Gli sposi promessi/Tomo III/Capitolo I
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Capitolo I
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28 9bre 1822.
Cap. I.
Il Cardinale Federigo, secondo il suo costume in tutte le visite, stavasi1 in quell’ora ritirato in una stanza, dove dopo aver recitate le ore mattutine, impiegava quei momenti di ritaglio a studiare,2 aspettando che il popolo fosse ragunato nella Chiesa, per uscir poi a celebrarvi gli uficj divini, e le altre funzioni del suo ministero.3. Entrò con un passo concitato ed inquieto il cappellano crocifero, e con una espressione di vólto tra l’atterrito e il misterioso, disse al Cardinale: «Una strana visita, Monsignore illustrissimo.»
«Quale?»4 richiese il Cardinale con la sua solita placida compostezza. «Quel famoso bandito, quell’uomo senza paura e che fa paura a tutti... il Conte del Sagrato... è qui... qui fuori, e chiede con istanza d’essere ammesso.»
«Egli!» rispose il Cardinale: «è il benvenuto, fatelo tosto entrare.»
«Ma...» replicò il cappellano, «Vostra Signoria Illustrissima lo debbe conoscere per fama; è un uomo carico di scelleratezze...»
«E non è egli una buona ventura,» disse il Cardinale, «che ad un tal uomo venga voglia di presentarsi ad un vescovo?»
«E un uomo capace di qualunque cosa,» replicò il cappellano.
«E anche di mutar vita,» disse il Cardinale.5
«Monsignore illustrissimo,» 6 insistette il cappellano: «lo zelo fa dei nemici: sono arrivate più volte fino al nostro orecchio le minacce di alcuni che si sono vantati...»
«E che hanno fatto?» interruppe Federigo.
«Ma se costui,7 costui che tiene corrispondenza coi più determinati ribaldi, costui che non si spaventa di nulla,8 venisse ora... fosse mandato Dio sa da chi, per fare quello che gli altri...»
«Oh! che disciplina è questa,» interruppe ancora sorridendo9 serenamente il vecchio, «che un officiale raccomandi al suo generale di aver paura? Non sapete voi che la paura come le altre passioni,10 ad ogni volta che le si concede qualche cosa, domanda qualche cosa di più? e che a questo modo, di cautela in cautela, bisognerebbe ridursi a non far più nulla dei doveri d’un vescovo?»
«Ma questo è un caso straordinario,» continuò il cappellano, caparbio per11 premura: «Vostra Signoria non può così esporre la sua vita.12 Costui è un disperato, Monsignore illustrissimo: lo rimandi: troveremo qualche onesta scusa...»
13 «Ch’io lo rimandi? » rispose con una certa 14 maraviglia severa il Cardinale. «Per15 farmene un rimprovero per tutta la vita, e renderne poi conto a Dio?16 Via, via.17 Già egli ha troppo aspettato. Fatelo entrar tosto e lasciatemi solo con lui.»
Il cappellano non ebbe più coraggio di replicare, e fatto un inchino parti per obbedire, dicendo in cuor suo: — non c’è rimedio: tutti i santi sono ostinati, — 18 epiteto, che nel senso in cui l’adoperiamo: il più sovente significa uno che non vuol fare a modo nostro. Uscito nella stanza dov’era il Conte,19 qui pure solo in un canto, mentre tutti gli altri presenti si stavano raggruppati20 in un altro, a guardarlo e a parlare sommessamente,21 il cappellano gli si accostò, e gli disse che Monsignore22 lo aspettava; facendo nell’istesso tempo,23 in modo da non essere veduto dal Conte, un cenno delle spalle24 e del vólto agli altri che voleva dire: — Quell’uomo benedetto; accoglierebbe Satanasso in persona. —
Il Conte allora prese tosto una25 cintura, con la quale teneva appeso l’archibugio,26 e facendolo27 passare sul capo se lo28 tolse dalla spalla, si cavò dalla cintura dei fianchi due pistole, si staccò uno spadone, e fatto un fascio di29 tutto,30 si accostò ad uno dei preti che si trovavano nella stanza, gli consegnò quel fascio dicendo: «sotto la vostra custodia.» «Signor sì,» disse il31 prete, e32 non senza impaccio, allargando ben bene le mani; e, ponendo cura che nulla ne sfuggisse, lo prese33 con delicatezza come avrebbe fatto d'un bambino da portarsi al Fonte. Restava ancora un pugnale, di cui il manico d’avorio intarsiato d’oro,34 sporgeva tra il farsetto e la veste: e gli occhi erano rivolti sul Conte, per osservare se egli compisse la buona opera di disarmarsi e desse anche questo al curato;35 ma il Conte non n’ebbe pure36 l’immaginazione: togliersi il pugnale37 era un pensiero38 troppo strano per lui: gli sarebbe sembrato di andar nudo.39
Il cappellano aperse la portiera ed introdusse il Conte; il Cardinale si alzò, gli si fece incontro, lo accolse con un vólto sereno, e accennò con gli occhi al cappellano che partisse; ed egli partì. Il Conte s’inchinò bruscamente, e40 guardò il Cardinale, abbassò gli occhi, tornò ad alzargli in quel venerabile aspetto. Federigo era stato vezzoso fanciullo, giovane avvenente, bell’uomo; gli anni41 avevano fatto sparire dal suo vólto quel genere di bellezza, che42 al suono di questo nome si ricorda primo al pensiero; e già43 gran tempo prima ch’egli toccasse la vecchiezza, le astinenze stesse e lo studio, avevano tramutate ed offuscate alquanto le forme di quel vólto; ma le astinenze stesse e lo studio, l'abitudine dei44 solenni e benevoli pensieri,45 il ritegno e la pace interna d’una46 lunga vita, il sentimento continuo d’una speranza superiore a tutti i patimenti, avevano sostituita47 nel vólto di Federigo a quella antica bellezza, una per cosí dire bellezza senile, la quale spiccava ancor più in48 quella semplicità della porpora,49 che, nuda di 50 ornamenti ambiziosi, tutto ravvolgeva il vecchio.51 Stava questi aspettando che il Conte parlasse, onde pigliare52 dalle prime parole di lui il tuono del discorso;53 giacché Federigo, benché non sentisse quel genere di paura che il suo buon cappellano aveva voluto ispirargli pure sapeva molto bene54 che bisbetico, 55 ombroso e restio56 personaggio57 avesse dinanzi; e, avendo preso di questa venuta una speranza indeterminata di qualche bene, non avrebbe [voluto] dire né far cosa che potesse 58 guastare. Stava egli dunque tacito,59 ed invitava il Conte a parlare con la serenità del vólto, con60 un’aria di aspettazione amica, con quella espressione di benevolenza che fa animo agli irresoluti, e
sforza talvolta i dispettosi a dire cose diverse da quelle che avevano pensate;61 ma il Conte stava sopra di sé, perché era venuto ivi spinto piuttosto62 da una smania, 63 da una inquietudine curiosa che dal sentimento distinto di cose, ch’egli volesse dire ed udire dal Cardinale. Dopo qualche momento però ruppe egli il silenzio con queste parole: «Monsignore illustrissimo. .. dico bene? In verità sono da tanto tempo divezzato dai prelati, che non so se io adoperi i titoli che si convengono64 ... che si usano. »
«Voi non65 potete errare,» rispose sorridendo gentilmente Federigo, «se mi chiamate un uomo pronto a tutto fare, a tutto soffrire, per esservi utile.»
