Il genio buono e il genio cattivo/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Boschetto corto nel giardino delle Tuglierie1 di Parigi, con varie sedie di paglia, sparse qua e là per la scena.)
Arlecchino in abito alla francese con parrucca in borsa.
Arlecchino. (Pavoneggiandosi, facendo delle riverenze, e provandosi a far il galante ed a parlar francese) Monsieur... Votre serviteur tres umble2... coment vous portez vous... a vous rendre mes devoirs.... Je suis enchanté... ma fois en sovitè3... oui. Oh che bella cossa! oh che bella cossa! Son qua a Parigi, son impareginà. Oh che gusto, oh che piaser! (allegro; poi pensa e dice patetico) Oh che piaser, oh che gusto, ma ho perso mia muggier, e questo no me dà troppo gusto. Sto zardin delle Tuglierie el xe grando co fa un paese. Quei do francesi l’ha tolta in mezzo. I corre che el diavolo i porta; i ho persi de vista, e no so dove andarli a cercar. Pazenzia, o presto o tardi la troverò, ma sta cossa la me despiase un pochetto. Son avezzo a star sempre con ella. No voleva lassarla andar co nissun, ma in sto paese no ghe vol zelusia. Me preme de farme onor, e bisognerà sopportar. Son stracco, xe caldo, me senterò4 un pochettin. (siede) Manco mal che ghe xe sto comodo de ste careghe5; starò qua; se capitasse mai mia muggier... Sento zente. Donne! donne, per diana, donne! (si alza) Manco mal che no ghe xe mia muggier. (passeggia)
SCENA II.
Madame la Fontaine, mademoiselle Palissot ed il suddetto.
La Fontaine. Aspettiamo qui mio marito. Egli è solito passeggiare da questa parte.
Palissot. Oh se troviamo vostro marito, vuò che ci paghi la colazione. (prendono due sedie, le mettono nel mezzo e siedono. Arlecchino passeggia davanti di loro su e giù, cantuzzando sotto voce e facendo il galante.)
La Fontaine. (Chi è mai questo sguaiato?) (a Palissot6)
Palissot. (Mi par forastiere). (a la Fontaine)
Arlecchino. Me permettele che abbia l’onor de sentarme?
La Fontaine. Il luogo è pubblico; vossignoria non ha bisogno di permissione.
Arlecchino. Grazie alla so bontà generosa. (prende una sedia, e siede vicino a Palissot)
Palissot. Ma il luogo è grande; ella starebbe più comodamente se si tirasse un poco più in là. (scostandosi con la sedia)
Arlecchino. El più bel comodo del mondo xe l’onor della so vicinanza. (a Palissot, avvicinandosi ancora più)
Palissot. (È poco polito questo signore). (a la Fontaine, ritirandosi con la sedia)
La Fontaine. (È forastiere senz’altro). (a Palissot)
SCENA III.
Anzoletto veneziano, in abito alla francese, e detti.
Anzoletto. (Prende una sedia indietro, si mette a sedere da una parte della scena, tira fuori un libro e legge.)
Arlecchino. La perdoni, madama; no credeva che le signore in franza le fusse cussì rusteghe7.
Palissot. Voi, a quel che vedo, non sapete distinguere la rusticità dall’impolitezza.
La Fontaine. Di qual nazione siete, signore?
Arlecchino. Italian per servirla.
La Fontaine. Di qual paese?
Arlecchino. Romano per obbedirla.
Anzoletto. (Chi diavolo xe sto martuffo8 che vien qua a discreditar la nostra nazion?) (mostra di leggere, ed ascolta)
Arlecchino. E le sappia che le donne italiane no le xe cussì salvadeghe come elle.
Palissot. Si usa nel vostro paese prendersi confidenza con una persona che non si conosce?
Arlecchino. A una persona della mia sorte tutto xe lecito, tutto xe permesso.
La Fontaine. Chi siete voi? Qualche principe?
Arlecchino. No prencipe, ma cavalier. El cavalier Batocchio a so riveriti comandi.
Anzoletto. (El dise che el xe romano, ma al linguaggio el me par venezian). (come sopra)
SCENA IV.
M. Crayon con una carta di musica in mano, ed i suddetti.
Crayon. (Passeggia cantuzzando sotto voce.)
Arlecchino. La diga; èlo un musico quel signor? (a Talissot)
Palissot. Non signore. È un giovane assai civile, che ama la musica e si diverte.
