Il burbero di buon cuore/Atto II
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Atto I | Atto III | ► |
ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Geronte, Dorval.
Geronte. Andiamo, andiamo, basta così. Giochiamo, e non me ne parlate più.
Dorval. Ma, caro amico, si tratta d’un vostro nipote.
Geronte. D’uno sciocco, d’un imbecille, che è lo schiavo di sua moglie, e la vittima della di lei vanità.
Dorval. Moderate la vostra collera.
Geronte. Eh voi colla vostra indolenza insipida, voi mi fareste arrabbiare.
Dorval. Io parlo per il ben comune della vostra famiglia, per l’onor vostro medesimo, per la vostra tranquillità.
Geronte. (Sedendosi) Prendete una sedia.
Dorval. (Con aria di compassione nell’atto ch’avvicina la sedia) Il povero giovine!
Geronte. Vediamo; riproviamo quel gioco d’ieri.
Dorval. Voi ve ne pentirete.
Geronte. Di che avrei da pentirmi? Son sicuro di vincere.
Dorval. Se non gli prestate un pronto soccorso, voi ve ne pentirete.
Geronte. Soccorso! A chi?
Dorval. A vostro nipote.
Geronte. Eh! io parlo del gioco1 e voi mi rompete il capo parlandomi di quel pazzo, che non merita la mia attenzione; accomodiamo il gioco com’era, e vedrete se io ho torto, o ragione, quando vi dico che una distrazione mi ha fatto perdere la partita.
Dorval. Son pronto a soddisfarvi; ma fatemi il piacere d’ascoltarmi un momento.
Geronte. Mi parlerete ancor di Leandro?
Dorval. Potrebbe darsi.
Geronte. Non vi ascolto.
Dorval. Voi l’odiate.
Geronte. Io non odio nessuno.
Dorval. Ma se voi non volete...
Geronte. Finitela, giocate; giochiamo, o io me ne vado2.
Dorval. Una parola, ed ho finito.
Geronte. Che pazienza!
Dorval. Voi siete provveduto3 di beni di fortuna.
Geronte. Sì, grazie il cielo.
Dorval. Più di quello che vi abbisogna.
Geronte. Sì, al servizio de’ miei amici.
Dorval. E non volete far niente per vostro nipote?
Geronte. Non gli darei un baiocco.
Dorval. Per conseguenza4 voi l’odiate.
Geronte. Per conseguenza voi non sapete quel che vi dite; odio, detesto la sua condotta; dargli del danaro non servirebbe che ad alimentare la sua vanità, la sua prodigalità, e le sue pazzie; che cambi sistema, ed al suo esempio cambierò io pure; voglio che il pentimento meriti il benefizio5, non voglio che il benefizio impedisca la correzione.
Dorval. (Dopo qualche momento di silenzio pare convinto, e dice d’un tuono flemmatico) Giochiamo, giochiamo.
Geronte. Ecco i miei pezzi rimessi com’eran ieri. Proviamo, giochiamo.
Dorval. (Da sé, giocando) (Sono mortificato).
Geronte. (Giocando) Scacco al re.
Dorval. E quella povera figlia...
Geronte. Chi?
Dorval. Angelica.
Geronte. Oh! quella è un’altra cosa; parlatemi di lei, e vi ascolterò.
Dorval. Ella pure è in pericolo di soffrire.
Geronte. Vi ho pensato, ho preveduto; la mariterò.
Dorval. Ella veramente lo merita.
Geronte. È una ragazza che ha del merito. Ah? che ne dite?
Dorval. È vero, niente le manca per farsi amare e desiderare.
Geronte. Che carattere! Che innocenza! Che bontà! Fortunato colui a chi sarà destinata, (pensa un poco, poi si leva, fa qualche) passo, e chiama) Dorval...
Dorval. Amico.
Geronte. Udite, accostatevi.
Dorval. (Alzandosi) Eccomi.
Geronte. Voi mi siete amico, vero, di cuore.
Dorval. Me ne faccio un pregio.
Geronte. Se la volete, io ve la do.
Dorval. Che?
Geronte. Mia nipote.
Dorval. Come?...
Geronte. Come? come?... Siete sordo? Non capite? Parlo assai chiaro; sì, se la volete, io ve la do.
Dorval. Ah! ah!
Geronte. E se voi la sposate, le darò oltre la sua dote cento mila6 lire del mio. Eh! cosa ne dite?
Dorval. Mi fate onore....
Geronte. Vi conosco, e intendo di fare la fortuna di mia nipote.
Dorval. Ma...
Geronte. Che?
Dorval. Suo fratello...
Geronte. Suo fratello non deve entrarvi per nulla; è vero che la sua dote è nelle mani di Leandro, ma i fondi esistono, e non possono esser distratti. Io sono quello che deve disporne; la legge... il testamento di mio fratello... io ne sono il padrone. Animo, decidetevi sul momento7.