«Sí?» rispose il Conte, «davvero Monsignore? Tale è il linguaggio comune... dei preti principalmente, i quali dicono sempre66 che non vivono per altro che per servire altrui. Ma per voi... tutti dicono che non è un semplice linguaggio di cerimonia. Ebbene, se fossi venuto per accertarmene? per vedere, se egli è vero che voi siete cosí dolce, cosí paziente, cosí inalterabilmente umile? Se fossi venuto, per soddisfare ad una mia curiosità?»
«No, no,» replicò, sempre sorridendo, ma con una seria espressione di affetto il buon vescovo,67 «non è 68 curiosità69 in voi di vedere quest’uomicciattolo, che 70 mi procura la gioja inaspettata di vedervi:71 sento che una cagione più importante vi conduce.»
«Lo sentite, Monsignore? qual cagione di grazia? dicono tanti che voi sapete discernere i pensieri degli uomini? discernetemi il mio, che72 per... via mi farete piacere:73 mostratemi che vedete nel mio cuore più ch’io non vegga: parlate voi per me, che forse, forse, potreste indovinare.
«E che?»74 disse il Cardinale75 come affettuosamente rimproverando: «voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?»
«Una buona nuova! io! una buona nuova! ho l’inferno in cuore, e vi darò una buona nuova! Ah! ah! voi non vedete qua dentro. Voi non sapete che io son venuto qui trascinato senza sapere da chi, che aveva il bisogno di vedervi, che vorrei parlarvi, e che in questo stesso momento io sento in me una rabbia, una vergogna di esser dinanzi a voi... cosi come una pinzochera... Oh ditemi un po' quale è questa buona nuova!»
«Che Dio vi ha toccato il cuore,76 e vuol far di voi un altr’uomo;» rispose tranquillamente il Cardinale.
«Dio? ci siamo,» replicò il Conte. «Dio!77 quella parola che termina tutte le quistioni. Dov’è questo Dio?»
«Voi me lo domandate,» rispose Federigo, «voi? E chi l’ha più vicino di voi? Non lo sentite in cuore che vi tormenta, che vi opprime, che vi abbatte, che v’inquieta, che non vi lascia stare; e vi dà nello stesso tempo una speranza78 Ch’Egli vi acquieterà, vi consolerà, solo che lo riconosciate, che lo confessiate? »
« Certo! certo! » rispose dolorosamente il Conte; «ho qualche cosa che mi tormenta, che mi divora! Ma Dio!79 Che volete che Dio faccia di me? Foss’anche vero tutto quello che dicono,80 non ho altra consolazione che di pensare che nemmeno il diavolo non mi vorrebbe.» 81
Il Conte accompagnò queste parole con una faccia convulsa e con gesti da spiritato;82 ma Federigo con una calma solenne, che comandava il silenzio e l’attenzione, replicò:83 «Che può far Dio di voi? Quello che d’altri non farebbe.84 Ricevere85 da voi una gloria, che altri non gli potrebbe dare. Fare di voi un86 gran testimonio della sua forza ... e della sua bontà. Poiché finalmente, che vi accusino coloro ai quali siete oggetto di terrore, è cosa naturale:87 è il terrore che parla, e si lamenta; è un giudizio facile, poiché è sopra altrui,88 fors’anche in taluno sarà invidia;89 forse v’ha chi vi maledice, perché vorrebbe far terrore anch’egli;90 ma quando voi accuserete voi stesso, quando il giudizio 91 sarà una confessione allora Dio sarà glorificato. Questo può far Dio di voi; e salvarvi.»92
«No: Dio non vuol salvarmi!» replicò il Conte, con un dolore disperato.
«Non vuole?» disse il Cardinale. «Io, che sono un uomo miserabile, mi struggo dal desiderio della vostra salute: voi non ne avete dubbio; sento per voi una carità, che mi divora; e Dio che me la ispira,93 quel Dio che ci ha redento, non sarà grande abbastanza, per amarvi più ch'io non vi ami?» 94 95 La faccia del Conte, fino allora stravolta dall'angoscia e dalla disperazione, si ricompose, si atteggiò al dolore;96 e i suoi occhi che dall’infanzia non conoscevan97 le lagrime, si gonfiarono,98 e il Conte pianse dirottamente.99
«Dio grande e buono!» sclamò Federigo, alzand 100 gli occhi e le mani al cielo: «che ho mai fatto io, servo inutile, pastore sonnolento, perché tu mi facessi degno di assistere ad un si giocondo prodigio?» Cosi dicendo, egli stese la mano per prendere quella del Conte. «No, » gridò questi «no: lontano, lontano da me voi: non lordate quella mano innocente e benefica. Non sapete quanto sangue è stato lavato da quella che volete stringere?»
«Lasciate,» disse101 Federigo, afferrandogli la mano con amorevole violenza, «lasciate ch’io stringa con tenerezza, e con rispetto, questa mano, che riparerà tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti poverelli, che si stenderà umile,102 disarmata, pacifica a tanti nemici.»
«È troppo!» disse il Conte, singhiozzando. «Lasciatemi Monsignore ... buon Federigo: un popolo affollato vi aspetta ... tanti innocenti103 tante anime buone...104 tanti venuti da lontano, per vedervi per udirvi; e105 voi vi trattenete... con chi!»