Arlecchino. Certo; l’è una cossa che fa da rider. In Franza tutti canta. Sappia o no sappia, gh’abbia ose9 o no gh’abbia ose, tutti vol cantar, tutti canta.
Anzoletto. (Mo chi mai xe sta bestia? Me sento proprio che me vien i suori). (da sè)
Crayon. (Sente, si accosta bel Bello e saluta le due donne.)
Le donne. (Si alzano, fanno la riverenza e tornano a sedere.)
Crayon. È forastiere questo signore? (verso Arlecchino, sorridendo)
Arlecchino. Sior sì. Cossa gh’intrela ella, patron?
La Fontaine. È un italiano che non è contento delle donne di Francia.
Crayon. Ha ragione. Le signore di Francia sono poca cosa per un uomo di spirito come lui. (sorridendo)
Arlecchino. Cossa voravela dir? Crédela che no ghe sia altri omeni de spirito che i francesi?
Crayon. Anzi ho in grandissimo credito il talento de’ signori italiani; e vossignoria mi conferma nella mia opinione. (sorridendo)
Anzoletto. (No posso più). (sì alza e passeggia)
Arlecchino. Ah! cossa disela! Ghe par che gh’abbia del brio, della disinvoltura? E pur con tutto questo ste signore no le vol far grazia, no le me vol per gnente.
Crayon. Scusate, signore mie, fate torto al merito del signor italiano. (alle Donne)
Arlecchino. Séntele? le me fa torto. (alle Donne)
La Fontaine. Noi conosciamo il vostro merito, come lo conosce monsieur Crayon. (e icon ironia)
Arlecchino. Obblìgatissimo alle so grazie, (non si accorge della burla)
Palissot. E vi rendiamo quella giustizia ch’egli vi rende, (ironica)
Arlecchino. Effetto della so gentilezza. (con cerimonia)
Anzoletto. (Oh che alocco! I lo tol per man, e nol se ne accorze). (da sè)
Arlecchino. Se le gh’ha per mi sta bontà, poderave donca torme la libertà... (si accosta colla sedia)
Palissot. (Alzandosi) Signore, se il vostro talento non vi fa discernere quale stima si fa di voi, non voglio espor d’avvantaggio la mia sofferenza. Madame la Fontaine, andiamo. (parte)
Arlecchino. La favorissa, la senta...
La Fontaine. Signore, per quel ch’io vedo, voi non capite le frasi che hanno del sale, della finezza. Vi parlerò io più chiaro per illuminarvi. Sappiate che le francesi stimano tutti; stimano i forastieri quanto i nazionali medesimi, ma non fanno alcun caso di chi non conosce la politezza. (parte)
SCENA V.
M. Crayon, Anzoletto ed Arlecchino.
Arlecchino. Come? No capisso gnente. La se spiega maggio. (vuol seguitarla)
Crayon. Fermatevi, signore, e se ancor non capite, e se volete una spiegazione più chiara, ve la darò io.
Arlecchino. La me farà grazia.
Crayon. Voi siete italiano. Nel vostro paese non vi è forse quella delicatezza...
Anzoletto. Con so licenza, signor. La me permetta ch’intra anca mi in sto discorso. Per quel che vedo, ella no conosce l’Italia. Son italian anca mi, e son in stato de informarla del mio paese.
Arlecchino. Italian? (ad Anzoletto, con allegria)
Anzoletto. Sior sì, italian. (ad Arlecchino, con serietà)
Arlecchino. De che paese? (come sopra)
Anzoletto. Venezian, patron. (come sopra)
Arlecchino. E mi bergamasco. Patria, patria, cara patria. (come sopra)
Anzoletto. Sior patria caro, adessadesso se parleremo, (ad Arlecchino)) Crédela, patron, che in Italia no ghe sia zente de spirito, e che no se cognossa la politezza, la civiltà, e la bona maniera de conversar?
Arlecchino. Crédela ste bestialità? Semo zente de spirito, e ghe faremo toccar con man che no la sa quel che la se diga.
Crayon. La maniera vostra di parlare è così villana... (ad Arlecchino)
Anzoletto. No la gh’abbada, signor, la me responda a mi.
