Il fanciullo nascosto/Selvaggina

Selvaggina

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Lo spirito del male La fattura

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Selvaggina.

Sebbene non aspettasse nessuno, ad ogni rumore di passi Rasalia sollevava la testina lunga avvolta in un fazzoletto nero diventato verdastro, e oramai più per abitudine che per volontà di male, imprecava contro tutte le persone che passavano. Erano per lo più donne con l’anfora sul capo e fanciulli con orci di sughero sulle spalle, che scendevano giù al fiumicello in fondo alla valle o salivano su fino alla sorgente della montagna in cerca d’acqua.

Bisognava camminare, in quell’anno di siccità, per trovare un po’ d’acqua: e il sentiero dietro la casupola di Rasalia, fra il cimitero e le prime falde del monte, di solito attraversato solo da pastori o da cacciatori, era, dopo il mese di aprile, frequentato come uno stradone. [p. 262 modifica]

Dal suo posto, sotto un gruppo di tamerici alla cui ombra si rifugiava in cerca di un po’ di frescura che smorzasse la sua febbre di malaria, Rasalia vedeva dunque passare sullo sfondo azzurro dell’orlo del ciglione le figure nere delle vecchiette e quelle delle fanciulle dal corsetto d’oro; ed erano anche donne benestanti, che avevano pozzi e cisterne in casa, che andavano in cerca d’acqua.

Qualche ragazzo si sporgeva dal muricciuolo e buttava un sasso fra le tamerici con la speranza di farne sbucare qualche biscia o di snidare almeno le lucertole; ma nel veder la testa verdastra di Rasalia, che col suo viso stretto e gli occhi obliqui lucenti aveva davvero una vaga rassomiglianza con quei rettili, scappava imprecando anche lui.

Quel giorno — era verso la fine di maggio e già un gran caldo e la serenità desolata del cielo annunziavano una spaventosa estate di sete, di carestia e di febbre — il sentiero era più che mai animato: tutti ormai andavano alle fonti lontane, poichè i pozzi del paese erano completamente asciutti.

Rasalia, con la sua febbre addosso, stendeva invano le mani ardenti sull’erba gial[p. 263 modifica]lognola cercando un po’ di refrigerio; non poteva star coricata perchè il sangue le andava tutto alla testa e anche a star seduta così, con le gambe piegate e le mani intorno alle ginocchia, vedeva volteggiare tutto intorno a sè, e le pareva che le figure, sull’orlo del ciglione, ballassero sospese fra cielo e terra. Molta gente passava, e lei, quindi, aveva più occasione di maledire. Ecco persino il servo del parroco, che va alla fontana del monte, sul cavallo carico di brocche: ecco persino la madre di Mattia Senes il sindaco che va, lunga e nera con l’anfora dritta sul capo che pare strisci sul cielo, ad attingere acqua alla fontana della valle; che muoiano di sete tutti, che le loro viscere si trovino al secco come i ciottoli in fondo al pozzo: tutti, ricchi e poveri, vecchi e fanciulli, tutti, tutti quelli che si sono burlati di lei, che l’hanno discacciata come una lebbrosa dalla comunità della gente sana, che hanno suonato le trombe e i coperchi di latta sotto la sua finestruola la notte delle sue nozze. Maledetti tutti.

Malediceva, poi appoggiava la fronte alle ginocchia e piangeva. E in fondo alla sua coscienza discuteva con Dio come s’egli le [p. 264 modifica] fosse davanti proteso sul muricciuolo come uno di quei vecchi servi che andavano alla fontana, con la barba bianca e il cappuccio tirato indietro dalla cordicella dell’orcio di sughero appeso sul collo. Discuteva, perchè le pareva che dal muricciuolo Dio le lanciasse dei sassi che la colpivano alle tempia, al fianco, al piede, e ad ogni colpo le dicesse: questo perchè imprechi, questo perchè maledici, questo per ricordarti che bisogna esser buoni anche se si soffre.

