Gli sposi promessi/Tomo III/Capitolo II

Tomo III
Capitolo II

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Cap. II.



La casipola del curato era, ed è tuttavia,1 attergata alla chiesicciuola di quel paesello: la cavalcata, per porsi in via, doveva2 girare il fianco della3 chiesa, e passare davanti alla fronte, sulla quale è voltato un arco, che, appoggiandosi dall'altra parte sul muro della strada, forma tetto sopra di questa.4 Già su la porta del curato cominciava la folla di coloro, che, non potendo5 capire in Chiesa, né stare in luogo dove si vedesse quello che vi si faceva, cercavano almeno di starvi più presso che si potesse.6 Quella pompa singolare7 si affacciò alla turba, e i lettighieri, che erano contadini del luogo, domandarono il passo ai primi che lo impedivano, con un certo garbo inusitato, che era loro 8 ispirato dal sentimento indistinto che servivano a qualche cosa di santo e di gentile, dall'aver veduto il cardinale, dalla commozione che appariva su tutti i vólti. La folla faceva largo, guardando ognuno9 quella comitiva con maraviglia e con curiosità, e il Conte con un riserbo che non era più quel solito terrore. Cosí pian piano, la comitiva si avanzava, quando10 giunse sotto il portico,11 dove12 si dovette rallentare [p. 390 modifica]ancor più la marcia per la folla di popolo,13 chiusa fra i due muri; il Conte, guardando nella chiesa dalla porta che era spalancata, si trasse il suo14 cappello piumato15 e inchinò la fronte fino sulla chioma della mula: atto che eccitò un mormorio di gioja e di stupore16 nel popolo che17 poteva vederlo, e si propagò18 per tutta la folla,19 ognuno20 raccontandone il motivo ai suoi vicini. Don Abbondio si trasse pure il suo gran cappello senza piume, s’inchinò, sentí i suoi confratelli che cantavano, e provò, forse per la prima volta un sentimento d’invidia in una tale occasione. — Oh quante volte, — diss’egli in cuor suo,21 — queste funzioni mi son parute lunghe come la fame; e non vedevo l’ora d’andarmene in sagrestia a piegare la mia cotta; e adesso22 torrei volentieri di star lí a cantare fino a sera, in quella santa pace;23 e invece bisogna andare ... Ma Dio benedetto! — sclamò egli internamente, come l’uomo che è vivamente penetrato dal sentimento che gli si fa torto, — giacché m’avete ficcato in questo impiccio, almeno almeno, ajutatemi.—

Superata tutta la folla, il corteggio seguí pianamente il suo cammino: ma, siccome la disposizione d’animo dei due personaggi a cavallo era sempre la stessa, anzi i pensieri dell’uno e dell’altro diventavano sempre più intensi a misura che si avvicinava la meta, cosi il cammino si faceva in silenzio, e noi non possiamo riferire che i soliloqui dell’uno e dell’altro.

— Gran cosa,24 (è il soliloquio di Don Abbondio) gran cosa, che a questo mondo vi debbano essere dei25 ribaldi e dei santi, che gli uni e gli altri debbano avere l’argento vivo addosso,26 che quando hanno una ribalderia, o un’opera santa da fare, debbano sempre tirare per forza in ballo gli altri, quelli che vorrebbero attendere ai fatti loro; e che tanto gli uni, quanto gli altri debbano27 venir tra i piedi a me, pover'uomo, che non m’impiccio degli affari altrui, e che non cerco altro che di starmene quieto a casa mia! Quel birbone di Don Rodrigo s’ha da ficcare in capo di sturbare un matrimonio, [p. 391 modifica]proprio nella mia parrocchia, e m’ha da venire una intimazione di quella sorte!28 Un pazzo che29 ha nascita e quattrini, casa ben piantata e parenti in alto, e potrebbe godersi la sua vita30 tranquilla, signorilmente: attendere a dare dei buoni pranzi, stare allegro e fare degli allegri: Signor no: ha da desiderare la donna d’altri, tanto per venire a molestarmi. Oh questa ragazza benedetta31 vuol essere la mia morte! Deve proprio capitare in mano di costui (e così dicendo, guatava di sottecchi il Conte, quasi per vedere se poteva arrischiarsi a strapazzarlo mentalmente);32 e costui, che è sempre stato lontano dai vescovi come il diavolo dall’acqua santa, ha33 da venir qui in persona,34 a cercare35 l’arcivescovo, senza che nessuno ce lo abbia mandato per forza, proprio per metter me in impaccio;36 e questo arcivescovo, benedett’uomo, che vorrebbe drizzar le gambe ai cani,37 a cui pare che il mondo rovini38 quando la gente sta ferma, che deve sempre far qualche cosa egli, e far fare qualche cosa agli altri: subito, subito, tutto va bene, gran consolazione, la pecora smarrita, credere tutto, darvi dentro, e far trottare il curato. Che39 si abbiano concluso fra loro, Dio lo sa; ma, cospetto, non bisogna andar così in furia a questo mondo. La santità non basta, ci vuole un po’ di prudenza, e sí che dovrebbe avere imparato: ha avuto delle belle brighe, a forza di cercarne e di volerne fare andar le cose a modo suo; ma pare che vi c’ingrassi: non ne lascia scappare una;40 la carità va bene, ma la prima carità dovrebb’essere per un povero curato, che un vescovo, un vero vescovo di giudizio41 lo dovrebbe42 tener prezioso come la pupilla degli occhj suoi. Chi sa costui che cosa gli ha contato? che fini ha? potrebb’essere una trappola: ahi! ahi! ahi! Ma se anche, come spero, fosse convertito, costui (e qui guardava il Conte) dovrebbe sapere Monsignore illustrissimo che dei peccatori inveterati non è da fidarsi cosí subito: bisogna provarli: i primi momenti sono bruschi; e

Note

  1. [di là dalla] appoggiata
  2. voltare
  3. chiesa, e passare dinanzi alla porta della fronte e [vi | la quale | su la] ivi la strada è coperta d’un arco voltato sul muro della chiesa da una parte, e sotto quel | forma
  4. La porta era spalancata, e [il portico | la folla della chiesa] il portico
  5. stare in altri
  6. Quando
  7. uscí in mezzo
  8. [ispirato da] infuso
  9. con una
  10. si trovò
  11. dinanzi alla porta spalancata della Chiesa,
  12. si
  13. che non
  14. Sic.
  15. e si curvò [qua] fino su
  16. in tutti
  17. si trovava
  18. fino
  19. insieme
  20. dicendo
  21. m’è sembrato che queste funzioni fossero troppo lunghe
  22. starei lí volentieri a cantare
  23. Ma
  24. diceva
  25. Variante tristi
  26. che non possano requiare, né lasciar requiare altrui,
  27. capitare
  28. Birbone, e pazzo.
  29. potrebbe
  30. quieta e
  31. [vole] vuo
  32. di costui
  33. proprio
  34. senza esservi costretto
  35. [l'arcivescovo] Monsignore illustri
  36. Segno, e a margine, in penna:« . Punto fermo ❘ qua e là varj segni, a tuo beneplacito, per tutto il soliloquio » —
  37. che non può star quieto né lasciar quieti gli altri
  38. se non si è in movimento
  39. cosa
  40. Segno, e a margine, in penna: «.punto fermo».
  41. se
  42. aver
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la forza dell’abito fa ricadere uno quasi senza che se ne avvegga, e intanto... chi è sotto è sotto: ahi! ahi! ahi! S’aveva mò a1 mandar così un povero curato galantuomo sotto la bocca del cannone? — 2

3Don Abbondio era a questo punto della sua meditazione quando la cavalcata giunse alla taverna, dove cominciava la salita; e ne uscirono bravi secondo il solito, i quali4 videro con istupore il Conte con un prete dietro una lettiga. Pensarono che potesse essere, non lo seppero indovinare, e non fecero altro che inchinarsi al Conte, il quale con viso serio proseguí il suo cammino. Ma Don Abbondio continuava: — ci siamo. Oh che faccie! Questa è la porta dell’inferno! E costui, vedete, che faccie stralunate fa anch’egli! Un po’ pare Sant’Antonio nel deserto quando scacciava le tentazioni, un po’ pare Oloferne in persona! Dio mi ajuti, e lo deve5 per giustizia. —

Infatti6 i pensieri7 che si affollavano nella mente del Conte,8 passavano, per dir cosí, rapidamente sulla sua faccia, come le nuvolette spinte dal vento9 passano in furia a traverso la faccia del sole, alternando ad ogni momento una luce arrabbiata e una fredda oscurità. Pensava a quello che avrebbe detto e fatto, mettendo il piede nel suo castello, trovandosi con quegli, dai quali in un punto s’era fatto cosi diverso. Avrebbe voluto render gloria a Dio, confessare il cangiamento che era accaduto10 nel suo animo, rinnegare la sua scellerata vita in faccia a quelli che ne erano stati i testimonj, i complici, gli stromenti. — Ma ... — diceva un altro pensiero: — guaj se costoro credono un momento ch’io non sia più quello da stendere in terra colui che ardisse resistermi! — 11

