Il fanciullo nascosto/La fattura
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La fattura.
La guerra, la siccità e la carestia non danneggiavano gli affari di compare Diegu, il mago ciabattino: la gente consumava egualmente le scarpe e aveva, anzi, un più spiccato bisogno di aiuto sovrannaturale. Quella notte, dunque, vera notte di leggende, con nuvole nere, vento e rumori misteriosi, eccoti una grande figura incappucciata spingere la porta di compare Diegu, entrare, chiudere e appoggiarsi con una spalla alla parete della stamberga in un angolo della quale il ciabattino piccolo e calvo lavorava ancora. E non smise di lavorare, compare Diegu, sebbene il cuore gli sobbalzasse di soddisfazione nel riconoscere, nella figura incappucciata, compare Zecchino Pons, il ricco proprietario che sebbene abitasse lì di fronte non s’era mai degnato di visitarlo.
È vero che, come del resto al solito verso quell’ora di sera, il ricco Zecchino Pons era alticcio; cosa che però se lo costringeva a piegarsi un poco sulla sua grossa persona molle non gl’impediva di conservare un viso serio, da uomo saggio, e di parlare con dignità un poco sprezzante.
— Bè, compare Diegu, come vanno gli affari? Bene, fucilato tu sii; ho veduto uscire di qui, oggi, Mariapaska e, poco fa, un uccello nero che mi è parso un prete.... E allora, — riprese dopo un momento di silenzio, mentre compare Diegu continuava a lavorare chinando molto il viso sulla vecchia scarpa che teneva appoggiata al ginocchio sul suo grembiale di cuoio, — allora ho detto a me stesso: Zecchino Pons, poichè ci vanno le ragazze di buona famiglia e i preti, e va tu pure, dal fattucchiere. Ebbene, qui corrono denari sonanti, non libbre di lardo nè misure di patate: quando si fa una cosa per conto mio, per conto di Zecchino Pons, corrono denari sonanti. Oh, dunque si tratta di farla bene, però, la cosa: una fattura che renda impotente e innocuo un animale feroce. È bene per tutti: è un’opera di carità. Tu lo sai che io sono buono: a chi mai ha fatto male Zecchino Pons? Sempre bene, con la mano destra e con la sinistra; non ho neppure il porto d’armi, perchè chi non sa difendersi con le mani che Dio gli ha dato non trova armi che lo possano difendere. E mia moglie, forse, non è una donna santa? Eccola lì, dentro casa, come Maria dentro la sua nicchia. A chi fa del male, Barbara Pons? Neppure alle mosche. Figli non ne abbiamo, ma tutti i poveri del paese sono nostri figli. Mi si può osservare che bevo qualche bicchiere di vino. Ebbene, e che t’importa? — gridò minaccioso verso compare Diegu che taceva e sorrideva alla sua scarpa. — È vino della mia vigna. Perchè dunque io devo rovinare la mia vita e dannarmi l’anima se quell’animale feroce di Nicolao, il mio vicino di casa, fucilato sia, ha giurato di farmi andare in carcere in questa vita e all’inferno nell’altra?
Il ciabattino sollevò un poco il viso: aveva capito. E pensava già quali versi della Bibbia occorrevano per la fattura contro il disgraziato Nicolao; ma per scrupolo di coscienza domandò sottovoce:
— Sei certo che i dispetti te li fa lui?
— Certo, certissimo. Ecco qua, — ribattè l’altro, contando sulle sue grosse dita. — Fino a novembre siamo andati d’accordo. Nicolao lavorava spesso per conto mio e la moglie e i suoi marmocchi erano sempre in casa mia: mangiavano dal mio canestro come cani affamati che sono. In novembre, ricordi, vennero giù quelle pioggie dirotte che allagarono mezzo mondo. Ebbene, la moglie di Nicolao chiuse il buco per lo scolo delle acque dal mio cortile al suo: dovevo affogare io, non lei, intendi! Ma la legge è la legge, ed io tornando a casa trovo invece mia moglie con la casa inondata. Tremava come una gallina che è, mia moglie, invece di provvedere, e la serva che pure si chiama Ausilia invece di dare un aiuto, poltrona com’è, s’era rifugiata nella legnaia perchè credeva fosse il diluvio universale. Allora che cosa dovevo fare, io, dillo tu? Non solo riaprii il buco ma ne praticai altri tre, nel muro, e vuotai il pozzo che mi si era riempito fino all’orlo. Del resto tu ricorderai gli urli della moglie di Nicolao: lui stava zitto, dentro casa, ma la notte stessa mi sradicò tutte le piante dell’orto, e poi mi avvelenò il cane, e poi mozzò le orecchie alla mia cavalla, e adesso, non più tardi d’ieri mi sgarettò i buoi ch’erano al pascolo: tutto questo in silenzio, come il demonio, senza lasciar traccia di sè. Io non riesco neppure più a vederlo, e la moglie urla, quando mi vede, e dice se io oso accusare il marito ella andrà immediatamente dal pretore per querelarmi di calunnia. E allora, poichè giustizia nel mondo non c’è, allora, dico io, andiamo da compare Diegu, ricorriamo al diavolo. Se è vero che fai gli intrugli, ebbene, fanne uno che leghi le mani di quel malfattore e gl’impedisca di dannarmi l’anima. Ho vissuto sessant’anni senza peccare, perchè devo cominciare adesso?
