
E stava in forse di voltar le rote
Da questa Tebe47 che l’antica ha vinto.
145Piangevan l’aure per terrore immote,
E l’anime48 del cielo cittadine
Scendean col pianto anch’esse in su le gote;
L’anime che costanti49 e pellegrine
Per la causa di Cristo e di Luigi50
150Lassú per sangue51 diventâr divine.
Il duol52 di Francia intanto e i gran litigi
Mirava Iddio dall’alto, e giusto e buono
Pesava il fato della rea Parigi.
Sedea sublime sul tremendo trono;
155E sulla lance53 d’òr quinci ponea
L’alta sua pazienza e il suo perdono,
Dell’iniqua città quindi mettea
Le scelleranze tutte; e nullo ancora
Piegar de’ due gran carchi si vedea.
160Quando il mortal giudizio e l’ultim’ora
Dell’augusto infelice alfin v’impose
L’Onnipotente. Cigolando allora
Traboccâr le bilancie ponderose:
Grave in terra cozzò la mortal sorte54,
165Balzò l’altra alle sfere, e si nascose.
In quel punto al feral palco di morte
Giunge Luigi. Ei v’alza il guardo, e viene
Fermo alla scala, imperturbato e forte.
Già vi monta, già il sommo egli ne tiene;
170E va sí pien di maestà l’aspetto,
Ch’ai manigoldi fa tremar le vene.
E già battea furtiva55 ad ogni petto
La pietà rinascente56, ed anco parve
Che del furor svïato avría l’effetto.
175Ma fier portento in questo mezzo apparve:
Sul patibolo infame all’improvviso
Asceser quattro smisurate larve.
Stringe ognuna un pugnal di sangue intriso;
Alla strozza un capestro le molesta;
180Torvo il cipiglio, dispietato il viso,
E scomposte le chiome in sulla testa,
Come campo di biada già matura
Nel cui mezzo passata è la tempesta.
E sulla fronte arroncigliata57 e scura
185Scritto in sangue ciascuna il nome avea,
Nome terror de’ regi e di natura.
Damiens58 l’uno, Ankastrom l’altro dicea,
E l’altro Ravagliacco59; ed il suo scritto
Il quarto60 colla man si nascondea.
190Da queste Dire61 avvinto il derelitto
Sire Capeto62 dal maggior de’ troni
Alla mannaia già facea tragitto.
E a quel giusto63 simíl che fra’ ladroni
Perdonando spirava ed esclamando:
195Padre, padre, perché tu m’abbandoni?64,
Per chi a morte lo tragge anch’ei pregando65,
Il popol mio, dicea, che sí delira,
E il mio spirto, Signor, ti raccomando66.
In questo dir con impeto e con ira
200Un degli spettri sospingendo il venne
Sotto il taglio fatal; l’altro ve ’l tira.
Per le sacrate auguste chiome il tenne
La terza furia, e la sottil rudente67
Quella quarta recise alla bipenne.
205Alla caduta dell’acciar tagliente
S’aprí tonando il cielo, e la vermiglia
Terra si scosse e il mare orribilmente.
Tremonne68 il mondo, e per la maraviglia
E pel terror dal freddo al caldo polo69
210Palpitando i potenti alzâr le ciglia.
Tremò levante ed occidente. Il solo
Barbaro celta70, in suo furor piú saldo,
Del ciel derise e della terra il duolo;
E di sua libertà71 spietato e baldo
215Tuffò le stolte insegne72 e le man ladre
Nel sangue del suo re fumante e caldo;
E si dolse che misto a quel del padre
Quello pur anco non scorreva, ahi rabbia!,
Del regal figlio e dell’augusta madre.
220Tal di lïoni un branco, a cui non abbia
L’ucciso tauro appien sazie le canne,
Anche il sangue ne lambe in su la sabbia;
Poi ne’ presepi73 insidïando vanne
La vedova giovenca ed il torello,
225E rugghia, e arrota tuttavia le zanne;
Ed ella, che i ruggiti ode al cancello,
Di doppio timor74 trema, e di quell’ugne
Si crede75 ad ogni scroscio esser macello.
Tolta al dolor delle terrene pugne
230Apriva intanto la grand’alma il volo,
Che alla prima cagion76 la ricongiugne.