Cosí pensando egli12 pose macchinalmente13 la mano al luogo14 dov’era solito tenere una pistola, e si ricordò di averle lasciate con le altre armi in casa del curato — Ohé! — continuava fra sé: Perché mi obbedirebbero costoro? e se veggiono che15 questo pane infame è finito per loro chi sa16 [p. 393 modifica]che cosa la rabbia può suggerire a costoro.17 E quello che importa è di non far parole, di non perder tempo, di ricondurre Lucia tranquillamente: quella poveretta! il pegno del mio perdono! Se in questa casa, se in questa caverna cessa un momento la disciplina, il terrore del padrone, diventa un inferno! peggio di prima! Costoro18 saltano il confine, e sono in sicuro: eh gli ho19 avvezzi io cosi! Ma che! dovrò io dunque umiliarmi a fingere dinanzi a costoro!20 a questi scellerati!21 Scellerati? costoro? chi sono costoro? i miei scolari, i miei amici, quelli che ho ammaestrati io! Facciamo il bene per l’unica via che è aperta. Bisogna dissimulare: si dissimuli. — 22 Cosí pensando, egli si guardò attorno,23 e, visto che nessuno dei suoi era in vicinanza, alzò la voce, ordinò ai lettighieri di restare, scese da cavallo, si avvicinò alla lettiga, e,24 salutata la buona donna, che v’era seduta, le disse sottovoce: «L’opera di carità che voi fate ora, vuol essere condotta con prudenza assai. Lasciatevi regolare da me in tutto; e sopra ogni cosa non dite parola25 che a quella poveretta;26 e a chi ardisse interrogarvi, dite che parli con me. Voi entrerete nella stanza dov’è quella giovane, le direte brevemente che siete venuta a liberarla: non ne dubiterà quando vedrà il suo curato:27 sarà spaventata, poveretta! vedete di annunziarle la cosa in modo che la sorpresa non le faccia male;28 la lettiga verrà29 nella stanza, e ripartiremo tosto.» La buona donna rispose che farebbe come le era detto. Mentre il Conte le dava questa istruzione, D. Abbondio, il quale fino allora si era spaventato ad ogni bravo che s’incontrava, e che per consolarsi guardava ai lettighieri e ai palafrenieri, stava tutto in30 incertezza per questa fermata; e sospirava. Il Conte, spiccatosi dalla lettiga, si avvicinò alla mula di D. Abbondio, che aspettava quello che avvenisse con gli occhi sbarrati, e gli disse sottovoce: « Signor Curato,31 ella non ha bisogno che io le insegni ad esser prudente; ma in questa casa è necessaria una prudenza che [p. 394 modifica]io solo pur troppo posso conoscere appieno.32 Se le sta a cuore la riuscita di questo pio disegno, non dica parola, non faccia cenno che possa dare a dividere nulla a costoro né di quello che si vuol fare, né di quello ch’io penso. Perdoni, signor curato, se non le dico di più, se non le faccio più scuse dell’incomodo ch’ella patisce per mia cagione; ma ella ne spera la ricompensa dal cielo, e verrà tempo33 in cui io potrò34 tranquillamente esprimerle la mia riconoscenza.»

La voce dell’uomo che sgombra le rovine e le macerie, e che chiama il poveretto che è stato colto dalla caduta d’una fabbrica,35 e vi si trova sepolto vivo, è36 appena più dolce al suo orecchio che fosse quella del Conte al povero nostro D. Abbondio.

«Ah! signor Conte,» diss’egli, confondendo il sentimento che voleva esprimere con quello che provava realmente: «Ella mi dà la vita. Dio sia benedetto! queste sono grazie di lassù. Tocca a me farle scusa se sono stato incivile ...»

«Zitto, per amor del cielo,» interruppe il Conte: «ad altro tempo le cerimonie: Ella non faccia vista di nulla37 si contenga in modo che nessuno possa sapere qui s’ella giunge in casa d’un amico... o d’un tiranno.» «Lasci fare, lasci fare a me,» rispose Don Abbondio. Il Conte salí di nuovo su la mula, e volto ai lettighieri e ai palafrenieri, disse loro: «Silenzio e obbedienza: non dite38 né rispondete una parola in quel castello;39 non parlate nemmeno fra voi;40 silenzio insomma ... e il primo di voi che fiata... Ma no!» continuò ravvedendosi, in tuono più dolce: «figliuoli, non fiatate, perché potreste far molto male a voi e ad altri. Andiamo.» I lettighieri, che avevano deposta la lettiga, ascoltata a bocca aperta questa arringa, ripresero le cinghie su le spalle, continuarono la loro strada, le mule seguirono; e si giunse alla porta del castello. 41 Gli scherani del Conte, che al suo avvicinarsi al castello s’incontravano sempre più frequenti, già stupiti42 di43 quel suo uscir solo al mattino in un giorno di tanto movimento e [p. 395 modifica]di tanto concorso, lo erano ancor più allora di vederlo tornare44 al seguito d’una lettiga chiusa,45 a paro d’un prete, con quelle cavalcature sconosciute;46 ma47 quello che portava al sommo il loro stupore48 si era di vedere il loro padrone senz’armi. Quella partenza aveva dato luogo a molte congetture, e fatta nascere una aspettazione di qualche cosa di49 nuovo; ma il ritorno, invece di soddisfare la curiosità,50 la cresceva e la impacciava da vantaggio. Era una preda? Come l’aveva fatta il padrone solo? e perché il vincitore tornava disarmato? O che diamine era?51 Chinandosi umilmente davanti al padrone che passava, cercavano essi di spiare sul suo vólto qualche indizio di questa faccenda; ma il vólto del Conte52 era impenetrabile: e gli scherani rimanevano a guardarsi l’un l’altro con la bocca aperta.

