Giovani/I butteri di Maccarese
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I butteri di Maccarese.
Il mare scrosciava di là dai ginepri, molti dei quali erano rossi perchè il sole li aveva seccati. La pineta di Maccarese, fosca e squarciata a tratti, andava incontro alle strisciate cupe e buie degli olmi e delle querci. Mentre, dalla parte di Civitavecchia, alla foce dell’Arrone, la spiaggia caliginosa era deserta, ma un poco rosea e fiammeggiante accanto al luccichìo delle acque e alte interminabili spume bianche, le strisciate degli olmi e delle querci si allargavano e oscurivano, incrociandosi, sopra la pianura. Il vento aveva piegato dalla parte della terra parecchi olmi, quelli più alti, senza fronde nelle cime; mentre più giù della metà dei loro tronchi altre fronde più fitte erano spuntate come una macchia bassa.
Il mare era di un turchino tutto eguale; e il fumo di un barcone, escito dal porto di Fiumicino, restava nell’aria, benchè il cielo sembrasse pulito; fatto a posta per il sole. In fondo alla pianura, verso il Castello di San Giorgio, dei principi Rospigliosi, c’erano i mietitori, piccoli e corti come le dita della mano, a vederli dal mare. Brulicanti tra le spighe, erano vestiti a colori tutti diseguali; e, attraverso il fiammeggio del calore che tremolava dalla terra, talvolta pareva, tremolando anch’essi, che sparissero dentro una specie di nebbia tra opalina e azzurrastra, che riempiva verso sera le buche della macchia. In un’altra banda della pianura si vedevano le bufale, un poco più scuro della terra rossiccia; mentre le vacche erano già andate da sè, come avevano imparato, ad abbeverarsi alla foce dell’Arrone. Tornate indietro le vacche, toccava alle bufale; e invece i greggi si fermavano più alto della foce.
La mietitura di Maccarese era quasi per terminare. Ma i mietitori erano scontenti di come i «caporali» avevano stabilito le paghe; e, di giorno in giorno, si mostravano sempre di più disposti a far valere le loro ragioni. Una mattina quasi tutti i «caporali», ch’erano minacciati e provocati ogni volta che si facevano vedere, sparirono; e si rifugiarono, in attesa che passasse il pericolo, nella torre di Maccarese, di fianco tra il mare e la pineta.
La torre, benchè intonacata di bianco, era tetra come se fosse stata di nero. E una rosa arrampicata su per il muro, insieme con gli scalini della loggia esterna, pareva una ghirlanda mortuaria.
Quando i mietitori se n’accorsero, smisero di lavorare; e decisero di scovare i «caporali». Ma, non sapendo dove fossero e credendoli protetti dagli amministratori di Maccarese, cominciarono a tumultuare; avviandosi, senza nessuno scopo, a Castel San Giorgio; alla villa dei Principi Rospigliosi.
I butteri, una ventina, avevamo l’incarico di vigilare la mietitura. Mangiavano e dormivano a quella torre, ma non volevano immischiarsi nella questione: ci dovevano pensare gli amministratori. Erano tutti dai trent’anni ai cinquanta: gli anziani un poco ventruti e grassi, con gli anelli d’oro alle dite e qualcuno anche agli orecchi. Essi avevano le proprie famiglie sparse per le fattorie; e alcuni, la sera tardi andavano a trovare le mogli, tornando nella tenuta prima dell’alba. Avevano una specie di capo, che portava due galloni d’argento alle maniche della giubba; e si chiamava Corrado. Egli era ancora scapolo e ad ogni mietitura si trovava una ganza tra le ragazze più giovani. Questa volta, ne aveva una venuta dal Colle della Vipera. Scortala nel branco delle donne e piaciutagli, le era stato un poco di tempo vicino; ora con un pretesto e ora con un altro, guardandola senza scendere da cavallo. Pompilia, chè così aveva nome la ragazza, capì subito; e, arrossendo, alzava gli occhi neri e umidi verso di lui; aspettando ch’egli trovasse il modo di parlarle senza che i fratelli e il padre, nel branco degli uomini, potessero offendersene e andare in collera.
Gli altri butteri, tenendogli di mano, gli fecero pagare parecchi litri di vino; perchè era ormai più che sicuro d’avere la ragazza. Egli disse, accendendo il sigaro:
— E se mi riuscisse a farla prendere per cameriera in casa dei principi?
