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Dorval. Ella pure è in pericolo di soffrire.
Geronte. Vi ho pensato, ho preveduto; la mariterò.
Dorval. Ella veramente lo merita.
Geronte. È una ragazza che ha del merito. Ah? che ne dite?
Dorval. È vero, niente le manca per farsi amare e desiderare.
Geronte. Che carattere! Che innocenza! Che bontà! Fortunato colui a chi sarà destinata, (pensa un poco, poi si leva, fa qualche) passo, e chiama) Dorval...
Dorval. Amico.
Geronte. Udite, accostatevi.
Dorval. (Alzandosi) Eccomi.
Geronte. Voi mi siete amico, vero, di cuore.
Dorval. Me ne faccio un pregio.
Geronte. Se la volete, io ve la do.
Dorval. Che?
Geronte. Mia nipote.
Dorval. Come?...
Geronte. Come? come?... Siete sordo? Non capite? Parlo assai chiaro; sì, se la volete, io ve la do.
Dorval. Ah! ah!
Geronte. E se voi la sposate, le darò oltre la sua dote cento mila1 lire del mio. Eh! cosa ne dite?
Dorval. Mi fate onore....
Geronte. Vi conosco, e intendo di fare la fortuna di mia nipote.
Dorval. Ma...
Geronte. Che?
Dorval. Suo fratello...
Geronte. Suo fratello non deve entrarvi per nulla; è vero che la sua dote è nelle mani di Leandro, ma i fondi esistono, e non possono esser distratti. Io sono quello che deve disporne; la legge... il testamento di mio fratello... io ne sono il padrone. Animo, decidetevi sul momento2.
Dorval. Geronte, amico mio amatissimo, la cosa che mi proponete