Gli amori di Alessandro Magno/Atto III

Atto III

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Atto II Atto IV

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Alloggiamenti militari del campo de’ Macedoni con padiglioni, fra quali il padiglione di Alessandro.

Alessandro, Efestione, Leonato, Guardie.

Alessandro. Che pretende Rossane?

Efestione. Un sol momento
Che tu pensi, o signore, alla fortuna
Che un dì dell’amor tuo degna la rese,
Rilevare potrai le sue pretese.
Alessandro. Sì, l’amai, non lo niego. Il dì fatale
Che il barbaro Osiarte
Per onorar la mia partenza ha unite

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Trenta vaghe donzelle ad un convito,

Mi ha la bella Rossane il cor ferito;
La beltà del suo volto, i suoi costumi,
I sovrani pensieri, il cor gentile
Mi fè stupir, che in barbara nazione
La natura volesse
Mostrare il suo poter. Premiar proposi
Il merto e la virtù. Quel cor sublime
Parvemi non indegno
Dell’amante mio core e del mio regno.
Sì, la destra a Rossane
Promisi, è ver, e l'averei serbata
Solamente per lei. Ma i capitani
E i soldati medesmi e i cari amici
Mormorar si sentiro. Ogni un sdegnava
Ch’io rendessi mia sposa una mia schiava.
Dissi allora a me stesso: Avrò la terra
Conquistata con gloria, ed in mercede
Del favor degli Dei
Macchierò di vil sangue i figli miei?
No, debitore io sono
All’impero del mondo
Di un degno successor. Soffri, mio core,
Che passion ceda e che trionfi onore.
Leonato. O del cor d’Alessandro
Magnanima virtù! vincer gli affetti
È la maggior vittoria
Che può accrescere i lauri alla tua gloria.
Efestione. Signor, ai tuoi pensieri
Questo aggiunger ti piaccia. Una donzella
Che dicesti d’amar, ti segue al campo;
Qual sarà il suo destin?
Alessandro.   Pietà, giustizia
Mi ragionan per lei. Fra miei seguaci
Destra mancar non puote

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Degna del suo bel cor. Colui che sposa

Rossane avrà, de’ miei tesori a parte
Prodigo renderò.
Efestione.   Sire, è gran tempo
Che ho l’onor di servirti. In me la turpe
Avidità dell’oro
Sai che regnar non sa. Non per l’offerta
Generosa mercè, ma perch’io stimo
Di Rossane il bel cor, perchè congiunte
Tante belle virtudi in essa io vedo,
Di Rossane la destra umil ti chiedo.
Alessandro. Sì, l’avrai, se la brami. Il tuo valore
Degno è di possederla; ella non merta
Meno del tuo valor. Di Caria il regno,
Che giovanetto ancora
Ada, illustre regina,
Adottandomi in figlio a me concesse,
Dote sia di Rossane. A lei ti porta.
Dille che se all’affetto
Ch’io nutriva per lei, ragion si oppone,
Che se ceder m’è forza
A te le luci sue vaghe e leggiadre,
Se suo sposo non son, le sarò padre.
Efestione. Sì, mio re, il suo cordoglio
Studierò di temprar. Vogliano i Dei,
Che nell’offrirle di mia destra il pegno,
Il mio core di lei non creda indegno. (parte

SCENA II.

Alessandro, Leonato e Guardie.

Leonato. Signor, quest’atto illustre

Onde vinci te stesso, ognor più caro
Alla terra ti rende. Il mondo aspetta

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Impaziente vederti

Una compagna, una regina al fianco.
Alessandro. Sì, Leonato, il mio core
Seconderà de’ miei vassalli i voti.
Scelta ho già la compagna. Il regio sangue
Degno sarà di me; la sua virtude,
Degnissima d’impero,
Farà grata la scelta al mondo intero.
Leonato. Degno son io, signore,
Di sapere a qual destra
11 mio monarca aspira?
Alessandro. A una figlia di Dario.
Leonato.   A chi? (con ansietà
Alessandro.   A Statira.
Leonato. (Ah! tremai per Barsina). Il nodo è tale,
Che maggior sulla terra
Non può amore formar. Ma la donzella
Vi acconsente, signor?
Alessandro.   Sì, di nemica
Divenne in un istante
Del pietoso mio cor tenera amante.
Il suo stato infelice, il padre oppresso,
Le temute catene, a cui l’espone
La ragion della guerra, un atto illustre
Di mia pietà, le generose offerte,
E i miei sguardi fors’anco, e i miei sospiri
La piegaro ad amarmi. È da gran tempo,
Ch’ella piacque a’ miei lumi, io piacqui ai suoi,
Or ad onta del fato
Che nemici noi rese, il primo affetto
Ci riscaldò più dolcemente il petto.
Leonato. Ella è degna d’amor. Ma dimmi, o sire,
Vedesti ancor Barsina,
Di Statira germana?
Alessandro.   Agli occhi miei

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Non apparve per anco.