Alla porta, il Conte scese dalla mula, e fece cenno53 di fare altrettanto a Don Abbondio che lo guardava attentamente,54 appunto per non perdere un cenno; e, veduto questo, si lasciò tosto sdrucciolare dalla sua mula. Il Conte disse ai palafrenieri: «aspettate qui;»55 disse al curato di seguire la lettiga; andò egli dinanzi, e disse ai lettighieri: «seguitemi.» Tutto si fece, com’egli aveva imposto:56 il Conte entrò col suo seguito nel cortile, si avviò alla stanza dov’era Lucia,57 ed entrato in quella che le era vicina,58 fece restare i lettighieri, si chiuse dentro, e comandò che la lettiga fosse posta a terra. Aprí allora59 lo sportello, diede la mano alla buona donna, la fece uscire e disse60 sottovoce in modo da non essere inteso61 che da quelli che lo vedevano: «In quella stanza è la giovane da condursi via: e con lei una vecchia malandrina ... una vecchia. Io la chiamerò fuori: voi entrate, e voi pure Sigr. Curato.62 Annunziate a quella giovane che è libera, che deve partir tasto con voi, che la cosa deve passare quietamente:63 non perdete tempo: quando ha inteso, quando è disposta, bussate; [p. 396 modifica]la lettiga64 verrà nella stanza: fatela sedere in essa, ponetevi al suo fianco, tirate le cortine, e65 venite qui: io vi aspetto: andrò innanzi, poi la lettiga, poi il signor curato; dritto alla porta; quivi saliremo sulle nostre mule, e ripartiremo. E voi, disse rivolto ai lettighieri: «zitti.» Cosí detto, condusse la buona donna e il curato sulla soglia della porta chiusa che66 dava alla stanza di Lucia, bussò:67 s’udí la voce della vecchia che disse: «chi è egli?» «Io,»68 rispose il Conte: la vecchia aprí, e vide le due facce inaspettate col padrone: restò come incantata. «Uscite,» le disse il Conte: quella uscí tosto, e i due salvatori entrarono. «Fermatevi qui,» disse allora il Conte alla vecchia; e non disse altro: egli, la vecchia e i lettighieri stettero tutti69 immobili,70 egli a tender l’orecchio e a numerare i momenti, i lettighieri ad71 aspettare, e la vecchia a smemorare. Lucia aveva passata la notte in un letargo agitato da sogni tormentosi e da risveglimenti più tormentosi ancora. Al mattino la vecchia,72 destandosi, aveva chiamata Lucia, e non udendo risposta, s’era levata in fretta, aveva aperte le finestre, e avvicinatasi73 alla captiva, chinatasi a guardarla, le aveva chiesto se dormisse, se volesse togliersi da quel cantuccio, e ristorarsi di cibo, ché doveva averne bisogno. «No, lasciatemi quieta, ricordatevi del vostro padrone,» era stata la sola risposta di Lucia. La vecchia brontolando s’era ritirata, e per far qualche cosa s’era posta a rifare il suo letto;74 quindi era andata ad una tavola dov’erano75 le riliquie della cena,76 vi si era seduta, e77 s’era messa a mangiare, accompagnando78 questa operazione con le parole e con gli atti ch’ella credeva più opportuni ad eccitare l’emulazione di Lucia, e a vincere il suo proposito; poiché la vecchia non poteva supporre che si resistesse a lungo ad una tentazione di questa fatta, principalmente79 dopo un lungo digiuno come quello che aveva patito Lucia. Cominciò dunque a80 sclamare: «Ih! quanta roba! ce n’è per quattro bravi! e che grazia di Dio!» Quindi stese un mantile e cominciò a trinciare un pezzo di [p. 397 modifica]stufato,81 regolando ogni movimento in modo che il romore82 eccitasse nella mente di Lucia una immagine chiara di quello che ella faceva83. E questa sua cura era spinta al segno84 (la delicatezza dei lettori ci perdoni se per 85seguire fedelmente il manoscritto in tutto ciò che può essere una rappresentazione del costume, ripetiamo anche questa particolarità)86 che, postasi a mangiare, ella andava rimasticando nella sua bocca sdentata il boccone,87 producendo con affettazione quei suoni, che a ragione proscrive Monsignor della Casa; perché88 ella s’immaginava che in quei suoni ci fosse qualche cosa di appetitoso: la sua educazione, e le sue antiche abitudini avevano89 talmente elevata90 sopra le sue idee l’idea di mangiare di quei bocconi91 che non sono concessi a tutti, che92 tutto ciò che era associato a questa idea93 era per lei, importante, leggiadro, irresistibile. «Buono!» diceva di94 tratto in tratto. «Buono! viva l’abbondanza! muoja la carestia! Bella cosa vivere in casa dei signori!» E pure di tratto in tratto dava una occhiata alla sfuggita al cantuccio, ma, vedendo Lucia insensibile si adirava95 dell’inutilità dei suoi artifici cosí96 reconditi; e97 mescolava alle esclamazioni di ammirazione e di gioja, un brontolio sordo di «ehn! ehn! smorfia, smorfia, smorfia!» Venne finalmente98 all'ultima prova e al più forte esperimento:99 prese con la sua destra rugosa e scarnata un fiasco che stava sulla tavola, con la sinistra un bicchiere, e fattili prima cozzare un100 tratto e tintinnire, sollevò il fiasco, lo inclinò sul bicchiere,101 lo riempi, se lo pose102 alla bocca, tracannò un sorso, ritirò il bicchiere, batté due o tre volte un labbro contra l’altro, e sclamò: «Ah! questo risusciterebbe un morto! Bella felicità averne dinanzi un buon fiasco! Al diavolo i rangoli, e i pensieri! Non mi duole più nemmeno d’esser [p. 398 modifica]vecchia; ma se fossi giovane ih! come vorrei godermela!» Detto questo, ripose il bicchiere alla bocca, lo vuotò, e cheta cheta si volse al cantuccio; e rimase tra lo stupore e la stizza, vedendo che anche l'incanto più forte non aveva prodotto alcun effetto.

«Non volete mangiare un boccone e bere un sorso?» diss’ella a Lucia. «No:» fu la risposta, proferita in modo da non lasciare alla vecchia la lusinga che la resistenza produrrebbe maggior effetto.103 Finalmente la vecchia si levò dalla tavola, prese una scranna, la portò presso una finestra, e tolta la sua rócca si pose a filare,104 pensando ai casi suoi ed aspettando la venuta del padrone con molta105 inquietudine.

Per comprendere i pensieri stranamente molesti che ronzavano106 nella mente della vecchia filatrice, è necessario avere107 una idea di quella mente, e dei casi che l’avevano modificata.