Disse un altro:
— Non mi pare che, poi, tu la potrai vedere tutte le volte che vuoi.
Corrado fece una risata, battendo i piedi stivalati. Ma un biondo, con le ciglia bianche, come se le avesse sempre polverose, si accanì e s’infervorò per lui. Egli parlava mettendo le mani avanti con tutte le dita aperte; e disse:
— Bisogna che fino da domani tu la tolga dalla falce.
Uno dei più vecchi, con le sopracciglia lunghe e rovesciate in giù e gli occhi di ghiro e un poco pazzo, ripetè senza guardare nessuno:
— Fino da domani! Fino da domani!
Corrado accavallò una gamba sopra l’altra, e disse:
— E, allora, aiutatemi, Non si va a letto, finchè non s’è trovata la trappola. Vi pago altri sei litri.
Quello biondo riprese, con uno scatto:
— Dev’esser tua e ti deve voler bene.
— Me lo vuole.
Un buttero, con la testa rincalcagnata e i capelli neri, gridò:
— Zitti voi, in fondo alla tavola.
Quelli obbedirono; si alzarono l’uno dopo l’altro e fecero cerchio intorno a Corrado; che, ora, teneva la punta del mento con l’indice e il pollice. Aveva gli occhi chiari, quasi celesti; e le guancie grossette.
Uno gli disse:
— A che pensi?
Corrado tolse una gamba da dentro la panca, si alzò quanto era lungo; e rispose:
— Ho trovato!
Un altro gli disse:
— Indovino quel che hai trovato: tu la farai andare in casa della tua biscugina.
— È vero; ma non sai con quale scusa.
Lo guardavano sorridendo; perchè era intelligente e simpatico a tutti.
— Lei dirà che ha preso la malaria; allora la facciamo andare al Castello; io attacco il calesse e la porto con me!
I butteri si misero a gridare e poi a fischiare un’aria, battendo a tempo i pugni sulla tavola.
Il giorno dopo Corrado fece come aveva detto. Ma Pompilia gli piaceva da vero ed egli sentiva di amarla.
Egli l’amava volentieri; ma non c’era anche qualche altra passione ch’egli avrebbe dovuto conoscere? Egli voleva amare anche tutto ciò ch’egli vedeva; i ginepri, i pini, le acacie con i fiori candidi e pendenti a ciocche tra le querci. Ma non trovava mai quel che doveva amare oltre alla donna giovane come lui; perchè parlando, ella non diceva mai una cosa che non fosse buona.
Egli, fermatosi parecchi minuti a cavallo, tanto che ebbe tempo a fumare tutto il mezzo sigaro, starnutì. Il cavallo si mosse, ed egli lo lasciò andare. Trovò nel mezzo della strada un branco di bufale; che si alzarono subito da giacere, quasi tutte insieme. Egli avventò il cavallo e cominciò a picchiarle con la pertica di faggio. E le bufale entrarono nel prato; dove sparivano dentro fino al ventre. Mise il cavallo al passo e s’avvicinò a qualcuna, che si scansò correndo. Egli passava, ora, le giornate a quel modo. Quando vedeva un uccello lo guardava come se i suoi occhi avessero potuto fermarlo e farlo cadere. Ma le bufale gli piacevano di più, perchè le picchiava fino a sentirsi mancare la forza; e i loro occhi doventavano dolci.
Egli stava a cavallo con le gambe tutte stese, il corpo tirato in dietro; e con una mano pigliava la criniera, quasi avesse potuto tirarla via come una pianta. Il cavallo, forse, non sentiva male; ma allungava il passo. Ed egli allora, quasi avesse voluto gastigarlo, gli dava una spronata; e correva per chilometri e chilometri, a caso, saltando ove c’era l’acquitrino, ripieno di cannucce verdi; e, poi, rasentando, quanto erano lunghe, le staccionate.