« Lasciamo le novantanove pecorelle,» rispose Federigo amorevolmente: «sono in sicuro: sono sul monte: io voglio ora stare con quella che era smarrita.106 Quella buona gente, sarà ora forse più contenta che se avesse tosto veduto il suo vescovo. Chi sa che Dio, il quale ha operato in voi il prodigio della misericordia, non 107 diffonda ora nei cuori loro108 una gioja di cui non conoscono ancora la cagione? Son forse uniti a noi senza saperlo:109 forse lo Spirito pone nei loro cuori un ardore indistinto di carità, una preghiera, ch’egli esaudisce per voi, un rendimento di grazie, di cui voi siete l’oggetto non ancor conosciuto. »
Al fine di queste parole stese egli le braccia al collo del Conte; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, dopo aver resistito un momento,110 cedette come strascinato da quell’impeto di carità: abbracciò egli pure111 il Cardinale, e abbandonò il suo 112 burbero vólto su le spalle di lui. Le lagrime ardenti del pentito cadevano sulla porpora immacolata113 di Federigo;114 e le mani incolpevoli di questo cingevano quelle membra, premevano quelle vesti, su cui da gran tempo non avevano posato che le armi della violenza e del tradimento.115
Sciolti da quell'abbraccio, il Cardinale disse con un affetto ansioso116 al Conte: «parlate:117 parlate: apritemi il vostro cuore:118 ditemi i pensieri che più vi tormentano:119 quello che hanno di più amaro si sperderà, passando su le vostre labbra;120 il dolore, che vi resterà, sarà misto di giocondità, sarà una giocondità esso medesimo: non vi lasceranno altra puntura buona che il desiderio di riparare al già fatto. Dite: forse v’è qualche cosa a cui si può riparare ancora.»
«Ah si!» interruppe il Conte: «v’è121 una cosa a cui si può riparare tosto: il fatto è turpe, è atroce, ma non è compiuto. Lodato Dio, che non lo è! Per farvelo conoscere è d’uopo ch’io appaja dinanzi a voi, per mia confesione, quello ch’io sono: uno scellerato... e un vile birbone; ma non importa: quello che importa è di cessare una crudele iniquità.» Federigo stava ansioso attendendo, e il Conte narrò dell’infame contratto di Lucia, del122 rapimento, dell’arrivo di essa al suo castello, delle sue suppliche e dei primi pensieri, che a cagione di queste gli erano venuti. Il123 buon vescovo impallidì124 alla storia125 dei patimenti e dei pericoli di quella poveretta; ma quando intese ch’ella si trovava ancora al castello: «Ah!» disse «è salva, è intatta: togliamola tosto da quell’angoscia: ah voi sapete ora che cosa sono le ore dell’angoscia! abbreviamole a questa126 innocente. Voi me la date ...? »
«Dio!» sclamò il Conte: «che uomo son’io, se mi si richiede come un dono127 ciò ch’io non ho in poter mio che per la più vile prepotenza!128 se mi si chiede per misericordia di non essere più un infame!»
«Il male è fatto,» rispose Federigo: «quello che è da farsi è il bene, e voi lo potete; voi lo volete: Dio vi benedica. Dio vi ha benedetto. D’una iniquità, voi potete ancor fare un atto di virtù, e di beneficenza. Sapete voi di che paese sia questa poveretta?»
Il Conte glielo disse; Federigo allora scosse il suo campanello; alla chiamata entrò129 con ansietà130 il cappellano, il quale in tutto quel tempo131 era stato come sui triboli, e, veduta la faccia132 tramutata, umile, commossa del Conte, e su quella del Cardinale una commozione, che pur traspariva da quella sua tranquilla compostezza, restò133 colla bocca aperta, girando gli occhi dall’uno all’altro;134 ma il Cardinale lo tolse tosto da quella contemplazione, mezzo estatica e mezzo stordita, dicendogli: «Fra i parrochi qui radunati ci sarebbe mai quello di...?»
«V’è, Monsignore illustrissimo,» rispose il cappellano.
«Lodato Dio!» disse il Cardinale: «chiamatelo, e con lui il curato di questa chiesa.» Il cappellano uscí nell’altra stanza, dove i preti congregati aspettavano il suo ritorno con la speranza di saper qualche cosa135 d’un colloquio, che gli teneva tutti sospesi. Tutti gli occhi furono rivolti sopra di lui: egli136 alzò le mani, e movendole l’una contro l’altra con un gesto come involontario, tutto trafelato, come se avesse corso due miglia, disse: «Signori, signori: haec mutatio dexterae Excelsi. 137 Il signor curato della chiesa e il signor curato di... sono chiamati da Monsignore.»
Il curato di Chiuso era138 un uomo che avrebbe lasciato di sé una memoria illustre, se la139 virtù sola bastasse a dare la gloria fra gli uomini.140 Egli era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere:141 l’amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale:142 la sua cura143 continua [era] di fare il suo dovere,144 e la sua idea del dovere era tutto il bene possibile; credeva egli sempre adunque di rimanere indietro, ed era profondamente umile, senza sapere di esserlo; come145 l'illibatezza, la carità operosa, lo zelo, la sofferenza, erano virtù, che egli possedeva in un grado raro, ma che egli si studiava sempre di acquistare.
Se ogni uomo146 fosse nella propria condizione quale era egli nella sua, la bellezza del consorzio umano oltrepasserebbe le immaginazioni degli utopisti più confidenti. I suoi parrocchiani, gli abitatori del contorno lo ammiravano, lo celebravano; la sua morte fu per essi un avvenimento solenne e doloroso;147 essi accorsero intorno al suo cadavere:148 pareva a quei semplici che il mondo dovess’esser commosso, poiché un gran giusto ne era partito. Ma dieci miglia lontano di là, il mondo non ne sapeva nulla, non lo sa, non lo saprà mai: e in questo momento io sento un rammarico di non possedere quella virtù che149 può tutto illustrare,150 di non poter dare uno splendore perpetuo di fama a queste parole: Prete Serafino Morazzone Curato di Chiuso.
151 All’udirsi chiamare, egli si spiccò da un cantuccio,152 dove stava pregando tacitamente, e si mosse senza altra premura che di153 obbedire, senz’altra curiosità che di vedere se vi fosse per lui qualche opera utile e pia da intraprendere. L’altro chiamato era quel nostro Don Abbondio, il quale per togliersi d’impiccio era stato 154 in gran parte cagione di tutto questo guazzabuglio:155 egli non poteva sapere, né avrebbe mai pensato che questa chiamata avesse la menoma relazione con quei tali promessi sposi, dei quali credeva di essere sbrigato per sempre. Si avanzò anch’egli incerto e curioso, anche inquieto, di dovere trovarsi con quel famoso Conte: pure lo rassicurava la faccia ispirata del cappellano,156 quelle sue parole che annunziavano157 oscuramente cose grandi e, ciò che più stava a cuore di Don Abbondio, cose quiete. Ambedue i curati furono tosto introdotti nella stanza, dove il Conte stava col Cardinale. Don Abbondio s’inchinò umilmente ad entrambi, e guardava l’uno e l’altro,158 ma specialmente il Conte; e aspettava che si dicesse qualche cosa,159 per esser certo che non v’erano imbrogli. Il Cardinale prese in disparte il curato di Chiuso, e, dettogli brevemente di che si trattava,160 gli espose la sua intenzione di spedir tosto in lettiga una donna al castello a prender Lucia, affinché questa alla prima nuova della liberazione si trovasse con una donna: il che sarebbe stato per quella poveretta una consolazione e una sicurezza,161 non meno che decenza per la cosa; e lo162 pregò di sceglier tosto fra le sue parrocchiane la donna più atta a questo uficio per saviezza e la più pronta per carità ad assumerlo.163 «Ne corro in cerca, Monsignore illustrissimo, e Dio compirà l’opera buona.» Detto questo, uscí: i radunati nell'altra stanza lo guardarono curiosamente, ma nessuno lo fermò per interrogarlo, giacché si sapeva ch’egli164 era cosi avaro delle parole inutili, come pronto a parlare senza rispetto quando il dovere lo richiedesse.