Era costei nata (come dice il volgo di Lombardia) sotto le tegole del Conte, o per dir meglio del padre del Conte, dieci anni prima di questo. Ciò ch’ella aveva108 inteso, ciò ch’ella aveva109 veduto dai suoi primi anni le avevano dato un concetto grande, indeterminato, predominante, del potere110 e del lustro de’ suoi padroni.111 La massima principale, ch’ella aveva attinta dalle istruzioni, dagli esempj, da tutto, era che [p. 399 modifica]bisognava obbedir loro:112 che ciò fosse per dovere, fosse per interesse, fosse per destino erano113 questioni che non s’erano mai presentate al suo spirito: ella sapeva che bisognava obbedire. Ebbe ella poi l’onore di sposare il custode del castello quando i padroni114 non facevano ivi che una breve villeggiatura, abitando in Milano la maggior parte dell’anno. L’uficio del marito115 doveva presentare cento occasioni che rinforzassero ed estendessero116 l’idea che la nostra allora giovine donna aveva del potere della famiglia per lei sovrana; e la parte, ch’ella doveva prendere nei servizj del marito, le furono117 occasione di applicare la sua118 obbedienza, di esercitarla, e di avvezzarla a tutto.119 Quando il Conte divenne padrone, quel potere divenne ancor più grande e più attivo, in proporzione dell’attività violenta dell’animo di lui;e coloro che erano ministri di questo potere120 dovettero divenire ancor più obbedienti, e più soperchiatori,121 essere più spaventati e fare più spavento:122 pochi servitori, ai quali la coscienza disse che era troppo, si ritirarono; quegli che rimasero123 crebbero nella perversità, come una pianta velenosa cresce di grandezza e di forza malefica, quando si trova in un terreno confacente. Il marito della nostra eroina episodica fu di quelli che rimasero. Quando poi il Conte,124 carico già di delitti, e capitalmente, venne ad abitare stabilmente il castello,125 che fu per lui un asilo ed un campo allo stesso tempo,126 per condurvi quella vita, della quale abbiamo dato un cenno,127 è facile immaginarsi quale dovesse essere allora l’attività e l’obbedienza di coloro che stavano al suo servizio e presso di lui. La sciagurata128 fu madre di129 una figlia, che a suo tempo fu sposata ad uno scherano del Conte, e di due figli, che furono scherani,130 e furono soprannominati il Natoincasa e lo Spettinato. Alla morte del marito, ella131 rimase senza servizio determinato, ma destinata a tutti quelli, che potevano essere prestati da una donna accostumata com’el[p. 400 modifica]l’era.132 Tener disposto il pranzo pei bravi a qualunque ora tornassero da una spedizione, medicare i feriti, accudire in somma ad essi, era la sua occupazione più ordinaria: quasi tutte le sue idee erano ricavate dai loro colloquj, ma tutte erano dominate da una idea principale: quella di non dispiacere al padrone.133 Le impressioni della infanzia l’avevano abituata ad una134 riverenza tremante per lui; vissuta ai suoi servizj, ella non poteva immaginare che fuori di lui vi essere per essa un asilo, un sostegno; e aveva tanto inteso dire, tanto aveva veduto degli effetti della135 collera di lui, che il minimo grado di quella collera la metteva in un'angoscia mortale. In tutto ciò che ella aveva a fare e a dire non aveva quindi da gran tempo altra cura che di accontentarlo:136 ogni altra regola137 taceva dinanzi a questo unico interesse, che era quasi divenuto un istinto: anzi ogni altra regola si era a poco a poco quasi smarrita affatto dalle idee.138 Quei pochi pensieri139 e documenti di religione, che le erano stati dati confusamente nella infanzia, erano obliterati140 dal disuso,141 dal non sentirli mai rammemorare; e142 l’idea di giusto e d’ingiusto,143 che pure è deposta come un germe nel cuore di tutti gli uomini, svolta nel suo,144 fin dal principio, insieme con le passioni del terrore e della cupidigia servile145 accomodata per abito ai principj, che tutto giorno sentiva predicare,146 ed alle azioni, che vedeva compiersi e alle quali ella partecipava, era147 divenuta una applicazione mostruosa di tutte queste idee e di tutte148 quelle passioni. La volontà capricciosa, irregolare, violenta del Conte era per lei una specie di giustizia fatale;149 spiacergli era colpa o sventura; male insomma. La ragione o il torto stavano per essa nella150 approvazione o151 nel malcontento152 del terribile padrone; poiché quale altro153 motivo di ragione comune [p. 401 modifica]poteva aver luogo in quella casa e fra quelle persone? quale principio generale di equità avrebbe potuto essere154 invocato da155 coloro, che156 non li conoscevano, nei rapporti con gli altri che li violavano tutti?157 E come mai avrebbe potuto aver ragione una volta quella che,158 servendo alle soperchierie, e rallegrandosene, rinunziava di fatto ad ogni principio di diritto, e nello stesso tempo non aveva forza alcuna, non aveva una minaccia per sostenere un diritto, quando il suo interesse la portasse a sentirlo e ad ammetterlo? A tutte queste abitudini di servitù e di159 annegazione perversa, si aggiungeva un sentimento, in origine migliore, che li rinforzava: il sentimento della riconoscenza. Avvezza costei a160 ricevere il suo sostentamento161 dal Conte, riconosceva la vita come un dono della162 volontà di lui,163 come un benefizio della sua potenza. E avvezza pure a riguardarsi dalla infanzia come164 cosa del suo signore,165 provava un certo orgoglio di consenso per quella sua potenza, pel terrore ch’egli incuteva, le pareva di essere qualche parte di un sistema molto importante. La gioja orrenda ch’ella aveva provata tante volte nella sua vita166 pel buon successo delle imprese del Conte,167 gioja che168 nasceva da tutti i sentimenti abituali che abbiamo descritti, l’avevano resa non169 indifferente, ma170 propensa ai patimenti altrui, ed ella gli procurava con compiacenza,171 ogni volta che il timore del padrone,172 le avesse permesso o consigliato di farlo. Bersaglio sovente degli strapazzi e degli scherni dei bravi, ella aveva imparato a tollerare,173 rodendosi quando non poteva ripetere,174 ma175 quelle poche volte che le176 era lecito di straziarli impunemente senza dispiacere del padrone,177 le uscivano dalla bocca cose178 tanto argute, tanto profonde, tanto inaspettate, che il diavolo vi avrebbe trovato179 da imparare. [p. 402 modifica]Intendete ora perché la vecchia, guardando Lucia, faceva saltare il fuso con istizza, e di tempo in tempo lo lasciava oscillare penzolone per aria, tutta assorta nei pensieri del terrore? Dagli ordini, che il padrone le aveva dati partendo, e dal tuono con cui gli aveva proferiti, ella aveva compreso, che al padrone premeva quella ragazza, ch’egli l’aveva fatta pigliare, e la riteneva180 chi sa perché; ma che voleva ch’ella fosse contenta. Vedendo ora che tutti i suoi tentativi per raddolcirla erano inutili, che l’obbedienza, il garbo,181 quasi servile, gli inviti amichevoli non avevano servito a nulla, stava in182 angoscia,183 pensando a quello che avrebbe detto il padrone,184 quando tornando avrebbe trovata Lucia in quello stato di abbattimento. Poter dire: — io non ci ho colpa, — non era un pensiero che rassicurasse la vecchia,185 perché ella era solita a vedere che il padrone misurava il suo tratto con gli uomini dalla soddisfazione o dalla noja che sentiva, e non da altro. Che colpa avevano tanti,186 ch’egli aveva mandati all’altro mondo e alla187 sorte dei quali ella stessa aveva applaudito? Tentava ella dunque di tempo in tempo Lucia con qualche parola dolce, nella quale a dir vero ella stessa poneva poca fiducia, dopo d’aver veduto Lucia resistere alla tentazione del mangiare: e infatti non otteneva da Lucia altra risposta che un «no» talvolta replicato, al quale ella ammutoliva: e si stava, come abbiam detto, aspettando 188 con la venuta del padrone la rivelazione del destino189 Ma la povera Lucia, come nella notte non aveva mai190 fatto un sonno pieno, intero, e, per dirla con un calzante modo Milanese, non aveva mai potuto dormire serrato, cosí a giorno fatto,191 nella luce chiara, non era desta perfettamente. Le memorie, i timori, le speranze si agitavano e si succedevano nella sua mente con quell’impeto volubile, con quel vigore incerto dei sogni; e il corpo, sbattuto, estenuato dai travagli, dal digiuno e dalla febbre, non concedeva allo spirito il pieno esercizio della coscienza. 192 In questo stato era Lucia sempre rannicchiata, quando [p. 403 modifica]fu bussato dal Conte, la porta s’aperse, la vecchia uscí, e la buona donna entrò con Don Abbondio.193 Tutto questo fu un istante; ma un istante di nuovo batticuore per Lucia, alla quale, se lo stato presente era intollerabile, ogni mutazione era però una194 contingenza di spavento. Fissò ella gli occhi nei sopravvegnenti, vide una donna, e si rincorò, vide un prete195 e le sue speranze si accrebbero; guardò più attentamente: — è egli o non è? son’io trasognata? E’ il mio curato!— La buona donna si avvicinò a Lucia, che senza quasi pensarvi si alzò,196 e salutatala con vólto di pietà cortese, si pose197 l’indice della destra su le labbra, e, stesa la manca, la abbassava e la rialzava lentamente, come si dipinge il Salvatore che acquieta i flutti del mare di Tiberiade; e disse198 con voce sommessa, allegramente: « veniamo a liberarvi.» «È dunque la Madonna che vi manda?» disse Lucia con un giubilo ancora incerto, ma pur vivissimo. «Può essere» rispose la buona donna. 199 «chi siete? come avete potuto...?» cominciò Lucia alla buona donna; indi, tosto rapita da un’altra brama di sapere, si rivolse al curato e continuò: «è lei, signor curato: come... ?» «Ah! vedete?» rispose D. Abbondio: «son qui io, il vostro curato, a liberarvi, dal lago dei leoni, senza riguardi per me, in una giornata fredda, a cavallo...» «E mia madre?» domandò ancora Lucia,200 a cui le idee si201 succedevano in folla. «La vedrete presto, oggi,» rispose Don Abbondio:202 «ma prima dovete vedere ben altro personaggio.» «Chi? dove?» richiese Lucia. «Monsignore illustrissimo, che ci aspetta203, che vuol vedervi. Ma abbiate giudizio:204 badate a quel che dite: voi non potete avere pratica di quello che va detto e taciuto ai signori grandi. Vi205 chiederà delle vostre vicende: non istate a troppo ciarlare: vi può far del bene; ma bisogna guardarsi dal toccar certe206 corde: non parlate del matrimonio, [p. 404 modifica]perché, vedete, se sapesse che avete voluto sorprendere il curato, fare un matrimonio clandestino, guai guai...!» «Chi è Monsignore illustrissimo?» domandò Lucia. «È il cardinale arcivescovo,» rispose Don Abbondio, « un uomo di Dio, ma bisogna saperlo pigliare, perché...» «Andiamo tosto,» disse la buona donna. «E vero,» disse Don Abbondio, andiamo perché qui non207 è troppo sano stare; ma ricordatevi di quello che v’ho detto. «Come faremo ad uscire?» disse Lucia: «e se ci veggono?» «Non temete, » disse la buona donna: «il padrone208 del castello viene egli stesso a cavarvene: qui fuori è la lettiga, voi entrerete con me, e partiremo col signor curato.» «Ho da vederlo ancora il padrone? » chiese ansiosamente Lucia,209 per la quale il Conte era ridivenuto orrendo, da poi ch’ella aveva veduti due visi umani. E continuò: «ho210 paura di lui; ho paura.» «Che paura?» disse Don Abbondio: «siete con me,211 ed è mio amico. Risolvetevi.» «Non lo vedrete,» disse la buona donna; «noi ci chiudiamo nella lettiga e si parte, e in un momento siamo a Chiuso. » «Ah! Chiuso!» sclamò Lucia: «dov’è quel buon curato! andiamo, andiamo. Oh Madonna santissima, vi ringrazio!212 Me lo sentivo in cuore che non mi avreste abbandonata!» La buona donna aperse un filo della porta tanto da poter far un cenno, che fu tosto veduto dal Conte, il quale comandò ai lettighieri di andare nell’altra stanza. Queglino vi portarono la lettiga, Lucia vi entrò e la buona donna dopo lei; si tirarono le cortine, i lettighieri uscirono, il curato dietro;213 nell’altra stanza il Conte si accompagnò con lui, disse alla vecchia: «aspettatemi qui un’ora, e se non torno, andate a fare i fatti vostri.»214 Nel cortile, alla porta del castello, il Conte e il curato a cavallo, la lettiga davanti, giù per la discesa, e dritto a Chiuso. A misura che215 la carovana si avanzava nel suo viaggio, [p. 405 modifica]tutti quelli che la componevano, respiravano più liberamente. Appena la buona donna fu nella lettiga, al momento che i portatori la sollevavano per partire, ella raccomandò a Lucia di non parlare finch’ella non gliene desse avviso. Ma216 poi che217 dallo scalpito delle mule che seguivano s’accorse che era varcata la soglia, cominciò218 a guardare un po’ fuori delle cortine, e vista la strada libera, ruppe ella stessa il silenzio dicendo a Lucia: «Povera giovane! l’avete219 passata brutta! Ma Dio220 ha pensato a voi, e tutto è finito.» Queste parole diedero campo a Lucia d’interrogare la buona donna;221 che cercava di soddisfare alle sue domande, dicendo quel poco che sapeva e come lo sapeva.222 Lucia a poco a poco vedeva un po’ di lume nelle sue strane e terribili avventure: le risposte della buona donna223 la rimettevano sulla via, e224 l’ajutavano a spiegare tanti misteri della sua sventura e della sua inaspettata salute; tantoché in quel viaggio Lucia225 potè farsi un’idea del suo stato, comprendere qualche cosa, ed uscire da quella affannosa confusione d’idee, nella quale lo strano, l’insolito di quello che si vede e si soffre non lascia riposare la mente in alcuna, non lascia altra certezza che quella di esistere, e questa stessa diviene un tormento. «Oh quando potrò vedere mia madre!» sclamò Lucia226 appena227 si sentí rassicurata,e potè discernere228 quello che era reale, quello che era possibile. La buona donna le promise che, appena suo marito tornerebbe dalla Chiesa, ella lo determinerebbe ad andarne229 in cerca ad informarla, a condurla presso di lei. Don Abbondio pigliava fiato ad ogni passo;230 la conferenza231 che il Cardinale avrebbe con Lucia gli dava un po’ di briga per le cose che si dovevano rivangare di quel tale matrimonio: vedeva in lontano dei pericoli per parte [p. 406 modifica]di Don Rodrigo; ma il sentimento predominante era allora la gioja di uscire sano e salvo da quella spedizione.232 Pieno di questo sentimento, Don Abbondio aveva una parlantina233 che nessuno gli avrebbe supposta, vedendolo cosí silenzioso nella prima andata; e234 non avrebbe rifinito di ciarlare col Conte, se questi avesse fatto tenore235 ai suoi inviti. Ma il Conte, benché lieto di ricondurre Lucia al Cardinale, era tuttavia troppo compreso da tanti sentimenti, per prestarsi alla garrulità di Don Abbondio. Ed oltre il resto era anche un po’ umiliato internamente dell’inquietudine, che aveva provata nella spedizione, delle precauzioni, che aveva prese in casa sua,236 di una prudenza, che gli pareva pusillanimità.237 Ma il Conte non si conosceva:238 s’era fatta nel suo animo una rivoluzione, della quale egli non s’era reso ben conto: v’eran nati dei sentimenti, vi s’erano svolte delle disposizioni ch’egli non aveva ancora potuto ben raffigurare;239 e non s’avvedeva che questa pusillanimità era una nuova sollecitudine pia e gentile per una debole innocente, una delicatezza fin allora estrania all’animo suo, un timore, che non si sarebbe presentato a quell’animo, se non si fosse trattato che240 d’un proprio pericolo. Giunsero a Chiuso che il Cardinale, il clero e il popolo erano ancora nella Chiesa. La buona donna fece andar la lettiga a casa sua, dove discese e condusse Lucia, già tutta rassicurata;241 e tosto le fece animo a ristorarsi dopo un sí lungo digiuno. L’invito242 era ben altrimenti gradevole che non nella bocca della vecchia del castello, e Lucia, che sentiva il bisogno di nutrimento, accondiscese con riconoscenza.243 Intanto Don Abbondio e il Conte entrarono nella casa del curato, e quivi si stettero ad aspettare il Cardinale. Questi non tardò molto a venire, precedendo velocemente il clero che gli faceva codazzo, ed entrato nella stanza, e veduti i due tornati, chiese tosto con ansietà: «È qui?» «È qui,» rispose il Conte. [p. 407 modifica]«L'abbiamo condotta sanamente,» rispose Don Abbondio. «Dio sia lodato!» sclamò il cardinale: «e ve ne rimeriti entrambi.» 244 E preso in disparte il Conte, mentre gli altri si ritiravano: «Non siete più contento ora?» gli chiese. «Vedete,245 se Dio ancor non sa che fare di voi? Quindi per quella gentile e minuta sollecitudine, ch’egli metteva anche nelle cose più gravi: voi dovete essere246 affaticato, disse al Conte:247 «certo voi non mi abbandonerete oggi; e... ma248 questa mattina voi non avete certo pensato a far colazione?» «No davvero,» rispose il Conte. «Bene, bene,» rispose il Cardinale: «io voglio cominciare a249 provare se posso farmi obbedire da voi; e, traendolo per la mano si avvicinò al250 buon curato di Chiuso, che se ne stava cheto fra gli altri, e gli disse con aria sorridente: «Signor curato, voi siete tanto umile, che sarebbe dabbenaggine il non far da padrone in casa vostra, lo invito il signor Conte a pranzare con noi.» 251Il curato, che252 non lasciava mai scappare l’occasione di rispondere con un testo della Bibbia, disse, levando le mani al cielo e poi stendendole amorevolmente verso il Conte: Benedictus qui venit in nomine Domini.»253 D. Abbondio, invitato anch’egli, si rifiutò, dicendo254 di non volere abbandonare per lungo tempo il suo ovile; uscí dalla casa del curato, entrò in quella dove era ricoverata Lucia, alla quale raccomandò ancora fortemente di non parlare di matrimonio col cardinale, quindi se ne andò a casa. 255Intanto la refezione fu pronta e il cardinale si sedette a mensa, tenendosi presso da un Iato il curato, dall’altro il Conte256 e poscia gli altri ecclesiastici del suo seguito257 in un [p. 408 modifica]ordine consueto.258 La frugalità di Federigo era tanto al qua della259 temperanza, che, virtù in lui, sarebbe divenuta indiscrezione se egli avesse voluto imporla agli altri; quindi260 nel suo palazzo la mensa dei famigliari non si misurava dalla sua, anzi in paragone di questa si poteva dir lauta. Quando poi, visitando la diocesi, egli era ospite dei parrochi, questi261 sapevano troppo bene che un trattamento fastoso262 non era il mezzo di entrare in grazia a quell’uomo; e si regolavano in conseguenza. Il curato di Chiuso poi263 aveva un modo di pensare molto singolare. Egli riteneva che trattare sontuosamente un uomo, il quale predicava a tutta possa la povertà e la modestia, sarebbe stato un dirgli coi fatti, se non in parole:264 — io vi credo un ipocrita. — Per altra parte,265 la borsa del curato era ordinariamente, e tanto più in quell’anno, fornita a un dipresso come quella d’un figlio scialacquatore, che abbia il padre spilorcio: e l’aspetto poi della miseria universale era tanto terribile e tanto presente ad ogni momento, che un trattamento fastoso avrebbe fatto ribrezzo anche a chi non avesse avuta la carità delicata e profonda del Cardinal Federigo e del curato di Chiuso. Da tutti questi fatti venne di conseguenza che la tavola di quel giorno somigliò molto più alla tavola ordinaria del cardinale che a quella dei suoi famigliari. Ma quella266 conversazione, resa cosi singolare dalla presenza del Conte, fu gioconda. Il cardinale, benché267 atterrato dalle fatiche e angustiato dalle cure continue e dalla vista continua dei mali, 268 pure269 aveva270 sentita in quel giorno una consolazione, che271 traspariva nella sua faccia e si diffondeva nei suoi discorsi, e272 passava nei suoi commensali, il [p. 409 modifica]Conte stesso, quantunque273 la sua vita intera pesasse in quel giorno su la sua memoria, quantunque tanti fatti si presentassero alla sua mente,274 spogliati di quella maschera con cui gli aveva veduti nel momento della esecuzione, e lasciassero ora vedere la loro forma vera e spaventosa,275 pure sentiva una certa pace in quel nuovo consorzio, fra quelle idee276 che gli facevano intravedere una nuova vita di mente, un nuovo interesse, una serie di pensieri, coi quali si potesse vivere. Dopo la mensa, usava il Cardinale nelle sue visite di prendere un breve riposo, e poi di continuare le faccende pastorali, per le quali era venuto. Ma in quel giorno277 non v’era riposo per lui che nello stare più che poteva unito all’animo del Conte, per uniformarlo al suo; e la278 vigna di quel buon prete Morazzone era tanto ben coltivata279 che aveva poco bisogno della ispezione di Federigo. Si levò egli dunque, e preso per mano il Conte, che lo segui volenteroso, si chiuse in una stanza con lui. Del colloquio ivi tenutosi non v’è traccia nel nostro manoscritto,280 né a dir vero noi ne facciamo carico all’autore, maravigliati come siamo ch’egli abbia potuto pescar qualche cosa di quel primo abboccamento; quando il Ripamonti stesso, un famigliare del Cardinale,281 e biografo di lui protesta che delle cose passate tra questo e il Conte nel secondo colloquio nulla ha trapelato. Quel poco però che il Ripamonti dice degli effetti di questo secondo colloquio serve molto a una idea della importanza282 della mutazione d’un uomo in quei tempi, e a dipinger meglio il Conte283 Noi284 crediamo far cosa opportuna traducendo quel poco dal bel latino di quello scrittore poco conosciuto, e che meriterebbe certamente di [p. 410 modifica]esserlo piú di tanti altri,285 e perché in tanta perversità di idee di cognizioni, di giudizj, e di stile, egli286 (checché ne dica molto leggiermente il Tiraboschi) fu uno di quelli che piú si avvicinarono a quella287 castigatezza e a quella semplicità 288 che da se stessa si attacca alle parole, dove è espresso il vero; e perché in qualche parte delle sue storie, e principalmente nella vita del Card. Borromeo, e nella descrizione della peste di Milano, si trovano osservazioni e pitture di costume, che invano si cercherebbero altrove, e che possono arricchire la storia tanto scarsa dell’animo umano. Ecco289, il passo del Ripamonti:

«Che sia stato detto in quel colloquio non è a nostra notizia;290 perché né fra noi v’era chi fosse ardito d’inchiederne il Cardinale, né291 mai quell'altro ne fece motto con chichessia.292 Certo dopo il colloquio, tanta e sí repentina fu la mutazione d’animo e di costumi di quell’uomo, che nessuno dubitò di attribuire293 il prodigio alla efficacia di quel colloquio; e tutta quella famiglia di scherani vide in quel fatto la mano del Cardinale, e lo colse in odio come colui che le aveva tolto il suo guadagno. L’altra famiglia pure, che, sparsa ed appostata nei due Stati, viveva294 degli ordini295 sanguinolenti di costui, s’accorse del cessare delle orribili paghe della nuova mansuetudine di lui. Ad un tempo molti dei principali della città uniti con lui in occulta società di atroci consiglj296 e di funeste faccende, poiché videro297 le298 faccende già accordate e avviate rimanersi a mezzo abbandonate da lui,299 s’apposero tosto ch’egli aveva cangiato vita; né300 potremo «disconoscere l’autore d’un tanto cangiamento.301 E 302 «dovettero pure av[p. 411 modifica]vertirlo303 alcuni principi stranieri che da lontano304 avevano adoperato quest’uomo a qualche305 grande uccisione, e gli306 avevano piú volte mandati ajuti e ministri; ma, sospesi. andavano fantasticando la cagione del cangiamento fin che fu loro manifestata dalla fama. Io, siccome non307 avrei voluto per ingrandire il fatto aggiungervi308 nulla del mio; cosí non debbo pure toglier fede309 a ciò che è toccato con mano. Vidi io stesso poco dopo quell’uomo ancora «in salda e rubesta vecchiezza: non310 aveva dell’antica ferocia che i vestigj e le marche con che la natura311 manifesta le inclinazioni e le pecche d’ognuno; ma312 queste marche stesse313 apparivano temperate314 e quasi315 coperte dalla recente mansuetudine;316 e indicavano una natura disciplinata e vinta,317 come da una forza318 poderosa».