Crayon. A voi che siete più ragionevole, dirò ch’io non ho mai veduto l’Italia, ch’io la conosco per relazione dei viaggiatori che hanno scritto sul vostro paese, e che tutti i libri che qui si leggono di tal natura, ne parlano con poco avvantaggio
Anzoletto. Sior sì, xe vero. Tutti sti libri li ho letti anca mi. Libri francesi, scritti da viaggiatori francesi, che portando per tutto l’amor della patria, e la prevenzion, accresce i difetti delle nazion forastiere, diminuisce el merito che le distingue, mette tutto in ridicolo, e dà una falsa idea delle cosse, per adular se medesimi e farse un merito coi so patrioti. Nualtri all’incontro no femo cussì. Stimemo tutti, anca più del bisogno; scrivemo con avvantaggio delle nazion forastiere, conoscemo i difetti senza criticarli, e se femo un pregio de respettar tutto el mondo.
Crayon. I vostri libri io non li conosco.
Anzoletto. Perchè in Franza no se leze altro che libri francesi, e no se crede che ghe sia zente che scriva fora de qua.
Arlecchino. Vederè, vederè, patron, quando che mi scriverò: aspettò che impara a scriver, e po vedere el libro che stamperò dei mi viazi.
Crayon. Signore, io ho tutta la stima per voi. Vedo che siete uomo di spirito, e crederò tutto quel che mi dite. Ma non potrò mai formare buona opinione del vostro paese, quando vedrò degl’italiani del carattere di questo signore. (accenna Arlecchino, saluta e parte)
SCENA VI.
Anzoletto ed Arlecchino.
Anzoletto. (El gh’ha rason). (da sè)
Arlecchino. Alo dito ben, o alo dito mal? (ad Anzoletto)
Anzoletto. Diseme, caro sior romano da Bergamo, chi diavolo v’ha fatto vegnir in sto paese?
Arlecchino. Perchè? no ghe posso vegnir? Ghe vien tanti altri, e no ghe posso vegnir anca mi?
Anzoletto. I omeni della vostra sorta no i xe fatti per viazar, no se va per el mondo co sto boccon d’ignoranza a svergognar la so patria.
Arlecchino. Svergognar la so patria? Co sto abito? Co sta borsa de bezzi?
Anzoletto. I abiti e i bezzi xe belli e boni, ma ghe vol del saver, della prudenza e della bona condotta. Aveu sentìo sto francese? Da un omo solo spesse volte se giudica de tutti i altri. Se un italian fa una bassezza, se mette in ridicolo el nome della nazion. Ve lo digo perchè pur troppo son testimonio de sta verità, e cento volte ho dovesto arrossir. Compatisso quei che vien per bisogno, e i soccorro se posso, coll’opera o col conseggio. Ma vu, per esempio, vu che se qua per capriccio, per bizzarria, e che no sè fatto per viver in sto paese, ve prego da amigo, da fradelo, per el vostro ben e per l’onor della nostra patria comun, andè via de qua, partì più presto che podè; no v’esponè d’avantazo a renderve ridicolo in Franza; no fe che un omo d’onor, che un ben patrioto, come son mi, abbia un’altra volta la mortificazion de sentir per causa vostra a dir mal de quel caro paese, che venero, che rispetto, che adoro, mi che sparzerave el mio sangue per la so gloria, e per la so vera reputazion. (parte)
SCENA VII.
Arlecchino, poi M. le Baron.
Arlecchino. Poverazzo! el me fa da rider; nol sa gnente a sto mondo. Un omo della mia sorta? Pien de oro, pien de bezzi, pien de diamanti! El cavalier Batocchio?
Baron. Oh signor cavaliere?
Arlecchino. Oh signor Baron... A proposito, dove xe mia muggier?
Baron. Non vi prendete pena di lei. E restata con M. la Fontaine.
Arlecchino. Sola? Fin che gieri in do, pazenzia, ma sola co sto monsieur...
Baron. Siete forse geloso 7
Arlecchino. Mi no.
Baron. Non sareste italiano, se non lo foste un pochino. (scherzando)
Arlecchino. Sior no; ghe digo assolutamente che no son geloso. (Ghe patisso, ma vôi far onor alla patria). (da sè)
Baron. Volete venir con me?
Arlecchino. Dove?
Baron. Al bosco di Bologna.
Arlecchino. A Bologna? In Italia?
Baron. No; una lega di qui lontano. Al ballo pubblico, dove vedrete una quantità di belle e graziose giovani, ballare, passeggiare e passare il tempo.