165 II Cardinale si volse allora a Don Abbondio, e con vólto lieto gli disse: «Una buona nuova per voi, Signor curato di... Una vostra pecorella, che avrete pianta come perduta, vive, è trovata; e voi avrete la consolazione di ricondurla al vostro ovile, o166per ora in quell’asilo, di che Dio la provvederà.»
167« Monsignore illustrissimo, non so niente,» rispose Don Abbondio, il primo pensiero del quale era sempre di scolparsi a buon conto, e di lavarsene le mani. «Come!» disse Federigo, «non conoscete Lucia Mondella, vostra parrocchiana, che era scomparsa...?»
«Monsignore si, » rispose tosto il curato, che non voleva passare per un pastore spensierato.
«Or bene, rallegratevi,» disse il cardinale, «che Dio ce la restituisce: e questo168 signore» continuò (accennando il Conte) «è lo stromento, di che Dio si serve per questa opera buona. In altro momento voi mi informerete dei casi e delle qualità di questa giovane.»
— Ahi! ahi! — pensava fra sé Don Abbondio.169 — Bell'impiccio a contar la storia! Questa donna è nata per la mia disperazione. —
«Per ora,» proseguí Federigo, «quello che preme è di riaverla e di170 riporla nelle braccia di sua madre e in casa sua, se potrà esservi sicura. Andrete voi dunque con questo mio caro amico» (e cosi dicendo prese la mano del Conte, il quale lasciava dire e fare,171 troppo contento che un tal uomo lo governasse e parlasse per lui): «andrete al suo castello,172 accompagnando una buona donna di questo paese, che ricondurrà quella giovine nella mia lettiga.173 Per far più presto, darò ordine tosto che due delle mie mule sieno bardate per voi e per lui. Vedete,» continuò egli174 coll'accento di chi è compreso di ciò che dice: «vedete che in mezzo alle tribolazioni, ai contrasti, agli affanni del nostro ministero, Dio ci175 prepara talvolta consolazioni inaspettate; e, servi inutili che noi siamo! pure ci adopera in176 opere, nelle quali il bene è visibile; ci vuole cooperatori della sua177 provvidenza misericordiosa.»
Le parole del Cardinale potevano essere belle, ma in questo caso178 erano veramente perdute. Don Abbondio, all’udire un tal ordine, sentí tutt’altro che consolazione: si trattava di ricondurre in trionfo, alla presenza dell’arcivescovo quella Lucia, nelle cui avventure egli si trovava intrigato un po’ sporcamente,179 nella cui storia era parte, e180 in un modo e per motivi,181 di cui l’ultima persona, a cui avrebbe voluto render ragione, era certamente quel Federigo Borromeo. Ma questo non era ancora il peggio: si trattava di far viaggio con quel terribil Conte, di entrare nel suo castello,182 senza saper chiaramente a che fare: tutto ciò che il curato aveva inteso raccontare in tanti anni della183 audacia, della crudeltà, della bizzarria, della iracondia di costui, si affacciava allora alla sua immaginazione:184 e metteva in moto tutta quella sua naturale paura. Ma185 questa timidezza stessa poi non gli permetteva di rifiutare, di fare ostacolo ad un ordine cosi preciso dell’arcivescovo, in faccia a colui che ne sarebbe offeso.186 Vedendo poi187 quello pigliare amorevolmente la mano del terribil Conte, Don Abbondio188 stava guatando, come un ospite pauroso vede un padrone di casa accarezzare sicuramente un suo cagnaccio189 tarchiato, ispido, arrovellato,190 e famoso per morsi e spaventi dati a cento persone; sente il padrone191 dire che quel cane è bonaccio 192 di natura, la miglior bestia del mondo; guarda il padrone e non osa contraddire per non offenderlo, e per non essere tenuto un dappoco; guarda il cane, e non193 gli si avvicina, perché teme che194 al menomo atto quel bonaccio non digrigni i denti e non si avventi alla mano che vorrebbe palparlo; non fa moto per195 allontanarsi, perché teme di porgli addosso la furia d’inseguire; e, non potendo fare altro,196 manda giù il cane, il padrone e la sua sorte, che l’ha portato in quel gagno, in quella compagnia:197 tali erano i sensi e gli atti del nostro povero Don Abbondio. Pure, componendosi al meglio che potè, fece egli un inchino al Cardinale, per accennare che obbedirebbe, e un altro inchino al Conte accompagnato con un sorriso che voleva dire: — sono nelle vostre mani: abbiate misericordia: parcere subjectis. — Ma il Conte, tutto assorto nei suoi pensieri, sbalordito198 egli stesso di tanta mutazione, intento a raccogliersi,199 a riconoscersi, per cosi dire, agitato200 dai rimorsi, dal pentimento, da una certa gioja tumultuosa, corrispose appena macchinalmente con una201 piegatura di capo, e con202 un aspetto, sul quale si confondevano tutti questi sentimenti in una espressione oscura e misteriosa, che lasciò Don Abbondio ancor più sopra pensiero di prima. Il Cardinale,203 si trasse in un angolo della stanza col Conte che teneva per mano e gli disse: «Vi pare egli, amico, che la cosa vada bene cosi? Siete contento di queste disposizioni?»
«E che?» rispose il Conte commosso e umiliato, «dopo aver tanto tempo fatto il male a modo mio204 dovrei ora dubitare di lasciarmi governare nel ripararlo? e da Federigo Borromeo?»
«Da Dio tutti e due,» rispose questi, «perché siamo due poveretti.205 Andate,» continuò poi con tuono affettuoso e solenne; «andate, figliuolo mio diletto, a toglier di pene una creatura innocente, a gustare i primi frutti della misericordia; io v’aspetto, voi tornerete tosto, non è vero?206 noi passeremo insieme tutte le ore d’ozio, che mi saranno concesse in questa giornata!»