319Le notizie, che si ricavano da questo passo, quantunque320 ravvolte in termini tanto generali, ci sono sembrate adattate a supplire, almeno in parte, alla scarsezza del nostro autore; il quale,321 dopo avere eccitata tanta curiositá su quel personaggio e sulla sua conversione, non ne accenna altro effetto che la liberazione di Lucia; forse perché gli altri gli sono paruti estranei al suo racconto, o fors’anche perché a parlarne, gli conveniva rimescolare piú322 maneggi o toccare piú persone che non comportasse la sua squisita prudenza.

Riferisce egli però323 compendiosamente324 le prime disposizioni, che il Conte diede in quel giorno stesso al nuovo governo della sua famiglia; e noi le ripeteremo dietro la sua relazione. Staccatosi dal Cardinale, egli si avviò solo, a piede e disarmato com’era, al castello, e fece la strada e l’entrata con325 quella sicurezza e326 fortezza d’animo che non aveva avuta nella spedizione del mattino; perché egli non aveva ora una innocente da mettere in327 salvo: i pericoli, se ve n'aveva, erano tutti per lui, e il disprezzo dei pericoli,328 [p. 412 modifica]fatto già in lui un sentimento abituale,329 acquistava allora una nuova forza, una nuova ragione dai suoi nuovi pensieri.330 La sua condotta di tanti anni lo aveva posto in una situazione tale che per assicurare la sua vita, egli aveva mestieri di molto più mezzi e riguardi che non abbisognassero al comune degli uomini; e una delle prime riflessioni che gli erano occorse dopo il suo proposito di nuova condotta, si era che una gran parte di questi mezzi non poteva più conciliarsi con questa sua nuova condotta. Ma egli aveva sentito con persuasione, (e331 probabilmente fu questo uno dei capi, che egli discusse in quel colloquio col Cardinale), aveva sentito che le ingiustizie passate non332 potevano rendergli necessarie nuove ingiustizie, che egli doveva assicurare la propria vita solo perché questo era un dovere, e che era un dovere soltanto fin dove, per adempirlo,333 non si dovesse ricorrere a mezzi leciti;334 che i pericoli che potevano nascere per lui nel suo nuovo genere di vita inoffensiva ed espiatoria, erano una conseguenza del male da lui fatto a man salva per sí lungo tempo, una punizione ch’egli doveva subire.335 Quindi tutta la vigoria d’animo, ch’egli impiegava altre volte nell’offendere,336 s’era ora trasformata in una vigorosa disposizione a337 tollerare: era un338 dissimile ma eguale339 anzi più forte coraggio; e continuò a produrre l’effetto solito di questo dono: quello di far rispettare colui che ne è fornito.

Entrato il Conte nel castello, comandò che si ragunassero tutti i suoi... non sapeva trovare un nome che tutti gli abbracciasse...340 «Tutti gli uomini,» disse, dopo d’avere esitato un momento. L’apparizione misteriosa del mattino, la ripartita e l’assenza avevano destato una grande curiosità: erano già corsi fino al castello341 romori che annunziavano la conversione del Conte342</ref> e il tripudio di tutti gli abitanti del vicinato, e di quelli che erano concorsi in quel giorno343 all’arrivo del Cardinale:344 tutti i bravi,345 che si [p. 413 modifica]trovavano al castello, o nei primi dintorni, vennero alla chiamata con molta ansietà. Congregati che furono, il Conte, con346 viso fermo, con voce risoluta e senza tergiversare, dichiarò a tutti ch’egli aveva proposto di mutar vita, che si doleva e si vergognava della passata,347 che a tutti chiedeva perdono degli orribili esempj348 e degli incitamenti che aveva loro dati a mal fare, che quanto era in lui egli gli avrebbe tutti ajutati con un nuovo esempio e coi mezzi ch’erano in sua facoltà ad operare diversamente: che quelli i quali fossero del suo parere,349 rimanendo con lui, potevano esser certi ch’egli avrebbe350 avvisato tosto al modo d’impiegare la loro opera in un modo utile ed onesto, e351 ad ogni modo avrebbe diviso con essi fino all’ultimo tozzo di pane; ma che protezione per ribalderie non ne avrebbe più data ad alcuno: e che finalmente quelli, ai quali non piacesse di sottoporsi a questa nuova regola, dovessero partirsi dal suo servizio,352 ch’egli era dolente di perdergli, ma risoluto.

La più studiata orazione di Demostene non produsse mai tanto varie e forti impressioni nel popolo d’Atene,353 quanto354 il breve discorso del Conte in quel picciolo popolo selvaggio.355 Ma per quanto diversi fossero i pensieri, che sorbollivano in quei cervelli ad un tale annunzio, l’effetto esterno fu un solo: un cupo silenzio. Molti di quei ragunati erano contadini del Conte, stabiliti sui suoi poderi, avvezzi dall’infanzia ad obbedirgli, e taluni fra di essi erano divenuti scellerati per obbedienza: tutti356 questi non vedevano un avvenire un po' sicuro che rimanendo con lui, e questi risolvettero di357 sottomettersi alle nuove condizioni,358 e di rassegnarsi a divenire galantuomini. Altri fuorusciti di mestiere,359 venuti da altri paesi, senza famiglia, né360 avviamento, bestemmiavano in cuor loro la risoluzione del padrone, tanto era il predominio che il carattere di lui aveva preso sull’animo loro,361 che non ardivano fare un motto di lamento. Questa idea di conversione era confusa nei loro cervellacci, [p. 414 modifica]e non potevano362 nemmeno immaginarsi che in un uomo come il Conte potesse363 produrre l’effetto di fargli sopportare una risposta arrogante: pensavano che364 l’effetto d’una365 temerità usatagli produrrebbe il solito effetto, con la sola differenza che il temerario morrebbe ora per le mani d'un santo.366 Così incerti l’uno dell’altro, nessuno osava fiatare il primo; e la sommissione dei primi, che si manifestava più367 sui loro vólti e nel contegno, toglieva ancor più a quei secondi l’animo di poter dire o far nulla, che potesse spiacere al Conte. Quel tripudio poi, quel rincoramento che s’era manifestato nella popolazione gli rendeva ancor più irresoluti:368 avrebbero potuto ridersi di questa369 gioja impotente finché avevano il Conte per loro, alla lor testa, ma quando la folla era lui, e sarebbe stata contra loro, si trovavano come smarriti.370

