Gazzetta Musicale di Milano, 1889 vol. I/N. 17
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Direttore: Giulio Ricordi - SOMMARIO - SOFFREDINI - G.R.
Edgar Dramma lirico in quattro atti di Ferdinando Fontana musica di Giacomo Puccini al Teatro alla Scala
I. ALIBERTI L'Organo nelle sue attinenze colla musica sacra (Cont.)
SOFFREDINI La Società Corale di colonia a Milano
Alla rinfusa
Concerti
Concorso per un Pezzo per Banda
Corrispondenze:
Napoli Genova, Venezia, Siena Trieste Parigi, Ratisbona San Francisco
Rebus
Illustrazioni: G. Sgambati, G. Puccini e F. Fontana, disegni di V. Bignami - A. Hohenstein: Costumi dell'opera Edgar, disegni di F. Garibotti - L'Organo nelle sue attinenze colla musica sacra, disegni di A. Cairoli.
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TEATRO ALLA SCALA
EDGAR
DRAMMA LIRICO IN 4 ATTI DI FERDINANDO FONTANA
MUSICA DI
GIACOMO PUCCINI
Per dire quello che
vorrei sul conto di
questo spartito e del
suo successo alla Scala,
sento perdersi del
tutto il mio poco talento.
Temo, sono
certo anzi, di riuscire
inferiore al compito
mio, per la semplicissima
ragione che
qui si tratta di un
maestro di genio, del
quale rarissimo caso
noi siamo cosi abili
a parlarne quando
non c’è, e ei troviamo
cosi imbrogliati
quando, trovandolo,
dobbiamo serenamente
giudicarlo.
L’Edgar è frutto d’un maestro di genio, d’un genio non ancora maturo, d’un genio forse ancora inconscio della propria esistenza, e appunto perchè inconscio, prodigo dei suoi elementi, d’un genio non bene affermato da schietta, intera individualità, sia pure; ma sempre genio, che è quanto dire scintilla, facilità, creazione.
Dinanzi a questa prima caratteristica di Giacomo Puccini, scendono in seconda riga tutte le altre eminentissime qualità che eccellono parimente in lui. In lui seria e severa tempra di musicista, in lui sicurezza di euritmia, in lui naturalezza di procedimenti e sviluppi, perfetta conoscenza di tutto l’edificio tecnico dell’arte, elevatezza perenne d’idee, di disegni, padronanza dei mezzi fonici, conoscenza degli effetti, completa estrinsecazione delle fasi del dramma, pittura felicissima dei tipi rappresentati; — e tutto questo quando si dà fuori il primo lavoro, di dimensioni e d’indole come l’Edgar, in un teatro come quello, in un momento come questo, dove chi non dubita di sè stesso, deve avere il corpo di ferro e l’anima d’oro!
Giacomo Puccini si rivelò, or fanno pochi anni, per un carattere musicale prettamente sinfonico. La seconda edizione delle Villi modificò già tale opinione, le voci si fusero e cantarono l’amore con mirabile schiettezza e semplicità; nell’Edgar queste voci sono state trattate dal maestro allo stesso livello dello strumentale, talché per quella naturale preponderanza che hanno quelle su questo, il canto, nel suo giusto significato, ha brillato di tutta la sua pompa, di tutto il suo splendore.
Con lui niente vaghe o accennate melopee che sono italiane come un yes e un ja, ma melodie vere e proprie, quadrate, tonali, comprensibili. Tutte, è vero, quelle tante melodie, non saranno della stessa purezza verginale, ma le più lo sono e le altre pure sono belle; la fisIonomia di queste melodie, è vero, tende alla magniloquenza, alla pompa; oramai, si sa, è colpa sempre del primo sfogo; nel primo slancio dell’affetto il primo bacio pare un morso, la prima carezza una percossa; l’esuberanza dell’amore, dell’affetto, tradiscono la soavità di quel bacio, di quella carezza; la esuberanza della materia musicale tradisce la calma, la soavità nei canti del primo sfogo; la riflessione è il gran pregio della anzianità e invece si nasce giovani; ma dalla nascita si palesa la costituzione dell’essere, dalla vita la coltivazione di lui.
E di Puccini ho detto, come e quanto ho saputo, non quanto ho voluto, nè potuto, perchè bisognerebbe dire di più e si potrebbe dire di più.
Date le suaccennate qualità caratteristiche del maestro, è presto fatto a comprendere quale sia il più spiccato carattere del suo lavoro. Essenzialmente melodico, essenzialmente italiano. S’intende che per melodico e per italiano non si deve immaginare musica da canzonette o da strofe, come molti aristarchi vorrebbero far credere quando si parla di musica italiana! — ma bensì una musica scorrevole, chiarissima, mai confusa per agglomerazione di dettagli.
Vediamo di dare una rapida scorsa allo spartito. Del libretto dell’egregio Fontana, discusso un po’ esageratamente, oggi non tratto. Solo affermo che le situazioni drammatiche sono resultate di effetto; del lavoro drammatico e poetico ad altro momento. La musica, che infin dei conti r è quello che si chiama l’opera, deve per oggi interamente occuparmi.
Si comincia con un leggiero istrumentale sostenente una idea melodica, serena, tranquilla, spirante il più soave profumo d’un’alba annunziatrice di un bel giorno d’aprile. Il coro dall’interno, con un colorito nuovissimo, si sposa bellamente a quell’istrumentale; entra in scena Fidelia, il suo primo canto è una di quelle melodie che ho chiamato belle senza pretendere d’essere completamente nuove, ma è gentile; l’uditorio simpatizza col compositore. Il racconto che segue, sempre di Fidelia, è al contrario nuovissimo nell’idea e si sviluppa con tanta naturalezza, che piace a tutti.
L’entrata di Tigrana è una di. quelle trovate istrumentali di cui Puccini conosce il segreto, e il primo suo recitativo fa comprendere come quel diabolico personaggio femminile sia stato indovinato dal maestro; quindi le cose belle si seguono, la parte di Tigrana meraviglia per la sua verità. Non tanto invece mi piace l’aria seguente di Frank, baritono; sembra un'aria un po' monotona, anche se nei dettagli istrumentali c'è qualche cosa di bellissimo e un canto, parmi, dei violoncelli, di effetto.
Alla scena sesta, in cui ricompare Tigrana, troviamo uno dei pezzi più robusti dell’opera. Davvero che oggi è ben difficile l’arte della composizione, perfino un brano di musica come cotesto, che il Meyerbeer potrebbe aver concepito, anche dopo che al pubblico piacque tanto da domandarne ad alte grida il bis in tutte e tre le esecuzioni, perfino un pezzo come cotesto, dico io, alcuni accusano di volgarità!! Mio Dio, volgare forse perchè c’è l’unissono, se appunto l’unissono sarebbe strettamente richiesto in tale caso? volgare forse perchè è una frase larga, ampia, magniloquente? Per carità, si pensi prima di discorrere, non si disse mai castroneria più madornale; la musica ha sue leggi supreme; la musica non può, non deve sottomettersi a tutte le bizze d’un’altra arte. È un’invettiva quel pezzo, una precazione; nulla dunque è di troppo se la musica è forte, maschia, irrompente, pomposa! Puccini rivelò appunto in quel pezzo l’energica fibra musicale che possiede, e glielo hanno detto col loro plauso tremila persone, meno due, le quali due subiscono la sorte del proverbio, che una noce in un sacco non fa rumore! Buona la frase di Edgar e piena di vita la maledizione; ottimi particolàri si hanno pure nella breve scena che segue ed il: Tigrana vieni, sorge su quella bizzarra e assieme irrompente frase di cui prima ho detto. Il concertato che precede il finale, è vero che sarà costato a Giacomo Puccini qualche buona giornata di lavoro per architettarlo, che anzi gli sarà costato qualche anno di Conservatorio per imparare a farlo, ma tutto ciò che comporta, quando sorge uno che può dirgli in due minuti, come costesto pezzo, essendo ponchielliano, non merita considerazione?
Per parte mia, dopo aver infatti riconosciuto in cotesto pezzo la fisonomia del maestro del Puccini, cosa più che naturale, riconosco anche che desso è uno stupendo concertalo, e che sulla sua maggiore o minore opportunità in quel momento piacemi notare, che opere modello, di quelle in cui non si trova nulla da ridire, hanno appunto consimili concertati prima dello svolgimento dell’azione, anche quando in dette opere modello son frutto d’una sola mente musica e poesia!
