Il romanzo della fortuna/XXI
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XXI.
Nubi grigie e nubi rosee.
In piedi davanti alla tavola dove la zuppiera già fumante si andava raffreddando, Chiarina attendeva Giovanni. Egli entrò colla fronte rannuvolata e invece di prender subito il suo posto al desco si pose ad esaminare alcune carte che trasse premurosamente di tasca.
Chiarina lo lasciò fare per qualche istante poi lo ammonì con dolcezza che il desinare era pronto e che si guastava ad aspettare troppo, onde egli sedette macchinalmente sempre tenendo quelle cartaccie fra le mani. Nè Chiarina avrebbe ardito interrompere l’attenzione che lo concentrava in essa se un se un gesto sfuggitogli all’improvviso ed una esclamazione violenta non fossero venute a suscitarle qualche inquietudine.
— Ma che hai infine? — domandò abbassando la faccia sotto alla faccia del fratello per guardarlo bene.
— Nulla, nulla, più nulla.
Così venne a mormorare Giovanni rispondendo più a sè stesso che alla domanda della sorella. E riprese quasi subito:
— Rovinàti completamente.
— Ma chi? — fece Chiarina.
— Chi?... Loro.
Ella comprese. sbiancando in volto, con una fitta che le trapassò il cuore.
— In che modo?
Giovanni si strinse nelle spalle.
— In tutti i modi possibili, io credo. Non par vero come certa gente non solo non sa far denari, ma non sa nemmeno conservare quelli che ha.
Chiarina tacque, quasi il lontano rimprovero che trapelava dalle parole di Giovanni la ferisse in un suo sentimento profondo. Fu lui che continuò.
— Una sregolatezza, una trascuranza che non avrei mai immaginato. Non erano ricchi, e vivendo come se lo fossero, hanno dato fondo in pochi anni al capitale lasciato dalla nonna.
— E la Villa?
— La Villa è una prova di quanto affermo. Per la loro inerzia è ridotta una rovina, dalla quale non si potrà ricavare altro che un mucchio di calcinacci.
— E quel po’ di fondi?
— Ipotecati.
— Il signor Firmiani però aveva un buon stipendio alla Banca.
— Sicuramente. Era su quello che vivevano e adesso...
— Ma... Enzo...
— Enzo, Enzo! Enzo è un povero ragazzo, non per l’ingegno certo, nè per altre bellissime qualità, ma gli manca il senso pratico della vita. È un sognatore.
— È anche disgraziato.
— Sì, è anche disgraziato. I fattori della fortuna sono sempre due: uno sta dentro di noi, l’altro appartiene all’ignoto. Li ha entrambi contro di sè.
— Il posto dove si trova ora...
— Gli verrà a mancare. Era il signor Firmiani che sovveniva la cassa.
— Ma dunque che cosa faranno? — gemette Chiariva colle lagrime agli occhi.
— Mah! — fece Giovanni, mentre un’ombra cupa gli passava sulla fronte.
— Non possiamo noi aiutarli?
— In qual modo?
— Il modo non lo so.
— Vedi bene. È difficile.
Stettero un po’ in silenzio; poi Chiarina disse:
— E Mariuccia?
— Ah!
Questa esclamazione fu quasi soffocata da Giovanni che si pose ambedue le mani sulla fronte.
Passò del tempo ancora.
— Non mangi più? — disse Chiarina.
— No.
— Non hai assaggiato quasi nulla.
— Mi manca l’appetito.
Era troppo giusto e Chiariva non insistette. Più tardi, quando la servetta ebbe sparecchiato e che fratello e sorella si trovarono entrambi soli e vicini sotto la luce della lampada che li riuniva tutte le sere a chiacchierare, tacendo quella sera essi sapevano di pensare la medesima cosa. A un tratto Giovanni esclamò:
— Ti ricordi il bel servizio da tavola che figurò due anni or sono, non so più per quale circostanza?
— Sì, per il compleanno di Enzo.
— Ebbene, non è ancora pagato. Così una quantità di cose. Ogni giorno salta fuori un creditore nuovo.
— Negli ultimi tempi era molto decaduto, povero signor Firmiani. Forse capiva di trovarsi sopra una cattiva china.
— Io so anche — disse Giovanni mutando voce e tono — che Mariuccia era stata chiesta in matrimonio e che non se ne fece nulla perchè mancava la dote. Lo sapevi tu?
— No.
— Non sai neppure se ella...
Parve esitare un momento, poi risoluto proseguì:
— ...se ha una simpatia?