Dopo quel breve silenzio, il Conte si rivolse a quello che più gli era vicino, e gli chiese risolutamente quale fosse il partito371 ch’egli sceglieva; e cosí di mano in mano con tutti.372 Dava lodi e promesse a quelli che chiedevano di rimanere, ammoniva gli altri, e quando ripetevano di voler partire,373 chiedeva loro quanta parte di salario fosse loro dovuta; vi aggiungeva una gratificazione, scriveva la somma sur una cartolina, che teneva nella mano sinistra,374 la dava a colui che voleva partire, gli comandava di andare dall’intendente a farsi pagare, e di uscir tosto dal castello. Tutti pigliavano la carta, e se ne andavano senza far motto. In tutti questi parlamenti, il carattere del Conte aveva fatto naturalmente, e senza che il Conte lo sapesse bene, ciò che,375 fatto a disegno, sarebbe stato un miracolo di presenza di spirito e di artificiosa prudenza, e forse non avrebbe potuto così bene riuscire.376 Nelle ammonizioni, ch’egli dava a coloro, nelle esortazioni a meglio riflettere, nelle preghiere stesse, fino nelle scuse non v’era mai un momento in cui il suo interlocutore potesse sentire una superiorità,377 [p. 415 modifica]intravedere in lui una378 punta di debolezza, d’irresoluzione, di abbassamento, che379 invitasse nemmeno uno di quegli animi ad elevarsi e a cadérgli addosso.380 Quale divenisse il castello dopo la partenza di quei più facinorosi, il manoscritto n0n lo dice, né381 ci è venuto fatto di trovarne notizia altrove. Il nostro autore382 dice che il Conte andò ogni giorno ad abboccarsi col Cardinale finché durò la visita di esso in quei contorni:383 di un solo di questi abboccamenti egli riferisce le particolarità; e il nome del Conte del Sagrato non ricompare poi più nel manoscritto.