Dorval. Geronte, amico mio amatissimo, la cosa che mi proponete
non si può decidere sommariamente. Essa merita riflessione, voi siete troppo sollecito, troppo vivace8.
Geronte. Non vi ci vedo alcuna difficoltà; se vi piace, se vi convince, tutto è detto,
Dorval. Ma...
Geronte. (Con collera) Ma, ma! Vediamo quest’altro ma.
Dorval. Contate per nulla la sproporzione di sedici anni a quarantacinque?
Geronte. Per nulla, voi siete ancora bastantemente giovine; conosco Angelica, ella non è una testa sventata.
Dorval. E poi potrebbe ella avere qualche inclinazione.
Geronte. Non ne ha alcuna.
Dorval. Ne siete voi ben certo?
Geronte. Ne son sicurissimo; animo, concludiamo; vado dal mio notaro, gli fo stendere il contratto, ed ella è vostra.
Dorval. Piano, amico, piano.
Geronte. Che? volete ancora affaticarmi, annoiarmi colla vostra lentezza, col vostro sangue freddo?
Dorval. Voi adunque vorreste...
Geronte. Darvi una bella fanciulla giovine, saggia, onesta, virtuosa con centomila scudi di dote, e centomila lire per un presente nuziale9. Sono condizioni queste, che debbano inquietarvi?
Dorval. Voi m’offrite molto più di quello ch’io merito.
Geronte. La vostra modestia in questo momento è inutile.
Dorval. Amico, non v’inquietate d’avvantaggio10. Voi lo volete?
Geronte. Sì, lo voglio, sì.
Dorval. E bene, accetto la proposizione, e vi acconsento di cuore.
Geronte. (Con giubilo) Veramente?...
Dorval. Ma a condizione...
Geronte. Di che?
Dorval. Che Angelica vi acconsenta.
Geronte. Non esigete altra condizione che questa?
Dorval. Non altra.
Geronte. Io vi do parola per lei; so quel che dico, ve ne assicuro, e tanto basta.
Dorval. Sarò ben contento se ciò si verifica.
Geronte. Sicuro sicurissimo, la cosa è fatta11 Caro nipote! abbracciatemi.
Dorval. (Sorridendo) Abbracciamoci dunque, il mio caro zio.
SCENA II.
Geronte, Dorval, Leandro.
Leandro. (Entra per la porta di mezzo, osserva Geronte e Dorval, e senza esser veduto, va a ritirarsi dietro la porta del suo appartamento.
Geronte. Questa è per me una giornata felice.
Dorval. Voi sempre più mi obbligate.
Geronte. Vado dal mio notaro; sarà tutto fatto per oggi, (chiama) Picard.
SCENA III 12.
Geronte, Dorval, Picard.
Geronte. La mia canna ed il mio cappello.
Picard. (Parte, e ritorna colla canna e il cappello.)
Dorval. Frattanto andrò a spicchiarmi da alcune coserelle 13, e ritornerò.
Geronte. No, no, attendetemi, sarò di ritorno fra pochi istanti, voi pranzerete con me.
Dorval. Ho una lettera importante a scrivere, deggio far venire il mio agente, che è una lega distante da Parigi.
Geronte. Andate a scrivere nel mio gabinetto, confidate la lettera a Picard, egli la farà ricapitare immediatamente, o andrà egli stesso a portarla. Picard è un buon servitore, fedele, esatto. Lo sgrido qualche volta; ma lo amo, e non lo cambierei con un altro.
Dorval. Bene, profitterò della vostra compiacenza.
Geronte. Non tarderò a rivenire. Addio... tutto è detto, ci siamo intesi.
Dorval. Non v’è dubbio.
Geronte. (Toccando la mano a Dorval) Parola d’onore?
Dorval. Parola d’onore.
Geronte. Amico... son fuor di me dalla consolazione. (parte)
SCENA IV.14
Dorval, Leandro.
Dorval. Parmi un sogno; io maritarmi? io che mai ci avevo pensato?
Leandro. (Sortendo con trasporto di allegrezza, guarda con compiacenza Geronte che parte, indi si volta a Dorval Ah! mio degno, mio rispettabile amico, non so in quai termini potrei spiegarvi la mia gratitudine.
Dorval. Per qual motivo? Che cosa ho fatto per voi?
Leandro. Ho inteso quel che disse mio zio in partendo; ho capito apress’a poco la conversazione che avete avuta con lui; ei va dal notaro; vi diede la sua parola d’onore; vedo, capisco quello che avete fatto per me; son l’uomo il più felice del mondo.
Dorval. Sospendete le vostre lusinghe, e i vostri ringraziamenti. In tutto quel che voi dite, non vi è principio di verità.
Leandro. Come! mi sarò io ingannato?
Dorval. Spero che col tempo potrò più facilmente giovarvi; ma sin ora15 non ho potuto ottenere cosa alcuna per voi.
Leandro. A qual proposito vi ha dato egli la sua parola d’onore?
