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la fattura | 283 |
stomaco; e d’un tratto si alzò, staccò dal piuolo accanto alla porta l’altro capretto, lo piegò, lo palpò, infine lo buttò addosso alla serva.
— E va, pezzente, va a portarlo a quei morti di fame. Che mangino e stiano zitti: che mangino e lascino mangiare.
La serva uscì nel cortile e chiamò dal muro il bambino dei vicini, gettandogli il capretto; poi rientrò e sparecchiò in silenzio. Ma il lamento continuò più chiaro del solito: è vero che anche altri rumori vibravano, quella sera, nell’aria limpida; si sentiva persino, a momenti, quando cessava il picchio argentino del fabbro che batteva il ferro sull’incudine, il martellare secco del ciabattino nella sua tana: e i bambini piangevano, ridevano, piangevano ancora; e negli orti fischiava la faina e qualcuno spezzava della legna, al chiarore azzurro della luna di febbraio: ma sopra ogni rumore insisteva quel lamento, come il grido del cuculo nelle notti di primavera.
Ed ecco d’un tratto il nostro Zecchino si alza e si mette sulla porta guardando di qua e di là appunto come un ragazzo che tenta di orientarsi prima di mettersi alla ri-