Il voto alle donne/Suffragio universale?
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SUFFRAGIO UNIVERSALE?
(Dalla Critica Sociale, 16 marzo-1° aprile 1910)
Ho letto e riletto, nell’Avanti!, la risposta del Comitato centrale socialista pel suffragio universale al Comitato nazionale pro suffragio femminile, e sono a chiedermi ancora — (molti altri, suppongo, si saranno chiesti con me): — perchè mai, per una dichiarazione così semplice, hanno speso tante parole?
“Come socialisti — bastava rispondere — è ovvio che siamo per il voto esteso alle donne; ma, come partito d’azione, non possiamo troppo complicare le cose; le donne abbiano pazienza (non è questa una delle maggiori virtù ch’esse dividono con altri non meno preziosi animali?) e verrà anche per loro il momento che i socialisti non temeranno di compromettere la propria serietà propugnando il voto femminile!„
Senonchè il Comitato socialista, o per riluttanza a rispondere così crudamente alle signore interpellanti, o perchè il dovere di coerenza coi principi socialisti e il voto del Congresso di Firenze, che unanime approvò la mozione per il voto alle donne, lo ponessero in imbarazzo, pensò di trarsi d’impaccio con una scappatoia: e inventò la questione, che nessuno gli aveva proposta, se dovesse o non dovesse assegnarsi, alla simultanea estensione del voto ad entrambi i sessi, carattere assoluto di pregiudiziale.
Il quesito era molto più semplice: — nel vostro suffragio universale, che estende anche ai maschi analfabeti il diritto di voto, le donne sono escluse o sono comprese? —
Or qui, per conciliare i principî e la loro negazione, ecco che si affermano, bensì, tutte le ragioni che, nella civiltà moderna, militano pel diritto delle donne al voto politico e amministrativo; ma il veleno (nella coda avrebbe dato troppo nell’occhio) si annida nel bel mezzo della lettera, ed eccolo qui:
“L’aggiunta contemporanea del suffragio femminile al maschile non avrebbe, a senso nostro, alcuna influenza immediatamente benefica, per la quale le due rivendicazioni non possano — se la legge di gradualità lo consigli — disgiungersi nel tempo.„
Ossia: promesse a iosa per un avvenire rimoto; ma, intanto, il suffragio femminile danneggerebbe. L’agitazione, per la conquista dell’arme politica più poderosa per la difesa del proletariato, che è composto indistintamente di lavoratori e di lavoratrici, sia dunque limitata, per intanto, a favore dei primi. Le lavoratrici aspettino quel turno, che alla legge di gradualità piacerà di assegnar loro.
Non altrimenti suol rispondere un Presidente del Consiglio dei ministri, che si degni di accettare la presa in considerazione di una mozione per il voto alla donna, la quale egli ben sa che andrà a dormire negli archivî.
Qual è dunque il motivo per cui la rappresentanza politica del nostro partito socialista ha preso un atteggiamento così singolare anche in confronto agli altri partiti socialisti?
Invero, il Congresso internazionale di Zurigo (1893), su proposta dei socialisti austriaci, già allora impegnati nell’epica loro lotta pel suffragio universale, votava la necessità di promuovere in tutti i paesi, dove non esiste, un’agitazione attiva per il suffragio universale “senza distinzione di sesso„, perchè la lotta per l’emancipazione economica del proletariato — uomini e donne — è essenzialmente una lotta politica, e sulla conquista della forza politica reale si fonda l’ascensione del proletariato verso l’avvenire redentore.
A Colonia, nello stesso anno, la democrazia socialista germanica votava una risoluzione analoga, a favore del suffragio universale per le singole Diete, del diritto elettorale a 21 anni, del sistema proporzionale e del voto alle donne. Nel ’95 un battagliero opuscolo di Bebel, — “La democrazia socialista e il suffragio universale, con speciali considerazioni sul diritto delle donne al voto e sul sistema proporzionale„ — alla borghesia e al filisteismo tedesco, che considerano la causa del voto femminile come un vaneggiamento di menti inferme, dimostrava, con una poderosa argomentazione, nutrita di fatti, di logica, di sano idealismo, come il suffragio femminile — che solo il partito socialista reclama ne’suoi programmi — ha per sè l’avvenire, e un avvenire assai meno lontano che non si pensi.
In Austria tutta la propaganda per il suffragio universale — opuscoli e giornali — durante più di un ventennio, è diretta “agli uomini e alle donne del lavoro„, le quali ultime rispondono con entusiasmo inatteso. E lo stesso avvenne in Finlandia, dove i diritti politici delle donne sono già conquistati; — in Belgio fin dal primo periodo della Internazionale; — in Danimarca, dove, dopo che il Congresso di Stoccarda del 907 ebbe invitato i socialisti dei paesi a suffragio universale maschile a promuoverne l’estensione alle donne, quei socialisti presentarono, nell’ottobre dell’anno medesimo, un apposito progetto di legge al Parlamento.
Perchè dunque tanto savio e prudente, in confronto, il nostro Comitato?
Non potendo sospettarlo nè di minore convinzione socialista, nè di spirito di giustizia meno acceso, nè di uno scetticismo, sull’utilità del suffragio universale, che spiegherebbe la tendenza a diminuirne la portata — non mi resta che una spiegazione: e cioè che esso si sia lasciato dominare dalla illusione, che noi siamo già alla vigilia della conquista del suffragio per i maschi analfabeti; onde l’interesse, per non comprometterne il successo, di fare un passo alla volta, in ossequio alla legge della gradualità.