Pompilia lo aspettava senza sentire nè meno il bisogno di farsi un poco alla finestra. Stava rincantucciata in cucina con la parente di Corrado; sorridendole timidamente e arrossendo tutte le volte che le passava vicino; anche se quella non pensava di badare a lei. Sarebbe stata più tranquilla e più contenta se il padre e i fratelli non avessero dovuto mietere. Il padre, una sera sì e una sera no, perchè erano troppo stracchi, mandava il figlio più piccolo, ancora un ragazzo, a sapere come stava. Ed ella, senza alzarsi dalla sedia, come le aveva insegnato Corrado, gli diceva, tastandosi i polsi, che la febbre non voleva passare. Il fratello le chiedeva:
— Allora non torni ancora?
Ella gli diceva di no con la testa.
Il fratello sorrideva, guardando tutta la cucina, e se n’andava salutandola:
— Tu fai la signora qui!
Ma Corrado, dopo una settimana, chiamò il padre di Pompilia; e, facendoselo sedere accanto sopra un rialzo della terra, gli promise che l’avrebbe sposata a fin d’anno.
Il mietitore, allora, si rialzò, lo guardò negli occhi e gli rispose:
— Tu avrai una moglie più forte e più bella di te. Ma perchè, intanto, non la rimandi a mietere con noi?
E tornò subito con gli altri.
Pochi giorni dopo, il tumulto era già cominciato; e il padre di Pompilia non pensava più nè a lei nè a Corrado. I mietitori, tra uomini e donne, erano più di trecento. Le donne, mescolate con gli uomini a gruppetti di cinque o sei insieme, avevano la testa fasciata stretta da un fazzoletto bianco e le mani bendate da strisce di lana: per riparare il sole. Gli uomini in maniche di camicia, scalzi; e tutti con la falce. I vecchi stavano nel mezzo e i giovani dalle parti. V’erano anche ragazzi di quindici anni, che in quel furore degli altri sorridevamo un poco convulsamente. Non sapevano quel che stessero per fare e i più credevano di andare a morire. La fatica e il caldo avevano dimagrato tutti; le donne, dopo una settimana di mietitura, non si riconoscevano più; parevano invecchiate, con le rughe sopra gli occhi. Ad un tratto, qualcuno gridò:
— Bruciamo le mucchie del grano!
Allora tutti ebbero questo desiderio; e cento voci risposero:
— Subito! Subito!
Gli altri non sapevano quel che rispondere, ma gridavano lo stesso come se cantassero alla rinfusa.
Avevano messo a cavalcioni di un cancello della staccionata una dozzina di serpi uccisi tra il grano. E, passando, li fecero a pezzi con le falci. Già erano per entrare nella radura dove sorgevano le mucchie; ma non andavano lesti. Due butteri li seguivano a cavallo, senza dire niente, come per ascoltare. I mietitori evitavano di guardarli per avere più coraggio; ma, quando se li trovavano accanto, si zittavano, entrando più nel mezzo al branco degli altri. Andavano tutti con la testa voltata in alto e cercavano di vedere, tra la calca confusa, quel che accadeva attorno. Ma i campi erano deserti. Sembrava che i grandi olmi, con le rame grosse e nere, riescissero a fermare il vento; e i falchi volavano bassi, dimenando le ali senza che si vedesse dove avessero la testa. Allora i due butteri avvolsero sopra la sella le guide lunghe che toccavano quasi terra, e andarono a chiamare i compagni. Non avevano paura, ma non sapevano quel che fare. Essi sentivano la responsabilità di non fare bruciare le mucchie; e, senza parlarsi, cavalcavano a pari; guardardosi. Si calcavano meglio i cappelli legati con le corde dietro la testa; e, di quando in quando, si voltavano dalla parte dei mietitori. Non era meglio che avessero cercato di farli tornare a dietro? Specialmente il più giovane avrebbe voluto bastare da solo, ma era troppo impensierito e non s’arrischiava senza che l’altro non avesse fatto lo stesso. Non c’era tempo da perdere! Se quelli laggiù riescivano a dar fuoco alle mucchie, essi poi si sarebbero vergognati a farsi rivedere dentro Maccarese; e perciò si sentivano pronti a ricorrere a qualunque mezzo. I loro occhi si facevano torvi, ma chiari sul viso quasi cattivo. Il più vecchio disse:
— Il tuo cavallo è meglio del mio. Mettilo di corsa e avverti gli altri. Io torno a dietro.
— E se ti pigliano a pietrate?
Egli si guardò istintivamente i fianchi e i ginocchi
Poi rispose:
— Le pietre non ce l’hanno lì dove sono ora.