Dorval. Ve lo dirò, senza alcuna difficoltà. Geronte mi ha fatto l’onore di propormi vostra sorella in consorte; io ho accettata l’offerta; ed ecco un titolo per interessarmi ancor d’avvantaggio a tutto quello che vi riguarda16
Leandro. (Con gioia) Accettaste l’offerta?
Dorval. Sì, sperando che voi ne sarete contento.
Leandro. Oh cielo! Io ne son contentissimo, non poteva desiderarmi maggior piacere, maggior fortuna; ma... circa alla dote...
Dorval. Su quest’articolo avremo tempo a discorrere; io mi lusingo che in quest’occasione vostro zio farà qualche cosa per voi, e qualche cosa in riguardo mio.
Leandro. Ecco un avvenimento da cui tutto posso sperare; ne aveva un bisogno estremo. Le cose mie vanno sempre di male in peggio, sono stato dal mio procuratore, non l’ho ritrovato in casa, non so cosa possa sperare, o cosa debba temere17.
SCENA V18.
Costanza, Dorval, Leandro.
Leandro. Venite, consorte mia amatissima...
Costanza. Vi attendeva con impazienza, intesi la vostra voce, e fui forzata a venir qui a mio dispetto.
Leandro. Ecco l’amico Dorval, che voi conoscete; ve lo presento come nostro cognato, come sposo di Angelica.
Costanza. (Freddamente) Me ne consolo infinitamente.
Dorval. Sarò maggiormente contento, se la fortuna che è per arrivarmi, può meritare la vostra approvazione.
Costanza. Quest’è la prima volta che ho l’onor di sentirne parlare; ciò nonostante vi assicuro che ne provo una consolazione perfetta, (da sè) (Come dunque volean farmi credere, che gli affari di mio marito fossero sbilanciati?)
Leandro. (A Dorval) Mia sorella deve esserne prevenuta.
Dorval. Non saprei dirvelo; lo zio me l’ha proposta, ed io mi riporto alla sua condotta.
Costanza. (Da sè) (Non è dunque opera di mio marito).
Leandro. (A Dorval) Deggio farla venire?
Dorval. No, no, non mi par tempo di farlo. Geronte non è in casa, aspettiam che ritorni.
Leandro. Come vi piace.
Costanza. Io non arrivo a capire cosa alcuna di tutto ciò.
Dorval. Scusatemi, deggio scrivere; l’amico Geronte mi ha permesso di farlo nel suo gabinetto; fra poco avrò l’onore di rivedervi. (entra nell’appartamento di Geronte)
SCENA VI.
Costanza, Leandro.
Costanza. Voi non siete dunque l’autore dell’accasamento di vostra sorella?
Leandro. E mio zio che l’ha proposto, è vero.
Costanza. Vostro zio? Ve ne ha egli parlato? Vi ha almeno fatto chiedere il vostro consentimento?
Leandro. (Un poco alterato) Il mio consentimento? Non avete veduto Dorval? Non è venuto egli stesso a parteciparmelo? Non chiamasi tutto questo dimandar il mio assenso?
Costanza. Questa è una politezza di Dorval; ma vostro zio non ve ne ha parlato.
Leandro. (Imbarazzato) La cagione è... può darsi...
Costanza. La cagione è ch’egli ci disprezza, voi ed io pienamente.
Leandro. (Con calore) Voi prendete sempre le cose sinistramente; voi siete... insopportabile.
Costanza. (Mortificata e irritata) Io insopportabile! Voi mi trovate insopportabile? Questa è la prima volta che vi è sortita di bocca una espressione contro di me ingiuriosa; convien dire
che le vostre secrete afflizioni sieno ben seriose, se voi arrivate a mortificarmi a un tal segno.
Leandro. (Da sè, con trasporto) (Ah! sì, il caso mio è crudele). Costanza mia, scusatemi; voi conoscete mio zio, volete voi che si aumentino fra di noi la discordia e il livore? Volete che le mie pretensioni rechino pregiudizio a mia sorella? Il partito è buono, non vi è che dire; mio zio lo ha scelto; ecco un imbarazzo di meno per voi e per me.
Costanza. Ho piacere che prendiate la cosa in buona parte, vi lodo, vi ammiro; ma permettetemi una riflessione: chi avrà cura de’ preparativi, che son necessari per una giovane che si marita? E vostro zio che dee incaricarsene? Sarà cosa conveniente per lui? Sarà cosa decente per noi?
Leandro. Le vostre riflessioni son giuste.... Vi è ancor tempo, ne parleremo.
Costanza. Amo Angelica, voi lo sapete; è vero ch’ella non corrisponde alla mia tenerezza, ch’ella è ingrata verso di me, ciò nonostante è vostra sorella, e tanto mi basta.
Leandro. Mia sorella ingrata verso di voi? Come? Quai segni vi ha ella dati della sua ingratitudine?
Costanza. Non ne parliamo per ora, cercherò d’ottenere una spiegazione fra lei e me, e poi...
Leandro. Fatemi il piacere di dirmi intanto, su che è fondato il vostro sospetto.