Il brano orchestrale del duello è cosa di grande pregio, delineato stupendamente, ma lo: si prolunga invece di troppo di per sè stesso; forse si può, parmi, renderlo anche più conciso, ei guadagnerebbe assai la conclusione dell’atto.
Il secondo atto subisce, nè più nè meno, la sorte di tutte le opere che ne hanno quattro, è drammaticamente e musicalmente il meno riuscito, pure è bellissima la scena di Edgar, una specie di romanza, che solamente sembrami all’ultimo sviluppo bruscamente affrettata, per il canto, si intende, chè anzi l’orchestra completa benissimo quel che può dirsi il pezzo.
Il brindisi, specie di bolero, è, secondo me, il più bello dei pezzi consimili; desso passa come un fulmine, è di grande, immediato effetto, concertato e strumentato egregiamente; e dopo questo brindisi-bolero, c’è quella stupenda scena che puossi chiamare della seduzióne; Tigrana ha qui delle cose addirittura superiori, in questa scena, lo affermo e sfido chi me lo contraddice, Puccini si fa credere un maestro che è al fine del suo tirocinio e non al principio. La marcia, musicalmente buona, è forse un poco rumorosa per eccedenza di ottoni, e per quei tamburi non del tutto in carattere; quindi si hanno buoni particeli, ma di effetto un po’ languente, e questo languore non basta a scuoterlo nemmeno il grande inno fiammingo, che è pure tanto superiore per musica a tanti altri inni; ma gli deve nuocere il tono, perchè mi è sembrato rimanga un poco compresso, soffocato, talché il grido finale disturba, perchè sorge troppo di schianto. Qui, credo, Puccini prenderà il pennello e darà qualche nuova pennellata e vi so dire che io non dubito diverrà questo pezzo prestissimo tutt’altra cosa di quello che è.
Il terzo atto, starei per dire, non offre campo alla critica. E un vero emporio di bellezze dalla prima nota all’ultima. Vediamo se riesco a dire di queste bellezze una separatamente dall’altra. Il grande atto si divide in due parti distinte. Di queste due parti la prima è senza dubbio la concezione musicale più vasta e più solida uscita per adesso dalla mente del Puccini. A questa prima parte non si potrebbe togliere, nè aggiungere una nota senza porre in squilibrio tutto l’edifizio. Il preludio, eseguito solo la terza sera, è pieno di sentimento ed è di fattura squisita; la marcia funebre, che così bisogna chiamare la scena del funerale, consta di stupendi periodi; il primo con le voci dei ragazzi è riuscitissimo anche per avere indovinato la vera estensione delle voci sempre compromettente; quello dei periodi che racchiude il soavissimo addio che dà la Fidelia al defunto, è ricco di melodia, sovranamente ispirata, melodia calda, piena di passione e di sentimento.
Tutto il brano delle accuse del frate, delle risposte del coro, dei gemiti di Fidelia, fino allo scoppio generale dell’ira e dello sdegno, mantiene alto l’insigne merito di quésta pagina musicale, ma dove del Puccini sorge limpido, purissimo un vero lampo di genio, è alla difesa che Fidelia fa del suo Edgar; qui l’arte, quella vera arte sulla quale ho letto in questi giorni tante... discussioni, trionfa completamente; qui l’arte poetica e musicale ha prodotto il resultato che le vien chiesto, la più bella strofa del libretto ha dettato la più bella ispirazione al maestro. Su questo proposito non contraddico l’opinione altrui, anzi la divido completamente.
E a questa strofa, che è plasticamente rotonda, come bene fa seguito quella specie di postludio orchestrale finissimo, magistralmente istrumentato e che ha in sè terzo atto, dovrà presto e gradatamente far vera galleria di quadri consimili. L’atto quarto ha un gran preludio; oggi è come questo sorgere una assai diffusa questa usanza del preludio all’ultimo atto del melodramma. Questo dell’Edgar è vaste, e perchè fatto quegli elementi che occorrono per tenere tesa l'attenzione del pubblico. Qui la prima parte, che non stento a chiamare meravigliosa, di questo atto, ha il suo termine.
La seconda parte incomincia col terzetto fra Tigrana, Edgar e Frank, perchè la grande aria di Tigrana che precede, non riesce e non può riuscire col suo valore indiscutibile a nascondere l’inopportunità della situazione scenica.
Ma quanto riguarda la costruzione dell’Edgar, libretto e musica nel suo complesso, vo’ trattare allorché l’esperienze di questo pubblico esperimento avranno fatto subire all'Edgar quelle modificazioni, che anche molte opere, oggi celebri, subirono dopo la prima pubblica prova.
Parlando di quest’aria dal lato musicale non posso dirne che bene, ma come spesso avviene al Puccini, in qualche punto c’è dell’irrequietezza. Nessun appunto critico si può fare al terzetto. Un critico di coscienza potrebbe dire che questo terzetto basta da solo a far comprendere quanta ce ne sia nel giovane autore della efficacia drammatica; quel terzetto è di getto e prepara mirabilmente la grande scena che segue, il più potente momento drammatico-musicale del maestro; questo momento sarebbe apparso granse, anche se uscito dalla mente e dalla mano d'uno musicista provettoe consumato: uscito dalla mente e della mano di chi ne fa, dirò così. la prima prova, è giustizia dargli il saluto che si merita, il saluto di valoroso artista, di potente ingegno, di coloritore espressivo ed ispirato e il cui pennello, dopo aver saputo dirigere un quadro come questo terzo atto, dovrà presto e gradatamente far sorgere una vera galleria di quadri consimili.
L'Atto quarto ha un gran preludio; oggi è assai diffusa questa usanza del preludio all'ultimo atto del melodramma. Questo dell'Edgar è di vaste proporzioni, forse di troppo su le riprese di melodie quadratissime unisce in sè vari brani, specie di traits-d’union, che invece ne compromettono l’unitezza; — ma accanto a questo néo di forma, quale splendore d’idee e di espressione in quel preludio!
Adesso conviene dire che il quarto atto musicalmente ottimo come terzo, risente attualmente dell’effetto di alcuni accorciamenti, che, fatti così all’ultimo momento, non si è potuto mascherarli, tanto da non renderne un poco slegata la condotta complessiva.
Analiticamente il racconto del sogno, sulla serena, ispirata melodia del preludio, qui cantata da Fidelia con una graziosa imitazione dei cori, è cosa di grande rilievo. Il duetto d’amore, nel quale anche Puccini ha voluto seguire certe orme che... almeno a me pare non conducano che al tempio dell’amor... platonico, questo duetto d’amore è musicalmente buonissimo, e si scalda, meno male che si scalda, all’ultima strofa; al buon Puccini è certo venuto alla mente un qualche tête à téte sulle mura di Lucca e... ha pensato bene di far della musica ove il bacio prenda più spesso il posto del sospiro! Oggi fare un duetto d’amore è la cosa più difficile di questo mondo! Sfido io, il povero compositore per contentare (lo sapete chi?!) deve fare un duetto d’amore, nientemeno senza duetto e senza amore! Questa mia arrischiata affermazione può sembrare un paradosso, ma non lo è. A tempo magari l'Edgar, darò la spiegazione di ciò.
Dopo il duetto, che ripeto, nell’ultima strofa è caldissimo, si ha musica stupenda fino al termine dell’opera; la grande scena di Tigrana è colorita, disegnata in orchestra da grande maestro; lo sghignazzare allegro del coro esterno e lo spavento dell’infame donna, sono mirabilmente espressi; il coro dei fiori, la scoperta del tremendo assassinio, il dolore di Edgar, la rivolta di Tigrana, l’ultime parole di Fidelia, ’ e l’invettiva generale Alla mannaia! tutto ciò la proteiforme facilità del Puccini ha meravigliosamente capito e reso coi suoni; nessuno accenno di debolezza mai, e in tutta l’opera da cima a fondo esuberanza di quella gioventù, che anche colle sue inesperienze ha sempre un grande vantaggio in favore di chi col primo lavoro dice all’arte: ecco, così io incomincio, parmi forse di non riuscire indegno di te!
Ed ora quale è stato il successo vero dell’Edgar? Quello stesso, nè più, nè meno, che hanno sempre avuto alla Scala quelle opere che poi entrarono nel repertorio melodrammatico: successo completo in faccia al pubblico, riserve, reticenze per parte della critica.
