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392 | gli sposi promessi |
la forza dell’abito fa ricadere uno quasi senza che se ne
avvegga, e intanto... chi è sotto è sotto: ahi! ahi! ahi!
S’aveva mò a1 mandar così un povero curato galantuomo sotto la bocca del cannone? — 2
3Don Abbondio era a questo punto della sua meditazione quando la cavalcata giunse alla taverna, dove cominciava la salita; e ne uscirono bravi secondo il solito, i quali4 videro con istupore il Conte con un prete dietro una lettiga. Pensarono che potesse essere, non lo seppero indovinare, e non fecero altro che inchinarsi al Conte, il quale con viso serio proseguí il suo cammino. Ma Don Abbondio continuava: — ci siamo. Oh che faccie! Questa è la porta dell’inferno! E costui, vedete, che faccie stralunate fa anch’egli! Un po’ pare Sant’Antonio nel deserto quando scacciava le tentazioni, un po’ pare Oloferne in persona! Dio mi ajuti, e lo deve5 per giustizia. —
Infatti6 i pensieri7 che si affollavano nella mente del Conte,8 passavano, per dir cosí, rapidamente sulla sua faccia, come le nuvolette spinte dal vento9 passano in furia a traverso la faccia del sole, alternando ad ogni momento una luce arrabbiata e una fredda oscurità. Pensava a quello che avrebbe detto e fatto, mettendo il piede nel suo castello, trovandosi con quegli, dai quali in un punto s’era fatto cosi diverso. Avrebbe voluto render gloria a Dio, confessare il cangiamento che era accaduto10 nel suo animo, rinnegare la sua scellerata vita in faccia a quelli che ne erano stati i testimonj, i complici, gli stromenti. — Ma ... — diceva un altro pensiero: — guaj se costoro credono un momento ch’io non sia più quello da stendere in terra colui che ardisse resistermi! — 11
Cosí pensando egli12 pose macchinalmente13 la mano al luogo14 dov’era solito tenere una pistola, e si ricordò di averle lasciate con le altre armi in casa del curato — Ohé! — continuava fra sé: Perché mi obbedirebbero costoro? e se veggiono che15 questo pane infame è finito per loro chi sa16