Costanza. Non voglio inquietarvi senza proposito.
Leandro. Costanza mia, m’inquieterò d’avvantaggio se ricusate di soddisfarmi.
Costanza. Voi lo volete assolutamente? Vi compiacerò.
Leandro. (Da sè) (Cielo! sempre palpito, sempre tremo).
Costanza. Io credo vostra sorella pochissimo amica nostra; è troppo attaccata a suo zio.
Leandro. Per qual motivo?
Costanza. Ella ebbe l’arditezza di dirmi, che gli affari vostri sono imbrogliati, e che...
Leandro. I miei affari imbrogliati? Lo credete voi?
Costanza. No, ma ella mi ha parlato in maniera non solo a farmi credere sbilanciate le vostre finanze, ma rimproverandomi, come se io ne fossi la cagion principale.
Leandro. (Con alterazione) Voi?... ella sospetta di voi!
Costanza. Non vi alterate per questo; so che ella non ha una intelligenza sorprendente, credo che qualche volta parli senza riflettere a quel che dice...
Leandro. (Con trasporto) Ah! Moglie mia amatissima!...
Costanza. Non v’inquietate per me, io faccio poco conto delle parole d’Angelica; ma vedo, capisco, che tutto viene di là; (accennando l’appartamento di Geronte) vostro zio è il motivo di tutto questo.
Leandro. (Con passione) Eh! mio zio non è sì cattivo come voi lo credete.
Costanza. Non è cattivo! O cielo! Evvi niente di peggiore sopra la terra? Non mi ha egli provato, non ha guari, la violenza dell’odio suo?
SCENA VII 19.
Costanza, Leandro, un Servitore,
Servitore. (A Leandro) Signore, è stata portata questa lettera a voi diretta.
Leandro. Vediamo, (prende la lettera, ed il servo parte. Leandro, legge piano la soscrizione, e si mostra agitato Il mio procuratore! (continua a legger piano con movimenti d’afflizione)
Costanza. Chi è che vi scrive?
Leandro. (Imbarazzato) Un momento. (continua a leggere)
Costanza. (Da sè) (Sarebbe mai qualche annuncio sinistro?)
Leandro. (Da sè, dopo aver letto) (Sono perduto).
Costanza. (Da sè) (Mi palpita il cuore).
Leandro. (Da sè, con la maggior agitazione) (Povera moglie mia! Che sarà di me? Che sarà di lei? Come farò ad avvertirla? Mi manca il coraggio).
Costanza. (Con tenerezza) Caro Leandro, ditemi di che si tratta, fatemi la confidenza; non sono io la persona che più vi ama? Quella che più di tutti deve a voi interessarsi?
Leandro. Ahimè! tenete, leggete; non ho cuor di dirvi di più. (le dà la lettera, e parte afflitto)
SCENA VIII20.
Costanza sola.
O cieli! a qual disastro degg’io prepararmi? (legge) Signore. I creditori vostri non hanno voluto accordare la dilazione; la sentenza contro di voi è stata confermata, e soscritta, e vi sarà oggi notificata; siate cauto, non vi esponete, perchè può essere eseguita anche contro la vostra persona. Misera me! che sento! mio marito!... Indebitato!... In pericolo di perdere la libertà? come mai!... Non gioco... Non società sospette... Senza fasto... per lui. Oh cieli!... Sarebbe forse per me!... Qual idea funesta viene a turbarmi lo spirito? o piuttosto, qual lume celeste mi fa veder chiaro l’inganno in cui ho vissuto sin ora? Le spese fatte da Leandro per me, senza misura, senza necessità... I rimproveri d’Angelica, l’odio di Geronte, il disprezzo con cui mi tratta... Ah! sì, squarciato il velo, vedo i falli di mio marito, e riconosco i miei. Il suo amore verso di me lo ha acciecato. Io sono stata dall’inesperienza tradita. Leandro è colpevole, ed io forse non lo sono meno di lui... Ma qual rimedio si può sperare a quest’orribile situazione? Lo zio solo... Sì, lo zio è l’unico che rimediar vi potrebbe; ma Leandro oserà egli in questi momenti di afflizione e di avvilimento.... Eh! s’io sono complice del mancamento, perchè non andrò io medesima?... Sì, se anche dovessi gettarmi a’ suoi piedi... Ma conoscendo il carattere suo aspro e difficile, posso io lusingarmi di guadagnarlo?... Andrò io ad espormi alle sue ripulse?... Ah! che importa! Le preghiere, le umiliazioni pesar non mi
devono in confronto dello stato infelice di mio marito; sì, questa sola idea basta per incoraggirmi a corrervi sul momento.
(S'incammina verso l’appartamento di Geronte)
SCENA IX21.
Costanza, Marta.
Marta. (Correndo) Dov’andate, signora? Il signor Leandro s’abbandona alla disperazione....
Costanza. Ahimè! volo in di lui soccorso. (parte)
SCENA X.