— Non lo so davvero, ma giurerei di no. È troppo lieta, troppo serena. Se la simpatia fosse vicina, la si vedrebbe; se lontana, dovrebbe pensarci ed immalinconirsi qualche volta.
Giovanni la guardava con occhio acuto, quasi per chiederle dove avesse appreso la teorica d’amore. Chiarina sorprese quello sguardo ed arrossì. Per fortuna Giovanni non insistette sull’argomento.
Alcuni giorni dopo fu Chiarina che disse a suo fratello:
— Sai che Mariuccia cerca di collocarsi come dama di compagnia?
Giovanni fece una smorfia.
— Cosa vuoi che faccia? Furono le sue amiche a suggerirle questo mezzo decoroso di guadagnarsi la vita.
— Bel suggerimento ma poco pratico; proprio di persone che non conoscono le realtà della vita. Il posto di dama di compagnia non è lucroso che nei romanzi, dove invariabilmente finisce collo sposare il padrone.
— E perchè non accadrebbe ciò a Mariuccia? È bella, educata, buona...
— Fammi il piacere! — tagliò corto Giovanni con un nervosismo affatto insolito in lui, tormentando colla mano i piccoli baffi bruni.
Quell’inverno le due famiglie si videro con grande frequenza. Giovanni si era assunte tutte le brighe fastidiose degli affari e quasi ogni sera recavasi in via Gesù. Era per Enzo come un fratello maggiore; lo consigliava, gli schiariva le idee sopra una quantità di problemi che il giovane sognatore non aveva mai avuto il coraggio di affrontare. Per Mariuccia era l’amico fedele, l’amico sicuro che aspettava senza trepidazione forse, ma che rivedeva con gioia, coll’abbandono beato che il bambino trova sul braccio robusto di chi lo regge. Ella diceva infinite volte: «Pensa, Enzo, pensa se noi non avessimo Giovanni!...» E quando entrava gli correva incontro coll’occhio luminoso, colle mani tese, come se da lui dovesse venirgli la salvezza.
Giovanni si manteneva grave e serio. Attraversava un momento decisivo per il suo avvenire: il negozio della Pace doveva morire ed in sua vece una grande Società commerciale, di cui Giovanni era l’anima, stava per sorgere nel centro di Milano. Trattavasi di una iniziativa audace, di un tentativo senza precedenti e Giovanni ne sentiva tutta la responsabilità.
Anche per Chiarina le giornate erano brevi al compito. Ella non andava molto dai Firmiani, ma Mariuccia veniva da lei con un crescendo di simpatia e di confidenza. L’ora triste che si era abbattuta sulla sua famiglia aveva portato per conseguenza non del tutto sfavorevole una specie di selezione fra coloro che si chiamavano suoi amici. Molti di essi si erano involati al primo rintocco funebre della miseria; altri restavano impacciati e freddi; altri ancora avrebbero voluto far qualche cosa, ma non sapevano. Con tutti Mariuccia si trovava imbarazzata ed umiliata. Da Chiarina invece la lunga consuetudine, le memorie comuni, la devozione a prova, l’attaccamento intimo e profondo le creavano il solo ambiente dove si sentisse veramente bene.
Il mutamento del negozio portava poi con sè un mutamento dell’abitazione. Verso Pasqua, nella stagione in cui i cartelli dell’appigionasi fioriscono le case di Milano, Mariuccia accompagnò Chiarina alla ricerca del nuovo alloggio. Era nel centro bello e gentile che rivolgevano i loro passi, da porta Venezia a porta Nuova, lungo i Navigli silenziosi dove si aprono i giardini delle vecchie case, folti di ombre e di quella patina verdastra che rammenta i canali di Venezia. Chiarina entrava rapidamente, per istinto, nella comprensione di questo genere di bellezza e se domandava consiglio in proposito a Giovanni egli rispondeva:
— Vai colla signorina Firmiani? Consultati con lei. È una buona guida per tale scelta.
Alla fine di aprile tuttavia non avevano ancora trovato. Madama Cauda, che Chiarina vedeva ora di rado, non mancò di avviarla verso i quartieri nuovi. La tenne ferma un giorno sul ballatoio a farle una lezione di igiene sulla pulizia dei fabbricati recenti e sulle comodità che la scienza e l’industria hanno saputo introdurre nelle abitazioni ultimo modello. Concluse: «Per loro che non hanno bisogno di fare economia, via Dante o Foro Bonaparte dovrebbe essere l’ideale».
Di tutto il discorso di madama Cauda Chiarina non ritenne che l’ultima frase: «per loro che non hanno bisogno di fare economia», e le parve singolarissima, rivolta a lei ed a suo fratello che erano cresciuti nelle maggiori strettezze. Quel riconoscimento pubblico della loro agiatezza la fece arrossire. E però — pensava con tristezza — che mi serve essere ricca se non posso rendere felici coloro che amo?