E ratto intorno le si fea lo stuolo77
Di quell’ombre beate, onde la fede
Stette e di Francia sanguinossi il suolo.
235E qual78 le corre al collo, e qual si vede
Stender le braccia, e chi l’amato volto
E chi la destra e chi le bacia il piede.
Quando repente della calca il folto
Ruppe un’ombra dogliosa, e con un rio
240Di largo pianto sulle guance sciolto,
Me, gridava, me me79 lasciate al mio
Signor prostrarmi. Oh date il passo! E presta
Al piè regale il varco ella s’aprío.
Dolce un guardo abbassò su quella mesta
245Luigi: e, Chi sei? disse; e qual ti tocca
Rimorso il core? e che ferita è questa?
Alzati, e schiudi al tuo dolor la bocca.
Varianti
61. facce maladette
70-72. Era il tempo che sotto al procelloso Acquario il sol corregge ad Eto il morso, Scarso il raggio vibrando e neghittoso, E dieci gradi e dieci avea trascorso Già di quel segno, e via correndo in quella Carriera all’altro già voltava il dorso;
71. Capro il sol passa: prima correzione di questo verso, fatta in molte copie dell’edizione romana del ’93, «per sottoporre umilmente la ragione poetica all’astronomia». Cfr. la nota al v. 70, in fine.
126. Al lontano ruggir
223. Per la selva seguitando vanne
Note
- ↑ che di pietà l’angel dipinse: Cfr., per locuzioni consimili, Dante Inf. iv, 20; Purg. ii, 82; Petrarca P. I, canz. VI, 52 ecc. ecc.
- ↑ che tutto il vinse: Virgilio En. IV, 474: evicta dolore; Dante Inf. iii, 33: «nel duol sí vinta». Cfr. anche Inf. xxxii, 51 e Purg. v, 127.
- ↑ Senza far motto: «Un gran dolore è sempre senza parole. Il silenzio di quest’angelo che addolorato cammina dinanzi all’ombra senza far motto, rassomiglia molto a quello degli angeli di Milton, che dopo il fallo di Adamo abbandonano la guardia del paradiso terrestre, e tornano in cielo taciturni ed afflitti a recarvi la dolorosa nuova del peccato commesso. Questa comune osservazione sulla natura del dolore fe’ dire a Seneca quella nota sentenza: curae leves loquuntur, ingentes stupent. Mt.
- ↑ Non stormiva ecc.: «Tra i vari segni di vicina tempesta contano gli osservatori la calma dell’aria, durante la quale il fiotto del mare e il malinconico rumore de’ torrenti e de’ fonti rendesi piú sensibile. Pare che in quell’universale quiete delle cose la natura mediti il suo dolore, che poi scoppia piú violento, siccome quello dell’animo nostro, le di cui funeste e disperate conseguenze sono sempre precedute da profondo silenzio». Mt.
- ↑ Babilonia francese: Parigi. Babilonia, nelle sacre carte, è figura della città d’ogni vizio, opposta a Gerusalemme, simbolo della città d’ogni virtú. Il Petrarca, per tacer d’altri, chiama Babilonia la Roma papale degenere dalla primitiva Roma cristiana. Cfr. P. III son. 15 e 16 ed Ep. sine tit. passim.
- ↑ Or qui vigor ecc.: Dante Purg. i, 7: «Ma qui la morta poesia risurga».
- ↑ Curva la fronte: Accus. di relaz. Cfr. la nota al v. 26, p. 3.
- ↑ mal: a suo danno. Mal in questo senso usa spesso Dante: Cfr. Inf. ix. 54; Purg. iv, 72; xii, 45; Par. vi, 69. E anche il Parini: Cfr. Od. II, 39; X, 10 e XVIII, 55
- ↑ Sul primo entrar ecc.: Virgilio (En. VI, 273) descrive cosí le personificazioni de’ mali, che occupano l’ingresso dell’inferno: Vestibulum ante ipsum primisque in faucibus Orci Luctus et ultrices posuere cubilia Curae: Pallentesque habitant Morbi tristisque Senectus, Et Metus et Malesuada Fames ac turpis Egestas, Terribiles visu formae Letumque Labosque; Tum consaguineus Leti Sopor et mala mentis Gaudia mortiferumque adverso in limine Bellum, Ferreique Eumenidum thalami et Discordia demens, Vipereum crinem vittis innexa cruentis.