Marta, poi Valerio.
Marta. Quai disordini! qual precipizio! S’ella n’è la cagione, merita bene... Chi vedo! a Valerio che arriva) Che cosa venite a far qui? avete scelto un sinistro momento; la casa di Angelica è nella più grande afflizione.
Valerio. Lo so, ne conosco il motivo, e vengo ad offrire all’amico, al fratello d’Angelica, quanto può bastare per sovvenirlo.
Marta. Quest’offerta è degna di voi.
Valerio. Il signor Geronte è in casa?
Marta. No, il servitore mi ha detto averlo lasciato dal suo notaro.
Valerio. Dal suo notaro?
Marta. Sì, egli ha sempre degli affari. Vorreste voi parlare con esso lui?
Valerio. Cerco parlare con tutti quelli che possono essere utili a Leandro. Io son solo di mia famiglia, posso disporre de’ beni miei. Amo Angelica, m’offrirò di prenderla senza dote, e divider con lei il ben che posseggo22.
Marta. Non si può manifestare con più nobiltà, con più di generosità l’amore, la stima, che voi nutrite per lei.
Valerio. Credete voi ch’io possa lusingarmi di riuscire nel mio progetto?
Marta. Sì, tanto più che la giovine è in buona opinione23 di suo zio, e che egli vuol maritarla.
Valerio. Vuol maritarla?
Marta. Sicuramente.
Valerio. Ma se è egli stesso che vuol maritarla, vorrà scegliere a suo piacere il partito.
Marta. (Sorridendo) Potrebbe darsi.
Valerio. Bella speranza, che voi mi date.
Marta. Le mie parole... (voltandosi verso l’appartamento di Leandro) Venite, venite, signora Angelica.
SCENA XI24.
Angelica, Valerio, Marta.
Angelica. (Da sè, agitata) Misera me! non so in che mondo mi sia.
Valerio. Oh Dio! vi vedo agitata.
Angelica. Il povero mio fratello...
Marta. Sempre lo stesso?
Angelica. Pare un poco rasserenato.
Marta. Il signor Valerio mi ha detto delle cose ammirabili riguardo a voi ed a vostro fratello.
Angelica. Per lui pure?
Marta. Se voi sapeste i sacrifizi che si è proposto di fare!...
Valerio. (A Marta) Non le dite di più; vi sono sacrifizi che ella non meriti?
Marta. Bisognerà parlarne al signor Geronte.
Angelica. Io era discesa espressamente per veder mio zio, per parlargli di Leandro e di me; parendo che lo stato nostro presente mi abbia dato un coraggio di cui non mi credeva capace.
Marta. Sento gente da quella parte, veggiamo se fosse lui. (si accosta alla porta dell’appartamento di Geronte) No, è il signor Dorval. (a Valerio) Non vi fate veder per ora. (ad Angelica) Voi restate qui, raccomandatevi al signor Dorval che è amico di vostro zio, (a Valerio) e voi venite meco nella mia camera sino al ritorno del mio padrone. (parte con Valerio)
SCENA XII25.
Angelica, Dorval.
Angelica. Comincio un po’ a respirare. Valerio mi ama veramente di cuore, e se egli s’interessa per me e per mio fratello, spero che le cose nostre cambieranno d’aspetto.
Dorval. (Da sè) (Ecco Angelica. Ella è sola. Vediamo un poco...) (ad Angelica facendole un saluto) Signora.
Angelica. Vi son serva.
Dorval. Avete veduto vostro signor zio? vi ha detto egli qualche cosa, che vi riguarda particolarmente?
Angelica. Lo ho veduto non ha molto tempo; ma non mi ha detto niente di particolare.
Dorval. (Da sè) (Ella non sa ancor niente).
Angelica. Scusatemi; parmi, a quel che dite, che debba esservi qualche novità per me interessante.
Dorval. Vostro zio vi ama teneramente.
Angelica. Egli ha molta bontà per me.
Dorval. Ei pensa a voi seriamente.
Angelica. Reputo ciò a mia fortuna.
Dorval. Ei pensa... ad accasarvi.
Angelica. (Non fa che accennare la sua modestia.)
Dorval. Avreste voi ripugnanza di cambiar stato?
Angelica. Io dipendo dalla volontà di mio zio.
Dorval. Volete che vi dica qualche cosa di più?
Angelica. (Con segni dì gioia e modestia) Come vi piace.
Dorval. La scelta dello sposo è già fatta.
Angelica. (Da sè, agitata) (Oh cielo! se non è Valerio, io son perduta).
Dorval. (Da sè) (parmi che la nuova non le dispiaccia).
Angelica. Signore, se avessi coraggio... vi dimanderei...
Dorval. Che?
Angelica. Lo conoscete voi quello che mi vien destinato?
Dorval. Oh lo conosco perfettamente, e voi pure lo conoscete.
Angelica. (Con segni di contentezza) Lo conosco? Io? (da sè) (Ah! se fosse Valerio).