— Esser buoni, esser buoni! E gli altri son buoni? — rispondeva lei, ribellandosi e reprimendo in fondo all’anima anche una brava maledizione contro lo stesso Dio. — E perchè non lo dite anche agli altri? E gli altri son cattivi e sono fortunati lo stesso. Io, insomma, cosa ho fatto? Ho sposato il becchino, vecchio di quarant’anni più di me per giunta. Ma se l’ho sposato sapevo io i fatti miei: e poi, che cosa dovevo fare, infine, Dio mio, ditelo voi. Ma ditelo voi, dunque, che cosa malanno dovevo fare. Non avevo nessuno, nè padre nè madre nè fratelli; neppure nemici avevo, e nessuno mi voleva neppure per serva. Perchè mi avete fatto [p. 265 modifica] nascere povera e brutta, voi? Non avevo neppure la bisaccia per andare a chiedere l’elemosina. Non avevo neppure le scarpe: neppure i lacci delle scarpe, avevo. E quando sono stata in età di ragionare, non mi sono forse presentata in casa del prete e in casa di Mattia Senes, il sindaco, perchè mi procurassero almeno un posto di serva? Va prima e levati la crosta dal viso, mi risposero, e Mattia Senes mi aizzò il cane suo livido come il lupo. Ancora mi si rizzano i capelli al ricordarlo. Avevo quattordici anni, e ancora non potevo andare in chiesa perchè non avevo nè scarpe nè giubbone. E allora venivo a pregare nella chiesa del camposanto, fra i morti, poichè i vivi non mi volevano. E così zio Antonio mi vide e disse se volevo sposarlo. E l’ho sposato, ebbene? ridevano, sì, ma nessuno mi porgeva la mano. E i ragazzi ci buttarono le pietre, e alla notte suonarono le trombe. Ma verranno anche per voi le trombe del giudizio universale, maledetti siate. Sì, Dio; perchè le persecuzioni furono tante che mio marito piangeva, ad ogni morto che seppelliva, quasi gli fosse figlio o nipote. E infine mi disse: «Rasalia, me ne vado in [p. 266 modifica] America, tanto tutti gli altri anche se ne vanno e oramai non c’è più lavoro. Me ne vado, Rasalia, figlietta mia; là, in America, ci sono pestilenze e molti morti, così potrò forse lavorare». E voi sapete, Signore, che io volevo andare con lui; e andai fino al porto, ma egli voleva e non voleva prendermi con sè: infine, poi, io tornai indietro, a piedi, camminai fino a veder la carne viva dei miei piedi, e tornai qui come il cane e il gatto che tornano sempre alla loro casa. E di mio marito non seppi più nulla: non sapeva scrivere, lui. Sono passati cinque anni, sarà morto, qualcuno avrà seppellito anche lui; sono andata a consultare la fattucchiera, se egli è vivo o morto o so se sta con altra donna, ma voleva uno scudo, la fattucchiera, e dove lo prendo lo scudo, Dio mio? Ditelo voi dove lo prendo lo scudo, se c’è la carestia e persino il sindaco, Mattia Senes, va a caccia per mandare poi le pernici a vendere in continente. E come non devo maledire, allora? Eccolo lì, Mattia Senes, faccia di faina, maledetto sii tu e chi mangia le tue pernici e persino i cani che rosicchiano le loro ossa.

Una figura smilza d’uomo ancor giovane, [p. 267 modifica] vestito di frustagno, metà da paesano metà da cacciatore, saliva su dal paesetto: non aveva però nè il fucile nè il cane, e arrivato allo svolto del sentiero invece di proseguire verso la montagna saltò il muricciuolo e s’avvicinò dritto alla donna. Ella s’era sollevata, col cuore che le batteva forte; non aveva nulla da perdere, nulla da temere, eppure l’insolita visita le dava quasi un senso di terrore; e quando egli le si sedette accanto, sull’erba, a gambe in croce, afferrandosi come un bimbo i grossi piedi con le grosse mani, lo fissò spaventata. Egli però non rispondeva a quello sguardo: aveva, nel viso ispido, nerastro, gli occhi belli, chiari, liquidi, riparati sotto le sopracciglia selvaggie e la fronte prepotente come laghi sotto le roccie; ma li volgeva lontano, verso il paesetto bianco arrossato dal tramonto.

— Ti porto notizie di tuo marito, — disse subito. — Notizie brutte.

— È morto?

— Morto è!

Lei chinò la testa ma non pianse: aveva vergogna, o meglio pudore a piangere davanti a quell’uomo che le portava la notizia [p. 268 modifica]così come fosse la notizia della morte di una bestia.