«Se io tornerò?» rispose il Conte. «Ah! se voi mi rifiutaste,207 io mi rimarrei ostinato alla vostra porta come il mendico. Ho208 bisogno di voi! Ho cose, che non posso più tener chiuse in cuore e che non posso dire ad altri che a voi. Ho bisogno di sentir quelle parole, che voi solo potete dirmi.»
Federigo in risposta gli strinse la mano,209 si avvicinò ad un tavolino, scosse un’altra volta il campanello; e tosto entrò un ajutante di camera,210 cui egli impose che facesse tosto apprestar la lettiga, la quale stesse agli ordini del curato di Chiuso, e facesse bardare due mule, che dovevano servire di cavalcatura ai due presenti. Dato l’ordine, riprese la mano del Conte, e s’avviò verso la porta211 della stanza; ma veduto, passando, il nostro Don Abbondio, che stava212 tutto pensieroso e come ingrugnato, pensò, il buon cardinale, che quegli forse avesse avuto permale di vedere quel facinoroso cosi accarezzato e distinto, e sé negletto in un canto.213 Si fermò tosto, e rivolto al curato con un sorriso amorevole e quasi di scusa, e con quel tratto cortese che214 tanto raro a quei tempi, in cui215 i modi comuni erano trascuratezza superba, o cortigianeria iperbolica, gli disse: «Figliuolo,216 voi siete sempre con me nella casa del nostro Padre comune, ma questi, questi... perierat et inventus est.» Don Abbondio rispose con un sorriso forzato, al quale voleva far dire: — certo è una gran consolazione— ; ma in cuor suo tra sé e sé, rispose,217 con una frase proverbiale lombarda: — meglio perderlo che trovarlo — . Il Cardinale si avviò ancora verso la portiera;218 quando fu presso, l’ajutante di camera spalancò le imposte, e Federigo,219 traendo per mano il Conte che lo seguiva con gli occhi bassi e con la fronte umiliata, uscí nell’altra stanza, dove220 il clero,221 che lo accompagnava nella visita, e quello raccolto dalle parrocchie del contorno, stava ragunato aspettando. Tutti gli sguardi furono levati in un punto222 ai vólti di quella coppia mirabile, sui quali era dipinta una commozione diversa, ma egualmente profonda: una gioia, una tenerezza, una estasi tranquilla223 sui tratti venerabili di Federigo, e su quelli224 del Conte225 i vestigi d’una grande vittoria e d’un grande combattimento, il contrasto tra le feroci passioni che partivano e le nuove virtù, un abbattimento che 226 mostrava tuttavia il vigore di quella selvaggia e risentita natura.
227 A più d’uno dei riguardanti sovvenne allora di quelle parole d’Isaia:228 II lupo e l'agnello pascoleranno insieme; il leone participerà alla profenda del bue.229 Il Cardinale s’arrestò ref>nel mezzo della stanza </ref> un momento poco di là della soglia, abbracciò ancora il Conte, il quale non ebbe tempo di ritirarsi, e gli disse: «v’aspetto»; salutò della mano Don Abbondio,230 e mostrò di volersi avviare alla sacristia:231 parte del clero lo precedette, altri lo circondarono, alcuni gli tennero dietro, e la comitiva partí, giunse alla sacristia, dove il cardinale si vestí degli abiti solenni, ed uscí nella chiesa affollata a celebrare gli ufficj divini.232 Quando fu cantato il Vangelo, 233 il Cardinale parlò dall’altare al popolo, come era suo costume. In quel tempo, in cui la carestia era l’idea la più famigliare, e l’affare il più importante,234 si diffuse egli con eloquenza cordiale a parlare di pazienza e di liberalità; a far sentire ai poverelli il bene, che potevano cavare dai patimenti irrimediabili, agli agiati, il bene che potevano235 farsi col rimediare a quei patimenti che236 avessero potuto: e le parole dell’uomo di Dio, produssero ivi come da per tutto il doppio effetto ch’egli cercava; perché quelle parole erano rese ancor più potenti dal soccorso e dall’esempio.237 Le largizioni abituali di Federigo, le quali non avevano altro limite che il suo avere,238 gli avevano data una fama già antica di239 carità singolare; ma le angustie di quel tempo avevano resa la sua carità ancor più attiva e più ingegnosa; e da per tutto si parlava del gran numero di poveri da lui nudriti quotidianamente240 nella città, e dei mezzi da lui trovati per soccorrerli, per non perderne uno, se fosse stato possibile.241 Peregrinando poi nella diocesi per visitarla, egli non avrebbe avuto il cuore di vedere delle miserie senza sollevarle, di242 esortare altrui alla pazienza, alla carità, con le mani chiuse;243 quindi i poverelli dei paesi, dov’egli244 arrivava, erano certi di trovare un soccorso, di non patire per quel tempo che avrebbero avuto fra loro il pastore. Né questo solo esempio si contentava egli di dare: sobrio245 in ogni tempo,246 in quelli della carestia egli247 si misurava ancor più scarsamente il cibo: voleva detrarre a sé tutto ciò che248 poteva sollevare altrui; non gli pareva di compatire davvero ai suoi poveri se non pativa con essi;249 voleva mostrare col fatto che i disagi del vitto erano pur tollerabili, che si poteva anche in mezzo a quelli benedire il Signore, che si poteva non solo sostenerli con rassegnazione, ma eleggerli volonterosamente.250 I quali sensi sono espressi in quelle sue belle parole: Sarebbe cosa molto disdicevole vedere grasso il pastore e macilenti le pecore. 251 Ma nel discorso che Federigo tenne in quel giorno, uscivano di quando a quando, come dall’abbondanza del suo cuore, parole più magnifiche, più tenere,252 sulla misericordia, sulla conversione sulla vita futura; le quali erano intese da quelli, che lo avevano veduto col conte, e in parte anche dal popolo, sul quale s’era sparsa confusamente la notizia della gran mutazione: e quegli, che erano soliti di udirlo, ebbero a dire che in quel giorno v’era nel suo dire qualche cosa d’ispirato e di celeste oltre l’ordinario. 253 Terminato il discorso, compiuto il Sagrificio, attese egli alle altre 254 funzioni del suo ministero per lunghissima ora, con quell’ardore suo solito, con quella intensità volonterosa e continua, che non lasciava nemmeno da sospettare255 che vi fosse nelle sue azioni uno sforzo da lodare, un tedio vinto, una tolleranza virtuosa alla fatica.
Intanto il Conte e il curato erano rimasti soli nella stanza;256 e la coppia era, in un altro senso, non meno mirabile di quella prima.