Leonato.   Ah! ch’io la vidi,
E mi accesi di lei. Deh! se il mio core,
Deh! se il mio sangue, indegno
Di unirsi al sangue tuo, signor, non credi,
La real principessa a me concedi.
Alessandro. Sì, Leonato, il tuo grado,
La tua fede, il valor, la regia stirpe
Di cui sei successor, merta che teco
Sia congiunto Alessandro. E qual lusinga
Hai sul cor di Barsina?
Leonato.   Ah! se la speme
Ingannarmi non tenta, io non la credo
Nemica all’amor mio. Ne’ brevi istanti
Che seco ragionai, parvemi accesa
Dal desio di piacermi, e il mio sembiante
Non dispiacque ai suoi lumi. E ver che il nome
Ad arte simulai, ma se a lei torno
A favellar sincero,
Il suo bel cor di conquistare io spero.
Alessandro. Ecco l’idolo mio. Vedi Statira,
Vedi quanta beltà! vedi se merta
Dell’imperio del mondo esser sovrana.
Leonato. Mira quanto è gentil la sua germana.
Alessandro. È Barsina colei?
Leonato.   Barsina è quella.
Alessandro. E più giovane, è ver?
Leonato.   Di’ ch’è più bella.

SCENA III.

Statira, Barsina e detti.

Statira. Signor, la tua fortuna (sostenuta, e in modo che

Barsina non s’avveda a chi parla dei due
Non isperar che favorir mai sempre

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Vogliano i giusti Dei. Le tue vittorie

Ti hanno reso superbo, e onesto credi
Tutto quel che a te piace,
O godi almen nel comparire audace.
Alessandro. Qual linguaggio è codesto?
Statira.   Il regio sangue
È protetto dal Ciel. Se della Persia
Due germane reali oltraggia il fato,
A te però non lice
Il destino di noi far più infelice.
Alessandro. Questi sdegni novelli...
Statira.   E d’onde, ingrato,
Le donzelle reali
Apprendesti a insultar? Vanne, che il Cielo
Quanto t’inalza più, tanto più orrendo
Ti aprirà il precipizio. Al padre mio
Non la finta pietà, ma la perfidia
D’Alessandro svelai. Besso gli reca
In un foglio i miei sensi. Aspetta, aspetta,
O da Dario o dal Ciel la mia vendetta. (parte

SCENA IV.

Alessandro, Leonato e Barsina.

Leonato. Signor, quest’è l’amante

Che sospira per te?
Alessandro.   (Sogno, o son desto?
Eterni Dei, che cambiamento è questo?)
Leonato. Adorata Barsina...
Barsina.   Il nome mio,
Empio, non proferir. Quest’è la gloria
De’ Macedoni invitti? È questo il pregio
D’un eroe vincitore? Una donzella
Insultare, tradir, virtù s’appella?

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Leonato. Questo a me?

Barsina.   Se dal Cielo
S’odono i voti delle genti oppresse,
Tanti ne manderò, fin ch’io ti vegga
Svergognato perir. Cangia fortuna
I suoi doni sovente, e ancora io spero
Avvillito mirar quel ciglio altero. (parte

SCENA V.

Alessandro e Leonato.

Alessandro. Leonato, è questo il core

Che tu speri acquistar?
Leonato.   Confuso, oppresso,
Sono per lo stupor fuor di me stesso.
Alessandro. Che facesti a Barsina?
Leonato.   E tu, signore,
Come irritasti di Statira il core?
Alessandro. Giuro agli eterni Dei, pietà, rispetto
Ebbe solo da me.
Leonato.   Ragion non vedo
Del furor di Barsina. (Ah! la scoperta
Che Alessandro non son, mosse il suo sdegno).
Alessandro. (Ah! Rossane l’irrita a questo segno).
Va, Leonato, raggiungi
Le germane sdegnate. Alla maggiore
Di’ che se il cor le punge
Di Rossane l’arrivo, in van paventa.
Dille che d’una schiava
Posso sentir pietà, senza oltraggiare
Il mio amor, la mia fede. A lei prometti
Fido il cor d’Alessandro, un core acceso
Dalla rara beltà degli occhi suoi.
Leonato. E a Barsina, signor?

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Alessandro.   Di’ quel che vuoi.

Leonato. Sì, per te facilmente
La principessa irata
Spero veder placata. (Ah! di Barsina
Temo non superar Io sdegno altero,
Se l’accende il desio d’un vasto impero. (parte

SCENA VI.

Alessandro solo.