- ↑ colle man ecc.: Il Minzoni, in un celebre sonetto: «Stavasi con le man sotto le ascelle Mandricardo alla riva d'Acheronte».
- ↑ L’uno all’altro appoggiati, perché il bisogno è necessaria conseguenza dell’inerzia.
- ↑ arbitra: padrona della volontà dell’uomo, perché alcune volte lo spinge, anche controvoglia di lui, al male. Claudiano, In Rufinum I, 31: imperiosa fames. — a cui la pelle ecc.: Giobbe XIX, 20: «Le ossa mie, consunte le carni, stanno attaccate alla pelle, e le sole labbra sono rimase attorno ai miei denti». Dante Purg. xxiii, 28: «Pallida nella faccia e tanto scema, Che dall’ossa la pelle s'informava». Cfr. anche Ovidio Metam. VIII. 803 e Salmi CI, 6.
- ↑ Il capo avvolta: cfr. la nota al v. 19.
- ↑ ancella, perché aiuta la morte ad uccider gran quantità di uomini; — rival, perché ne uccide piú la guerra che qualsiasi malattia. Ariosto XII, 80: «Pel campo errando va morte crudele In molti, vari, e tutti orribil volti, E tra sé dice: In man d'Orlando valci Durindana per cento di mie falciui».
- ↑ l’Erinni: le tre Furie. — le fan piazza: le fan largo attorno.
- ↑ gorgiera: collaretto di ferro che difendeva la gola.
- ↑ battuto ecc.: fabbricato in inferno. Ariosto, II. 42: «Temprato all’onda ed allo stigio foco».
- ↑ Un'altra furia: l’irreligione.
- ↑ Che in Flegra ecc.: cfr. la nota al v. 467 della Musog.
- ↑ Di Dïagora ecc.: “Fu questo Diagora [fiorí circa nel 450 av. C.] il piú ardito ateista di tutta l’antichità. Egli scrisse dei libri per provare clie un Dio è un essere impossibile; perloché gli Ateniesi, inorriditi di queste massime, lo cercarono a morte...: e il decreto che lo dichiarava infame fu scolpito sopra una colonna di bronzo. — In quanto ad Epicuro [342-270 av. C.], fra le molte dispute che si sono fra i dotti eccitate sopra i suoi dogmi, abbiasi ognuno l’opinione che piú gli piace. Basta che in ciò solo si convenga, che la dottrina di questo filosofo è passata in un pessimo proverbio, e che risuscitata nei dolci versi di Lucrezio, e in tanti libri francesi, è divenuta una delle piú fatali alla purità della morale evangelica». Mt. Cfr. Cicerone De fin. I. ix, 21. Tusc. V, 30, De Nat. D. I, 25 ecc.
- ↑ di nebbia ecc.: di oscuri sistemi filosofici e di bestemmie.
- ↑ Sfida l’Eterno: Cfr. la nota al v. 325, c. III.
- ↑ e il padiglion del sole: Salmi, XVIII, 5: «ha
- ↑ sospetto sospettò: Locuzioni di piú parole composte di simili suoni s’incontrano non di rado in poeti antichi moderni. In Dante quasi abbondano: Cfr., p. e., Inf. xiii, 25; xxvi, 65; Purg. xxvii, 132; Par. iii, 57 ecc. ecc.
- ↑ Quindi tutta ecc.: Dante Inf. ix, 51: «Ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto»: Purg. viii, 41: «stretto m’accostai Tutto gelato alle fidate spalle».
- ↑ Era il giorno ecc.: «Perifrasi del dí 21 gennaio, giorno di sempre acerba ricordanza per la morte dell’infelice e virtuoso Luigi XVI. Quattro sono le circostanze che qui si toccano. La prima è, che in quel giorno computasi dagli astronomi il passaggio del sole dal segno di Capricorno a quello d'Aquario; la seconda che, stando il sole nel Capricorno, i nostri mari sono, piú che in altro tempo, agitati dalle tempeste; la terza che, nella costellazione d'Aquario favoleggiasi collocato da Giove il rapito troiano Ganimede; onde troiana stella giustamente vien detta... La quarta finalmente si è che, dimorando il sole in questo segno, il clima nostro è sí freddo, che attenendoci alle nostre sensazioni, senza le quali il criterio poetico sarebbe tradito, il raggio solare è piú scarso e pigro del solito, perché tale lo decide il giudizio de’ sensi...». Mt. — Nell’ediz. bolognese del 1821 l’a. tornò alla prima lezione (che pongo tra le varianti), o per isbaglio o per altro. Il Resnati legge come ho posto nel testo: e certo cosí si deve leggere, perocché nell’altra maniera si verrebbe a circoscrivere non il 21 gennaio, ma l’11 febbraio.
