Pagina:Deledda - Il fanciullo nascosto, Milano, Treves, 1920.djvu/282

276 la fattura


— Certo, certissimo. Ecco qua, — ribattè l’altro, contando sulle sue grosse dita. — Fino a novembre siamo andati d’accordo. Nicolao lavorava spesso per conto mio e la moglie e i suoi marmocchi erano sempre in casa mia: mangiavano dal mio canestro come cani affamati che sono. In novembre, ricordi, vennero giù quelle pioggie dirotte che allagarono mezzo mondo. Ebbene, la moglie di Nicolao chiuse il buco per lo scolo delle acque dal mio cortile al suo: dovevo affogare io, non lei, intendi! Ma la legge è la legge, ed io tornando a casa trovo invece mia moglie con la casa inondata. Tremava come una gallina che è, mia moglie, invece di provvedere, e la serva che pure si chiama Ausilia invece di dare un aiuto, poltrona com’è, s’era rifugiata nella legnaia perchè credeva fosse il diluvio universale. Allora che cosa dovevo fare, io, dillo tu? Non solo riaprii il buco ma ne praticai altri tre, nel muro, e vuotai il pozzo che mi si era riempito fino all’orlo. Del resto tu ricorderai gli urli della moglie di Nicolao: lui stava zitto, dentro casa, ma la notte stessa mi sradicò tutte le piante dell’orto, e poi mi avvelenò il cane, e poi mozzò le orecchie alla