Don Abbondio, nojato del presente e inquieto dell’avvenire, ruminava257 fra sé che cosa potesse dire a colui, per assaggiarlo, per conoscere l'umore della bestia, giacché,258 di voglia o di forza, doveva259 trovarsi con quella, e accompagnarla nella sua caverna; ma il pover uomo non sapeva raccappezzare un pensiero, una frase che stesse bene. — Potrei, — andava masticando fra sé, — potrei dire: mi rallegro ... buono! se mi domanda di che,260 come posso rispondere?261 mi rallegro vuol dire che finora non c’era da rallegrarsi, vuol dire che egli era un gran birbone. Costui è un matto furioso. E se la piglia per traverso? È meglio parlare 262 di cose estranee. — 263 E appena 264 avuta questa ispirazione, Don Abbondio stava per dire: la giornata265 è un po’ rigida; ma non è da stupirsene; siamo tra le montagne e ai ventidue di novembre. Ma si266 pentí tosto anche di questa risoluzione: perché267 diceva egli fra sé: — non vedi come è accipigliato, meditabondo, turbato? Se gli fo motto di simili corbellerie, mi può rispondere in furia, e togliermi il coraggio di andare... andare! bisogna andare. Oh che faccenda! oh che impiccio! Oh quando potrò contarla a Perpetua, e dire: è andata bene!
268 Cosí si angariava il pover uomo,269 cercando 270 nella sua mente qualche materia di discorso, e rigettando questa perché 271 troppo ardita, quella perché troppo volgare; come un povero scrittore che abbia a fare con un pubblico difficile. Se il Conte avesse potuto sospettare che la mente di Don Abbondio era ad una simile tortura, gli avrebbe tosto272 cercate le parole più atte a dare sicurezza anche ai pusillanimi, avrebbe fatto in modo d’infondere ogni coraggio a Don Abbondio; poiché il timore, ch’egli ispirava, sarebbe stato per lui in quel momento un rimprovero doloroso, un ricordo di tutto ciò273 ch’era stato in lui di feroce e d’ingiusto, di ciò ch’egli allora detestava e voleva riparare. Ma per disgrazia di D. Abbondio, era il Conte talmente occupato dei suoi pensieri, talmente distratto da tutto ciò che non era egli, il cardinale, e Lucia, che non si avvedeva per nulla della tempesta, che bolliva nell’animo del suo compagno; e a dir vero non si ricordava quasi ch’egli fosse presente.
Giunse alla fine l’aiutante di camera, a dire che tutto era in pronto. Don Abbondio guardò allora al Conte, il quale alla prima parola intesa s’avviò:274 s’accorse allora di D. Abbondio, e lo riverì, 275 come si fa a persona che sopraggiunga;276e quindi, trovandosi già presso alla porta, continuò il suo cammino, seguendo l’aiutante di camera. D Abbondio, che aspettava questo momento, per vedere se il Conte gli usasse un atto di cerimonia, anzi di civiltà, e pigliarne buon augurio, fu contristato della poca buona creanza del Conte; 277 e gli tenne dietro con l’animo sempre più sconsolato. 278 Ma il Conte, come abbiam detto, era troppo sopra pensiero per ricordarsi del cerimoniale.
Scesi nel cortiletto della casa parocchiale, trovarono la lettiga, con entro la donna, instrutta dal buon curato; e presso alla lettiga le due mule, tenute279 per la briglia da due palafrenieri. Salirono entrambi in silenzio; i lettighieri 280 uscirono, per porsi sulla via che conduceva al castello; e i due cavalieri,281 su le mule, sempre guidate a mano dai due palafrenieri, la cui compagnia fu molto gradita a D. Abbondio,282 seguirono posatamente 283 la lettiga.
Note
- ↑ ch’e
- ↑ fin tanto
- ↑ Ed ecco entrare il Cappellano Crocifero,
- ↑ rispo
- ↑ Qui segno di richiamo, e a margine, in penna: «Mi spiace: non saprei dir bene il perché: mi pare una profezia d’Autore è un caso strano che il Card. azzeccasse con una parola detta a caso in un miracolo vicino. Non sarebbe meglio star più sulle generali; e fargli rispondere: - ed anche di dar l’occasione di operare qualche bene e di stornare qualche male — ?»
- ↑ re
- ↑ spinto
- ↑ volesse
- ↑ il [buon] placido
- ↑ quando
- ↑ Variante affezione
- ↑ [: il villaggio è pieno di popolo, la casa stessa del Curato è circondata (lacuna) Rimandi costui] A rimandare costui non v’è pericolo: il villaggio è piena di popolo [la casa] questa casa sia tutta circondata, e foss’egli Sansone [non potrà osare] non potrebbe intraprendere una violenza. Ma s’egli entra,...
- ↑ Via, via
- ↑ severità
- ↑ aver
- ↑ Via, gi
- ↑ Già egli
- ↑ la quale parola nel senso in cui
- ↑ sempre solo solo in
- ↑ da
- ↑ gli si avvicinò
- ↑ era
- ↑ un cenno
- ↑ [agli] al
- ↑ fusci
- ↑ oltre a
- ↑ Sic.
- ↑ tost
- ↑ que
- ↑ disse: dov’è il curato di questa chiesa? - Son qui rispose il curato, alquanto di | con più premura che [in | apparente] che buona voglia. Il Conte gli consegnò quel fascio, dicendo:
- ↑ curato,
- ↑ lo prese,
- ↑ come se fosse stato un bambino
- ↑ giungeva
- ↑ A margine, in penna: « . punto fermo ».
- ↑ [il pensiero, l’immaginazione] il pensier
- ↑ [sarebbe stato per lui] sarebbe stato per lui
- ↑ tanto lontano da lui, come lo sarebbe ad u
- ↑ Entrò egli
- ↑ fissi gli occhi
- ↑ della vecchiezza, le astinenze, lo studio, avevano [fatta sparire dal
- ↑ questo nome ricorda
- ↑ molti anni prima —
- ↑ gravi e
- ↑ il contegno
- ↑ lunga vita [vi avevano impresso], avevano condotto su quel vólto stesso [una] per cosi dire [lo splendore] lo splendore d’una bellezza senile; [che] la quale si esprimeva mirabilmente in tutti i moti; e rivelava le infinite bellezze dell’animo inavvertite, spiccava ad ogni parola
- ↑ in quello s
- ↑ Variante quel semplice fasto
- ↑ [che nuda di] che investiva il | che
- ↑ senza
- ↑ Ad ogni moto A margine, in penna: «poiché vedo che sei andato cincischiando mi permetto una cincischiata anch’io a quella bellezza smarrita già da più anni - una bellezza senile la quale spiccava ancor più nella semplicità maestosa della porpora che nuda d’ornamenti ambiziosi tutto ravvolgeva il vecchio-.»