Note

  1. metter
  2. Vedete che faccia stralunata fa costui!
  3. Mentre
  4. qua
  5. fare se è giusto
  6. il Conte
  7. [si risvegli] si mostravano
  8. si mostravano
  9. attraversano
  10. in lui
  11. Guaj
  12. [si lisciò] pose
  13. le due mani a sfuggire le redini dalla mano
  14. dove stava una delle sue
  15. la
  16. dove
  17. Scellerati!... che scellerati? chi è il loro maestro? il loro capo: io, io sono il peggiore di tutti.
  18. hanno
  19. adu
  20. A costoro:
  21. Costoro!
  22. Cosí pensando egli si
  23. se non compariva alcuno, la salita era qu | e visto
  24. disse alla
  25. con alcuno non rispondete a
  26. non rispondete
  27. Segno, e a margine, in penna: «. punto fermo». Conducetela fuori
  28. mandatela fuori
  29. fino alla posta della
  30. ambasce
  31. per
  32. Non
  33. più tran
  34. dirle
  35. è meno
  36. poco più
  37. e se non le spia
  38. una parola, né
  39. qui la
  40. non di
  41. Prima del testo (foglio 14, p. 25) cancellato Cap. II
  42. e curiosi
  43. quella
  44. in quella comitiva misteriosa
  45. al fianco
  46. Segno, e a margine, in penna: «. punto fermo».
  47. che
  48. e la loro curiosità
  49. strano
  50. rendeva più
  51. Andavano
  52. che si chinava
  53. a Don Abbondio d’imitarlo
  54. per [sapere rego | potersi] potere ubbidire
  55. si pose dinanzi alla letti
  56. Segno, e a margine, in penna: «. punto fermo ».
  57. e giunt
  58. [fece] disse
  59. egli
  60. siamo alla metà dell’opera
  61. fuori che
  62. Fate in modo che la giovane | Poiché
  63. non gridi: non parli fate in modo che sia
  64. entrerà, sul
  65. uscí ❘ loro
  66. conduceva
  67. la vecchia
  68. aprite
  69. senza
  70. egli ad aspettare, i lettighieri
  71. Variante attendere
  72. s'era levata
  73. a Lucia, etc.
  74. Segno, e a margine, in penna:«. punto fermo».
  75. i rimasu
  76. e s'era
  77. aveva
  78. la sua
  79. quando
  80. guardare
  81. facendo più romore in modo
  82. desse
  83. Buono! Buono! [diceva ella) diceva di tempo
  84. che
  85. essere fedeli
  86. che ella nel mangiare (lacuna)
  87. con quei suoni che Mon (lacuna)
  88. l'ìdea di mangiare nella educazione e nelle antiche abitudini di quella vecchia
  89. associata all’ idea di mangiare [da la] una
  90. su
  91. che toccano un po’
  92. in
  93. ella vedeva qualche cosa d’importante
  94. tempo
  95. dei suoi vani sforzi male impiegati
  96. ingegnosi
  97. brontolava
  98. all'ultimo e più forte colpo
  99. Segno, e a margine, in penna: «. punto fermo».
  100. momento
  101. e vi fece
  102. bocca | lo ritirò un momento, e [battendo] batté due o tre volte le
  103. Allora
  104. [pensa | aspettando non senza inquietudine la venuta del padrone | e aspettando non senza inquietudine alla (sic) venuta del padrone | e pensando al conto che avrebbe renduto di Lucia] pensando ai casi suoi, e aspettando la venuta del padrone non senza inquietudine.[Dalle] Gli [Dagli] ordini che egli le aveva dati partendo e [dal] il tuono con cui gli aveva proferiti [facevano pensar] avevano fatto intendere alla vecchia che al padrone premeva quella ragazza, [che] che egli l’aveva fatta prendere, e la riteneva per ragioni ch’ella non poteva sapere, ma che desiderava ch’ella fosse contenta: [pensava | Ora ved] Vedendo ora la vecchia che tutti i tentativi per renderla tale erano stati inutili [pensava] stava in gran timore di quello che avrebbe detto e fatto il padrone quando tornando [troverebbe] avrebbe trovato Lucia in quello stato di abbattimento, e di [ostinazione alla] nimicizia. Poter dire : — io non ci ho colpa, — non [pareva] era un pensiero che rassicurasse abbastanza la vecchia
  105. Qui un segno (al principio della pagina 261) legato ad altro della pagina 264, v., con una linea verticale accanto a tutto il testo, da Per comprendere a del terrore, ossia alla materia delle pagine indicate: materia esclusa poi; quindi chiari il segno e la linea.
  106. nel capo
  107. un concetto
  108. veduto
  109. inteso
  110. dei
  111. e [della obbedienza che la] della obbedienza che loro era dovuta.
  112. [per dovere | che] che ciò
  113. dubbj che
  114. non vi passavano che una picciola parte dell’anno,
  115. Cancellatura illeggibile
  116. l’i- dea del potere
  117. Sic.
  118. massima
  119. [Dopo] Quando il Conte divenne padrone, quell’esempio del potere crebbe d’assai
  120. [dovettero] divennero
  121. [e spav] e fare più spav
  122. e la donna
  123. crebbero
  124. bandit
  125. come
  126. allora | e vi condusse
  127. allora
  128. ebbe due figli
  129. due
  130. ed erano
  131. rimase
  132. [Disporre il pranzo pei bravi secon] Accudire ai bravi era la sua occupazione ordinaria, tener
  133. senza il quale ella non poteva immaginare per sé un sostegno, un asilo. Le abitudini della infanzia
  134. sommissione
  135. sua
  136. questa era la sua regola
  137. si era
  138. Quel poco che ella aveva (lacuna)
  139. di religi
  140. dalla dimenticanza
  141. dalla nessuna
  142. le nozioni
  143. che pure [sono scritte] è [scritta nel cuore di tutti gli uomini] deposta come un germe
  144. in mezzo alla
  145. [contraddetta modificata mostruosamente dai] strascinata ad adattarsi ai
  146. e dalle
  147. un risultato mostruoso
  148. queste
  149. questa era
  150. sua
  151. nel suo
  152. : poiché come
  153. Variante argomento
  154. esposto
  155. coloro
  156. li violavano
  157. E che poteva mai dire in favor suo (lacuna)
  158. acconsentendo
  159. abi
  160. riconoscere
  161. la sua vita dai benefi [da | dalla] a ricevere [come] la sua vita come un dono dalle mani del Conte
  162. sua
  163. quell’amore di schiavo
  164. qualche
  165. sentiva
  166. pei successi
  167. se non altro per
  168. veniva
  169. solo
  170. inclinata al male
  171. tutte le volte che
  172. glielo
  173. e a corrode
  174. ma ogni volta che
  175. ogni
  176. fosse
  177. ogni volta che le circostanze lo permettessero di far uso di quella autorità che invecchiando nel castello s’era acquistata, diceva
  178. cosí
  179. di che im
  180. per vo
  181. gli
  182. timore
  183. per quell
  184. trovando
  185. la quale sapeva
  186. ai quali egli aveva
  187. fine
  188. quello che il destino decidesse di lei. Ma Lucia intanto (lacuna)
  189. ❘La povera nostra Lucia intanto sbattuta] La povera Lucia intanto (lacuna)
  190. potuto dormire d’
  191. con le finestre aperte non | nella chiara lu
  192. [Finalmente] Alfine (varie parole non leggibili).
  193. Questo
  194. vicenda
  195. e fu ancor più lieta
  196. alzava per la
  197. [il dito della destra] il dito su la bocca,
  198. alla
  199. Ah! lei, come ... ? disse Lucia rivolta al curato
  200. di cui
  201. sfollavano
  202. per ora pensiamo a partire
  203. che mi ha dato l'incarico
  204. voi
  205. parlerà
  206. cose
  207. fa troppo bello
  208. di que
  209. alla quale
  210. No, no,
  211. ed io gli sono
  212. Io
  213. il Conte
  214. Di st
  215. il convoglio proced
  216. quando
  217. dal romore dei cavalli
  218. ella stessa
  219. passata
  220. non
  221. [e quella a lei | la quale ne sapeva tante da] (lacuna) la quale soddisfaceva le domande di Lucia, andava rispondendo a Lucia per (lacuna)
  222. Segno, e a margine, in penna: «. punto fermo.» Cancellato [e le sue risposte | e queste risposte.) Lucia a poco a poco comprendeva qualche cosa di più [delle]nelle sue a
  223. meritava | aggiunte a quello ch’ella aveva veduto e fatto
  224. la conducevano
  225. [potè | uscí a sa] seppe a un di presso
  226. poi che
  227. potè raccapezzare
  228. quello che
  229. andare al paese, ad
  230. Segno, e a margine: «punto fermo».
  231. del cardinale con Lucia.
  232. Animato
  233. Sottolineatura in lapis.
  234. avrebbe fatto
  235. al suo
  236. della
  237. [Questo] Ma il Conte che al pari di tutti gli uomini buoni e tristi aveva sempre poco conosciuto se stesso (lacuna)
  238. era nata
  239. Segno, e a margine, in penna: «punto fermo».
  240. d’un pericolo proprio
  241. alla quale fece animo
  242. [fu accettato] non fu rifiutato
  243. Ma nel mentre che la buona donna ammaniva quella refezione che si poteva più presto, Lucia [dopo d’aver] dopo qualche esita
  244. Intanto la stanza si affollava di clero che veniva | Indi
  245. se non siete
  246. stanco
  247. non già per la via che avete fatta; ma certo voi starete con
  248. voi non avete
  249. vedere
  250. parroco
  251. Accanto al periodo linea verticale, e a margine: «Lascerei come inutile questo periodetto. o almeno l’avvertenza che il curato amava rispondere con testi di Scrittura».
  252. quando poteva rispondere con un testo della Bibbia,
  253. Dopo pochi momenti
  254. di dover essere alla
  255. Periodo aggiunto a margine.
  256. quindi Don Abbondio, quindi
  257. secondo
  258. [Ca | frugale | frugalità di Federigo era tale) Il trattamento di Federigo, quando egli si trovava in casa sua, era tanto frugale. A margine, in penna: «se ne andò a casa». Poi, ma cancellato: «Due sole parole per indicare che la refezione fu parca come soleva sempre usarla il cardinale. - E quando egli - ecc.» E ancora: « - La frugalità di Federigo - e continuare fino alle parole - che abbia un padre spilorcio - ». E nella riga seguente: « - Terminata la refezione Federigo si levò - ecc. ».
  259. moderazione
  260. [la mensa dei suoi famigliari | quando nel suo palazzo | era nel suo palazzo] egli poneva cura che la mensa dei suoi famigliari fosse
  261. lo conoscevano troppo per credere di
  262. gli sarebbe paruto tutt’altro che una dimostrazione d’onore e d’affetto, e
  263. era tanto
  264. voi siete un’ ipocrita
  265. gli era
  266. Variante compagnia
  267. depresso
  268. di quell’anno
  269. sentiva
  270. [ricevuta] concepita della
  271. si diffo
  272. si trasmetteva ai
  273. [la memoria dei suoi delitti] una vita intera di delitti gli apparisse e gli fosse presente al pensiero con una nuova forma in quel giorno
  274. in una nuova e terribile forma
  275. nulladim
  276. che lo toglievano a quelle con le quali
  277. il riposo suo
  278. casa
  279. poco
  280. né altrove. Il Ripamonti famigliare del Cardinale protesta di non averne potuto saper nulla: e noi |giova qui riferire le sue parole | giova qui tradurre dal bel latino di questo scrittore | noi crediamo far cosa grata al lettore | noi] crediamo (lacuna) (il poco però ch] il poco però che egli dice (lacuna ma le poche parole] ma quello ch’egli dice degli effetti di questo colloquio [possono] può servire a dare
  281. e il suo
  282. di quella conversione d’animo
  283. Noi tradurremo questo
  284. crediamo far cosa grata al lettore [il tradurre] traducendo queste poche parole
  285. Segno, e a margine, in penna: «Una buona nota per dire quello che par equo ad indicarne, e per caratterizzare con maggiori elogi il Ripamonti»
  286. fu uno di coloro
  287. sem
  288. [che la mente umana] che il vero infonde nelle parole che
  289. le parole
  290. poiché nessuno di noi ardí [era ardito | avrebbe ardito d’interrogarne
  291. alcuno
  292. Sic. Certo è che [Ma il cangiamento d’animo, e | di | della condotta di costui fu tale (lacuna) | Ma l’animo e i costumi di quest’uomo apparvero dopo il colloquio che] (lacuna) Certo la mutazione (lacuna)
  293. una ta
  294. del [delle] prezzo dei delitti comandati, | delle
  295. atroci
  296. e di funeste faccende,
  297. [ab] rimanersi abbandonate a mezzo
  298. Variante operazioni Cancellato i negozi
  299. [s’avvidero] s’addiedero di quel che era
  300. Variante, a margine né disconobbero
  301. [Il quale fu pur sentito] E lo avrebbe pure piú
  302. dovette
  303. piú d’un principe straniero
  304. lo aveva
  305. grande
  306. aveva
  307. vorrei mai
  308. a questo fatto
  309. [a ciò che è] a cosa
  310. Variante non gli restava piú
  311. [rivela] mani
  312. questi vestigj
  313. erano
  314. come
  315. Variante velate
  316. talché tu vedevi
  317. da quasi
  318. Variante gagliarda
  319. Questi tratti generali (lacuna)
  320. cosí
  321. ha forse eccitato sul
  322. negozj
  323. sommar
  324. le prime disposizioni che
  325. tutt’altra risoluzione e
  326. tranquillitá
  327. salvo
  328. divenuto
  329. [era] aveva
  330. [Aveva egli tosto riflettuto che | sentito che | Sentiva egli che la sua situazione frutto della sua vita passata era tale] La sua risoluzione e gli antecedenti della sua condo
  331. forse
  332. lo
  333. [fosse] bastassero mezzi leciti
  334. Sic. che la incertezza
  335. Con questi pensieri egli era come prima
  336. [s’era ora] s’era ora trasfusa nella
  337. soffrir
  338. diverso
  339. coraggio
  340. tutti
  341. voci
  342. s’era visto un tripudio negli abitanti del
  343. intorno
  344. Segno di richiamo, e a margine, in penna: «punto fermo».
  345. e tutti quelli
  346. muso
  347. e
  348. dell
  349. rimanessero
  350. con essi diviso fino all'ultimo tozzo di pane, e ch
  351. che
  352. ch'egli gli vedeva allontanarsi con dispiacere ma (lacuna) che questa
  353. come
  354. quel
  355. Ma l’effetto generale fu un cupo silenzio (lacuna) Molti di quei ragunati erano contadini
  356. vedevano
  357. restare
  358. . Altri
  359. e senza
  360. mestiere
  361. tanto
  362. mai imma
  363. voler dire
  364. dall’irritarlo con una insolenza
  365. temerità sarebbe
  366. [Cosi tutti incerti | eletto ognun La] sommissione si manifestava più facilmente sui vólti, ma
  367. sull
  368. poiché avrebbero riso
  369. dimost
  370. Dopo quel (lacuna)
  371. suo
  372. [Rincom] Dava ringraziamenti, e promesse
  373. [l'ordine | si | e dava] dava loro una
  374. e diceva al (parola illeggibile)
  375. sarebbe
  376. Le ammonizioni del Conte
  377. sopra di lui
  378. debolezza
  379. invitasse
  380. Segno di richiamo, e a margine, in penna: «Qui qui finire il maraviglioso Capitolo.» Cancellato Il castello abbandonato da quei più facinorosi, restò come un ospedale di scellerati convalescenti. [Come poi | se tutti guarissero | come forse la guarigione] Come divenisse il castello in seguito
  381. altrove
  382. [dice se| non dice più altro del Conte, se non che, egli andò
  383. non riferisce alcuna particolarità di questi abboccamenti