Quella stessa sera Giovanni rincasando le disse:
Poichè tra voi altre due non siete riuscite a trovare l’appartamento che ci conviene, mi ci sono messo anch’io. Andate a vedere in via Senato. Hanno appeso il cartello di un appartamento. l'ho visitato oggi. Forse vi piacerà.
Parlava al plurale, persuaso che Mariuccia non avrebbe mancato di associarsi a Chiarina e sapendo che Chiarina la prendeva volentieri con sè per alleviarle la solitudine ed i rimpianti.
Andarono infatti tutte e due, così unite e così diverse; Mariuccia rosea e bionda nel suo abito di strettissimo lutto: Chiarina vestita de’ suoi soliti colori incerti, trascinando con un passo di precoce decadenza la personcina appassita. Lungo la via Mariuccia, un po’ malinconica, diceva:
— Ecco, tu verrai a stare in questi quartieri che amo dall'infanzia ed io chi sa dove anderò a finire!...
Quando accennava al suo avvenire oscuro, gli occhi ridenti della fanciulla si velavano di lagrime e Chiarina, che avrebbe data tutta la sua fortuna per tornare ad essere l’umile ancella di casa Firmiani, non riusciva sempre a consolarla.
L’appartamento indicato da Giovanni era molto carino, allegro, pieno di sole, con vista di alberi a tutte le finestre. Aveva ancora certe dorature antiche intorno agli stipiti degli usci che diedero a Chiarina l’impressione di un lusso regale e un certo corridoio lungo, affrescato di pampini, che fece uscire Mariuccia in esclamazioni entusiastiche. La portinaia che le accompagnava in quella visita osservò che i bambini vi avrebbero giuocato a meraviglia credendosi sotto un vero pergolato.
— Quali bambini? — disse Chiarina — noi non ne abbiamo.
A questa sortita dei bambini Mariuccia rise di cuore e soggiunse:
— Con bambini o senza è bellissimo. Chi sa come ha fatto Giovanni in mezzo a tante occupazioni a trovare tempo di pensare anche a ciò. È portentoso Giovanni. Portentoso, portentoso!
Ogni elogio dato a suo fratello andava ad accarezzare Chiarina nei più riposti meandri del cuore. Ella ripetè con dolce orgoglio:
— Sì, Giovanni è una perla; una vera perla preziosa.
Il paragone ingenuo trovò piena acquiescenza in Mariuccia, la quale approvò silenziosamente col capo.
— Ebbene? — chiese Giovanni all’ora consueta che riuniva intorno alla tavola fratello e sorella. — Questo appartamento?
— l'ho veduto.
— Tu sola?
— C’era anche Mariuccia.
— Che te ne sembra?
— Oh! bello, molto, troppo bello.
— Perchè troppo?
— Costerà assai.
Giovanni scrollò le spalle.
— Mi credi uno sciupone?
— Non certo.
— Eh! dunque lascia andare. Se lo prendo, vuol dire che posso pagarlo.
— Ma sei deciso? — esclamò Chiarina con un certo terrore.
— Se ti piace.
— Mi piace, non lo nego, e tuttavia è troppo vasto per noi.
— Si starà meglio — disse Giovanni ridendo.
Chiarina ansimava un poco e si sentiva il passo corto per tener dietro ai magnifici slanci di Giovanni. Ella oppose ancora:
— C’è una camera d’angolo grandissima, che ne faremo?
— La prenderò per me.
— Ti perderai in essa. È una camera che richiede il letto matrimoniale con tutti i suoi accessori.
— Vi metteremo il letto matrimoniale — rispose Giovanni sempre più allegro — con tutti i suoi accessori.
Questa volta Chiarina rimase muta per la sorpresa.
— Ti sembra dunque una cosa straordinaria che io abbia un giorno o l’altro a prender moglie?
— No, no, Giovanni, no certamente: anzi è buono che ciò sia. Ma se lo dici così è segno che ci hai già pensato...
— Mettiamo pure che ci ho pensato. Ti rincresce?
Per tutta risposta Chiarina buttò le braccia intorno al collo del fratello mormorando:
— Dio ti benedica. Giovanni, in tutto ciò che hai fatto e in quello che farai.
Togliendosi dalle sue braccia, Chiarina ebbe cura di nascondere il volto, ma all’umidore che gli rimase sulla guancia, Giovanni comprese che ella aveva versato qualche lagrima. Di tenerezza? di malinconia? di invincibile rimpianto?