Dorval. Certamente voi lo conoscete.
Angelica. Ma come? Dove posso averlo veduto?
Dorval. Qui in questa casa, e qualche volta nel vostro medesimo appartamento.
Angelica. (Con gioia) È egli di una condizione come la nostra?
Dorval. A poco presso.
Angelica. Statura ordinaria?
Dorval. Precisamente.
Angelica. (Con più calore) Giovine?
Dorval. Oh! se non fosse poi tanto giovine!
Angelica. (Conturbata) Come! mio zio vorrebbe sagrificarmi?
Dorval. Sagrifìcarvi?
Angelica. Se intende maritarmi senza la mia inclinazione... Ma no, non lo credo; mio zio è buono, non vorrà forzare il mio cuore... Qualcheduno26 gli avrà posto in capo di dispor di me senza consultarmi; se conoscessi la persona che si è data questa pena inutile...
Dorval. Veramente l’idea della scelta gli è venuta da lui medesimo.
Angelica. Voi ne siete certo?
Dorval. Ne son sicurissimo.
Angelica. Si vede che voi siete l’amico intimo di mio zio; voi avete della bontà per me, spero che vi riuscirà dissuaderlo; assicuratelo che dipenderò in tutto da lui: ma non su quest’articolo, che deve interessare il mio cuore.
Dorval. (Da sè) (Ah! ah! non vi è male; sa parlar quando vuole), (ad Angelica) Ditemi la verità, signorina, avreste per avventura il cuor prevenuto?
Angelica. Ah! signore...
Dorval. Vi capisco.
Angelica. Abbiate pietà di me.
Dorval. (Da sè) (L’aveva ben preveduto; fortuna che non ne sono innamorato; ma cominciava a sentirne qualche pizzicore interno).
Angelica. Voi non mi risponclete?
Dorval. Ma signora...
Angelica. Avreste voi qualche affezione particolare per la persona che mi avean destinata?
Dorval. Un poco.
Angelica. Vi avverto, vi protesto che l’odierei.
Dorval. (Da sè) (Povera figlia! Mi piace la sua sincerità).
Angelica. Siate umano verso di me, siate generoso, compassionevole.
Dorval. Sì, mi sento penetrato di stima e di tenerezza. Parlerò a vostro zio; spero che sarete contenta.
Angelica. (Con tenerezza) Ah! quanto vi sarò obbligata! Voi sarete il mio protettore, il mio benefattore, mio padre.
Dorval. (Da sè) (Dal padre allo sposo vi è una gran differenza). (ad Angelica) Consolatevi, prendo il più grande impegno per voi.
Angelica. (Prendendolo per la mano) Voi mi fate piangere di consolazione.
SCENA XIII27.
Angelica, Geronte, Dorval.
Geronte. (Entrando per la porta di mezzo, e vedendo in atto d’amicizia Angelica e Dorval, li crede l’uno e l’altro amorosi) Bene! bene! Mi consolo con voi. (Angelica si ritira mortificata, Dorval sorride) Che? la mia presenza v’incomoda! Avete soggezione di me? Io non condanno qualche confidenza innocente e legittima; avete fatto bene, Dorval, a prevenirla; animo, signorina, abbracciate il vostro sposo.
Angelica. (Da sè, afflitta) (Che sento!)
Dorval. (Da sè, sorridendo) (Eccomi scoperto).
Geronte. (A tutti due) Che vogliono dire queste renitenze? (ad Angelica) Qual modestia fuor di proposito? Quando io non vi sono, v’avvicinate, e quando arrivo, vi allontanate, (a Dorval) Avvicinatevi, (ad Angelica) appressatevi.
Dorval. (Ridendo) Amico Geronte...
Geronte. Voi ridete? voi gioite della vostra contentezza; ho ben piacer che si rida; ma non voglio esser impazientato. Intendete, signor amoroso giocondo? Venite qui. Ascoltatemi.
Dorval. Ma ascoltate voi prima...
Geronte. (Ad Angelica) Qui, qui, anche voi, qui.
Angelica. (Piangendo) Mio caro zio...
Geronte. Voi piangete? Povera bambina! (prendendola per la mano) Venite qui, (la fa venire nel mezzo della scena, poi si volge a Dorval dicendo) la tengo.
Dorval. Volete voi lasciarmi parlare?
Geronte. (A Dorval, con vivacità) Tacete.
Angelica. Mio zio...
Geronte. (Vivamente) Tacete. (cambiando tuono dice tranquillamente) Vengo ora dal notaro, tutto è pronto, la minuta è fatta, questa sera porterà il contratto, e noi lo soscriveremo.
Dorval. Se voi voleste ascoltarmi...
Geronte. (Vivamente) Acchetatevi. Mio fratello ha fatta la pazzia di lasciar la dote nelle mani di suo figlio, dubito che da lui sarà stata mal custodita; ma ciò non fa niente, quelli che avranno fatto con lui degli affari, saranno forzati restituire; la dote non può perire, ed in ogni caso io ne risponclerò.