- ↑ E compito ecc.: «La sentenza di morte sulla sacra persona di Luigi XVI fu eseguita poco dopo le dieci di Francia, e il poeta fa che l’angelo coll’ombra entri dentro Parigi poco dopo le nove per occupare intanto i suoi eterei viaggiatori nello spettacolo di quei lugubri preparativi, e nell’orrore di quella città forsennata. Chiama poi le ore ancelle del giorno, come le chiamò Dante [Purg. xii, 80]: «vedi che torna Dal servizio del dí l’ancella sesta». Mt. Cfr. la nota al v. 225 della Musog.
- ↑ i rai ecc.: «Non pretendo che invece di occhi non si possa dire i rai o raggi per figura di similitudine; affermo solo che male sta quell’empiere i rai di pianto, perché se degli occhi si dice che piangendo si empiono di pianto, non è poi mica vero che altrettanto si possa dire de’ rai». Della V., p. 106.
- ↑ quinci... quindi: per una parte e per l’altra.
- ↑ seghe argute: «Cioè stridule, sonore, come arguto bosco, argute spole, arguti gridi; e precisamente argute seghe, ad esempio di Virgilio [Georg. I, 143]: Tunc ferri rigor, atque argutae lamina serrae». Mt.
- ↑ madri pie ecc.: Virgilio En. VII, 518: Et trepidae matres pressere ad pectora natos. Ariosto XXVII, 101: «Si strinsero le madri i figli al seno».
- ↑ Voci di spose ecc.: «Vedi il tenero ed appassionato atteggiamento di Andromaca, nel VI dell’Iliade, quando dissuade il marito dall’andare in battaglia; e l’altro di Creusa, nel II dell’Eneide, quando vuol trattenere Enea dal tornare fra i pericoli delle armi nella gran notte della ruina di Troia: Ecce autem complexa pedes in limine coniux Haerebat parvumque patri tendebat Iulum». Mt.
- ↑ carità: amore, Dante Inf. xiv, 1: «Poi che la carità del natio loco Mi strinse…»
- ↑ Druidi: «Erano costoro i sacerdoti, i maestri, i legislatori degli antichi Galli. Vivevano una vita ipocrita, ritirati nel fondo delle selve, ove dalla credula nazione venivano consultati. Adoravano il dio Eso e il Dio Teutate, ch’erano il Marte e il Mercurio de’ Romani; e le vittime piú gradite erano i prigionieri nemici, i cittadini, i fratelli e, qualche volta, le mogli e i figliuoli. Fra i tanti collegi in cui erano distribuiti per tutte quelle provincie, e fin anche per la Germania, il piú rinomato era quello di Marsiglia, ove celebravano in dati tempi le loro convenzioni. Cesare lo distrusse: e la descrizione che ne fa Lucano nel Libro III in versi animati dallo spirito di Virgilio, mette orrore e raccapriccio. Leggi il libro VI della Guerra gallica, e intenderai com’erano ingegnosi nell’essere scellerati e crudeli. Con tutta ragione adunque ne vengono qui introdotti gli spettri a pungere ed infiammare i non degeneri lor discendenti al maggior de’ delitti di cui potessero contaminarsi». Mt.
- ↑ obliqua: torva. Orazio Ep. I, xiv, 37: Obliquo oculo mea commoda limat. Stazio Teb. III. 377: Respectentve truces obliquo lumine matrem.
- ↑ semenza: discendenti. Dante Inf. x. 94: «Deh, se riposi mai vostra semenza...»: Par. ix, 2: «mi narrò gl’inganni Che ricever dovea la sua semenza».