Or questa — mi dian venia dell’irriverenza gli ottimi amici personali e di partito che conto nel Comitato — mi sembra una ingenuità addirittura colossale. Come imaginare il suffragio universale a breve scadenza, se la propaganda nel paese, oggi che scriviamo, si è a mala pena e debolmente iniziata? Forse l'averne fatto una “pregiudiziale„ spiegherà l’incredibile prodigio?!
In Francia, il suffragio universale, sbocciato dalla Convenzione, passa attraverso le barricate della monarchia di luglio del 1830 e i giorni sanguinosi del ’48, per trionfare nel ’52 con Napoleone III, che ha bisogno del plebiscito dei contadini per proclamarsi imperatore.
In Germania lo introduce Bismarck per l’unificazione dell’Impero; ma una lunga propaganda lassalliana e diretta a insegnarne il buon uso al proletariato. L’agitazione per il suffragio universale per le singole Diete dura da ormai 17 anni, e solo ora è forse alla vigilia del successo, dacchè quel proletariato, pur così legalitario per tradizione, sa affrontare anche le bajonette e fa le sue domeniche rosse a Francoforte e a Berlino.
In Belgio è dal 1830 che si succedono i periodi rivoluzionarî per la conquista del suffragio universale. Nel 1848, nei primordî della Internazionale prima del ’70, nell’85 agli inizî del Parti Ouvrier, nel ’90 e fino agli ultimi scioperi generali, l’agitazione ha riprese e convulsioni periodiche; ma la conquista è sempre di là da venire.
E chi non ricorda, in Austria, nell’ultimo ventennio, la propaganda infaticabile, i primi maggio solenni dei centri industriali, le formidabili manifestazioni di Vienna innanzi al Parlamento e alla Reggia?
E sono questi i paesi dove, per lo sviluppo industriale, per le rivoluzioni già trionfate, per un cumulo di coefficienti, il trionfo del suffragio doveva esser più facile.
L’Italia — dovesse anche avere più propizî i fati politici — non si sottrarrà però alla legge comune. Solo una propaganda instancabile, proseguita per anni, forse non scevra, nell’Italia meridionale, anche di conflitti dolorosi, potrà suscitare l’esercito dei privi del voto, determinati a conquistarlo per difendere con esso i loro interessi di classe. E perchè, allora, dal reclutamento escludere le donne?
Direte, nella propaganda, che agli analfabeti spettano i diritti politici perchè sono anch’essi produttori. Forse le donne non sono operaie, contadine, impiegate, ogni giorno più numerose? Non equivalgono, almeno, al servizio militare la funzione e il sacrificio materno, che danno i figli all’esercito e all’officina? Le imposte, i dazî di consumo, forse son pagati dai soli maschi? Quale degli argomenti, che valgono pel suffragio maschile, non potrebbe invocarsi ugualmente per il femminile? Domandate ai socialisti belgi ed austriaci se l’aiuto delle lavoratrici, nella loro campagna pel suffragio, non ebbe “alcuna influenza benefica immediata„! Vi risponderanno che proprio nelle donne trovarono i più coraggiosi entusiasmi e le maggiori abnegazioni. Così fu che, in Austria, allorchè quel proletariato fu presso alla vittoria, le donne, che avevano lottato strenuamente, non già per competizione di sesso o in vista di un lusso politico, ma per urgenti interessi di classe, non accamparono egoistiche pregiudiziali, considerarono la vittoria come vittoria comune, liete dell’arme procurata ai compagni, sicure di non essere più tardi dimenticate.
Il voto è la difesa del lavoro, e il lavoro non ha sesso. I pericoli del suffragio universale, se pericoli annida — nè sarebbero maggiori di quelli d’ogni altra libertà — anch’essi sono comuni ad ambo i sessi e non hanno che un solo correttivo: l’educazione che nasce dall’esperienza del diritto esercitato. Se il suffragio universale servì al dispotismo di un Bonaparte, alle velleità dominatrici di un Boulanger, non servì meno, quando fu più illuminato, a difendere e consolidare la libertà e la repubblica, meglio d’ogni guardia nazionale.
Ben vero che l’elemento femminile, oppresso dalla insufficienza dei salarî e dal peso immane delle faccende domestiche, che ne assorbe anche le ore e i giorni di riposo, non può accorrere, quanto il maschile — e il fenomeno è comune a tutti i paesi — nelle organizzazioni economiche del proletariato. Ma è questa una ragione di più per chiamarlo alla conquista del diritto politico, che ridesti, in queste ultime fra gli oppressi, la coscienza di classe, la coscienza di donna, di madre, di cittadina. Per sè, che han più bisogno di difesa, e per la causa comune.
In Prussia, mentre scrivo, la democrazia socialista porge un grandioso esempio di solidarietà, non dimenticando mai, negli appelli alla “santa battaglia„ per le rivendicazioni politiche, le donne lavoratrici. La lotta è formidabile, tutte le forze proletarie sono necessarie, se si vuole davvero la vittoria. Perchè dunque i socialisti italiani — ed essi soli — saranno così prodighi, da regalarne la metà alla classe nemica?
ANNA KULISCIOFF.
“La parola è all’imputato!„ E l’imputato è qui in carne ed ossa. Perchè, se il pensiero fondamentale della risposta al Comitato femminile fu concordato coi colleghi — e poteva esprimersi con la sobrietà, se non proprio con le parole, con cui il mio Pubblico Ministero lo ha qui sopra riassunto — lo svolgimento, le righe incriminate, tutto ciò, insomma, che nel documento corpo di reato potè dar luogo a una polemica, appartiene esclusivamente a chi l’ha scritto, sottoscritto e, da sè solo, a pieni voti collaudato.