Arlecchino. Donne? andemo subito. (con allegria)
Baron. Andiamo. (s’incamminano)
SCENA VIII.
Corallina in abito magnifico, M. la Fontaine e detti.
Corallina. Oh oh, ecco qui mio marito. (forte, con allegria)
Arlecchino. Mia muggier. (torna indietro con allegria)
Corallina. Monsieur, votre tres umble10 servante. (fa un inchino ad Arlecchino con serietà)
Arlecchino. Madame, votre serviteur tres zamble11 (fa lo stesso)
Fontaine.12 Scusate, amico, se ho trattenuto un poco troppo la vostra signora da voi lontano. Ha desiderato di vedere la sala dell’opera, e mi ho creduto in debito di servirla.
Arlecchino. Bravissima! l’ha fatto ben. (forzatamente)
Baron. Eh, il signor cavaliere è un uomo di spirito, non è geloso.
Arlecchino. Ah! cossa disela! So viver alla francese.
Corallina. Oh se sapeste, marito mio, quanto questo signore è cortese! Quante finezze mi ha fatto!
Arlecchino. Me ne consolo. (forzatamente e con pena)
Fontaine. Signore, io ho fatto il mio dovere con madama nei termini della buona amicizia e dell’onestà.
Baron. Il signor cavaliere non è geloso.
Arlecchino. Mi? Gnanca per ombra.
Baron. Signori, con vostra licenza, il signor cavaliere ed io vogliamo andare al bosco di Bologna a vedere il ballo.
Corallina. Ci possiamo andare ancora noi. (a M. la Fontaine)
Arlecchino. Poderessimo andar insieme. (a M. le Baron)
Baron. Nella mia carrozza non ci stanno che due persone.
Fontaine. E due nella mia.
Corallina. Bene; ne abbiamo abbastanza. Io anderò in una con mio marito, e lor signori nell’altra.
Baron. Perchè con vostro marito? Che volete che dica il mondo?
Arlecchino. Che diavolo de vergogna! Voleu che se femo ridicoli in Franza? (a Corallina, con affettazione)
Baron. Venite con me, signor cavaliere. Madama anderà coll’amico.
Arlecchino. Sior sì, andemo. Madame, votre tres zamble serviteur.
Corallina. Monsieur, votre tres umble servante. (con una riverenza)
Arlecchino. (Forti, coraggio, e che se fazza onor alla patria). (da sè; parte col Barone)
SCENA IX.
Corallina e M. la Fontaine.
Corallina. Vuol che andiamo anche noi?
Fontaine. Vi sovverrete, che passeggiando vi ho proposto un appartamento comodo per voi e per vostro consorte.
Corallina. È verissimo. Mi sono scordata di dirlo a mio marito.
Fontaine. Scusatemi, non è necessario che voi diciate a vostro marito tutto quello ch’io mi prendo la libertà di offerirvi.
Corallina. Capisco la sua delicatezza. Ella ha paura di esser ringraziata.
Fontaine. Così è. Volete che andiamo a veder quest’appartamento?
Corallina. Facciamo tutto quello ch’ella comanda.
SCENA X.
Madame la Fontaine, madamoiselle Palissot e detti.
La Fontaine. (Oh ecco qui mio marito). (indietro a mad.le Palissot)
Palissot. (Chi è quella signora?) (a mad. la Fontaine)
La Fontaine. (Non lo so, non la conosco: ascoltiamo).
Fontaine. Vedrete un appartamento che non è magnifico, ma gentile, proprio, e ben situato.
Corallina. Noi non abbiamo bisogno di una gran casa.
Fontaine. Farò tutto quello che potrò, perchè siate contenta.
Corallina. Sarà un effetto della sua bontà.
La Fontaine. Signor marito. (avanzandosi)
Fontaine. (Oh diavolo! mia moglie). (da sè, con sorpresa)
Corallina. È questa la sua signora consorte? (a M. la Fontaine)
Fontaine. Sì signora. (confuso)
Corallina. Ho piacere d’aver l’onor di conoscere una mia padrona, e di rassegnarle la mia umilissima servitù. (con una profonda riverenza)
La Fontaine. (Fa una riverenza, poi dice a M. la Fontaine) Chi è questa signora?
Fontaine. Una forastiera.
