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Geronte. Mi parlerete ancor di Leandro?
Dorval. Potrebbe darsi.
Geronte. Non vi ascolto.
Dorval. Voi l’odiate.
Geronte. Io non odio nessuno.
Dorval. Ma se voi non volete...
Geronte. Finitela, giocate; giochiamo, o io me ne vado1.
Dorval. Una parola, ed ho finito.
Geronte. Che pazienza!
Dorval. Voi siete provveduto2 di beni di fortuna.
Geronte. Sì, grazie il cielo.
Dorval. Più di quello che vi abbisogna.
Geronte. Sì, al servizio de’ miei amici.
Dorval. E non volete far niente per vostro nipote?
Geronte. Non gli darei un baiocco.
Dorval. Per conseguenza3 voi l’odiate.
Geronte. Per conseguenza voi non sapete quel che vi dite; odio, detesto la sua condotta; dargli del danaro non servirebbe che ad alimentare la sua vanità, la sua prodigalità, e le sue pazzie; che cambi sistema, ed al suo esempio cambierò io pure; voglio che il pentimento meriti il benefizio4, non voglio che il benefizio impedisca la correzione.
Dorval. (Dopo qualche momento di silenzio pare convinto, e dice d’un tuono flemmatico) Giochiamo, giochiamo.
Geronte. Ecco i miei pezzi rimessi com’eran ieri. Proviamo, giochiamo.
Dorval. (Da sé, giocando) (Sono mortificato).
Geronte. (Giocando) Scacco al re.
Dorval. E quella povera figlia...
Geronte. Chi?
Dorval. Angelica.
Geronte. Oh! quella è un’altra cosa; parlatemi di lei, e vi ascolterò.