Me me adsum — dunque — qui feci; in me, adirate e adorate compagne, convertite ferrum! Non vi sono altri responsabili. L’infamia è d’un solo.
Il quale osserva subito questo: se la replica di Anna Kuliscioff, anzichè essere di una donna, la cui fede e le cui battaglie son note, fosse venuta dal Comitato del suffragio femminile, che si trincerò nel più eloquente silenzio; se tale replica potesse apparire l’espressione dei sentimenti e dei propositi di un gran numero di donne, e di donne italiane; lo scrivente, fossero anche le staffilate, sul suo groppone socialista, state cento volte più fiere, si compiacerebbe altamente di averle provocate.
Perocchè — in cotesto caso — esse significherebbero che le ragioni, per le quali dell’immediata — non si dimentichi mai questo aggettivo — ammessione delle donne italiane al suffragio il partito socialista non saprebbe, crediamo, essere entusiasta; quelle ragioni avrebbero perduto buona parte del loro valore. E significherebbero quell’avvento della femminilità lavoratrice in grande massa nel movimento di classe, che è uno dei più fervidi dei nostri desiderî ed auspicî.
Ma la parola di Anna Kuliscioff, congiunta al silenzio delle altre, non dà se non la riprova di ciò che pur troppo non ignoravamo. Le donne italiane, novecentonovantanove su mille — ossia in una proporzione dieci volte almeno superiore a quella degli uomini — sono assenti dal movimento politico, e assenti, anche più, da ogni movimento di classe.
La colpa? Delle donne stesse, degli uomini, di quel che si vuole: inutile, qui, ricercarla. Il fatto è questo, e il fatto rimane. Nè si vede che i Comitati, che si erigono a interpetri e a guide del movimento femminile, lavorino — con precisi propositi — nelle direttive e agli intenti, coloriti e illustrati nella femminile, e virile, requisitoria pubblicata qui sopra.
E allora, parliamo pure di libertà che corregge sè stessa, di educazione che sorge dall’esercizio del diritto, auguriamo e speriamo che, allorquando — e ne conveniamo, non sarà così tosto — il suffragio universale sia per venir conquistato, le cose, anche un po’ per opera nostra, siano profondamente mutate; ma, oggi come oggi, la prospettiva della facoltà, data a tutte le donne italiane, di partecipare al suffragio politico, non è precisamente fatta per acquistare a questo simpatie — negli ambienti socialisti e democratici — nè per animarne la propaganda e per affrettarne la vittoria.
⁂
Ciò premesso, è da aggiungere che mai, allo scrivente o ai colleghi del Comitato, non saltò in mente di “escludere„ le donne — le lavoratrici sopratutto — sia dall'ostensione del suffragio, sia dalla campagna per conquistarlo, nella quale le invochiamo anzi, col più sincero desiderio, come collaboratrici di inestimabile efficacia suggestiva.
Se una diffidenza potè trapelare da quella lettera, è soltanto verso quel certo femminismo elettorale, che guarda alla conquista del voto come a un nuovo privilegio, che rinforzerebbe, coll’aggiunta del voto femminile su basi limitate, il dominio intellettuale ed economico della borghesia; o, anche se a questo non pensa, agisce in realtà come non avesse altra mira.
È nostra — ci sia perdonata! — la triplice risposta che demmo a un referendum femminile, pubblicato vari anni fa, circa i tre motivi che rendessero propensi od avversi all’introduzione, anche immediata, anche universale, del voto femminile. A tutte e tre quelle domande noi rispondemmo (e non certo per fare un bisticcio) questa sola frase: Sì, perchè la donna è un uomo.
E, se toccasse a noi di formulare alla Camera, per conto del Gruppo socialista, il disegno di legge del suffragio universale, nessun dubbio che le donne vi sarebbero incluse formalmente ed esplicitamente — ad evitare le eleganti discussioni fra i giuristi e le Corti, che seguirono, e seppellirono, il ricorso di Bice Sacchi sulla base della legge vigente.
Ma tutto ciò, e il ricordo e l’esempio di tutti i voti di Congresso e di tutti i partiti socialisti della terra, come pure quello delle ammirevoli lavoratrici dell’Austria (ci scappò scritto, in quella lettera, “della Germania„, ma è alle austriache per l’appunto che sopratutto pensavamo), le quali — col loro pratico riconoscimento della necessaria gradualità — ci sembrano piuttosto recar presidî alla nostra tesi che non all’accusa che ci vien mossa; tutto ciò, diciamo, non distrugge il fatto, di intuizione elementare, che, fin quando il movimento femminile pel suffragio resti limitato a una specie di sport signorile, e non sia volto a suscitare nelle masse lavoratrici femminili la coscienza dell’interesse di classe che la conquista del suffragio munirebbe di valide difese, tale movimento — agli occhi almeno del socialismo e del proletariato — apparirà condannato alla sterilità più assoluta, e la conquista del voto universale — in qualunque ora della storia sembri diventare imminente — apparirà meno urgente nel suo aspetto muliebre che nel suo aspetto maschile.
Il dire questo, o anche gridarlo sui tetti — non ne spiaccia alla mia severa denunziatrice — può risultare più utile, come stimolo, al progresso del movimento femminile democratico e proletario, che non sia il comodo e più galante sorvolare sulla questione; sotto il silenzio rimanendo intatte le ragioni profonde, che fanno del suffragio femminile, ancora oggi, a troppi occhi, in Italia, un’incognita pericolosa, e quindi un incaglio e una cagione di ritardo, tanto al trionfo di se stesso, quanto a quello della estensione, uni o plurisessuale, del suffragio politico.
