La morte ancora

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XIX XXI

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XX.

La morte ancora.

Era un mattino triste della fine di ottobre, Chiarina già vestita e pronta per recarsi in negozio si attardava insolitamente nel tinello tiepido guardando attraverso le tendine, dove un leone rampante spiccava in rosso sulla trama bianca, quel grigio cielo milanese velato di nebbia che l’aveva tanto impressionata al suo primo giungere in città, che la attirava ancora nel suo ritorno autunnale metodico e fedele, riposante a guisa di un velo disteso sopra le cose.

Dal cortile la voce di un manovale che scalpellava il marmo saliva cantando:

Io vorrei che nella luna
Ci si andasse col vapore
Per poter far all’amore
Colle donne di lassù.

[p. 272 modifica]ssù.

Il manuale era vecchiotto e vecchiotta, la canzone. Chiarina l’aveva udita cantare al suo paese fin dalla fanciullezza e il riudirla a tanta distanza di tempo e di luogo le stringeva il cuore di una indicibile malinconia. Chi la cantava al suo paese era un bracciante che doveva poi morire a Dogali e il ricordo doloroso, come avvenir suole, ne traeva altri a frotte. Chiarina vedeva il giovane contadino sorgente dalle alte erbe colla sua falce che mandava lampi al sole e rammentava un giorno in cui era entrato nella sua casetta a farsi dare un po’ d’acqua, e la cara madre che gliela aveva spòrta col suo bel sorriso di donna felice...

Accorgendosi che la fantasia stava per prenderle la mano, Chiarina si scosse bruscamente; o forse fu aiutata da un colpo breve e tremulo dato al campanello. Mentre si voltava a cercare la servetta, un’ombra d’uomo passò sulla ringhiera davanti alla finestra. Ella si toccò la fronte, non ben sicura di essere desta; mosse due passi verso l’uscio, l’uscio si aperse:

— Signor Enzo!

Il giovane Firmiani appariva molto sconvolto. Non potè parlare subito: si tolse il [p. 273 modifica]cappello con un gesto macchinale e rimase immobile, appoggiato colla spalla allo stipite dell’uscio.

— Signor Enzo! Signor Enzo!

Chiarina si sentiva gelare il sangue nelle vene. Che era mai accaduto, mio Dio! Una volta ancora esclamò trepida e ansiosa:

— Signor Enzo!

Un soffio gli uscì dalle labbra:

— Papà è morto... ieri sera.

Parve che in queste parole il giovine avesse esaurito le forze perchè sedette colla testa fra le mani.

Oh! poterla prendere fra le braccia quella testa adorata e spargere su di essa tutte le lagrime dell’amore e del dolore! Poter dire a quell’uomo dolente: — Confortati in questo cuore che ti appartiene; piangi ma amami, piangi ma spera, piangi ma sappi che non sei solo!... — Quale strazio vederlo soffrire così, in casa sua, la prima volta che veniva in casa sua! E non poter fare nulla! Non potergli nemmeno accarezzare i capelli come ad un bambino... come una madre ad un bambino... nemmeno questo! nemmeno questo!

Il prolungato silenzio di Chiarina fece sollevare gli occhi ad Enzo. [p. 274 modifica]Egli le vide in fronte un tal pallore che temette dovesse cadere e prendendola per un braccio la obbligò a mettersi al suo posto. Comprese anche di non averla preparata alla infausta notizia, di non aver pensato che a sè, di essere stato, senza volerlo, egoista e crudele.

— Mi perdoni — mormorò.

— Cosa, cosa? — disse Chiarina collo sguardo smarrito. — Chiedo io perdono a lei. Se sapessi... comandi. Comandi liberamente... io...

Proruppe finalmente in un largo scoppio di pianto che Enzo rispettò, in piedi, dinanzi a lei, tocco dalla sincerità della sua affezione.

Finalmente Chiarina, asciugandosi gli occhi, volle sapere.

—È stata una sincope. Quando venne a casa ieri all’ora del desinare si disse stanco; non prese altro che un po’ di brodo. Dolori non ne accusava... chi avrebbe mai immaginato! Non fu che verso le otto che incominciò a lagnarsi di aver freddo: andai a chiamare il medico... alle nove meno un quarto non c’era più.

Chiarina si alzò facendo colle mani un gesto di desolazione. Enzo parve ricordarsi allora dello scopo principale della sua visita. Disse: — [p. 275 modifica]Giovanni non c’è?