Angelica. (Da sè) (Non ne posso più).
Dorval. (Imbarazzato) Tutto ciò va bene, ma...
Geronte. Che?
Dorval. (Guardando Angelica) Credo che la signora Angelica abbia qualche cosa da dirvi su tal proposito.
Angelica. (Tremando) Io?...
Geronte. (Alterato) Vorrei ben vedere, che ella avesse qualche cosa a ridire su quel ch’io faccio, su quel che ordino, su quel ch’io voglio; quel che voglio, quel che ordino, quel che faccio, lo faccio, lo voglio e lo ordino per il vostro meglio. Intendete? (ad Angelica)
Dorval. Parlerò io dunque e per lei, e per me.
Geronte. Voi? Cosa avete da dirmi?
Dorval. Che me ne dispiace infinitamente; ma che questo matrimonio non si può fare.
Geronte. (Adirato) Cospetto! (Angelica e Dorval si allontanano un poco. A Dorval) Voi m’avete data la vostra parola d’onore.
Dorval. Sì, ma a condizione...
Geronte. (Volgendosi ad Angelica) Sarebbe forse quest’impertinente? Se lo potessi credere... se potessi dubitarne...
Dorval. (Con serietà) Non signore. Voi v’ingannate.
Geronte. (A Dorval, con isdegno) Siete voi dunque, che mi mancate?
Angelica. (Coglie il momento che Geronte parla a Dorval, e si ritira fuggendo.)
SCENA XIV 28.
Geronte, Dorval.
Geronte. Così abusate della mia amicizia?
Dorval. Sono un uomo d’onore, ho promesso, ma con delle condizioni.
Geronte. Ma voi... o lei. (volgendosi chiama) Angelica, Angelica.
Dorval. (Che ti venga la rabbia. Mi farebbe uscire de’ gangheri). (parte non veduto da Geronte)
SCENA XV.
Gerontesolo, chiamando.
Olà; chi è di là? vi è nessuno? La sciagurata la troverò, (poi) voltandosi e credendo di parlare a Dorval) Voi mi renderete conto... Come! È partito! Mi pianta qui! Dorval, Dorval. (chiamando) Ah l’ingrato! Ah l’indegno! Olà qualcuno, Picard, Marta, Picard, Picard.
SCENA XVI.
Geronte, Picard.
Picard. Signore.
Geronte. Non rispondi? Bestiaccia! Non senti? Non rispondi? 29
Picard. (Da sè) È ben duro qualche volta!
Geronte. Ti ho chiamato e richiamato.
Picard. (Malcontento) Eccomi qui.
Geronte. (Bruscamente) Hai veduto Dorval?
Picard. L’ho veduto.
Geronte. Ov’è egli?
Picard. È partito.
Geronte. (Adirato) Com’è partito?
Picard. (Impazientato) È partito, come si parte.
Geronte. Temerario! Così mi rispondi? (lo minaccia e lo fa retrocedere.)
Picard. Signore, se non siete contento di me, licenziatemi; ma non mi maltrattate.
Geronte. Licenziarti! licenziarti! Tu ardisci di profferirlo, (lo incalza con veemenza, lo fa rinculare, e Picard, urtando nella sedia vicina al tavolino, cade.)
Picard. Ahimè! (alzandosi come può, ed appoggiandosi alla sedia)
Geronte. (Intenerito) Che cos’è?
Picard. Sono stroppiato.
Geronte. (Da sè) (Pover’uomo, me ne dispiace). Puoi camminare?
Picard. Mi proverò.
Geronte. (Pensando) Vattene...
Picard. Mi licenziate?
Geronte. No, va da tua moglie farti medicare30. tieni, (tira di tasca una borsa per dargliela.)
Picard. (Da sè) (Che buon padrone!) Non signore, vi ringrazio, spero non vi sarà gran male.
Geronte. (Offrendogli la borsa) Tieni...
Picard. (Ricusando per onestà) Signore...
Geronte. Come! Tu ricusi il danaro? Lo fai per orgoglio, lo fai per isdegno? Credi ch’io l’abbia fatto a posta? Povero Picard! Prendi, e non mi far adirare.
Picard. Voi me lo comandate, lo prendo, e vi ringrazio della carità che mi usate.
Geronte. Va subito.
Picard. (Va zoppicando) Si signore.
Geronte. (Veggendolo zoppicare) Aspetta, aspetta, prendi la mia canna.
Picard. (Ricusando la canna) Non vo lontano.
Geronte. (Con vivacità) Prendila... assolutamente lo voglio.
Picard. (Prende la canna e partendo dice) Che cuor tenero! Che padrone adorabile!
SCENA XVII.
Geronte, e poi Marta.
Geronte. (Passeggiando a grandi passi) Quest’è la prima volta... Ho sdegno contro di me medesimo, contro la mia vivacità. E Dorval che mi ha impazientato.
Marta. Signore, se volete pranzare, tutto è pronto.