A me non fanno effetto le chiamate e i bis, pure non guasta il dire che superarono la ventina e andarono ogni sera aumentando, e che si è fatto il bis di tre pezzi.
Le comparse del Puccini al proscenio, specialmente dopo il primo, il terzo e il quarto atto, erano accolte da vere e solenne ovazioni, quelle ovazioni che la Scala tributò sempre ad artisti che hanno poi percorsa grande carriera.
L’ultima delle tre fortunate esecuzioni fu un vero trionfo; all’ultima comparsa del Puccini, solo, quel pubblico numerosissimo gli ha fatto uno di quei saluti, che racchiudono tutte le speranze, tutta la fiducia, tutto l’orgoglio di gente italiana all’indirizzo di un vero, geniale artista italiano.
SOFFREDINI.
L’esecuzione.
Il nostro collaboratore Soffredini si è limitato a scrivere
le proprie impressioni artistiche, quali le provò dalle udizioni
dell’opera di Puccini: a noi rimane più facile compito,
in quanto che l’esecuzione fu cosi buona, omogenea,
efficace, da non dover spendere molte parole in proposito.
Diremo intanto che il fatto
di una esecuzione tanto splendida
è più rimarchevole in
quanto il lavoro del Puccini
fu, per le vicissitudini della
decorsa stagione, messo allo
studio e posto in scena negli
ultimi giorni, colle ore contate,
ed in mezzo a vere catastrofi
di malattie, per le
quali proprio nel momento
più importante, mancarono
nientedimeno che il maestro
e il vice-maestro dei cori,
l’ispettore di scena, e 14 altre
persone fra coristi e coriste.
Con tutto ciò fu tale l’impegno, lo zelo grande,
diremo anzi addirittura entusiastico, che maestri, artisti e
masse posero nello studio dei? Edgar, che l’esecuzione di
quest’opera riesci perfetta: e questo dev’essere una delle
più grate compiacenze per l’autore.
Il maestro Puccini fu anche fortunato negli interpreti, specialmente dei due personaggi di Fidelia e di Tigrana; le signore Cataneo e Pantaleoni, e per le qualità e carattere delle loro voci, per la loro personale intuizione drammatica, superarono tutte le aspettative, e certo l’autore non poteva desiderare più valenti esecutrici.
Il signor Gabrielesco aveva da lottare con una parte ideata per tenore di gran forza: con una voce non sempre adatta ed omogenea, quell’ottimo e coscienzioso artista riesci a dare, in quasi tutta l’opera, una grande efficacia alla propria interpretazione e specialmente nel punto culminante, che è il terzo atto, fu davvero ottimo come attore e come cantante. Questo è il elogio che il Gabrielesco possa desiderare.
Ed eccellente artista si mostrò, superato il panico della prima rappresentazione, il signor Magini-Coletti, dalla voce simpatica, intonatissima e facile negli acuti.
Buono il basso sig. Marini, nella breve parte di Gualtiero.
Non vi sono elogi che bastino all’indirizzo dell’orchestra e dei cori: la prima, guidata con mano maestra dal Faccio, miniò addirittura tutta l’opera; ebbe dolcezze di suoni in cantevoli, ampiezza di coloriti, potenza drammatica — i secondi non solo cantarono alla perfezione, ma agirono, quasi, come artisti primari, aggiungendo con ciò grande efficacia all’effetto dell’opera.
Ottime le scene del signor Zuccarelli, egregiamente coadiuvato dal macchinista signor Stancich: migliori, in ispecie, la prima e la terza. Splendidi i costumi, per novità di colori, semplicità ed effetto: ei congratuliamo davvero coll’egregio pittore signor Hohenstein, che per la prima volta si assunse il difficile compito di ideare questa importantissima parte della messa in scena, e vi riesci con quella sobrietà e buon gusto che caratterizzano un artista.
La critica. — Il pubblico.
La critica milanese si scagliò con grande severità contro
il libretto, e se fu più mite col musicista, riconoscendone
tutto l’ingegno, ne accolse però il lavoro in modo tale
che ove il Puccini non avesse fortissima fibra d’artista,
potrebbe concludere col dire: cambiamo mestiere!— Ma
queste severità della critica, talvolta cosi benigna cogli ingegni
mediocri, non devono affatto scoraggiare il giovane
maestro, al contrario: le discussioni passionate ed ardenti,
i lunghi e ripetuti articoli, più demolitori che edificatori,
non succedono e non si scrivono per le opere mediocri,
le. quali si elogiano talvolta, ma cadono sempre per inerzia
propria, fra l’indifferenza della critica
e del pubblico stesso.
Fra i giornali, constatarono senza reticenze il grande ingegno del Puccini, il Secolo, il Pungolo, il Caffè. Non si pronunciò in modo deciso il Corriere della Sera: acre, violenta, negatrice di tutto, la Lombardia: la Perseveranza, con un piccone di zucchero, tentò demolire l’opera e l’autore.
Di tali severità della critica, se ne riscontrano parecchie nella storia dell’arte: anzi, tutti i maestri che poi fecero grande il loro nome, vennero acremente discussi, ferocemente criticati nei loro primi lavori. Con ciò non vogliamo ora fare confronti, nè collocare il Puccini fra i grandi od i piccoli maestri: l’Edgar si può dire la sua prima opera, e l’autore deve, anziché rimanere inerte o sfiduciato, sentirsi quasi orgoglioso delle altitonanti voci che si alzarono intorno all’opera stessa. Il maestro Puccini può dire: batti, ma ascolta.
E l’Edgar fu battuto, ma ascoltato, molto ascoltato: tanto che ad onta del giudizio pressoché contrario della critica, si verificò il più strano e raro dei fenomeni teatrali, l’accorrenza, cioè, di un pubblico affollato, attento, alla seconda e terza rappresentazione dell’Edgar; di un pubblico che non trovò un solo brano che potesse disapprovare, ma che applaudi tutti i pezzi con unanime convinzione, ed i punti salienti dell’opera con entusiasmo schietto e convinto: di un pubblico che chiamò in ciascuna delle tre rappresentazioni il maestro per ben 24 volte all’onore del proscenio, facendo replicare due pezzi, nelle prime due sere, e tre nell’ultima, chiudendo poi l’attuale stagione con una commovente’ dimostrazione di stima al Puccini, che il pubblico intiero volle all’ultimo salutare entusiasticamente, chiamando ad alte grida il maestro solo.
Questa è cronaca esatta, questi sono fatti che si possono velare, sott’intendere ed anche tacere, ma che è impossibile negare. E si noti che in tutte e tre le sere, se vi fu attenzione vivissima, intensa, questa era anche assai nervosa, non cessando mai e nel corso dell’opera, e durante gli intervalli le discussioni ardenti, vivaci, nei palchetti, in platea, in ridotto, tanto che soltanto un lavoro d’arte, di grande levatura e di forte tempra poteva resistere alla turbinosa corrente delle passioni, favorevoli o contrarie, sollevate.
Dobbiamo poi constatare un altro stranissimo fatto ed è che la critica milanese, pur essendo in generale o reticente o severa verso il Puccini, ha pressoché unanime espresso il desiderio che l’Edgar si possa udire in alcune delle rappresentazioni che si daranno alla Scala nel prossimo maggio, durante la stagione delle corse. Tale desiderio è davvero tanto più rimarchevole in quanto che la critica fu vivace: ma in ogni modo onora il maestro e la critica stessa.
L’Impresa della Scala pare intenda dare oltre alle 6 rappresentazioni d’obbligo di un’opera-ballo, due o tre rappresentazioni dell’Edgar. Ciò sarebbe una vera fortuna pel giovane maestro, non solo, ma varrebbe ad offrire maggiore varietà di spettacoli ai molti che si recheranno in breve a Milano, attratti dall’interessante programma delle corse di maggio. Edgar è stato assai discusso, ma nel complesso nessuno ha negato che sia spettacolo degno del massimo nostro teatro e per la messa in iscena, e per la bontà veramente rimarchevole dell’esecuzione. Noi speriamo che l’onorevole Commissione direttrice della Scala troverà modo di appoggiare il progetto dell’Impresa.
Ci rimarrebbe ancora a parlare del libretto, al quale vennero serbate le critiche più acerbe. Ma lo spazio ei manca, nè vogliamo abusare della pazienza dei nostri lettori, che a lungo abbiamo già trattenuto.