Alessandro. Per sì lieve cagione

Insultar, minacciar? come sì presto
Cesse il loco allo sdegno
Il più tenero amor? Come ad un tratto
Mi comparve costei cangiata in viso?
La fierezza del padre in lei ravviso.
Alessandro, che fai? Per sempre esponi
Te medesmo agl’insulti. Un’alma altera
Moderarsi non sa. Donna superba
Che la fierezza ostenta,
Dell’imperio del mondo è mal contenta.
Statira in fra i disastri
Orgogliosa si mostra, e qual sarebbe
Tra gli applausi e gli onori? Il trono augusto
Non basterebbe a saziar la brama
Dell’orgoglio e del fasto. Ed io che aspiro
D’eterna pace assicurar la terra,
Mi procuro nel sen perpetua guerra?
Oh natura infelice! Oh cuore umano!
Or non parla Alessandro
Il vincitore, il domator del mondo,
Parla l’uom che risente
Delle nate con noi passioni il peso.
Questa bella metà dell’uman germe

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Amar, servire, desiar m’è forza;

Ma qual poter mi sforza
A una nemica in preda
Consacrare il mio cor? Vinca natura,
Ma ragion non perisca; e se l’interno
Incognito desir sprona all’affetto,
Sia conforto la sposa e non dispetto.

SCENA VII.

Rossane e detto.

Rossane. (Eccolo. Ah! nel vederlo

Cessa dell’ira il foco,
E riprende l’amore il primo loco).
Alessandro. (Oh dei! Rossane è questa! E perchè mai
Un sì bel core, o Numi,
Collocare nel sen di schiava umile?
Ma chi apprezza virtù, non è mai vile).
Rossane. Alessandro, perdona,
Se in mezzo alle vittorie
Vien Rossane infelice
I tuoi trionfi a funestar col pianto.
So che del tuo gran core
Fiamma indegna è una schiava. Il mio sovrano
Poco non fa, se un guardo
Getta sul mio sembiante,
E so quanto il mio grado è al suo distante.
Pur fra i pensier che a gara
Avvilir mi vorriano, ancor mi resta
La memoria felice,
Ch’io ti piacqui una volta, e che scordato
L’onor di tua grandezza,
Tu mi rendesti ad adorarti avvezza.
Quella son, quel tu sei. Creder non posso

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Dell’eroe della terra

Debile il cor, nè mancatore. Un giorno
Tu m’amasti, lo so: dunque d’amore
Degna parvi ai tuoi lumi. Un Alessandro
Per chi amore non merta, amor non sente,
E quando ama una volta, in van si pente.
Lo so che. i tuoi guerrieri
Fan violenza al tuo cor. So che condanna
Talun le nozze mie. Ma tu sovrano
Non saresti di lor, se i propri affetti
Sacrificar dovessi
Al desio de’ vassalli. Ah I pensa, o caro.
Alle belle speranze,
Onde per te seguir fra le tue squadre
Lasciai la patria, e abbandonato ho il padre.
Alessandro. (Ahi! le querule voci
Mi piombano sul cor. Quanto diversa
È una bella che priega e che sospira,
Da un’ingrata che ostenta orgoglio ed ira).
Rossane, i tuoi begli occhi
Se mi piacquero un giorno, ancor non hanno
Perduto il lor poter1. Perdona, o bella,
Se cedendo al dover di buon sovrano,
Mi scostai dal tuo foco. In ogni evento
Certa di mia pietade esser tu dei,
Fosti degna d’affetto, e or più lo sei.
Rossane. Signor, quella pietade,
Di cui tu mi assicuri, aspira forse
D’Efestione al nodo
Accoppiar la mia destra? Ah! ti rammenta
Ch’io d’Alessandro non amai l’impero,
Ma il bel volto, il bel cor; se di te indegna
Credi la schiava tua, deh! ti scongiuro
Lasciami in libertà quel cor che un giorno

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Al macedone eroe fu dato in pegno.

Altro sposo, altro amor io più non degno.
Alessandro. No, non temer, Rossane,
Non ti cede Alessandro. Un sol momento
Lasciami respirar. Vedrai s’io t’amo.
Il tuo bel, tua virtude... (Oh dei! che sento?
Che risolvo? che fo?) Nelle mie tende
Vattene a riposar. Richiede il campo
Ora la mia presenza. A te fra poco
Ritornerò. (confuso
Rossane.   Efestion, signore,
Mira, sen vien; se l’amor mio richiede,
Che risponder degg’io?
Alessandro.   Digli che ancora
Te altrui non cedo, e che il mio cor ti adora. (parte

SCENA VIII.

Rossane e Efestione.

Rossane. Sorte, non mi tradir.

Efestione.   Bella, poss’io
Lusingar il mio cor?
Rossane.   Lo speri in vano.
Efestione. Di resistere ardisci al tuo sovrano?
Rossane. Del mio sovrano i sensi
Tu per anche non sai. Disse che ancora
Me altrui non cede, e che il suo cor mi adora. (parte
Efestione. Oh infelice amor mio! Dunque Alessandro
Ha sì debole il cor? Basta uno sguardo
Ad avvilir la sua virtù? Mortali,
Di voi non vi fidate;
Un esempio funesto in lui mirate. (parte


Fine dell’Atto terzo.


Note

  1. Nel testo: potere.