Il ciabattino s’era sollevato del tutto, deponendo la scarpa sul deschetto nero ove brillava una piccola lucerna ad olio: il suo viso giallo solcato da due sottili baffi uno più lungo dell’altro aveva un’espressione veramente diabolica. Ripetè sottovoce:
— Zecchino Pons, sei certo che è il tuo vicino a farti i dispetti? Puoi assicurarlo sulla tua coscienza?
L’uomo esitò un momento: si ripiegò ancora di più, parve guardare dentro di sè.
— Io non ho nessuno che mi vuol male. Posso assicurarti che è lui. E non aver scrupoli, perchè se anche tu non sei un imbroglione e la cosa riesce, vedrai chi è Zecchino Pons. Penserò io a tutto, se si tratta di aiutare la sua famiglia, purchè sia salva l’anima mia.
E anche lui si sollevò e aprì le braccia facendo dei gesti per rassicurare meglio compare Diegu; ma la sua ombra enorme, sulla parete e sulla vôlta della stamberga, pareva un orso che si disponeva a divorare il ciabattino col suo deschetto, le scarpe vecchie e tutto.
*
Fu proprio l’indomani mattina che Ausilia la serva dei Pons, attingendo l’acqua dal pozzo, sentì i primi lamenti di Nicolao. S’arrampicò al muro, coi grossi piedi penzoloni e stette ad ascoltare: era un lamento acuto, stridente, come di un animale ferito. Balzò giù e andò dalla padrona, dicendole con aria beata:
— In casa del nostro vicino si sente il lamento di uno che se ne va all’altro mondo. Dev’essere zio Nicolao.
La padrona, che rassomigliava davvero a una Madonna, con le mani lunghe fini e il viso lungo fino d’un bianco laccato e come imbrunito e screpolato dal fumo dei ceri, cominciò a tremare. Tremava per ogni cosa, del resto, forse perchè beveva troppo caffè; ma la notizia che forse zio Nicolao se ne andava all’altro mondo la turbò anche perchè s’accorse che ne provava gioia.
— Signore mio, — disse passandosi le mani davanti al viso per scacciare l’ombra dell’odio, — speriamo che non sia. Come farebbe la sua povera famiglia? Va a vedere: siamo tutti cristiani figli di Dio.
La serva andò e ci mise tanto tempo che quando tornò il padrone era già rientrato dalla sua visita mattutina alla bettola e sellava il cavallo per recarsi al suo oliveto. Anche lui sentiva il lamento, nella casa attigua, e rizzava le orecchie come il cavallo ai fischi del vento.
— Ausilia Berrina, fucilata tu sii, donde vieni? — le domandò sospettoso, perchè sapeva che la ragazza, nonostante il suo divieto, frequentava la casa del vicino.
Ausilia infatti lo guardò fisso, con gli occhi grigi terribili di beffa.
— Ero dal vicino nostro che se ne va all’altro mondo. Ha un male curioso che non si sa cosa sia: pare gli abbiano fatto la fattura.
Egli lasciò cader la briglia e si mise a ridere. Riso di gioia, ma anche d’incredulità: poi si rifece serio perchè gli pareva che la serva si beffasse un po’ troppo di lui.
— Hai sentito, moglie? — disse affacciandosi alla cucina. — Hai sentito la storia?
— Sentita l’ho, Zecchino mio.
Egli entrò e parve volesse dire qualche cosa; poi di nuovo uscì, e solo quando fu in sella si fece stringere lo sprone al piede dalla serva e disse a voce alta:
— Bè, siamo cristiani. Di’ alla tua padrona che mandi qualche cosa a quei marmocchi.
E se ne andò, per i sentieri della valle, fra l’ondulare bianco degli oliveti, sotto la montagna nera fatta più alta dai molli macigni delle nuvole; e pensava che Dio è ben curioso, a volte, dando subito retta a tutte le domande che gli si fanno, e lasciando tanta libertà al diavolo. E brontolava: «adesso sei contento, Zecchino Pons», poi vedeva gli occhi della serva scintillare tra le foglie umide degli ulivi, e diceva, rivolto col pensiero al ciabattino:
— Fucilato tu sii, ma chi ti ha detto di farlo soffrire così?