Ferdinando Fontana ha idee speciali intorno all’arte, diremo così, del librettista: alcune di queste idee le dividiamo, ma per molte altre ei troviamo agli antipodi. — Il Fontana, • ne’ suoi libretti, è quasi un poeta-filosofo e vorrebbe che il pubblico compenetrandosi in tali sue idee filosofiche ed astratte, intuisse da queste il carattere dei personaggi, le loro passioni e le cause degli avvenimenti. Perciò agli occhi del pubblico vi sono qua e là delle lacune, diremo anzi delle parentesi, che non può il pubblico stesso colmare o spiegare, tirando quelle conseguenze che nel pensiero del poeta appaiono chiare e convincenti.
Ora, trattandosi di arte scenica, per la quale ha valore solo l’evidenza dei fatti, pare a noi che le teoriche del Fontana sieno, se non errate, almeno pericolose. Edgar, tuttavia, abbiamo due atti buonissimi per la varietà del movimento scenico, o per l’arditezza delle situazioni, il primo ed il terzo: abbiamo un atto buono, che con qualche ritocco e levando le superfetazioni, diventerà interessante, il quarto: meno evidente è il secondo.
Si è detto che nell'Edgar vi sono posizioni tanto arrischiate, che ei volle tutta la potenza d’ingegno del musicista per farle tollerare dal pubblico. In ciò vi è molto del vero; anzi è evidente che il terzo atto, che fu invece il punto culminante del successo, con quella tinta tragica dei funerali, con un catafalco esposto agli occhi degli spettatori per circa tre quarti d’ora, colla scena arrischiata della seduzione di Tigrana, era un atto pericolosissimo: una musica appena appena mediocre ed incolore avrebbe segnato addirittura una catastrofe. Ci volle un musicista poderoso, ispirato come il Puccini per rivestire di colore smagliante la truce tela fornitagli dal poeta: ma non è meno vero che le difficoltà stesse di questa situazione drammatica ispirarono al maestro una pagina potente di musica.
Concludiamo, riportando, qui innanzi, la bella
lettera che Puccini indirizzò al maestro Faccio:
e in tempi cosi burrascosi per l’arte, da chiamarli addirittura borgiani,
è bello, è nobile questo raggio di sole, questo, fraterno
attestato di stima, che onora sommamente e chi lo dà, e
chi lo riceve.
G. R.
Illustre e carissimo Maestro,
Mi permetta di esprimerle, più col linguaggio breve e spontaneo del
cuore, che con cercate e complimentose frasi, tutto l’animo mio riconoscente per le cure veramente fraterne, mai disgiunte dal di lei magistero artistico, di che dettemi tante e così convincenti prove nella concertazione e direzione del mio lavoro. Voglia credere, illustre Maestro, che io riconosco in così valida cooperazione artistica uno dei maggiori coefficienti che concorsero a farmi avere cosi gentile accoglienza dal pubblico milanese; nè di tale efficace e per me giovevole cooperazione verrà mai cancellato dalla mia memoria il grato ricordo, per quanto liete o tristi vicende l’arte e la vita mi preparino per l’avvenire. — Nè minore riconoscena dovrò serbare per gli egregi artisti che con impegno pari all'abilità interpretarono l'opera mia, e per il solerte corpo corale che studiò ed eseguì l'Edgar con zelo e slancio invero ammirevoli.
Lascio poi a lei intero l’incarico di dire tutto quello che meglio può alla eletta schiera di professori, la cui esecuzione perfetta ed eccezionale, mi ha veramente commosso. Rinnovando a lei in particolare, egregio Maestro, i sensi della mia alta stima e riconoscenza illimitata, ho l’onore di dirmi Milano, 25 aprile 1889.
Suo affezionato Giacomo Puccini.
L'Organo
nelle sue attinenze colla musica sacra
APPUNTI DI STORIA ORGANARIA
(Continuazione, vedi N. 13, 14, 15 e 16)
VI. — LE NAZIONALITà GRECO-LATINA E PRETTO TEDESCA NELLA MUSICA SACRA E NELL'ARTE ORGANARIA
LO STILE CONCERTANTE E L’ORGANO-ORCHESTRA.
LO STILE FUGATO E CONTRAPPUNTISTICO
E L'ORGANO CORALE TEDESCO.
SIAMO giunti pertanto a quel periodo di storia.
‘ organarla, che ei appalesa più chiaramente
1° strett0 legame, che esiste tra esso strumento
e la musica religiosa; e cioè a quel periodo
in cui con la demarcazione di due nazionalità distinte
nel campo della musica sacra (la greco-latina e la germanica)
si caratterizzano pure nell’organaria due distinti sistemi;
l’italiano, attorno il quale si raggruppano gli altri
minori, o per meglio dire il latino, ed il pretto tedesco.
La via ormai è tracciata e ben definita: quella via che doveva condurlo allo sviluppo moderno mai più immaginato, e da quest’epoca è una gara viva, ammirevole tra organati ed organisti, i primi intenti a rendere lo strumento sempre più pronto alle esigenze dei secondi, e questi alla ricerca di effetti, combinazioni nuove, ardite, che si potevano trarre da un istrumento sempre più perfezionato. Così l’impulso allo sviluppo rispettivo è reciproco; e dal mutuo scambio vediamo sorgere tutte le forme musicali severe e grandiose, che formano la gloria dei nostri padri.
Per ben comprendere quindi come fu originato ed andò sempre più accentuandosi nell’organaria la distinzione dei due sistemi accennati, tratteggeremo brevemente tutto quel periodo importante della storia musicale religiosa, che corre fino al nostro secolo, e vedremo come codesta distinzione era un risultato necessario e conseguente della diversità che si era fatta nelle attribuzioni del culto divino, e come oggidì, il voler propugnare un sistema a preferenza dell’altro, equivalga ad una assoluta ignoranza della differenza dei culti professati, del carattere, delle scuole, che sorsero e si costituirono, ed infine’ delle tendenze dei popoli che nella musica più d’ogni altra s’imprimono profondamente. Colla riforma di Palestrina il canto fermo aveva toccato l’apogeo, e se la musica religiosa avesse trovato in esso l’ultimo verbo, allora sarebbe cominciata subito l’epoca di decadenza. Per buona sorte non fu così: contemporaneamente alla musica palestriniana della scuola di Roma, esistevano due altre forme, che in sè contenevano, si può dire, il germe di tutte le manifestazioni musicali moderne; il madrigale e l’oratorio. Ed è appunto ad esse che la musica sacra agitata dall’ideale, in allora divenuto prepotente nelle lettere e nelle altre arti mercè illustri novatori, domandava nuovi sviluppi.
In quel tempo accanto alla musica religiosa prendeva sviluppo un genere nuovo; il drammatico, la cui influenza non tardò a manifestarsi in quella; l’oratorio difatti immaginato da S. Filippo Neri, amico del Palestrina, è quello che parve collegare i due generi. Emilio Cavalieri, che cogli altri membri della società dei Bardi e Corsi aveva fatto i primi tentativi nello stile declamatorio, ei dà appunto il primo saggio nell’anione sacra, rappresentata a Roma (1600) nella chiesa della Vallicella.
La musica di tale azione sacra non consisteva che in una successione di recitativi e cori, in contrappunto semplice senza fuga, nè imitazioni. Contemporaneamente la scuola veneziana, fondata dal Willäert, è già resa illustre per il madrigale e i madrigalisti, ed allora in fiore per 5 opera dei due Gabrielli (Andrea e Giovanni), organisti nella chiesa di S. Marco, apriva alla musica religiosa i nuovi orizzonti. Giovanni Gabrielli colle sinfonie pubblicate nel 1597 introdusse diversi istrumenti, come violini, corni, trombe; ed appunto dette sinfonie consistevano non solo in cori accompagnati dagli istrumenti, ma ancora di parti esclusi- 5 vamente istrumentali e sinfoniche alternantesi coi cori, dei canti per voci sole senza accompagnamento e di altre innovazioni, che tendevano sempre più a ravvicinare lo stile di chiesa a quello dell’opera; ed ecco che vediamo per primo passo stabilirsi gli istrumenti in chiesa.
Un’influenza più decisiva doveva portarla un altro conipositore della medesima scuola: il Viadana, maestro di cappella della cattedrale di Mantova. Attratto dal grande favore che incontrava nel pubblico il genere monodico delle nuove musiche del Caccini, e considerando pure la difficoltà dell’esecuzione corale a più voci nelle cappelle, che non potevano comporsi di gran numero di cantori, r ebbe l’idea di scrivere dei pezzi religiosi per un piccolo numero di voci sole, completando l’armonia con accompagnamento d’organo. Di qui ebbero origine i concerti religiosi del Viadana, pubblicati nel 1603 e coi quali veniva a costituirsi nella chiesa il canto monodico.