Corallina. Vostra umilissima serva. (una riverenza)
La Fontaine. Signore, mademoiselle Palissot vorrebbe ritornarsene a casa, e vi prega di accompagnarla. (a M. la Fontaine)
Palissot. Se voleste farmi questo favore. (a M. la Fontaine)
Fontaine. Ma io ho debito di servir questa signora.
La Fontaine. Ella avrà la bontà di aspettare che ritorniate, ed io avrò l’onore di tenerle compagnia.
Corallina. Mi farà grazia. (a Madame) Si accomodi. (a M. la) Fontaine) Io godrò la compagnia della sua signora consorte.
Fontaine. (Io sono nel più bell’imbroglio del mondo). (da sè)
Palissot. Volete favorirmi? (a M. la Fontaine)
Fontaine. Andiamo... Signora, con sua licenza. (a Corallina. Passa vicino a Corallina, e procura di dirle piano)) (Non dite niente a mia moglie).
Palissot. (Qualche avventura, M. la Fontaine?) (piano)
Fontaine. (Andiamo, andiamo. Vi racconterò). (piano, e partono)
SCENA XI.
Madame LA Fontaine e Corallina.
La Fontaine. Voi dunque siete forastiera?
Corallina. Per ubbidirla.
La Fontaine. Come conoscete mio marito?
Corallina. Ho avuto l’onore di conoscerlo qui questa mattina, passeggiando alle Tuglierie.
La Fontaine. Che cosa vi diceva egli a proposito di un appartamento?
Corallina. Vi dirò; è tanto generoso e compito, che mi ha esibito un appartamento.
La Fontaine. Mi maraviglio che osiate dirlo a me stessa, e che non arrossite di voi medesima.
Corallina. Perchè, signora, mi dite questo? Che male faccio a dire la verità? Siete forse gelosa? Sono anch’io gelosa di mio marito, ed egli è geloso di me; ma ci hanno detto che qui la gelosia è cosa ridicola, e ci sforziamo per uniformarci al costume.
La Fontaine. È ridicola in Francia la gelosia che oltraggia e disturba la società. Si tratta, si conversa liberamente, ma nei limiti della politezza e dell’onestà. Una moglie saggia ed amorosa non soffre che suo marito offra un appartamento ad una giovane sconosciuta; e una donna onesta non accetta al primo incontro una simile esibizione. Conosco mio marito: è un uomo d’onore, ma ha la debolezza di correr dietro, non dirò alla bellezza, ma alla novità, e voi fate un’opera indegna se lo secondate. Il vostro discorso mi fa dubitare, se siate maliziosa o innocente. Se agite con innocenza, illuminatevi, e sappiate che le finezze degli uomini tendono alla rovina del cuore: ponetevi in guardia e prevaletevi dei miei consigli. Se poi maliziosamente vi conducete, assicuratevi eh io non soffrirò questa tresca, che troverò la via di troncarla, che i tribunali favoriscono le mogli oneste, e che voi sarete giustamente e severamente punita. (parte)
SCENA XII.
Corallina sola.
Povera me! Son rimasta stordita, avvilita, mortificata. Senza saperlo, faceva dunque un’opera mal onesta, e il povero mio marito non ne sa più di me. Allevati in una campagna, cosa sappiamo noi de’ costumi delle città? Come possiamo noi distinguere le finezze e gl’inganni? Se questa buona signora non mi faceva aprir gli occhi, io mi lasciava attrappar nella rete. Ah il Genio Buono me l’ha avvertito, ed il Genio Cattivo mi ha strascinato. Quanto meglio faremmo a ritornarcene alla nostra capanna! Sì, sì, vuò ritrovar mio marito, e voglio persuaderlo che ce n’andiamo a rigodere la nostra pace; ma prima di farlo, giacchè siamo in giro e che abbiamo il modo, potremmo vedere ancora un poco di mondo. Ho sentito dire che l’Inghilterra è un paese buono, dove gli uomini sono schietti e sinceri. Colà spero non ci tenderanno di tali insidie. Sì, sì, andiamo a veder Londra, e poi ritorneremo al nostro paese... Ma non sarebbe meglio ritornar subito a casa nostra?... L’animo mi dice di sì. Ma sento una voce che mi dice di no. È curiosissima la cosa. Di qua sento dirmi di sì, di là sento dirmi di no. Animo, animo; ci vuol coraggio. Abbiamo il danaro, abbiamo gli anelli. A ritirarci vi è tempo, e divertiamoci ancora un poco. (parte)
SCENA XIII.