- ↑ , per cosi dire il tuono di
- ↑ A margine, in penna: «. punto fermo. - Benché Federico non sentisse - »
- ↑ con
- ↑ personaggio aveva che fare e ritroso cavallo aveva da maneggiare
- ↑ Variante animale
- ↑ si trovava
- ↑ guastarlo
- ↑ [aspettando una | con l’espressione | del vólto faceva | serena e unica del vólto faceva animo al Conte a parlare | cercava di fare animo al Conte | invitava il Conte a parlare | con quella serena espressione | con quel | con la serenità del vólto | con quella espressione di benevolenza che è dettata | invitava il Conte a parlare con la | e fa]
- ↑ quell’
- ↑ A margine, in penna: «. punto fermo ».
- ↑ A margine, in penna: «da una inquietudine curiosa, da una smania inesplicabile ».
- ↑ indistinta che da un disegno chiaro
- ↑ che si a...
- ↑ errate certamente
- ↑ che
- ↑ voi
- ↑ la
- ↑ di
- ↑ vi ha fatto | e mi dà la gioja
- ↑ certo
- ↑ vi sarò grato
- ↑ A margine, in penna: « . punto fermo ».
- ↑ continuò
- ↑ ancor più affettuosamente
- ↑ A margine, in penna: «e basta, lascerei l’altro inciso per la ragione detta poc'anzi e perché è troppo precisare».
- ↑ quegli
- ↑ ch’egli
- ↑ Foss’anche vero tutto quello che dicono
- ↑ Variante la mia sola consolazione è nel
- ↑ Dicendo que (lacuna)
- ↑ A margine,in penna: « - da spiritato - è troppo.»
- ↑ Che farà Dio di voi?
- ↑ Cavare da voi quella
- ↑ Variante Cavarne
- ↑ [gran] testimonio illustre
- ↑ è la
- ↑ sarà
- ↑ [della vo] della vostra potenza
- ↑ A margine, in penna: «. punto fermo ». Cancellato Ma quando voi conoscerete voi stesso
- ↑ verrà da una bocca in cui certo non si può sospettare
- ↑ per sempre
- ↑ Dio
- ↑ Segno di richiamo, in penna, ripetuto a margine, con: «Se fossi io (e non avrei saputo fare il resto) troncherei il dialogo alle parole: - con una faccia convulsa: - ma mi rimetto al parere di chi sa meglio di me che sia convertire ed essere convertito. Si può anche cominciare la lacuna al luogo segnato. Mi pare poi che qui converrebbe accennare il passo del Ripamonti, perché il miracolo venga alla prima giustificato dalla storia. Dire per es. che il Ripamonti fa menzione d’un altro colloquio dopo il quale codesto Conte fu tutt’altr’uomo: ma non lo riferisce: che l'anonimo tuo deve aver riportata questa prima conferenza ove l’animo del terribile capo de’ banditi fu tocco dalla grazia e dopo il quale solo restava quel trambusto d’idee e di confusi sentimenti che non poteva a meno di aver luogo per alcune ore: che è un peccato che dopo le ultime parole trascritte ci sia una lacuna d’alcune pagine, segno che quella prima conferenza non fu breve; che è uno scarso compenso il trovare almeno nelle prime parole del manoscritto dopo la lacuna una pennellata della selvaggia ed avventata natura del Conte non dissimile in questo da molti energici fra’ suoi contemporanei.»
- ↑ La faccia del Conte (lacuna)Il vólto (lacuna)
- ↑ e
- ↑ il pianto,
- ↑ lasciarono
- ↑ A margine, in penna, con legame evidente alle osservazioni precedenti: «La faccia del Conte, segue dunque a leggersi nel manoscritto nostro ecc. - Ommetterei per altro l’idea incidente - che dall’infanzia non conosceva le lagrime - perché contraddice allo stato d’ondeggiamenti e rimorsi abituali che hai progettato di supporre in lui. Il resto è una galoppata di un cavallo arabo.»
- ↑ al cielo
- ↑ con una violenza amorevole, prendendogli la m
- ↑ mansueta
- ↑ fra [quelli] quello
- ↑ e voi intanto
- ↑ io, o
- ↑ Chi sa che Dio [che] il quale ha operato in voi ora questo prodigio di mi (lacuna) Il popolo
- ↑ ne
- ↑ la
- ↑ forse lo spirito li fa pregare [per] e render grazie per voi
- ↑ cedette, e stra
- ↑ Federigo, e stette alquanto
- ↑ Variante terribile
- ↑ [del ma] dell’au | seno
- ↑ e le mani incolpevoli di questo [prendevano]stringevano quelle membra, [stringe] premevano quelle vesti dove un momento prima erano appese
- ↑ Dopo un
- ↑ :parlate; parlate
- ↑ A margine, in penna: «per non cadere in contraddizione coi discorsi supposti nella lacuna puoi dire facilmente: - parlate parlate di nuovo ora che siete con me -. Io non so fare l’ascetico:-qui term:ecc.».
- ↑ quello che più vi tormenta, si addolcirà
- ↑ si addolciranno
- ↑ [e non] (parola illeggibile) e non vi pungeranno che
- ↑ almeno
- ↑ [rapimento] ratto
- ↑ Cardi
- ↑ all'udire
- ↑ delle angoscie
- ↑ sventurata
- ↑ la libertà d'una persona
- ↑ [sui] ciò ch'io non posso ritenere senza
- ↑ il cappellano
- ↑ poiché stava in timore come
- ↑ s’era
- ↑ in lacr
- ↑ un momento
- ↑ A margine, in penna : «.punto fermo».
- ↑ d’un
- ↑ guardò nella brigata
- ↑ Quindi si | col
- ↑ uno di quegli uomini che
- ↑ sola
- ↑ Pio
- ↑ in amore fervente di Dio e degli uomini | la legge
- ↑ A margine, in penna: «e basta cosi mi pare anche dopo che ho saputo la tua intenzione di fare un ritratto. Attaccherei alle parole: - Se ogni uomo . . . utopisti più confidenti - ecc. ».
- ↑ di fare
- ↑ e l’idea che egli ne
- ↑ [come] come lo zelo
- ↑ nella
- ↑ fu una | il suo cadavere su la
- ↑ Si guardavano | pareva ad essi
- ↑ rende
- ↑ per
- ↑ Egli si spinse
- ↑ Segno, e a margine, in penna: «Lascerei i paternostri del Curato. Era padrone di casa, ed è impossibile che non avesse da esercitare allora l'ospitalità delle parole - circostanza inutile a dirsi, ma da non escludersi implicitamente.»