Eppure egli pareva preoccupato; volse due volte il viso verso di lei e due volte lo distolse quasi non potesse, non potesse guardarla; finalmente si fece coraggio, si assicurò che nessuno in quel momento passava, che nessuno poteva ascoltarlo, e la guardò, con gli occhi socchiusi, pieni d’un fascino felino.

— La lettera è arrivata a me, cioè a me sindaco, solo oggi; ma era da molto in viaggio; tuo marito è morto quest’inverno scorso e pare abbia lasciato un pezzo di terra. Che vuoi si faccia? Si deve vendere?

Ella andava calmandosi. Subito pensò che Mattia Senes era uomo capace d’imbrogliarla; d’altronde era anche sindaco: e di chi fidarsi se non del sindaco?

— Quanto può essere? Trenta scudi?

L’uomo sorrise. Era molto, molto di più.

— È molto, molto di più. Non so dirti preciso. In America poi è un valore, qui un altro.

Lei pensava, sfuggendo lo sguardo di lui che nonostante tutto le dava un senso di voluttà. Doveva piangere per la notizia? Se [p. 269 modifica] erano passati tanti mesi dalla morte del marito era inutile piangere; eppoi non lo aveva già pianto credendolo morto da anni?

L’uomo riprese, con voce grave:

— Rasalia, adesso è tempo di non stare più qui, fra l’erba e le pietre, come una vipera. Sei una donna, adesso: ho guardato nel registro, hai diciannove anni. Bisogna mettere giudizio, oh!

Le battè una mano sulla spalla, per scuoterla dallo sbalordimento in cui sembrava caduta: ella sussultò, e finalmente come un albero scosso dopo la pioggia cominciò a piangere. Non sapeva perchè piangeva; forse per la gioia dei denari.

Egli la lasciò sfogare bene, finchè persino le cocche del fazzoletto di lei furono bagnate di lagrime e le tinsero di verde il mento; poi riprese:

— Bisogna dunque mettere giudizio: bisogna anche vestirti di nero. Più tardi scendiamo giù a casa mia e mia madre ti darà un po’ di roba da vedova: poi ti consiglio di non parlare con nessuno, di quest’affare. È meglio per te. Non viene nessuno in casa tua?

— E chi vuoi che venga? Neppure i ca[p. 270 modifica]ni.... Io sto sempre qui fuori perchè il tetto minaccia di sfondare.

— Eppure, — egli disse, sempre più pensieroso, — bisogna adesso star dentro, come si conviene a una vedova. Ebbene, puoi stare a casa mia. La gente non dirà nulla, — osservò, ma come parlando a sè stesso; e scrollò la testa sdegnoso. — E se dirà, si lascerà dire. Son tempi che ognuno fa il fatto suo. Se tu hai difficoltà, ebbene, — concluse risoluto, — io ti propongo subito una cosa. Ti sposo, oh!

Ella volse il viso e di nuovo lo guardò spaventata.

— Sono dunque tanti i denari, maledetto tu sii?

Ma egli era già tutto allegro per il colpo fatto. Respirava con sollievo. Gli sembrava di aver preso una grossa pernice e di tenerla ancora calda e sanguinate fra le mani. E perchè aspettare il cader del sole per tornarsene a casa con la preda? Si alzò dunque e la tirò su per il braccio, portandosela dietro per una scorciatoia deserta. E la teneva per il braccio per paura ch’ella gli scappasse.

Ella non pensava a scappare; pensava ai [p. 271 modifica] denari e camminava inciampando, con l’impressione che tutto fosse effetto della febbre.

— Quanto può essere? Trenta scudi no. Molto, molto di più. Forse cento scudi. Allora posso avere anche tre paia di scarpe, le une più belle delle altre. Forse cento trenta scudi, forse sette mila scudi.

La sua mente si smarriva a pensare tanto. Davanti alla chiesa l’uomo l’abbandonò, facendola però camminare davanti a lui: pareva si vergognasse di essere veduto con lei. E lei lo precedeva, dopo essersi per un attimo fermata davanti alla croce di pietra dello spiazzo della chiesa per farsi il segno della santa croce.

— In nome del padre, del figlio, dello spirito santo: ecco che vi siete ricordato di me, Signore mio.

Riprendeva a parlare con Dio: ma arrivati alla casa dei Senes, quando Mattia spinse il portone un cane cominciò ad abbaiare, ed ella ricordò il cane aizzatole contro, quella volta. E subito pensò di avvelenare la bestia, mentre per abitudine ricominciava a maledire.