FILIPPO TURATI.
Suffragio universale a scartamento ridotto
(Dalla Critica Sociale, 16 aprile 1910)
.... 0 idealismo umano,
affogati.... CARDUCCI.
La mia replica sarà breve.
Non è piacevole, lo confesso, sopra una questione di sostanza e che sta molto a cuore, dissentire da chi ci fu compagno di lotta e di lavoro, in una vita comune di un quarto di secolo, con perfetta solidarietà, e, per un ventennio, anche su questa Rivista. E avrei ben volontieri rinunziato a questa polemica in famiglia, se Turati, qui, non fosse stato l’interprete fedele dei nostri compagni più autorevoli, del Partito, del Gruppo parlamentare, del Comitato pel suffragio universale. Ma allora le smentite e le confutazioni sarebbero venute da altri: l’ortodossia del Partito, geloso delle sue tradizioni novatrici e rivoluzionarie, avrebbe condannata l’eresia individuale. Ma una qualsiasi reazione si attende invano; e, per temeraria che appaia questa mia insurrezione, ad armi impari, contro tutte le “autorità costituite„ del socialismo italiano, ....à la guerre comme a la guerre, e proseguiamo il dibattito!
Alla mia “requisitoria„ contro l’illogicità e il filisteismo della misoginia elettorale dei socialisti, Turati insorge protestando che giammai, nè a lui nè al Comitato, passò per la mente di escludere le donne, sia dall’estensione del suffragio (malgrado la “nessuna influenza immediatamente benefica„ di codesta “aggiunta contemporanea„), sia dalla campagna per conquistarlo. Nessun dubbio che, in una proposta di legge, che venisse dal Gruppo, le donne sarebbero formalmente e esplicitamente contemplate. E, nella agitazione, le si invocano, “col più sincero desiderio, come collaboratrici di inestimabile efficacia suggestiva„.
Alleluja! Dovrei sentirmi fiera di così completa ed inattesa vittoria!
Senonchè le vittorie troppo facili e pronte non sono che illusioni, destinate a vivere ce que vivent les roses — e mi basta porre mente alle considerazioni “di contorno„ per averne qui la riprova. L’accessorio distrugge il principale; la cornice il quadro!
Infatti, “le ragioni, per le quali, della immediata (non si dimentichi, per carità, l’aggettivo!) ammissione delle donne al suffragio, il partito socialista non saprebbe essere entusiasta„ sono rimaste inconfutate — e, “oggi come oggi, la prospettiva della facoltà, data a tutte le donne italiane, di partecipare al suffragio politico, non è precisamente fatta per acquistare a questo simpatie negli ambienti socialisti (?) e democratici (!), nè per animarne la propaganda e per affrettarne la vittoria„.
Siete dunque ancora convinti di trovarvi in possesso della bacchetta magica, che vi conquisterebbe, oggi come oggi, il suffragio per gli analfabeti, se l'immediata ammissione delle donne non fosse là, a riempire di sgomento i socialisti e gli affini? E allora — perchè, di grazia, invocate la immediata partecipazione delle donne lavoratrici alla campagna di conquista e le includerete immediatamente nel vostro disegno di legge?
Ma, ahimè! la bacchetta magica, ecco che ritorna nel suo regno: nel regno delle favole. Turati non disconviene che la conquista del suffragio universale esigerà, per esempio, un po’ più di una stagione.... e il famoso aggettivo (non dimenticarlo mai, per carità!) perde allora un tantino del suo valore. Non essendo da sperare il miracolo di immediate vittorie, anche le immediate prudenze possono lasciarsi in riposo. Vediamo tuttavia le ragioni che le avevano suscitate e consigliate.
“Le donne italiane, novecentonovantanove su mille — dice Turati, che deve averle contate — sono assenti dalla politica„; e gli assenti hanno torto.
Su 9 milioni di uomini maggiorenni, quanti — ci si dica in cortesia — partecipano effettivamente alla vita politica? Data la percentuale media del 44% di analfabeti, gli elettori inscritti dovrebbero ammontare almeno a 4 milioni e mezzo: sono a malapena 3 milioni, e di questi la metà diserta le urne. Questa assenza, però, di cinque sesti degli uomini, quasi tutti appartenenti al proletariato industriale od agricolo, non vi è affatto di ostacolo a chiedere l’universalizzazione del suffragio universale.
“Ma l’assenteismo delle donne è dieci volte superiore....„ — Ah! Si dimentica, semplicemente, che i maschi possiedono, più o meno, da secoli, i diritti politici (salvo non curarsene affatto); mentre leggi, costumi, tradizioni, secolari ingiustizie congiurarono sempre a fare delle donne delle perpetue minorenni e delle interdette insanabili. — Ebbene, io vado più in là: concedo che tutte le donne siano delle assenti: sarà una ragione di non chiamarle? o non piuttosto dovrebb’essere del contrario? Chi vi dice che, una volta chiamate, non accorrerebbero? Esse non difendono i loro diritti; troppe li ignorano; troppe sono misoneiste, passive, mancipie del clero. Ma che cosa ha fatto finora il partito socialista — il solo che, sorto contro tutte le ingiustizie, a difesa di tutto il proletariato, abbia inscritto nei suoi vessilli l’uguaglianza economica, politica, giuridica dei due sessi — che cosa ha fatto per suscitare negli animi dei lavoratori il senso e la pratica di un dovere nuovo, più alto, più umano, nei rapporti delle loro sorelle di lavoro e di stenti, doppiamente oppresse, doppiamente indifese, e altrettanto degne, quanto essi, di possedere i fondamentali diritti del cittadino?