Recinto di tavole nel bosco detto di Bologna, dove si dà il ballo pubblico; al dissopra delle tavole si vedono i rami degli alberi che sono per di dietro, e qualche albero isolato si vede ancora nel recinto medesimo. In fondo vedesi una macchina preparata per fuochi artifiziali, ed isolata. Da un canto un bottegone di caffè e rinfreschi; dall’altro l’entrata del recinto, cioè un rastello13, come quello delle commedie che si apre dal Portinaro, all’entrare delle persone. Tutto è pieno all’intorno di sedie di paglia. L’orchestra del teatro figura l’orchestra del recinto.
Persone che vanno e vengono, fra le quali vi saranno tutti i ballerini in vari abiti, o di città, o di campagna. Chi va al caffè, chi passeggia, chi siede. Il portinaro è alla porta per aprire il rastello e riceve il danaro.
Arlecchino e M. le Baron pagano al rastello ed entrano.
Baron. Eccoci nel recinto dove si balla.
Arlecchino. Oh che bella cossa!
Baron. Ecco il caffè ed i rinfreschi per chi ne vuole.
Arlecchino. Pulito.
Baron. Vedete quella macchina?
Arlecchino. Oh bella!
Baron. E destinata pei fuochi artifiziali che si fanno di quando in quando. Oggi non è la giornata, ma un altro giorno li goderete.
Arlecchino. Oh che belle cosse!
SCENA XIV.
Mademoiselle Lolotte al rastello che paga, poi entra; ed i suddetti.
Baron. Ecco una giovane ch’io conosco. (ad Arlecchino)
Arlecchino. La xe un tocchetto che consola el cuor.
Baron. Brava, mademoiselle Lolotte. Oggi voi siete delle prime.
Lolotte. La giornata è buona, non ho voluto lasciare di profittarne.
Baron. Permettetemi, mademoiselle, ch’io vi presenti questo cavalier forastiere.
Arlecchino. Servitor del so merito, e ammirator delle so bellezze.
Lolotte. Serva umilissima. (Che figura ridicola!) (da sè)
Baron. Via, fatele il complimento alla francese; abbracciatela. (ad Arlecchino)
Arlecchino. Che l’abbrazza?...
Baron. Sì, come si usa.
Arlecchino. Me vergogno.
Lolotte. No, no, non s’incomodi. Eh, io non sono amica di tai complimenti. (ad Arlecchino)
SCENA XV.
M. le Marepica, vecchio uffiziale gottoso,
sostenuto da due Soldati; e detti.
Marepica. Piano, piano, bestie, non mi storpiate.
Arlecchino. (Oh bello sto sior! nol se pol mover e el gh’ha voggia de vegnir al ballo). (al Barone)
Baron. Questi è un vecchio uffiziale, valoroso egualmente nelle imprese di Marte, che in quelle di Venere.
Arlecchino. Diseme, caro sior, xelo sta Marte, o xela stada Venere, che l’ha struppià? (a M. le Baron)
Baron. Credo vi sia dell’uno e dell’altro.
Marepica. Ehi! piano. Animalacci! datemi da sedere. (Un Soldato va a prendere una sedia, l’altro lo sostiene: gli portano la sedia, e siede. Soldati partono.)
Arlecchino. (Scherza con M. le Baron e mad. Lolotte a proposito dell’uffiziale.)
Marepica. Ebbene? che si fa? Non si comincia a ballare? (forte)
Baron. Non vi è ancora gente abbastanza. (a M. le Baron)
Marepica. Oh monsieur le Baron, siete voi? Vi saluto.
Baron. Riverisco il signor marchese. Come sta di salute?
Marepica. Bene, perfettamente bene. Se la gotta non mi tormentasse, non la cederei a un giovane di vent’anni. Chi è quel signore? (verso Arlecchino)
Arlecchino. Forastier, per servirla.
Marepica. Di che nazione?
Arlecchino. Italian, per obbedirla.
Marepica. Viva l’Italia! Bel paese, buon vivere, e belle donne! Ci ho fatto quattro campagne. Sono stato all’assedio di Milano, all’assedio di Pizzighettone, alla battaglia di Campo Santo, a quella di Parma, ho combattuto come un diavolo, e ho fatto l’amor come un disperato. Ahi! (la forza del discorso lo fa alzare, ma si sente dolere, e torna a sedere.)