Ma il più giovane ebbe paura per lui:
— Resta qui, piuttosto; a mezza strada.
Allora egli si rizzò sulle staffe e gli andò con il cavallo addosso:
— Non ti mettere qui a rispondermi. Vai.
Il più giovane dette subito un’occhiata alla sella e alle briglie; dette due spronate e cominciò a picchiare pugni su la testa del cavallo. Dopo mezzo minuto, egli era già sotto la torre. L’altro restò dov’era, prendendosi la barba grigia. Ora ci mancava poco che non piangesse; e non sapeva se andava anche lui alla torre o se arrivava di corsa tra i mietitori. Egli faceva girare attorno il cavallo, come un molinello, e tendeva gli orecchi. Il gridio non era cessato, anzi rinforzava. Decise di sapere quel che facevano. Rasentò, quasi mettendolo sotto, un pastore che gonfiava, soffiando dentro una canna, una pecora dopo averla spellata. Un cane gli andò dietro, abbaiando, fino a un canale irto di cannucce tra le ginestre con i fiori. Il cavallo non ne poteva più e correva alla stracca, a zampe larghe. Il buttero sentiva battere il petto come se ci avesse avuto una stanga dentro; ma si mise alla testa dei mietitori; che, ormai, erano per passare un ponte, di pochi metri, avvallato da una parte, fatto come una gobba puntuta, su l’Arrone; che, tremolando, rifletteva come uno specchio gli olmi e gli eucalipti. Egli, con la voce spezzata dal cuore, gridò:
— Dove andate?
I mietitori si allargarono, allungando il passo, per ficcarsi lo stesso sul ponte. Egli, allora, mise il cavallo di traverso:
— Che volete fare?
I più lontani gridarono:
— Bisogna bruciare le mucchie.
— E perchè? Che vi ha fatto di male il grano? La prendete anche con il grano?
Ma i più vicini, risoluti, erano riesciti a andare sopra il ponte, salendo in piedi su i muriccioli di fianco. Un ragazzo era entrato da sotto il cavallo. Un mucchio di donne andava con le falci agli occhi del cavallo. Il buttero aveva ritrovato tutta la sua voce, e gridò:
— Fermi tutti! Tornate a dietro. Dite a me quel che volete.
— Maccarese non mantiene i patti!
— Perchè?
— Ci volete dare una lira di meno al giorno.
— Non è vero.
— Mascalzone! Ladro! Non vi perdete con lui! Andate avanti! Buttatelo di sotto.
Le donne strillavano, minacciandolo con le falci; gli uomini pensavano come fare per levarlo lì dal mezzo. Allora, una ventina insieme si spinsero addosso al cavallo; che, a poco a poco, restando di traverso com’era, andava verso l’altro capo del ponte. Tutti gli altri venivano avanti urtandosi e calpestandosi, non riconoscendosi più l’uno con l’altro; ma il grido di uno faceva gridare di più quelli che gli si trovavano attorno. Il buttero si scansò e disse:
— Se vi hanno imbrogliato i «caporali» delle squadre, non dovete prenderla con noi e nè meno con il grano.
Non l’udì nessuno; e i restati a dietro raggiunsero, prendendo la rincorsa, quelli che già giravano attorno alle mucchie. Il buttero scese da cavallo, pronto magari a farsi ammazzare; ma egli udì un gran frastuono che veniva dalla parte della macchia. Si volse: erano da vero tutti gli altri butteri. Allora risalì a cavallo e li attese.
I butteri erano armati di fucile. Avevano già deliberato; e, senza perdere tempo, si misero dalla parte delle mucchie. Parecchi mietitori volevano avvicinarsi lo stesso alla paglia; anzi, erano anche più furiosi. Ma Corrado si staccò dagli altri e gridò:
— Chiunque fa un mezzo passo avanti, cade morto in terra!
I butteri imbracciarono i fucili. I vecchi incrociarono i polsi. Le donne fecero un urlo tra di spavento e di dileggio.
— Ripassate il ponte.
E i mietitori obbedirono. Dietro a loro, cavalcava la fila nera dei butteri, lungo una stesa di olmi e di lecci.
Il padre di Pompilia disse a quelli che gli erano attorno, ammiccando con gli occhi Corrado:
— Se non fosse per doventarmi genero, gli facevo la pelle io!