E — poichè lamenta nella donna quel penchant religioso, che dissimula, in fondo, l’incosciente anelito ad un riscatto, almeno fantastico, dalla schiavitù delle bestie da lavoro, verso la idealizzazione della maternità, simboleggiata nel dolce rito di Maria, verso una sospirata “fusione di anime„, che le nozze religiose sembrano promettere per un istante, sotto gli auspicî del mistero, e che la dura vita smentisce — il partito socialista, la cui fede dovrebbe quelle mistiche idealità tradurre dal cielo sulla terra, dalla fantasia nella realtà, e la maternità porre davvero sugli altari della vita, e la fusione delle anime realizzare nella quotidiana comunione delle lotte, dei diritti, delle difese, delle redenzioni; che cos’ha fatto — il partito socialista — per essere, verso la donna, meno ingannatore delle religioni, meno prete dei preti?
Ma qui Turati mi interrompe con un lieve sorriso canzonatorio, che vorrebbe dire: — tutto ciò è sacrosanto, ma, “oggi come oggi„, le donne sono quello che sono. Inutile indagare di chi la colpa. Il fatto rimane. E non lo distruggono il ricordo e l’esempio di tutti i voti di Congresso, di tutti i partiti socialisti della terra.
Facciamo pure buon mercato dei Congressi e dei partiti socialisti, se così vi piace. Ma Turati non può non ricordare la esperienza nostra, i nostri tentativi, la nostra propaganda, a lungo esercitata, nel proletariato femminile; tutto quel lavoro che, se poi si arenò (e ne vedremo le cagioni), bastò però a dimostrare come il risveglio delle donne lavoratrici crescesse in ragione diretta della nostra azione, idealisticamente socialista, esercitata in mezzo a loro.
Erano migliaia, nel ’96, nel ’97, e, più tardi, nel ’901, le operaie delle più diverse industrie, che accorrevano alle nostre conferenze ed entravano, allora, nelle organizzazioni. Nè mancò la partecipazione alle battaglie politiche. Per le elezioni del ’97 la Federazione socialista milanese diffondeva, a diecine di migliaia di esemplari, un opuscolo, diretto esclusivamente alle donne, compilato dal Gruppo socialista femminile, e le lavoratrici intervennero con ardore di neofite, cooperando ai primi trionfi dello stesso Turati nel 5° Collegio di Milano. E l’agitazione per la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli non fu opera delle donne socialiste e sopratutto operaie? Ci vollero ben quattro Congressi (i resoconti son là) perchè la loro assidua insistenza persuadesse alfine, nel 1900, l'apatia mascolina del partito a propugnare la vitale riforma, presentando quel disegno di legge, preparato dal Gruppo socialista delle donne milanesi, che doveva approdare, attenuato, dopo i cento Comizî popolari, nella legge attualmente in vigore.
Si scatenò la raffica del ’98. Il partito, subendo la necessità indeclinabile dell’ora, fu costretto, per debellare prima la reazione e quindi per consolidare la libertà, a polarizzarsi verso altre mete, persuadendo e proseguendo l’unione elettorale dei partiti popolari; e le donne, che non sono elettrici, vennero (questa è la verità) lasciate in disparte. Non furono più viste, alla soglia dei seggi elettorali, le giovani lavoratrici, cinte della simbolica fascia colore di fiamma, fiammeggianti di entusiasmo esse stesse.... Ma quella scomparsa dimostrò soltanto, e dimostra, che il socialismo aveva, ed ha, smarrito gran parte del suo fascino ideale e morale. E non v’è da esserne lieti!
E così l’assenteismo, la incapacità politica, l’ignoranza e la soggezione al clero, questi argomenti onde si fanno forti i socialisti contro il voto alle donne, oh! non sono essi davvero che li hanno inventati! Sono gli argomenti che, in Germania, prima del ’60, gli Junker, i nobiluomini campagnuoli, più di recente in Austria la grassa e grossa borghesia, ripetevano a perdifiato contro il suffragio universale maschile; li ripeteranno ugualmente i nostri feudatarii meridionali, quando verrà la sua ora. Lo stesso Bebel confessa che, ancora nel 1863, egli era ostile al voto universale maschile, per queste stesse ragioni: eletto deputato nel 1867 dal suffragio universale, si convinse del suo errore, come si convinsero tanti altri con lui e dopo di lui; così, conquistato il voto alle donne, le conversioni del senno di poi crescerebbero all’infinito.
Ma io veggo già Turati, che, attenuando tutte le riserve del partito socialista, si trincera sempre più dietro la “legge di gradualità„, a cui “le ammirevoli„ lavoratrici dell’Austria avrebbero — egli crede — fatto così encomiabile omaggio. Ma, anche qui, è un errore madornale. In Austria, il partito e le donne socialiste accettarono bensì il solo suffragio maschile; lo accettarono come un acconto, non perchè avessero accampata la necessità di siffatta gradualità sin dagli inizî della lotta. Scacciate dalle prime trincee, le classi privilegiate, repugnanti ormai da adoperare i fucili e le mitragliatrici, pensarono di ridurre il danno a metà, escludendo dalla vittoria le donne, la cui missione esse avevano tradizionalmente simboleggiato nelle famose tre K: Kinder, Kirche, Küche (bambini, chiesa, cucina). Socialisti e socialiste, d'accordo, trovarono utile non giocare il tutto pel tutto, contentarsi, per il momento, della trincea conquistata, e accettarono la transazione. Ecco dunque sfuggite a Turati anche le “ammirevoli„ lavoratrici dell’Austria. Che cosa più gli rimane?