La scuola romana, pure attenendosi alle tradizioni del suo illustre fondatore, il Palestrina, non potea rimanere estranea all’influenza della veneziana; ed infatti si osservano nelle opere di quest’epoca un aumento dei cromatici ed un graduale allontanamento dei toni gregoriani.
Nelle composizioni dell’Allegri e del Frescobaldi, cui dobbiamo la creazione del contrappunto doppio, della fuga propriamente detta, si nota già un certo ravvicinamento delle due scuole, che fu poi decisamente compiuto dal Carissimi, veneziano d’origine, maestro di cappella nella chiesa di S. Apollinare in Roma, colla creazione della cantata e dello stile concertante. Svincolata così dalle strettoie del canto fermo e completamente trasformata, dopo brevi anni dalla morte del Palestrina, la musica religiosa ha la via ormai tracciata, e procede a gran passi verso lo sconfinato ideale, sempre elevato e proprio alla maestosità del culto, arricchendosi mercè le sublimi creazioni di illustri maestri quali il Lotti, Marcello, Caldara, Martini, ecc., di nuove e splendide forme (mottetti, ricercati, toccate, ecc.)
Pei rapporti commerciali tra Venezia e le città mercantili della Germania, la scuola veneziana influì pure sul genio dei compositori tedeschi del XVII secolo; Enrico Schutze il primo a tentare un saggio d’opera tedesca, ed allievo del Gabrielli, diede felice impulso al canto evangelico e sulle orme dei maestri veneziani introdusse nella musica le sinfonie sacre, le canzoni sacre ed i concerti religiosi.
Questa ardita innovazione, che era un colpo funesto pel vecchio corale, non fu seguita da tutta la scuola tedesca.
Nella Germania del Nord, dove le tradizioni del corale luterano si mantennero intatte e severamente custodite, i musicisti si diedero esclusivamente allo studio dell’organo, l’unico istrumento che servir dovesse d’accompagnamento al culto.
Nella ricerca pertanto di nuove combinazioni armoniche, onde arricchire il vecchio corale, che s’andava sempre più impoverendo, stava tutto lo studio degli organisti, i quali mercè la scienza profonda diedero sorprendente sviluppo all’artificio contrappuntistico, quale si ammira negli immortali lavori di Bach e di Handel. Amburgo è la città che tra le altre si distingue per la sua celebre scuola. Ivi l’arte organistica si coltiva per tradizione di padre in figlio, tra le famiglie sono illustri, per esempio, quelle dei Schulz e dei Sheidermann, ecc.
Vediamo adunque determinata la distinzione delle due nazionalità, la tedesca, la greco-latina, alla quale pure partecipò la Germania del Sud.’ — Questa distinzione che trova la sua naturale ragione nella diversità di indole, religione e tendenze dei popoli, esiste per conseguenza anche nell’arte organaria.
Il tipo italiano (latino) ed il tipo tedesco.
Lo sviluppo della musica istrumentale nelle chiese fu il criterio che guidò in particolare gli organar! italiani, dal XVII secolo in poi, nella ricerca delle più felici ed inge gnose applicazioni, cui aveva aperto un campo illimitato la scoperta delle canne chiuse a grosso e piccolo taglio.
Un’orchestra aggiunta all’organo non era spesa possibile e sostenibile a tutte le chiese: di conseguenza la maggior parte di queste dovevano rinunciare ai grandiosi lavori dell’epoca, più appropriati alle solenni cerimonie del culto; di qui, come al Viadana sorse l’idea di sostituire il canto monodico al corale, gli organati attesero di trar partito dalla imitazione e di surrogare per quanto possibile coll’organo solo l’orchestra intera.
Diretti da un intento così elevato ed essenzialmente artistico, poiché, fatta astrazione di qualunque considerazione economica, non vi può esistere peggior ibridismo dell’organo ed orchestra assieme (l’uno escludendo necessariamente l’altra), i nostri artefici disposando l’imboccature ed i labbri dei tubi in modo che venendo ritardata l’emissione dei suoni, venisse riprodotto l’attacco dell’arco sulle corde, giunsero ad ottenere l’imitazione del violino, violoncello, viola, contrabasso, ecc. Poi col mezzo di forte pressione d’aria tentando di ottenere il colpo di lingua del suonatore, riprodussero il clarinetto, il corno, la tromba, ecc.
Col moltiplicarsi delle varietà e numero dei registri, si provò pure il bisogno di moltiplicare le tastiere, che oggidì in certi organi sono fino a cinque. La gara era pertanto aperta ed accesa: ciascuno aspirava alla gloria di avere costruito lo strumento più imponente e perfetto. Trovata tanta varietà e quantità di timbri, non rimaneva che una gran difficoltà a vincere. Era l’effetto di piena orchestra che mancava; l’organista, con tante tastiere dinanzi a sè ed innumerevoli giuochi disposti partitamente per ciascuna di esse, era nell’assoluta impossibilità di riprodurre ad un certo punto l’effetto desiderato.
Il problema fu risolto meravigliosamente da Giuseppe Serassi coll’invenzione del cosidetto tiratutto 1, mediante il quale a volontà dell’organista ed a qualsiasi momento si riuniscono tutti i giuochi in una sola tastiera.
Questo mirabile congegno, che colla gloria più fulgida. della celebre famiglia Serassi forma pur quella dell’Italia, segna una delle fasi più importanti della storia dell’organo; alla varietà mediante esso erano ormai aggiunte l’omogeneità e l’unità, e dopo di ciò non rimane che un passo ancora, perchè l’organo possa dirsi arrivato al suo completo sviluppo, Y espressione (e questo, come vedremo, era gloria riservata ad un’altra famiglia italiana, i Lingiardi di Pavia); tutto il rimanente non consiste che in perfezionamenti più o meno reclamati di meccanismo e di effetti fonici.
Nel secolo XVII si rese famoso organare il sacerdote Bernardino Azzolino della Ciaja, costruttore dell’organo regalato alla conventuale dei Cavalieri di S. Stefano in Pisa, con quattro tastiere ed ottantasei registri. Di questo famoso organo il Filippo Gherardeschi, che fu maestro di cappella della conventuale, ne parla in una lettera ad Alessandro Morroni.
Antonio Maria Tronci fondava pure in Pistoia la sua fabbrica, divenuta poi celebre. Il Tronci introdusse gli istrumenti a lingua sino allora sconosciuti. E famosa la contrabassatura del Filippo Tronci; ed è pure invenzione di lui il cornetto. Perfezionò ancora il polysir, congegno da caricarsi e muoversi col piede a piacimento del suonatore. Di Pistoia è pur celebre l’Agati; a Milano vi è il Valvassori; a Venezia Nanchin. Urbano, costruttore dell’organo della cattedrale di Treviso, e Callido che nel 1795 aveva già costruito trecentodiciotto organi; di Siena il Romei, di Lombardia il Biroldi, il quale costrusse cinque organi nella città di Milano. Sopratutti si acquistò universale rinomanza Giuseppe Serassi di Bergamo, capo di una famiglia che ha dato tre generazioni di costruttori illustri. E da menzionare l’organo doppio di S. Alessandro di Colonna a Bergamo, costruito dal figlio Giuseppe nel 1750. Consiste in due organi distanti tra loro cinquanta metri, e posti di facciata l’un l’altro, con due tastiere e due pedaliere ciascuno; conta nel complesso ottantaquattro registri.
L’organo celebre di Colorno di ottantadue registri appartiene pure ai Serassi, come quello dell’Annunziata di Como a tre tastiere ed ottantasei registri.
A questi celebri artefici sono dovuti molti perfezionamenti fonici, tra cui gli istrumenti a lingua ed i potenti contrabassi.
(Continua)Lodovico Alberti.
== Rivista Milanese ==
Sabato, 27 aprile.
Al Filodrammatico ha ottenuto successo completo la vecchia opera di Rossini, L’Italiana in Algeri.
È la solita storia; questi spartiti che un giorno ebbero grande voga, abbandonati poi per le vicende della moda, tornano oggi graditissimi alla luce della ribalta e quasi per intero sembrano ancora freschi e vegeti come se il tempo per essi non fosse passato. Miracolo del genio, dell’arte vera!