Arlecchino. Viva el sior offìzial.
Marepica. Signor italiano, di che paese siete?
Arlecchino. Delle vallade de Bergamo.
Marepica. Bergamo? Ho veduto Bergamo. Sono stato a Bergamo. Stava nei borghi, faceva all’amore in città. Faceva una vita da bestia; su e giù di notte e di giorno; freddi, ghiacci, sole. È là dove mi ho guadagnata la gotta. Oh chi è questa bella ragazza? (volgendosi e scoprendo Lolotte)
Baron. È una giovane ch’è venuta per divertirsi.
Lolotte. Mia madre è qui di fuori che passeggia pel bosco.
Marepica. Sì, madre, madre! Voi altre fanciulle che andate al ballo, avete padre e madre quando volete.
Lolotte. Signore, come parlate? Voi non mi conoscete. (sdegnata)
Marepica. Siete in collera? Venite qui, facciamo la pace. Non volete venir da me? Verrò io da voi. (si alza con pena)
Lolotte. (Si ritira. Il Marchese zoppiccando vuol accostarsi e non può.)
Marepica. Ehi, soldati; dove sono? I bricconi sono andati via. Amici, sostenetemi, non posso più. (al Barone e ad Arlecchino)
Baron. Eccomi, signor marchese. (gli dà un braccio)
Arlecchino. Se la comanda, son qua. (lo sostiene)
Marepica. Non mi toccate. (Si appoggia sopra una spalla di Arlecchino e si attacca dall’altra parte del braccio del Barone, poi zoppiccando corre verso Lolotte.)
Arlecchino. La se comoda pur, senza suggizion.
Marepica. Vediamo un poco, se si può vincere questa bellezza tiranna. (zoppicando verso Lolotte. Ella si ritira, ed egli tenendosi come sopra, le corre dietro) Ahi! voi mi volete veder rovinato. (a Lolotte) Perchè fuggite da me? Di che avete paura? Sono un galantuomo, un uffizial d’onore, non son capace di farvi un’impolitezza.
Baron. Via, madamigella; siate un poco men fiera.
Arlecchino. Cossa gh’ala paura! no la vede in che stato ch’el xe! (a Lolotte)
Lolotte. Eh bene! Eccomi qui! Cosa volete da me? (accostandosi al Marchese)
Marepica. Niente altro che vedervi e ammirarvi. I vostri occhi m’incantano. La vostra bellezza mi anima, e mi rende vigoroso e robusto. Vicino a voi non sento più l’infermità della gotta. (si stacca dai due, e si sostiene solo)
Arlecchino. Animo, da bravo, coraggio.
Marepica. Sì, bella giovane. La forza della vostra bellezza... (si sforza di accostarsi) Ahi! aiutatemi, aiutatemi per carità, (a Lolotte)
Arlecchino. Forti! ch’el coraggio no manca.
Lolotte. Se non potete stare in piedi, sedete.
Marepica. Un momento solo. Datemi mano, vi prego, (a Lolotte)
Arlecchino. Animo, sior uffizial, da bravo. (traballando)
Lolotte. (Mi fa ridere). (da sè) Ecco la mano. (gli dà mano)
Marepica. Ah questa mano mi consola, m’invigorisce, (fa il bravo ed il forte) Ahi! (si appoggia e si attacca ad un braccio di Lolotte)
Lolotte. Mi maraviglio di voi. Io non sono fatta per sostenervi. (si scosta, e lo lascia senza sostegno, e parte)
Marepica. Aiuto, aiuto, tenetemi. (al Barone che l’aiuta)
Arlecchino. (Ridendo, e contrafacendo il Marchese) Coraggio, forte, robusto, la bellezza mi dà vigore.
Marepica. Come? Che ardire? Che temerità? Corpo di satanasso! Si burla, si beffa un uffiziale della mia sorte! Elà soldati; presto, le mie pistole; vi spaccherò il cuore, vi farò sbalzar le cervella (infuriato all’eccesso. Arlecchino ha paura. In questo
SCENA XVI.
Corallina e detti.
Corallina. (Entra fra il Marchese ed Arlecchino.)
Marepica. (Infuriato, alla vista di Corallina si arresta, e la saluta dolcemente) (Ah ecco una nuova bellezza che mi disarma). (da sè)
Arlecchino. Ben venuta, madama. (vuol accostarsi a Corallina)
Marepica. Non vi accostate, che giuro al cielo, richiamerò le mie furie. (ad Arlecchino)
Corallina. Signore, che cosa avete con mio marito?