Rimane a me di spezzare una lancia in difesa del Comitato nazionale pel suffragio femminile.
Perchè, in verità, non mi riesce di spiegarmi tanta rigidità di partito di classe, di fronte al movimento femminile non proletario, mentre, nei rapporti coi partiti politici borghesi, i socialisti hanno smussato così generosamente gli spigoli della loro classica intransigenza delle origini. Dacchè — e per delle ottime ragioni, che qui non discuto — le tendenze affinistiche bloccarde o popolariste presero il disopra nel partito — fino ad abbracciare, al di là della più rosea democrazia, il liberalismo delle “sante memorie„ e del “panteismo sociale„ — quando mai il partito socialista accampò la pretesa di poter lavorare con uomini di altri partiti e di altre classi, soltanto a patto.... che diventino socialisti e prendano il battesimo nelle pure acque proletarie? Forsechè le donne di qualunque ceto — professioniste, impiegate, insegnanti, commercianti, direttrici di industrie — non hanno tutte le ragioni del mondo di reclamare per sè i diritti di cui godono gli uomini? 0 potrebbero venir loro contesi, solo perchè la loro bandiera fosse moderata o clericale?
Se i socialisti si sentissero convinti fautori di un suffragio universale autentico, e non a scartamento ridotto, saluterebbero con viva soddisfazione anche le suffragiste non proletarie, come un coefficiente efficace all’auspicata vittoria. Solo si riserberebbero di combattere quella qualunque proposta di legge, che intendesse limitare il voto ad alcune categorie femminili privilegiate.
E ciò, non perchè i diritti politici e amministrativi, per le donne non proletarie, rappresentino una specie di sport o di snobismo politico. Ma perchè le donne — al di là della solidarietà di sesso — appartengono anch’esse alle varie classi sociali, e il voto femminile, limitato alle sole classi superiori, si risolverebbe in un voto plurimo, concesso alle classi antagoniste al proletariato, ed equivarrebbe a una vera restrizione del voto proletario.
Ed è proprio contro questo pericolo che il partito socialista disarma incautamente e completamente se stesso, quando accampa le accennate riserve circa la immediata estensione del voto universale alle donne. Nè è fantastica o arrischiata la previsione che l’attuale Presidente del Consiglio — chi non ricorda il bouquet dei più bei fiori della sua eloquenza imaginifica, offerto alle signore delle tribune di Montecitorio, quando si discusse la petizione delle donne italiane pel suffragio? — possa presentare un disegno di legge pel voto limitato a talune categorie di donne cittadine. Con quali armi insorgerete a combatterlo? Per contendere il voto alla grande maggioranza delle donne, l’on. Luzzatti si farà forte dei vostri stessi sofismi; e, in nome dell’armonia delle classi, della fratellanza di tutte le donne, e della “legge di gradualità„ per l’appunto, chiederà che lo sperimento si cominci dalle donne più capaci. Ricorderà allora, ed a ragione, il Congresso femminile di Roma di or sono due anni, dove un migliaio di rappresentanti femminili dimostrò di saper trattare, con idee larghissime, le questioni più complesse della vita moderna; evocherà forse (se non temerà gli strilli del Gruppo clericale!) il voto per la scuola laica...., e chiederà perchè, a donne come la Labriola, la Dobelli, la Spalletti, la Pasolini e tante altre, non si possano aprire le porte del Parlamento.... (1). E il Gruppo socialista avrà un bel protestare e tempestare: ferito dalle armi che la sua improntitudine ha offerte agli avversarii, vedrà il voto plurimo trionfare, favorito sia dall’interesse delle classi conservatrici, sia dalla crânerie politica e dall’amabile scetticismo, che dominano, in Italia, l’ambiente parlamentare.
E, se questo, che pare un sogno, si avverasse.... à quelque chose malheur est bon, e gli apostoli convinti del suffragio universale non ne avrebbero forse ragione di rammarico. Toccato nella sua corda più sensibile, la corda elettorale, il partito socialista si farebbe allora sul serio banditore del suffragio universale — non più confinato in qualche ordine del giorno, o evocato come semplice espediente parlamentare — e vorrebbe allora, immediatamente, per le donne lavoratrici tutte quante, l’arme già concessa, come privilegio di classe, alle donne della borghesia.
La propaganda pel suffragio universale, calda di convinzione, fervida di fede nell’avvenire — diretta ai contadini, schiacciati dal medioevale giogo delle camorre meridionali e del vandeismo settentrionale — alle donne, doppiamente martiri, della loro miseria e dell’egoismo mascolino — una propaganda, cui è giocoforza, per trionfare, metter in luce le infinite ingiustizie che opprimono i più rejetti, i più dimenticati, i più sfruttati — una cosiffatta propaganda è la sola che possa infondere una nuova giovinezza al nostro partito.