L’esecuzione accuratissima ha giovato al successo. Furono applauditi le signore Carafa e Bianchi, e i signori Chinelli, tenore, Vanden, basso e Correggioli, buffo.
Il maestro Panizza concertò l’opera con amore e ottenne un buon resultato complessivo.
La Lucrezia Borgia, rappresentatasi giovedì, subì invece sorte contraria. Il capolavoro di Donizetti fu dato senza alcuno degli elementi necessari. Se si eccettua la signorina Italia Costa, un Maffio Orsini degno di plauso, tutto il resto concorse a rendere quello spettacolo un’indecente parodia.
A giorni verrà dato l’Jolanda, idillio musicale del maestro Gellio Coronaro. Vogliamo sperare che l’esecuzione sarà tale da non muovere le risa, come è avvenuto per la Lucrezia Borgia!
La Società Corale di Colonia
A MILANO
Fu ancora un trionfo, un nuovo saggio e splendidissimo
delle speciali attitudini, che si hanno fuori
d’Italia pel canto corale.
Allorché, festeggiatissima, la Società Corale di Zurigo si presentò a Milano, io scrissi tutto quello che pensavo in rapporto a questa nostra inferiorità; rammento anzi d’essermi assai dilungato in proposito, quindi questa volta salto a pie’ pari tale parte, del resto interessante, anche perchè, da quel giorno, a oggi nulla da noi s’è fatto di nuovo in tale materia, che potesse dare ragione ai miei desideri e a quelli di coloro che amerebbero potessimo fare noi ciò che fanno adesso queste Società d’oltr’alpe. Quando andremo noi, con un nostro corpo corale, a Vienna o a Berlino? Mai, o forse ben tardi. Lasciamo da parte le utopiache illusioni che gli odierni esempi debbano giovare a scuotere questa nostra apatia! Noi, andiamo a sentire quegli ammirevoli eccezionali cantori, applaudiamo a piene mani, ma quando usciamo siamo tali e quali come quando vi siamo entrati, convinti che noi col nostro carattere, coi nostri usi e costumi, non giungeremo mai a fare qualche cosa di simile; e pazienza, aspettiamo!
Intanto dobbiamo registrare anche pei cantori di Colonia un successo caldissimo, in alcuni punti entusiastico.
Non mi perdo ad analizzare pezzo per pezzo il lungo programma; facendo ciò copierei nè più, nè meno, che quello che hanno scritto i miei colleghi della stampa e sarei anzi perfettamente d’accordo con essi per il modo col quale l’insuperabile coro tedesco interpretò’ ed eseguì i vari pezzi. Nel 0 bone Jesu del Palestrina lo stile tradizionale fu meravigliosamente conservato, nel Guardati del Girschner quei 110 uomini pareva che invece di cantare pizzicassero no istromenti a corda, e parimente perfetta l’esecuzione di tutti gli altri pezzi, in tutti la stessa sorprendente precisione nei valori delle figure, precisione addirittura matematica, quella che, bisogna dirlo, noi non raggiungiamo nemmeno nelle esecuzioni orchestrali, ove cosi spesso una semicroma, dopo la croma puntata, giunge tardi, al posto per esempio di una biscroma!
Inoltre felicissimi i coloriti, i piani che sono piani, i forti che sono forti, e così i crescendo e gli smorzando, ecc. Di tutto questo mirabile resultato ne ha certamente primo merito il maestro Enrico Zöllner, quel valente e forte musicista, che al primo concerto ei ha dato un solo saggio del suo grande valore di compositore con quel Saluto all'Italia, pagina severa come la nazione che lo rivolge, serena come la nazione cui è rivolto.
Ho detto già che le feste, che furono fatte ai valenti cantori, furono degne dei loro grandi meriti; aggiungerò che di alcuni cori fu chiesta e ottenuta la replica, che si sarebbe desiderata anche del Tramonto di Sgambati, mentre il secondo coro dello stesso autore, Su, vola uccellino, sembrato di una caratteristica un po’ manierata.
Come solisti furono applauditi la signora Donita e ignori Wolff e Roth.
Il vastissimo, magnifico, superbo salone dell’Eden accese una vera folla di gente, il tutto Milano artistico, del censo e della borghesia e tutta o quasi la colonia tedesca qui residente. E tutta quella gente, tutta, nonché i no cantori, avevano costantemente lo sguardo rivolto al centro della grande platea, dove sedeva tranquillo il primo italiano vivente, Giuseppe Verdi.
Il veramente ingenuo quanto grande maestro era lieto, pensava lui, di sedersi confuso tra la folla dove nessuno lo avrebbe riconosciuto!! Oh! sì, appena spuntò dalla porta di mezzo quella faccia sulla quale è scritta tutta la storia dell’arte musicale italiana, un grido solo acclamò a quell’uomo, quella folla sentì ad un tratto un fremito d’orgoglio d’averlo fra lei, e i battimani non sembrava volessero cessare.
In quel momento abbiamo colto a volo questa botta e risposta che, collo spirito arguto dei milanesi, caratterizza tutta la scena: — Pover omm!... ei lassen nanca sta quiett! — Bravo ti!... e lu ei doveva minga scriv ei Rigoletto!...
SOFFREDINI.
La Casa Editrice G. Ricordi & C. ha dato commissione di un’altra opera al maestro Giacomo Puccini.
ALLA RINFUSA
★ A Potsdam (Berlino) verrà eretto un Concerthaus (sala per concerti), la cui direzione musicale fu assunta dal professore Michele Vitucci, attuale maestro dei cori dell’opera al teatro Kroll di Berlino. In questo stabilimento avranno luogo esecuzioni musicali simili a quelle della Philharmonie di Berlino.
★ Al teatro tedesco di Praga andò in scena per la prima volta, il 14 di questo mese, una nuova operetta, Der Fuchsmajor, libretto di Otto Weiss e F. Mamroth, musica di Sigismondo Bachrich, tutti autori viennesi. Questa novità fu accolta con molti applausi e il compositore venne chiamato ad ogni atto insieme agli artisti.
★ La compagnia del Carl-Theater di Vienna rappresentò al teatro tedesco di Pest, per la prima volta, l’operetta Ein Deutschmeister di Ziehrer, ed ebbe favorevole incontro.
★ Una pubblicazione interessante per violinisti e fabbricatori d’istrumenti è il foglio edito a Lipsia da A. Payne: Sviluppo della costruzione dei violini in Italia, che in forma di un albero genealogico presenta l’origine del primo violino, come pure il perfezionamento di questo istrumento per mezzo dei grandi maestri Amati, Stradivari e Guarneri. Il foglio espone circa 160 fabbricatori d’istrumenti cogli anni della loro attività e forma un bell’ornamento da sala per chiunque s’interessi del violino. I dodici ritratti-medaglioni, che si trovano in margine, come Spohr, De Bériot, Ernst e specialmente Molique, il cui ritratto era finora affatto sconosciuto, sono pure interessanti per il violinista.
★ Il dott. Guido Adler, professore all’Università tedesca di Praga, ha scoperto, in possesso di uno studente, signor Emilio Bezecny in Praga, un pacchetto di parti manoscritte d’orchestra colla soprascritta: Concerto in Re maggiore per pianoforte con orchestra di L. v. Beethoven, e ne trovò la parte di pianoforte presso il fratello del suddetto, barone Giuseppe de Bezecny. L’opera data probabilmente dalla giovinezza di Beethoven, forse a venti anni, e dicesi che porti l’impronta della musica per pianoforte di Haydn-Mozart. Sfortunatamente non contiene che il primo tempo, e questi dovevasi eseguire per la prima volta, negli ultimi giorni scorsi, ai Concerti filarmonici a Vienna.
★ Il Quartetto vocale austriaco delle dame Tschampa, che ultimamente cantò con molto successo a Kònigsberg, Brunswick, Wiesbaden e Francoforte s. M., terminò il suo giro artistico invernale, di oltre 50 concerti, facendosi udire a Colonia con entusiastici applausi.
★ All' Adunanza degli artisti di musica tedeschi, che avrà luogo a Wiesbaden dal 27 al 30 giugno prossimo, verranno eseguite le seguenti composizioni: Requiem tedesco di Giovanni Brahms; L'Infanzia di Cristo di Berlioz; La Cena degli Apostoli di Wagner; Dall'Italia, fantasia sinfonica di Riccardo Strauss; Variazioni per violino ed orchestra di Giuseppe Joachim; Burleske per pianoforte ed orchestra di Riccardo Strauss.