— È già uscito.

— Avrò bisogno di lui oggi... Era quasi un figlio per mio padre.

— Sì, sì, è vero. Ma verrà, non dubiti. Verremo insieme... povera Mariuccia!

Nella luce scialba del mattino di ottobre, stando entrambi vicini e ritti accanto alla finestra, Chiarina vide tra le ciocche castagne dei capelli di Enzo, che era minore di lei, alcuni fili bianchi.

— Di già! — pensò Chiarina. E quando si salutarono, gravi e mesti, ella provò ancora l’impeto irresistibile di serrarsi contro il cuore la cara testa che il dolore aveva baciata nascendo e intorno alla quale sorgeva innanzi tempo la pallida aureola del tramonto.

— Il trasporto, credo, sarà per domani.

— Disponga di noi in tutto e per tutto.

— Aspetto Giovanni; glielo dica.

Furono le ultime parole che Enzo pronunciò quasi fuori dell’uscio. Chiarina uscendo a sua volta pochi istanti dopo volò in cerca del fratello.

Anche Giovanni rimase atterrito all’annuncio improvviso. Fece chiudere il negozio e insieme a Chiarina si recarono subito in via [p. 276 modifica]del Gesù dove Mariuccia li aspettava in preda ad un grande abbattimento. Appena li vide mosse loro incontro, baciò Chiarina piangendo ed a Giovanni tese tutte e due le mani supplichevoli.

— Non ci abbandoni, per carità!

Così pregò la fanciulla nel terrore di quella morte che l’aveva colpita repentinamente, mentre la vita le sorrideva con tutte le illusioni. Volgendosi a Giovanni, ella ubbidiva all’istinto che fa piegare la fragile liana verso l’albero più robusto. Quel compagno dei giuochi infantili a cui non dava più del tu, perché erano stati tanti anni senza vedersi, ma che l’aveva sempre protetta ed amata, le ispirava una fiducia senza limiti.

— Il mio povero Enzo non può fare da sè — replicò la fanciulla agitata e tremante. — Lo aiuterà, nevvero? Resterà con noi?

Giovanni apparve molto turbato per le parole, per le lagrime, per quell’abbandono insolito, e mentre Chiarina calmava la fanciulla con dolci carezze, egli rispose che sperava di potersi meritare tanta fiducia.

Non si staccarono per tutto il giorno. Giovanni sempre con Enzo a dare le disposizioni [p. 277 modifica]necessarie; Chiarina a confortare Mariuccia, a ricevere in suo nome le visite e le ambasciate. a rispondere alle condoglianze, a impartire ordini alla servitù.

Pranzarono insieme con molta tristezza, ma anche accogliendo la soavità del trovarsi riuniti nello stesso dolore e nei lunghi ricordi che avevano in comune; ricordi a cui bastava che uno di loro accennasse, perchè gli altri comprendessero a volo, sì che di parole ne furono pronunciate poche e caldo e rapido invece fu l’incontro dei pensieri.

Giovanni per il primo osservò che lo stato di Mariuccia non consigliava di lasciarla sola nemmeno la notte e propose che Chiarina rimanesse a tenerle compagnia: alla quale idea ognuno aderendo, Enzo pregò Giovanni di rimanere anche lui. Le due donne sole si coricarono in un letto. Enzo e Giovanni, dandosi il cambio per qualche ora di riposo sopra una poltrona, vegliarono la salma.

I1 signor Firmiani steso sul suo letto, il volto appena adombrato da un lembo del lenzuolo che lasciava scoperti i capelli grigi aureolati sul guanciale, aveva la calma serena di un dormiente; poco più di quello che era sempre [p. 278 modifica]apparso, scarso tributante alle passioni della vita e non mai invaso dalle sue febbri. Aveva attraversato l’esistenza con passo leggero, con lieve fardello, senza godere molto, ma senza soffrire troppo. Piccolo essendo stato lo spazio occupato dalla sua personalità, piccolo doveva esserne il rimpianto fra gli uomini. Ma là nella sua casa, dove i figli lo avevano sempre veduto, dove egli rappre-sentava la protezione e l’affetto, che cosa rimaneva? Chi avrebbe occupato il suo posto? Chi avrebbe detto ad Enzo la parola calma e solenne che solo un padre può pronunciare? Chi avrebbe oramai posato sui capelli biondi di Mariuccia il bacio che nulla chiede e tutto perdona?...