Il partito socialista in Italia soffre di vecchiezza precoce. Qualche cosa s’è inaridito, alle sue fonti, e quello, che doveva essere torrente impetuoso, minaccia di assottigliarsi a rigagnolo pigro, sboccante nei paduli di Montecitorio. Perciò i giovani non vengono a lui e cercano altre vie; quelli che ci vengono ancora, e, in mancanza di contenuto idealistico più alto, si dànno alla propaganda anticlericale la più volgare, che urta il sentimento delle masse e che le allontana, troverebbero — in una forte agitazione pel suffragio veramente universale, senza restrizioni — un aere ossigenato pei loro polmoni morali, un alimento alla loro avidità di espansione e di lavoro; rifluirebbero allora essi, numerosi ed ardenti, nelle nostre file; e ci renderebbero la vita. Se anche, nella critica ai vecchi commilitoni, saranno talvolta ingiusti, eccessivi, misconoscenti, poco importa, anzi non importa affatto; purchè siano salutare correttivo alla saggezza e alla prudenza dell’età critica — ohimè! non l’hanno le sole donne! — degli uomini politici.
Un’ultima parola, e questa, ed è di preghiera, alle compagne socialiste. Partecipino esse — poche o molte che siano — dappertutto, alla solennità dell’imminente primo maggio; vi sostengano, dovunque, il diritto anche delle donne alla conquista del voto; si preparino a intervenire numerose al prossimo Congresso socialista, per rivendicarvi lo stesso diritto. Confido che voci giovani e forti avranno ben maggiore efficacia della mia voce — infiacchita dal grigio tramonto!
ANNA KULISCIOFF.
Chi, prima ancora di me, avrebbe diritto di protestare contro questa nuova requisitoria, è proprio il mite somarello, dell’Intermezzo carducciano, la cui malinconica riflessione sulla decadenza dell’umano idealismo fu incisa, come epigrafe, in testa allo scritto che precede. Mi sia lecito — come compagno di sesso e di battiture — interpretarne il pensiero.
— Sì, è vero — raglierebbe, se potesse, l’asino dell’ortolano, che in verità sarebbe un poco sorpreso di vedersi trasformato in un così fervente feminista. — Io ho mandato l’idealismo umano ad affogarsi, e, nella mia asinina rozzezza, gli indicavo anche il sito: quel sito che voi, signora, per gentile senso di decenza, vi fate scrupolo di nominare. Sì, io mandai l’idealismo umano ad immolarsi sull’ara, chiamiamola così, della dea cloacina. Ma il caso, che mi strappò quella interiezione, era un tantino diverso.
Io sono — proseguirebbe — come ogni somaro che si rispetta, un perfetto analfabeta, e, quando ragliavo così, nessuno ancora sognava che agli analfabeti pari miei dovesse estendersi il diritto di voto. Sono dunque perfettamente consapevole della mia somaraggine. Ma, in verità, voi mi avete fatto diventare.... più asino del vero.
Quand’io ragliavo quella bestemmia, ricordate ciò che m’era toccato di vedere e di udire? Carducci ve l’ha pur raccontato. Era lo spettacolo osceno di un poeta ubbriaco, che, ostentando ai passanti la fetente ulcera del suo cuore, vomitava sulla pubblica strada "vino, tabe, elegie„, in onta al preciso disposto dei regolamenti municipali. Vi pare che calzi il paragone colla lettera o coll'articolo di Filippo Turati?
No, neppure il ricordo delle dolci somarelle dei miei anni giovanili mi avrebbe mai spinto a cosiffatta eresia!
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Ed ora, riabilitato il quadrupede, veniamo al cristiano. E dico subito che, se l’ingratitudine non fosse femmina, della suscitata polemica le suffragiste — più di chiunque — dovrebbero essermi riconoscenti. Ecco infatti che, per effetto di quella lettera, che mi fa testa di turco a tanti strali, la questione del voto femminile, ch'io avrei trattato con insufficiente rispetto, viene sul proscenio, sbuca dall’oscurità, si vendica dei sorrisi ai quali sembrava condannata.
Salutem ex inimicis! dovrebbero ripetere le donne che san di latino.
E non solo sopra queste colonne. Nell’Avanti! del 1° aprile — la data non include malizia — prima la dott. Bice Sacchi, dalla colonna delle “varietà„, mi scaglia tutto un arsenale di piccole ma contundenti armi femminili, accusandomi, con tutta la coorte socialista mascolina, di gretto utilitarismo, di sottile ipocrisia e di terrore verde del ridicolo. Nell’Alleanza di Pavia, accorre a rinforzo la signora Carmela Baricelli, sospettandomi di dubitare, con un certo Concilio ecumenico, che anche la donna abbia un’anima. E altre, altrove, rincalzano, che non tutte ricordo. Così la polemica dilaga e il mio supposto boicottaggio è miseramente fallito!
Non me ne dolgo; e rispondo subito alla Kuliscioff (a fortiori avrò risposto alle altre, più femministe e suffragiste e meno socialiste) che, anzi, vivissimamente me ne compiaccio.
Se, movendo alle Indie, avrò, come Colombo, scoperto l’America; se, cercando la formula dell’oro, avrò inventata la chimica, come gli alchimisti; se, constatando e deplorando l’assenza delle donne dalla politica, avrò contribuito a suscitarne la presenza;.... mi assalgano pure tutti i dardi della dialettica femminile, io solo — se altri non comincia — batterò le mani a me stesso.
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Soltanto, mi si consenta di soggiungere che la lettera, tanto discussa, non meritava — in sè e nella sua modestia — tutta questa discussione. E, innanzi tutto, tutti gli argomenti che si desumono dal diritto della donna, di qualunque classe, fede, razza o colore, a conquistare, accanto all’uomo, la cittadinanza politica — dall’utilità che tale conquista recherà, col tempo, al progresso civile e democratico — tutti questi argomenti sono spesi a vuoto. La mia lettera non soltanto non contestava tutto ciò, ma lo affermava senza la menoma ambage.