★ Dal io al 15 di settembre si riunirà in Bressanone (Tirolo) l’assemblea generale del Cecilienverein tedesco che tanta parte ha avuto nella restaurazione della vera musica sacra in Germania, nella Svizzera ed in Austria.
Dicesi anche che in quest’anno arriverà a Padova una riunione dei Ceciliani d’Italia, allo scopo di far risorgere fiorente l'Associazione italiana di S. Cecilia, e di studiare i mezzi onde rendere sempre più attiva la riforma della musica sacra nella patria di Palestrina.
★ Dai fogli esteri si apprende quante feste raccolga in vari concerti nelle principali città del Belgio, il valente compositore italiano prof. Ragghianti col suo grande Concerto per violino ed orchestra, pezzo che, come è noto, gli fruttò al Conservatorio di Liegi la laurea di professore. Noi lieti dei successi di un italiano all’estero, nutriamo però la speranza che sarà dato presto anche a noi di conoscere cotesto bellissimo Concerto.
★ Fra le curiosità musicali dell’Esposizione di Parigi, annoverasi sin d’ora, e sarà indubbiamente ammirato, un coro «finnico» composto di cento giovani musicisti scandinavi, sotto la direzione del signor Gesta Sohlstroem, dottore in filosofia (?). Cantano, si dice, meravigliosamente, ed in Russia, come nella Scandinavia, godono di una grande popolarità. Lo Czar e la Czarina li hanno presi sotto la loro particolare protezione. La musica ch’essi cantano è tutta allegra.
★ Assicurasi che a Parigi, in occasione dell’Esposizione, verrà costrutto un teatro in quaranta giorni, che avrà nome «Teatro del Centenario.» Costrutto in legno e ferro, non avrà vita che per un anno e mezzo al più. Avrà la forma di anfiteatro, e sarà anzi a gradinate, su cui troveranno posto 2000 persone (non gran cosa, ci pare). I lavori dovrebbero cominciare da domani, e si continueranno anche di notte, alla luce elettrica. Un particolare curiosissimo della faccenda, è che, per viemmeglio animare e tener desti gli operai, un’orchestrina ad hoc suonerà per tre ore filate motivi popolari ed arie patriottiche. Non c’è dubbio che gli operai si divertiranno mezzomondo; quanto ai «dormienti» delle vicine case, non avranno, forse, l’istesso godimento.
L’idea, bizzarra, è però allegramente pratica, e vuole essere applaudita.
★ Quel tale americano che, come abbiamo narrato a suo tempo, ha fatto un racconto spaventevole della sorte che corrono a Milano le giovani americane che qui vengono per dedicarsi all’arte della musica, speriamo sarà informato di ciò che accadde or non è molto a Berlino, f altra delle Mecche musicali. Colà una fanciulla americana, del New Hampshire — illusa come tante sue pari — s’è uccisa, annegandosi nel fiume. In America le avevano fatto credere mari e monti di gloria; Berlino avrebbe compiuta quell’educazione musicale per la quale la giovanetta già rivelava portenti. Entrò nella Reale Accademia di musica (leggi Conservatorio), si senti dire che valeva un fico 5 secco, che l’avevano ingannata, ed essa n’ebbe spezzato il cuore. Questo luttuoso accidente ha poi messo in luce che nella metropoli tedesca ei sono dei «professori» che sanno farsi pagare dai 20 ai 25 franchi per lezione, mettendo in conto anche le lezioni che l’allievo o l’allieva non abbiano preso, ma che avrebbe dovuto prendere. Vero è che non eccedono in complimenti: se chi studia non rivela le requisite qualità, glielo dicono sul muso, senza reticenze.
L’infelice giovanetta sacrificatasi, chiamavasi Elena Buttrock. ★ Il ritratto della signora Barbi, pubblicato sulla copertina del N. 15, fu per errore indicato come lavoro del nostro amico Bignami: invece è disegno di Cairoli.
★ In Amburgo nel prossimo settembre avrà luogo una festa musicale che durerà tre giorni.
★ La diva Albani va furoreggiando l’America. Le si fanno dimostrazioni straordinarie. Fra le altre c’è quella tutta individuale d’una signora, sua ammiratrice entusiasta, che dopo un concerto a Boston, le offrì... una scatola di canditi e zuccherini vari. Crediamo che questo dolce simbolo d’un sentimento ammirativo sia piuttosto unico che raro nella storia dei regali ad artisti...
CONCERTI
MILANO. — Per cura della Società del Quartetto, nella sala del R. Conservatorio, ebbero luogo lunedì e giovedì due concerti dell’esimio violinista Eugenio Ysaye.
Lo spazio davvero mancante non mi permette estendermi in dettagli, ciò mi rincresce molto perchè l’Ysaye ha destato in questi due concerti un fanatismo indescrivibile, un fanatismo al quale davvero da un pezzo non si era abituati. In lui furono trovati meriti veramente eccezionali e dovette concedere la replica di alcuni pezzi lasciando di sè il più grato ricordo.
Anche suo fratello Teofilo, pianista, si mostrò valente interprete ed esecutore. Nel complesso furono due dei più riusciti concerti dati dalla benemerita Società.
— Nel teatro del Filodrammatici, martedì 30 aprile, a
ore 9, avrà luogo il già annunziato concerto della signora
Gilda Ruta, colla gentile cooperazione della signorina Zina
De Nuovina, soprano, e del baritono signor Alfonso Felici,
col seguente programma:
PARTE I.
GILDA RUTA
1. Andante - Rondò (per Pianoforte ed Archi)
L'Autrice
2. Addio! Melodia (per canto con accomp. di Pianoforte)
(Signorina Zina De Nuovina)
3.Notturno. Polacca (per Pianoforte)
L'Autrice
4. L'ultima ebbrezza. Melodia (per Canto con accompagnamento di Pianoforte).
Signor Alfonso Felici
5. Concerto (per Pianoforte ed Archi).
a) Allegro - b) Adagio - c) Allegro scherzoso
L'Autrice
PARTE II.
GILDA RUTA 6. Eterna idea! Melodia (per Canto con accomp. di Pianoforte)
(Signorina Zina De Nuovina
7. Gavotta (per Orchestra).
8. Voglio morir con te! Melodia (per Canto con accompagnamento di Pianoforte).
Signor Alfonso Felici
9. Bolero (per Pianoforte ed Archi)
L'Autrice
— Quest’oggi, alle ore 2 1/2 pom., nella sala del Regio Conservatorio, ha luogo il grande concerto Anzoletti col seguente programma: 1.Beethoven.... Coriolano. Ouverture. Op. 62.
(Orchestra)
.
2. Bazzini......Grande allegro di Concerto. Op. 19 (per Violino ed Orchestra).
(Concertista)
.
3. Alberto Lod... a) Ultimo voto. Versi di G. Panzacchi. (Melodia per Baritono, con accompagnamento di Pianoforte).
b) «Ella sedea.» Versi di L. Alberti. (Melodia per Baritono, Violoncello e Pianoforte).
(Signora Bellati e signor Magrini).
4.Bach Joh. Seb.
a) Sarabanda b)Tempo di Bourrée
Paganini c) Capriccio-Variazioni
(Violino solo)
(Concertista)
.
5. Vanbianchi Art.
Agnus Dei della Messa solenne.
(Solo, Coro ed Orchestra)
6. Max Bruch... Concerto. Op. 26 (per violino ed Orchestra)
Preludio - Adagio - Finale.
(Concertista)
.
7. Alberti Lod... Primavera. Versi di {Sc|A. Panzacchi}} (Melodia per Mezzo-Soprano con accompagnamento d'Orchestra).
(Signorina Bice Savoldi
8.Anzoletti.... a)Gavotta
Wieniawski.... b)Tarantella
(Violino con accompagnamento di Pianoforte)
(Concertista)
.
Direttore d'Orchestra maestro. Vanbianchi Arturo I pezzi segnati coll'asterisco * si eseguiranno per la prima volta
— Nel Circolo Dilettanti Mandolinisti e Chitarristi ebbe " luogo lunedì sera il concerto inaugurale del Quartetto Sociale.
Il concerto ebbe successo il più completo; furono applauditissimi i valenti esecutori signore e signori. Su questa importante inaugurazione amo trattenermi alquanto, mi riporto perciò al prossimo numero.