Marepica. Vostro marito? (a Corallina, con sorpresa)
Corallina. Sì signore.
Arlecchino. Sior sì, la xe mia muggier; cossa voravela dir?
Marepica. Voi possessore di tal tesoro? (ad Arlecchino)
Arlecchino. Per servirla.
Marepica. Vi rispetto, come l’uomo il più fortunato del mondo. (il Barone l'aiuta a sedere)
Corallina. Ho piacere d’avervi ritrovato. (ad Arlecchino)
Arlecchino. E mi ho piaser che me siè vegnuda a trovar.
Baron. Monsieur de Fontaine14 non è con voi?(a Corallina)
Corallina. Non signore, non è con me; l’ho lasciato, e spero di non vederlo mai più. Marito mio, sappiate che ho scoperto delle cose grandi. Monsieur de Fontaine mi voleva ingannare, e vi voleva tradire, e questo signore così garbato (accennando il Barone) era d’accordo con esso lui. Vi ha fatto tante finezze unicamente per allontanarvi da me.
Arlecchino. El degnissimo sior Baron?
Baron. Io non so quello che vi diciate.
Corallina. Andiamo via, Arlecchino.
Arlecchino. Dove?
Corallina. In Inghilterra.
Arlecchino. Sì, in Inghilterra.
Corallina. A Londra.
Arlecchino. A Londra.
Marepica. Come! come! (a Corallina, provando alzarsi, e non può) Aspettate. Ehi canaglie, dove siete? (chiama forte, e vengono i due Soldati) Bricconi, venite qui, sostenetemi. (lo sostengono, ed egli si alza) Domani cinquanta bastonate per ciascheduno, (ai Soldati. I Soldati, sentendo ciò, lo lasciano un poco) Ahi, Venite qui, vi perdono. (tornano a tenerlo) (Indegni, al quartiere la discorreremo). (da sè) Bellissima straniera, perchè ci volete lasciare? (accostandosi, sostenuto dai Soldati)
Baron. Fatela restare, signor marchese.
Corallina. No, no, signore, vogliamo andar via.
Arlecchino. A Londra, a Londra; in Inghilterra, a Londra.
Marepica. Qui, qui si ha da restar, qui. (a Corallina, cercando di trattenerla) Animo, gioventù, dove siete? (ai Ballerini) Venite qui, ballate; divertite questa signora, fatela ballar con voi. (Si suona. I Ballerini si avanzano, per principiare il ballo. Corallina ed Arlecchino vorrebbero andarsene, i Ballerini impediscono loro il passo, ballando. Il Barone anch’egli procura di trattenerli. Il Marchese zoppicando fa lo stesso. Corallina ed Arlecchino si difendono, e vedendo di non poter partire, si mostrano fra di loro l'anello, battono il piede. La macchina si trasforma in una carrozza da viaggio, con due cavalli attaccati. Corallina ed Arlecchino vi saltano dentro, salutano, e partono.)
(Il Barone maravigliato parte. Il Marchese zoppicando, sostenuto dai Soldati, corre dietro alla carrozza. I Ballerini restano tutti attoniti, l’orchestra sospesa. Poi tutto in un tempo l’orchestra riprende il suono. I Ballerini si rimettono, e fanno il ballo.)
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ L’ed. Zatta stampa qui Tulierie, e più sotto Tuglierie.
- ↑ Così nel testo. Arlecchino parla scorrettamente il francese, anzi dice di solito tres zomble: vedi scena VIII.
- ↑ Così nel testo dell’ed. Zatta. Si corregge facilmente: en verité.
- ↑ Sederò.
- ↑ Sedie.
- ↑ Così nel testo.
- ↑ Di maniere aspre, senza gentilezza: v. specialmente vol. XVIII, p. 17.
- ↑ Sciocco, allocco: vol. XVIII, 34. n. 4; VIII, 162 e 179 ecc.
- ↑ Voce.
- ↑ Così nel testo.
- ↑ Così il testo.
- ↑ Seguiamo il testo dell’ed. Zatta, indicando col nome Fontaine il marito, e col nome La Fontaine la moglie.
- ↑ Così nel testo. Intendesi rastrello, ossia cancello: in dialetto veneziano restelo.
- ↑ Così nel testo.