- ↑ Erano ecc.: «Ecco un passo di Virgilio [En. VI, 570] che ci presenta dei tratti di molta somiglianza col pensiero del nostro poeta: Continuo sontes ultrix accincta flagello Tisiphone quatit insultans, torvosque sinistra Intentans angues, vocat agnina saeva sororum; le quali d’accordo percuotono le anime de’ condannati all’inferno nella guisa che fanno qui i Druidi le teste e le schiene de’ Francesi, onde porli in furore. Alla circostanza delle faci e delle serpi si è aggiunta anche quella de’ pugnali e de’ veleni per denotare il carattere sanguinario di questi barbari sacerdoti, e de’ piu barbari loro discendenti». Mt.
- ↑ chelidri... anfesibene: specie di serpenti. Cfr. Lucano Fars. IX, 708 e Dante Inf. xxiv, 86 e segg.
- ↑ Allor ecc.: Virgilio En. XII, 145: pulsuque pedum tremit excita tellus. Cfr. anche VII, 722. — trita: battuta.
- ↑ Che cor ecc.: Virgilio En. IV, 408: Quis tibi tunc, Dido, cernenti talia sensus? Quosque dabas gemitus?... Ariosto XXXVI, 7: «Che cor, duca di Sora, che consiglio Fu allora il tuo, che trar vedesti l’elmo Fra mille spade al generoso figlio, E menar preso a nave, e sopra un schelmo Troncargli il capo?» Cfr. anche Prometeo II, 850.
- ↑ erto: eretto.
- ↑ il tuo buon rege: Luigi XVI.
- ↑ sereno.... la fronte: Accus. di relaz. Cfr. la nota al v. 26, p. 3.
- ↑ In vista ecc.: Varano Vis. V, 365: «Sí dirotte spargean lagrime acerbe, Che avriano un sasso per pietà diviso».
- ↑ le galliche tigri: i crudelissimi Francesi.
- ↑ Ma piangea ecc.: «Sembra legge tra i poeti ricevuta di non descrivere mai qualche grande ed orribile avvenimento senza il soccorso dei deliquî solari. Cosí Virgilio nella morte di Giulio Cesare; cosí Lucano nello scoppio delle guerre civili». Mt.
- ↑ Da questa Tebe ecc.: Da Parigi, che ha vinto per orrendi misfatti l’antica città della Beozia, ove furono commesse le grandi scelleratezze de’ discendenti di Laio. Cfr. Dante Inf. xxxiii, 89.
- ↑ l’anime ecc.: i beati, che anche il Petrarca (P. III, canz. ii, 44) chiama «l’anime che lassú son cittadine».
- ↑ costanti ecc.: ferme nella loro fede durante il loro pellegrinaggio in terra. È, quanto alla forma, una specie d’endiadi, e, quanto alla sostanza, un concetto tutto cristiano. Cfr. 8. Paolo Cor. I, v, 6.
- ↑ di Cristo e di Luigi: della religione e della monarchia.
- ↑ per sangue: per martirio. «Una bella comparsa di ombre condotte dalla pietà a contemplare qualche gran fatto tragico puoi vederla nell’Omero germanico, laddove nella Messiade fa uscire dai sepolcri agitati dal terremoto le ombre de’ patriarchi ad assistere sul Calvario all’agonia di Gesú Cristo in mezzo agli angeli, che vanno e vengono su e giú, tutti piangendo». Mt.
- ↑ Il duol ecc.: Omero Iliad. VIII, 87 (trad. M.): «Alto spiegò l’onnipossente Iddio L’auree bilancie, e due diversi fati Di sonnifera morte entro vi pose, Il troiano e l’acheo. Le prese in mezzo, Le librò, sollevolle, e degli Achivi Il fato declinò, che traboccando Percosse in terra, e balzò l’altro al cielo». Cfr. anche Daniele V, 27.
- ↑ lance: bilancia (lat.). Petrarca P. II, canz. vi, 39: «Quant’era meglio.... E le cose mortali E queste dolci tue fallaci ciance Librar con giusta lance». Tasso, xx, 50: «Cosí si combatteva; e ’n dubbia lance Col timor le speranze eran sospese».
- ↑ la mortal sorte: quella de’ peccati di Parigi.
- ↑ E già battea ecc.: Imita un luogo di Stazio, dove la Pietà scende in terra per impedire, potendo, il duello di Eteocle e Polinice. Cfr. Teb. XI. 474 e segg.