Geronte. Va’ al diavolo, (corre a chiudersi nel suo appartamento)
SCENA XVIII 31.
Marta sola.
Buono! a quel ch’io vedo, oggi non si pranzerà così presto. Non potrò far niente per Angelica, niente per Valerio. Vedo che cose s’imbrogliano più che mai. Meglio è ch’io faccia sortir Valerio dalla mia camera; e che se ne vada. Mi dispiace per quella povera figliuola, ma chi sa? Quando il male è giunto all’estremo, non si può che sperare il bene.
Fine dell'Atto Secondo..
- ↑ Nel testo qui è stampato giuoco
- ↑ Manca nel testo la punteggiatura.
- ↑ Testo: preveduto.
- ↑ Testo: consequenza
- ↑ Testo: beneffizio
- ↑ Testo: milla.
- ↑ Il discorso di Geronte è più breve nell’originale francese.
- ↑ Anche Dorval è qui prolisso.
- ↑ Nel testo c’è il punto interrogativo.
- ↑ Soltanto in questo luogo è stampato nel testo d’avantaggio.
- ↑ Nel testo c’è qui la virgola.
- ↑ In questa scena il Goldoni riunisce le scene III-VI dell’originale francese.
- ↑ Così nel testo.
- ↑ Nell’originale francese questa è la scena VII
- ↑ Testo: sin’ora.
- ↑ Si confronti il testo originale francese.
- ↑ Ecco una parte di questa scena nella traduzione del Candoni: Dorval. Io spero bene col tempo di potervi essere utile presso di lui, ed avrò quindi innanzi parimente un titolo d’avvantaggio per interessarmi a vostro favore, ma fino ad ora... Dalancour. (con ardore) Sopra di che vi died’ egli dunque la sua parola di onore? Dor. Vel dico subito... Egli mi fece l’onore di propormi vostra sorella in isposa. Dal. [con gioia) Mia sorella! L’accettate voi? Dor. Sì, se ne siete contento. Dal. Voi mi colmate di giubilo, mi sorprendete. Per la dote vi è noto attualmente il mio stato. Dor. Sopra di ciò ne parleremo. Dal. Mio caro fratello, lasciate ch’io vi abbracci con tutto il cuore. Dor. Mi lusingo che vostro zio in questa occasione... Dal. Ecco un legame a cui dovrò la mia felicità. Io ne avea il più grande bisogno.. Sono stato a casa del mio procuratore, e non l’ho trovato". La versione di Elisabetta Caminer di poco si scosta da questa.
- ↑ Si confronti la sc. VIII del testo francese.
- ↑ In questa scena il Goldoni riunisce le scene X-XI dell’originale francese.
- ↑ Questa è la sc. XII nel testo francese.
- ↑ Il Goldoni riunisce in questa scena le scene XIV-XV dell’originale francese.
- ↑ Qui il Goldoni fu più breve nella versione.
- ↑ Testo: oppinione
- ↑ Si confronti con la scena XVI dell’originale.
- ↑ Ecco il principio della scena XVII nella traduzione del Candoni: Ang. (Che farò io qui col signor Dorval?.. Posso andarmene) (da sè) Dor. Madamigella, madamigella. (ad Angelica, che sta per partire) Ang. Signore. Dor. Avete veduto il vostro signor zio? V’ha egli detto nulla? Ang. L’ho veduto questa mattina, o signore. Dor. Prima che uscisse di casa? Ang. Sì, signore. Dor. E ritornato? Ang. Non, signore. Dor. Buono! (La non sa ancora nulla). Ang. Signore, vi chiedo scusa. Evvi qualche novità, che mi riguardi? Dor. Vostro zio vi vuol bene ecc.".
- ↑ Testo: qualche d’uno.
- ↑ È la scena XVIII dell’originale.
- ↑ Ecco la scena corrispondente, ch’è la XIX, nella traduzione del Candoni: "Ger... Che abusate della mia amicizia, e del mio affetto per la vostra persona? (continua a parlare con Dorval) Dor. Ma udite le ragioni (alzando la voce) Ger. Che ragioni, che ragioni? Non c’è ragione. Io sono un uomo d’onore, e se lo siete voi pure, animo, subito. (volgendosi chiama) Angelica. Dor. (Che diavolo d’uomo! Egli mi farebbe violenza sul fatto), (fuggendo)".
- ↑ La punteggiatura nel testo è così: "Non rispondi! Bestiaccia! Non senti! Non rispondi?"
- ↑ Nel testo è stampato scorrettamente: No, va da tua moglie fati medicare ecc. Si potrebbe anche correggere: No, Va da tua moglie, fatti medicare ecc. Nell’originale francese: Vat-t-en chez ta femme, qu’on te soigne
- ↑ Ecco questa scena, ch’è la XXIII dell’originale, nella traduzione del Candoni: "Bella! bellissima! egli è sulle furie. Oggi per Angelica non c’è caso di nulla. Tanto fa, che Valerio se ne vada. (parte).