Tali ed altri ancora erano i pensieri che si presentavano confusamente alla mente di Giovanni rimasto solo nella camera mortuaria. Il suo istinto sagace sembrava avvertirlo che con quell’uomo cadeva tutto un edificio; con quell'uomo mediocre, che teneva così poco posto, ma che era come la pietra appoggiata al punto esatto per sostenere l’arco. Anche un impeto di tenerezza lo invase pensando al bene ricevuto. Forse era giunto il momento di renderlo. In qual modo? [p. 279 modifica]

Passeggiando su e giù per la camera, si accostò alla finestra, della quale erano chiuse solamente le persiane che cedettero a un lieve urto. Giovanni si affacciò nel vano aperto respirando avidamente l’aria fredda dell’alba. Il cielo tutto involto in una densa caligine lasciava trapelare appena il pallore del giorno non lontano. Nel silenzio del cortile dove aprivasi la finestra e dove non si scorgeva assolutamente nulla, una imposta sbatteva tratto tratto contro il muro con un colpo secco e fastidioso. Quel rumore fece passare improvvisamente davanti agli occhi di Giovanni la Villa dei signori Firmiani, quale egli l’aveva in mente dall’ultima volta che era stato al paese, colle imposte fuori dei cardini, rotte, sgretolate, che dovevano sbattere anch’esse nella notte lugubre con uno stridore di pianto. Vide il cancello invaso dalle male erbe, il cortile verde di muffa colle pietre rotte dalle alluvioni e su tutto quello squallore balenò, improvviso come un lampo, il riso di Mariuccia bambina...

Giovanni si passò una mano sulla fronte, rapidamente, come a cacciare un pensiero inopportuno, ma volgendosi verso la camera, ebbe il dubbio di cedere ancora alla allucinazione e fece un passo avanti colle pupille bene aperte. [p. 280 modifica]

Una bianca figura giaceva rovesciata sul letto mortuario, nè egli durò fatica a riconoscere la figlia del signor Firmiani entrata senza che egli se ne accorgesse.

Da molti anni Giovanni non chiamava la sua compagna di infanzia altro che col titolo cerimonioso di signorina; ma in quel momento, ignorandone egli stesso il perchè, forse confuso nel rapido passaggio dalla visione alla realtà, disse con una intonazione di rimprovero affettuoso:

— Mariuccia!

Ella si scosse. Credette che fosse suo fratello Enzo, o riconobbe subito Giovanni e le parve un altro fratello? Rispose:

— Lasciami piangere.

Per qualche istante non si udì che il sommesso ansare della fanciulla, curva sulla salma del padre. Giovanni in piedi la guardava con grandissima pietà. Finalmente, facendole dolce violenza, la obbligò ad alzarsi.

Dai due lumi accesi nella camera piovve un raggio sul volto di Mariuccia che si rivelò [p. 281 modifica]a Giovanni immensamente abbattuto. Disse ancora:

— Si ritiri. Le fa troppo male a star qui.

— No, Giovanni, non mi fa male. Stavo assai peggio in camera mia pensando che sono le ultime ore in cui lo posso vedere. È vicina l’alba?

Si accostò alla finestra ancora spalancata guardando il cielo; ma il freddo vespertino la fece rabbrividire. Giovanni si affrettò a chiudere le persiane.

— C’ è tempo a venir giorno. Si corichi; dia retta a me. Mariuccia intese in quelle ultime parole un insolito accento, quasi una soavità imperiosa e protettrice.

— È indispensabile che ella prenda qualche ora di riposo.

— Riposerò qui – fece Mariuccia con semplicità.

Giovanni parve riflettere per alcuni istanti e poi disse risoluto:

— No, non conviene.

Ella non aggiunse altro. Docilmente lasciò che Giovanni la prendesse per mano guidandola fuori. Solamente al di là della soglia si volse con impeto ansioso: [p. 282 modifica]

— Giovanni, voglio essere qui quando verranno...

Non completò la frase; ma Giovanni capì e rispose:

— Sì.

— Me lo promette?

Giovanni trattenne un momento nelle sue la mano della fanciulla, tanto che ella ebbe tempo di ripetere:

— Me lo promette?

— Prometto – rispose solennemente Giovanni.

E si volse con impercettibile movimento verso il signor Firmiani morto, quasi a rendere più sacra la parola.