- ↑ La pietà ecc.: In fatti, quando Luigi disse: «Francesi io muoio innocente: desidero che la mia morte...» parve che il popolo si movesse a pietà: ma il rullo de’ tamburi vietò al re di proseguire.
- ↑ arroncigliata: contratta.
- ↑ Damiens: Roberto Franc. Damiens, che tentò di uccidere Luigi XV il 5 genn. 1757: fu giustiziato il 28 marzo. — Ankastrom: Gian Giacomo Ankastroom, che assassinò, il 15 marzo 1792, in una festa di ballo al teatro massimo di Stoccolma, Gustavo III, re di Svezia: fu condannato a morte il 29 aprile.
- ↑ Ravagliacco: Franc. Ravaillac, che uccise in Parigi il 14 maggio 1610 Enrico IV, re di Francia: fu giustiziato il 27 dello stesso mese.
- ↑ Il quarto: Giacomo Clement, che nel 1 agosto 1589 assassinò a Saint-Cloud Enrico III di Francia. Nasconde il suo scritto, o perché frate domenicano (il M., si ricordi, scriveva in Roma), o perché da alcuni si dubitò che l’uccisore fosse veramente lui.
- ↑ Dire: «Appellativo delle Furie, che, propriamente parlando, Dire in cielo, Furie in terra ed Eumenidi nell’inferno si chiamavano. Nella lingua de’ poeti il significato è promiscuo». Mt.
- ↑ Capeto, perché della stirpe de’ Capetingi.
- ↑ a quel giusto: a Cristo.
- ↑ Padre ecc.: Matteo XXVII, 46: «E intorno all’ora nona sclamò Gesú ad alta voce, dicendo: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
- ↑ Per chi ecc.: Luca XXIII, 34: «E Gesú diceva: Padre, perdona loro; conciossiaché non sanno quel che si fanno».
- ↑ E il mio spirto ecc.: Luca XXIII, 46: «E Gesú sclamando ad alta voce, disse: Padre, nelle mani tue raccomando il mio spirito: e in ciò dicendo spirò».
- ↑ rudente: corda da nave (lat.). Qui, la corda che tenev’alta la scure.
- ↑ Tremonne ecc.: «Nel «Messia» (o, meglio, nella sua prima e piú celebrata parte, ch’è di dieci canti) il martirio di Gesú è una scena a cui partecipano il cielo, la terra, l’inferno e tutti i vari e infiniti esseri onde sono popolati; e il Golgota non è se non il centro della scena, immensa quanto l’universo. Il simile si vede nella «Bassvilliana», e in ispecie nell’ultimo canto, dove fra terra e cielo è un continuo movimento di spiriti e una successione di fatti prodigiosi». Ma «quel prodigioso, quella partecipazione dell’universo ad uno spettacolo umano, non si adattano cosí perfettamente al soggetto storico del poema italiano, come si adattavano ai soggetti veramente colossali del «Paradiso perduto» e del «Messia». Zumb. p. 15 o segg.
- ↑ dal freddo al caldo polo: dal settentrione al mezzodí, cioè per tutta la terra. Questa frase, che suscitò aspre polemiche, fu difesa valorosamente dall’insigne matematico Gioacchino Pessuti, ed è imitazione di un’altra di Lucano. Cfr. Fars. I, 54.
- ↑ celta: francese.
- ↑ di sua libertà: È causale.
- ↑ le stolte
- ↑ presepi: stalle.
- ↑ Di doppio timor: per sé e pel figliuolo.
- ↑ Si crede ecc.: Ariosto I. 34: «Ad ogni sterpo che passando tocca, Esser si crede all’empia fera in bocca».
- ↑ Alla prima cagion: a Dio. Dante Convivio III, 2: «Ciascuna forma sustanziale procede dalla sua prima cagione, la quale è Iddio».
- ↑ lo stuolo ecc.: Cfr. sopra i vv. 146 e segg.
- ↑ E qual ecc.: Ariosto (XLIV, 97), di Ruggero: «Uno il saluta, un altro se gl’inchina, Altri la mano, altri gli bacia il piede».
- ↑ Me, gridava ecc.: Virgilio, En. IX, 427: Me, me, adsum qui feci....