- ↑ andare
- ↑ la prima cagione
- ↑ Segno, e a margine, in penna : « - di tutto questo guazzabuglio - ? Capisco, ce que vous pensez vaut mieux que ce que vous avez dit.» Poi: « . punto fermo».
- ↑ che [ave] annunziava [una gran] qualche cosa di grande, | e ciò che prem | cose grandi
- ↑ cose
- ↑ [con] aspettando
- ↑ che
- ↑ [lo richiese se avesse] lo pregò che cercasse tosto | e quello ch’egli voleva fare](lacuna) lo pregò se gli sovvenisse tosto di una donna seria e caritatevole, che si potesse tosto spedire in lettiga al castello a prender Lucia, affinché questa si trovasse tosto con una donna condotta |infelice
- ↑ come
- ↑ richiese se gli
- ↑ Monsignore
- ↑ non avrebbe A margine, in penna:« - era avaro di parole quando era affrettato per eseguire un suo dovere, come - ecc.».
- ↑ Allora
- ↑ o in salvo
- ↑ Non so nient
- ↑ accenna
- ↑ Mi toccherà contare [questa] la storia
- ↑ ricondurla
- ↑ come
- ↑ a prendere questa giovane
- ↑ Darò
- ↑ [con] con aria
- ↑ manda
- ↑ faccende
- ↑ misericordia
- ↑ erano più
- ↑ [dei] dei
- ↑ per
- ↑ [egli non avreb | egli avrebbe] ch’egli avrebbe voluto esporre all’
- ↑ Segno,e a margine, in penna:«.punto fermo».
- ↑ risoluzioni
- ↑ e lo riempiva di paura: ma questa
- ↑ questa paura
- ↑ quando
- ↑ questo
- ↑ guatava
- ↑ ispido
- ↑ [lo sente | lo dim] lo sente dire
- ↑ lodare il cane
- ↑ in fondo
- ↑ fa moto | avvicinargli
- ↑ al menomo atto quella bontà vantata non riesca una maledetta furia;
- ↑ allontanarselo
- ↑ maledice,
- ↑ Segno, e a margine,in penna: «.punto fermo».
- ↑ del suo cangiamento inter
- ↑ a ravvisarsi
- ↑ dalla
- ↑ un inchino
- ↑ vólto
- ↑ accennò
- ↑ non mi lascerò
- ↑ Ora voi tornerete tosto da me, d. Abbondio. Bene, io [v’aspetto di ritorno] aspetto ansiosamente il vostro ritorno.
- ↑ voi
- ↑ rispose il Conte,
- ↑ Segno e a margine, in penna:«cioè - altre cose -, per cagione di quella lacuna».
- ↑ e tenendola sempre,
- ↑ al quale
- ↑ per u
- ↑ in un canto
- ↑ Segno, e a margine, in penna:«.punto fermo».
- ↑ Sic; ma spiegabile con la cancellatura veniva in lui dalla cortesia dell'animo,
- ↑ tutto era
- ↑ A margine: «Luc. 15. 21».
- ↑ a meglio perderlo che trovarlo
- ↑ Segno, e a margine, in penna: «. punto fermo ».
- ↑ uscí tenendo
- ↑ il clero lo stava aspettan
- ↑ Segno, e a margine, in penna: «- che lo accompagnava -, grammaticalmente si riferisce al Conte». —
- ↑ ai vólti
- ↑ su le forme
- ↑ del Curato di Chiuso
- ↑ [un] le vesti
- ↑ rimaneva ancora là senza di
- ↑ Segno, e a margine, in penna:« -Forse ad alcuno- direi».
- ↑ Il leone e l’agnello — E a margine: «Vs. 65, 25»
- ↑ [participerà | il leone dividerà col bue la profenda] il bue e il leone staranno ad una stessa profenda
- ↑ e si mossero
- ↑ il clero lo precedette, e non rimase nella stanza altri
- ↑ Segno, e a margine, in penna : «e basta fino alle parole - Intanto il Conte e il curato-etc.»
- ↑ salí
- ↑ parlò
- ↑ ricavare
- ↑ se era in lo | po
- ↑ La liberalità
- ↑ Variante facevano procedere il suo nome da
- ↑ di una sincera
- ↑ in vesco
- ↑ Ma
- ↑ sostarle
- ↑ faceva egli
- ↑ si trovava
- ↑ mai sempre
- ↑ egli era
- ↑ era divenuto
- ↑ non avrebbe potuto
- ↑ e sentendo
- ↑ Il quale sentimento
- ↑ A margine:(Rivola, libro VI, cap. 8, pag. 671)
- ↑ più eloquenti
- ↑ [Dopo il discorso] terminò egli il va
- ↑ lunghissime
- ↑ che [in qu] in quelle fatiche fosse da lodarsi in lui [una] la tolleranza delle fatiche
- ↑ accoppiati non meno singolarmen
- ↑ fra sé che cosa potesse dire a colui per assaggiarlo
- ↑ di forza o di voglia doveva andare con esso nella sua caverna
- ↑ stare
- ↑ [giacché] e ne vuol
- ↑ mi rallegro che siate diventato un galantuomo
- ↑ del tempo
- ↑ E dopo qu
- ↑ fatta
- ↑ è assai ri
- ↑ avvide
- ↑ [diceva] egli:
- ↑ Se il Conte avesse potuto
- ↑ [vole] rigettando tutti i discorsi
- ↑ [proferire e | sul) parole da dire rigettando come troppo volgari, e come (lacuna)
- ↑ [inopportuna] scabrosa
- ↑ [tòlta] fatta sparire ogni sollecitudine con le parole le più atte a dar
- ↑ che la sua vita aveva
- ↑ il Conte
- ↑ Segno, e a margine, in penna: «gli fece un cenno di saluto».
- ↑ alla porta D. Abbondio si ritirò per lasciar passare il curato: questi voleva far cerimonie e quindi continuò il suo
- ↑ Ma Segno, e sottolineatura a della . .. poco buona creanza del Conte e a margine, in penna: «troppo, perché i grandi signori passano prima dei preti - crede anche Mellerio.
- ↑ Segno verticale accanto a due righe, e a margine, in penna: idem».
- ↑ [pel| in —
- ↑ partirono mettendosi
- ↑ [tennero] seguirono
- ↑ [seguiron] si mossero
- ↑ dietro la lettiga misurando il passo delle loro cavalcature con quello dei portatori
suo vólto] tramutate ed offuscate nel suo vólto quelle forme, alle quali | partire