La questione era altra, e assai più modesta. Sarebbe utile — si chiedeva — propugnare, colla stessa tonalità, le due cause, esigerne la risoluzione simultanea, fare di questa simultaneità una specie di pregiudiziale? E rispondevo — modestamente — di no.
Mi impegnerei di dimostrare che, su questo punto, che è il vero, siamo tutti — e tutte — d’accordo. Ma, allora, che rimarrebbe più della nostra polemica?
Senonchè Anna Kuliscioff mi ghermisce nei “contorni„, mi inchioda sugli incisi, mi mortifica sulle parole. Sopratutto le duole ch’io abbia scritto che, della immediata immissione delle donne, di tutte le donne italiane, nell’esercito elettorale, l’urgenza non può essere sentita dai socialisti. E mi coglie in contraddizione. Perchè, allora, le inchiudereste nel disegno di legge? e perchè le invocate collaboratrici nella propaganda?
Un amico nostro, che lavorò un tempo per il socialismo, seriamente e senza clamore, e che oggi un lungo malanno affligge e sequestra (vadano a lui, di passaggio, gli augurî delle antiche amicizie!), diceva un giorno, alludendo alla nostra contradditrice, questo motto arguto: che il partito socialista italiano non possedeva in realtà che un solo vero uomo politico; soltanto, il solo uomo politico del socialismo italiano, era.... una donna — ed una russa per giunta! Ma il ragionamento, stavolta, di Anna Kuliscioff non onora, mi sembra, la logica.... degli uomini politici italiani.
Infatti, la contraddizione vi sarebbe se io avessi negato mai alle donne il diritto o la capacità elettorale in linea di principio. Ma quando si è scritto tutto l’opposto!....
E appunto, poichè il progetto socialista — per le ragioni stesse sulle quali la Kuliscioff s’è tanto indugiata — non potrebb’essere, oggi, che affermazione di principio, destinata a effettuarsi per gradi — e la capacità si acquista, fra l’altro, col volerla acquistare — la contraddizione, che mi si rimprovera, non solo non esiste — ma esisterebbe nel caso inverso: quando, per l’immaturità di molte donne (un difetto, ahimè, da cui si guarisce tanto presto!), le escludessimo dal nostro progetto, o dalla battaglia che lo farà trionfare.
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Comunque: questioni di questo genere non è il ragionamento che le risolva; le risolvono i fatti. Vengano le donne, sospinte dai loro bisogni economici e morali, numerose e fervide nell’arringo politico; e conquisteranno il diritto. Esse avranno vinto.
Ma noi — questo è il bello! — avremo vinto con loro. Soltanto, poichè è pacifico che questo non potrà che essere il secondo passo, e il suffragio universale maschile dovrà aver preceduto; a quello si arriverà tanto più presto, quanto più libera e piana, per compiere il primo, ci saremo conservata la via.
È la tattica di Orazio contro i Curiazii: abbattere il nemico con arte, alla spicciolata.
Quando scatterà l’ora della prima vittoria?
Qui è il fondo, chi ben guardi, e qui è la chiave del dissenso. Per la Kuliscioff, anche questa mèta è estremamente ardua e lontana. Per noi — nasce quest’ottimismo dalla consuetudine realistica di lotte per fini più immediati? o è accorgimento inconsapevole, diretto a suscitare e mantenere più vivaci entusiasmi? — per noi, nell’ambiente italiano, se sapremo manovrare, potrebbe essere, quella prima mèta, molto più prossima. E decideranno gli eventi.
Da notare: se il suffragio universale maschile dovesse, in Italia, o per nostra ignavia o per ostilità insuperabile di circostanze, tardare parecchi decennii; per lento che sia il progresso dell’alfabetismo (e oggi, all’infuori dell’azione del Governo, molti nuovi coefficienti lo sollecitano: citiamo, per tutti, l’emigrazione alle Americhe), esso basterebbe a condurvici colla legge vigente. Non sarebbe più il suffragio universale quale oggi lo concepiamo e pei fini che oggi da noi gli sono proposti. Di battaglia e di conquista non sarebbe più da parlare.
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Quanto alla virtù rinnovatrice, che una forte agitazione pel suffragio spiegherebbe sulle energie del nostro partito, vi sottoscrivo con due mani. E non mi preoccupano troppo i pericoli, che Anna Kuliscioff affaccia, di conquiste femminili parziali e conservatrici. Bene è averli prospettati: ma non per rassegnarci fin d’ora a doverli subire.
Con tutti i suoi possibili e in gran parte inevitabili errori, il socialismo proletario italiano, che già seppe rintuzzare le offese alla libertà, non tollererà restrizioni statutarie indirette, non subirà “voti plurimi„ — neppure dissimulati sotto le rose galanti di concessioni di sesso. Questo rimanga stabilito.
Purchè, s’intende, per troppo ringiovanirsi, non sacrifichi a mistici miraggi la maturità di consiglio propria agli adulti — ricordi che ogni giorno ha il suo còmpito — e che, senza l’oggi, non può spuntare il domani.
FILIPPO TURATI.
Note
- ↑ Un articolo, a pro' di questa tesi, del Saraceno nella Vita — che, se non è l'Anna d'Amico del pensiero del Gabinetto, come pretende il Giornale d'Italia, certo sta in intimi rapporti con alcuni degli attuali Ministri — sembra suffragrare la mia non temeraria previsione.