*
Secondo ulteriori informazioni di Ausilia, il disgraziato Nicolao aveva una malattia misteriosa e terribile, forse un cancro allo stomaco, forse qualche cosa di peggio; il fatto è che il lamento si udiva sempre e sempre più straziante. Pareva trapassasse i muri spandendosi come una maledizione nella casa quieta di Zecchino Pons.
Barbara Pons tremava, nel sentirlo, come le trafiggessero il cuore; a volte usciva nel cortile, vedeva la serva crudele, arrampicata al muro, tendere il muso rosso di freddo quasi a fiutare l’aria di malefizio che spirava dalla casa del vicino, e toccandole il piede le diceva con dolcezza:
— Scendi, Ausilia, scendi, per amor di Dio. E va a portare questo.
Erano continui regali che mandava ai disgraziati vicini: formaggio, olio, legumi, carne.
A sua volta Zecchino brontolava, seduto melanconicamente accanto al fuoco.
— Barbara, moglie, sai cosa devo dirti? Che quella pezzente della nostra vicina potrebbe curare suo marito e chiamare un buon dottore per visitarlo. Che modo è questo di seccare giorno e notte i vicini?
— I dottori buoni vogliono essere pagati, Zecchino mio.
— Ebbene, e i buoni cristiani che cosa stanno a fare nel mondo? E se i dottori vogliono essere pagati, forse denari sonanti non se ne trovano più, nel mondo?
Una sera il grido del malato tremolò così straziante, che pareva il lamento di un’anima in pena murata nelle pareti stesse della casa dei Pons. Per di più anche i bambini piangevano. Zecchino era rientrato dal suo ovile portando a casa due capretti bianchi di grasso. E Ausilia ne arrostiva uno; ma quando la buona cena fu pronta, il padrone disse che forse aveva anche lui un cancro allo stomaco; e d’un tratto si alzò, staccò dal piuolo accanto alla porta l’altro capretto, lo piegò, lo palpò, infine lo buttò addosso alla serva.
— E va, pezzente, va a portarlo a quei morti di fame. Che mangino e stiano zitti: che mangino e lascino mangiare.
La serva uscì nel cortile e chiamò dal muro il bambino dei vicini, gettandogli il capretto; poi rientrò e sparecchiò in silenzio. Ma il lamento continuò più chiaro del solito: è vero che anche altri rumori vibravano, quella sera, nell’aria limpida; si sentiva persino, a momenti, quando cessava il picchio argentino del fabbro che batteva il ferro sull’incudine, il martellare secco del ciabattino nella sua tana: e i bambini piangevano, ridevano, piangevano ancora; e negli orti fischiava la faina e qualcuno spezzava della legna, al chiarore azzurro della luna di febbraio: ma sopra ogni rumore insisteva quel lamento, come il grido del cuculo nelle notti di primavera.
Ed ecco d’un tratto il nostro Zecchino si alza e si mette sulla porta guardando di qua e di là appunto come un ragazzo che tenta di orientarsi prima di mettersi alla ricerca del cuculo. Stette così tanto tempo che non si accorse che la moglie se ne andava nella sua camera e la serva si addormentava con lo strofinaccio in mano e un piatto bianco con un uccello rosso in grembo.
Era una notte così chiara che il gattino, credendo fosse giorno, saltellava intorno al cane accucciato sotto la tettoia. Ed ecco un rumore di passi infantili nel cortile del vicino: qualcuno apre il portone e corre per la strada. Il martellare del ciabattino cessa: di nuovo si sente un rumore di passi lievi nella strada, il portone del vicino viene chiuso. Anche il lamento cessava, poi riprendeva a intervalli, ma aveva come delle vibrazioni allegre; a volte rassomigliava al canto del gallo.
Zecchino Pons non aveva mangiato nè bevuto, quella sera. Gli sembrava di essere lieve, come se l’aria pura e il chiarore della luna gli rendessero un poco della sua bella lontana giovinezza. E tendeva le orecchie, e gli sembrava di sentire e di veder più chiaro del solito. D’improvviso il gattino gli passò davanti di corsa, balzò sul muro, tese le orecchie in avanti e saltò di là. E Zecchino Pons, come preso dalla pazzia di imitarlo, fece altrettanto; solo che fu meno agile: ad ogni modo si trovò anche lui nel cortiletto del vicino e spinse la porta della cucina.
I disgraziati vicini banchettavano; il capretto era in mezzo a loro, sul tagliere di legno, e il disgraziato Nicolao, grasso e rosso, seduto sulla stuoia, con la schiena dritta e larga come una tavola, porgeva di qua e di là alla moglie e a compare Diegu circondato dai bambini, le due parti della testa spaccata del capretto con le cervella rosee velate di sale.