Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
252 |
Leandro. (A Dorval) Mia sorella deve esserne prevenuta.
Dorval. Non saprei dirvelo; lo zio me l’ha proposta, ed io mi riporto alla sua condotta.
Costanza. (Da sè) (Non è dunque opera di mio marito).
Leandro. (A Dorval) Deggio farla venire?
Dorval. No, no, non mi par tempo di farlo. Geronte non è in casa, aspettiam che ritorni.
Leandro. Come vi piace.
Costanza. Io non arrivo a capire cosa alcuna di tutto ciò.
Dorval. Scusatemi, deggio scrivere; l’amico Geronte mi ha permesso di farlo nel suo gabinetto; fra poco avrò l’onore di rivedervi. (entra nell’appartamento di Geronte)
SCENA VI.
Costanza, Leandro.
Costanza. Voi non siete dunque l’autore dell’accasamento di vostra sorella?
Leandro. E mio zio che l’ha proposto, è vero.
Costanza. Vostro zio? Ve ne ha egli parlato? Vi ha almeno fatto chiedere il vostro consentimento?
Leandro. (Un poco alterato) Il mio consentimento? Non avete veduto Dorval? Non è venuto egli stesso a parteciparmelo? Non chiamasi tutto questo dimandar il mio assenso?
Costanza. Questa è una politezza di Dorval; ma vostro zio non ve ne ha parlato.
Leandro. (Imbarazzato) La cagione è... può darsi...
Costanza. La cagione è ch’egli ci disprezza, voi ed io pienamente.
Leandro. (Con calore) Voi prendete sempre le cose sinistramente; voi siete... insopportabile.
Costanza. (Mortificata e irritata) Io insopportabile! Voi mi trovate insopportabile? Questa è la prima volta che vi è sortita di bocca una espressione contro di me ingiuriosa; convien dire