Concorso per un Pezzo per Banda
Il R. Stabilimento Tito di Gio. Ricordi e Francesco Lucca di G. Ricordi & C., apre ai Maestri Italiani il seguente Concorso per una Ouverture per Banda
PROGRAMMA.
1.° Le composizioni dovranno essere inedite, scritte chiaramente in partitura, e saranno trasmesse non più tardi del 31 ottobre 1889 alla ditta G. Ricordi & C. - Milano, ritirandone ricevuta.
2.° Le composizioni stesse non dovranno avere indicazione alcuna del nome dell’autore, ma saranno contrassegnate con una epigrafe, ripetuta sulla soprascritta di una busta suggellata, entro la quale sarà scritto il nome, cognome, patria e dimora del concorrente. Qualunque segno potesse dar luogo a far conoscere il nome del concorrente, sarà causa che il manoscritto venga messo fuori concorso. 3.0 Soltanto la busta portante l’epigrafe del pezzo premiato verrà aperta: qualora risultasse che l’autore non è italiano, non si pubblicherà il risultato del giudizio. 4.0 Le composizioni non premiate dovranno ritirarsi a cura e spesa dei concorrenti: la restituzione sarà fatta dietro presentazione della ricevuta, di cui all’art. i.°, e la persona che eseguirà il ritiro rilascierà ricevuta in proprio nome. Non si risponde della conservazione di quei manoscritti che non venissero ritirati entro 30 giorni dalla pubblicazione del risultato del concorso. 5.0 La composizione premiata rimane di piena ed esclusiva proprietà della ditta G. Ricordi & C., e sarà pubblicata nella Biblioteca dei Corpi di Musica Civili e Militari. 6° L’Ouverture non deve avere la forma classica delle Sinfonie in quattro tempi; all’infuori di tale eccezione, è lasciata piena libertà di forma ai concorrenti; però la durata sarà non minore di 7 minuti e non maggiore di io. — L’Ouverture dovrà essere istrumentata per un Corpo di musica completo, preferibilmente senza istrumenti speciali; qualora questi fossero compresi nella partitura, l’autore dovrà fare in modo che possano venire anche sostituiti con istrumenti comuni più in uso, segnandoli perciò in apposito rigo. li Ouverture potrà anche essere caratteristica ed avere per tema un dato soggetto. 7.0 Il premio sarà di Lire 300.
Milano, i.° marzo 1889.G. RICORDI & C.
CORRISPONDENZE
NAPOLI, 22 Aprile.
Tannhäuser al S. Carlo. Prima rappresentazione: pentimento: promesse. — Concerti: Stabat del Rossini; del maestro Bellini. — Le Sette parole del Morgigni. — Un concerto corale del maestro Lombardi.
Avrei desiderato questa volta non parlarvi d’altro che del Tannhäuser, riserbando alla corrispondenza il resoconto della serata; se mi si fosse concesso, avrei invaso qualche altra pagina del giornale, per trattar dell’opera d’arte. Per mala sorte, debbo rimettere a più tardi il soddisfacimento dell’uno e dell’altro desiderio.
Tuttavia, per debito di cronista, ho a dire che la sera di sabato, prima rappresentazione del Tannhauser, la musica non sempre fu ascoltata con quell’attenzione che si doveva, causa qualche deficienza nell’esecuzione parziale. La stupenda sinfonia fu bissata; la dolce melodia della canzone del pastore, che è in mirabile antitesi col canto grave e triste de’ pellegrini, si era fatta strada nell’animo di tutti; le frasi larghe e drammatiche e sommamente appassionate di Venere; tutte le frasi di Volframo erano calorosamente applaudite; tutto il primo atto faceva antivedere un successo felicissimo.
Se non che, al secondo atto, dopo che l’aria di Elisabetta era entrata nelle grazie di tutti, e il duetto fra Elisabetta e Tannhauser aveva lasciato una forte impressione, e della gran marcia si era voluto il bis, tanto potentemente aveva scosso, nel certame poetico de’ bardi, per un’imprudenza vocale dell’interprete della parte di Biterolf, si udì un urlo, che fece andare a male tutto il resto, perchè il grandioso concertato finale, al quale si è sottratta la frase più drammatica, non fu dato di ascoltarlo convenientemente.
Nel terzo atto si applaudì con entusiasmo la romanza di Volframo, il resto fu ascoltato con grande interesse, ma alla fine quella scarsa parte di pubblico che aveva tentato di far baccano, prendendo a pretesto le note false d’un comprimario, a cui non si sarebbe dovuto affidare la parte di Biterolf, si volle nuovamente imporre alla maggioranza.
Ecco quello che è avvenuto alla prima rappresentazione; iersera però le cose son mutate in gran parte, e anche i turbolenti fecero senno, e credo finiranno col pentirsi dello sfregio fatto a sè stessi, non dirò al Tannhäuser, come si pentirono nelle ultime rappresentazioni dell’oltraggio fatto al Guglielmo Tell. Avea pur troppo ragione il Rossini: manca il pubblico oggi!
A far gustare il Tannhäuser sarebbe occorsa un’esecuzione uguale a quella del Kaschmann in tutto e per tutto. E qui abbiamo un altro raffronto tra il Tannhäuser ed il Guglielmo Tell; questo si faceva intendere solamente per bocca del Tamagno, quello riusciva accetto, poetico, drammatico ogni qualvolta cantava il Kaschmann. Per disgrazia la Gabbi ed il Marconi non disponevano di tutta la loro voce, e qua e là accennavano al canto più che cantare. Se non che, siccome ho fede che l’esecuzione potrà migliorare, così rimetto ad altra volta il tener conto di tutti gli interpreti. Quello che, al certo, non potrà migliorare, è la meschina messa in iscena. L’Impresa accettò proprio a malincuore il Guglielmo Tell ed il Tannhäuser! Non vo’ credere che incoraggi essa a far baccano quei tumultuanti, che vorrebbero il solo ballo, e per melodramma una serie di canzoni popolari. — Ma non più melanconie; il risveglio verrà, e il trionfo sarà certo.
Ai concerti adesso: nella sala dell’Hôtel Nobile un pubblico numerosissimo sentì tutta la potenza della musica dello Stabat rossiniano. Degli esecutori principali furono pari all’alto compito il Durot, la signorina Ruo, la D’Angeli; il Sillich e la Gabbi dovettero, come i loro compagni, ripetere i loro pezzi. Non parmi per altro che l'Inflammatus sia perfettamente adatto alla voce della Gabbi.
Vi fu nell’esecuzione una breve digressione dall’entusiasmo: per un’indisposizione, l’egregio tenore Panzetta non fe’pregiare il quartetto Quando corpus. Le masse corali raggiunsero un’alta nota d’arte; l’orchestra fu rigorosa interprete delle gemme onde sono ricchi i disegni strumentali dello Stabat. Il maestro Calassi, il direttore, ha diritto ai maggiori elogi; in pochi giorni ha saputo trasfondere in tutti gli esecutori tutto il suo zelo, tutta la sua intelligenza.
Al Sannazzaro poi, a richiesta di molti amatori, si è nuovamente eseguito lo Stabat del giovine maestro Bellini. La musica, appassionata, elegante, di bella fattura, piacque come sempre. L’esecuzione, diretta dal maestro Niccoli, fu scrupolosa e lodevolissima: i cantanti, quasi tutti allievi deli’egregio Bellini, hanno dato prova di valore promettentissimo: segnalo fra tutti e per tutti il tenore Pèrcopo.
Fra gli altri interpreti devono ricordarsi il maestro De Vivo, il maestro Siragusa, che sedevano al pianoforte ed all’harmonium, il violoncellista Bello e l’arpista Albano.
Anche quest’anno, e con gran favore, è stata accolta e bene eseguita l’eccellente musica del maestro Morgigni sulle Sette parole.
A beneficio delle orfane di Casamicciola, il maestro Lombardi darà domani un gran concerto corale; vi prenderanno parte la Gabbi, la Serrao, il Durot. Si eseguiranno dalla massa corale del S. Carlo: la Carità del Roberti; due pezzi del Cherubini: Pie Jesu e Sanctus; un Coro-Barcarola del Lombardi; il coro dei Pellegrini del Tannhäuser; la Tirolese del Guglielmo Tell e la Vergine di Sunam del nostro direttore, a richiesta di quanti l’ascoltarono già. — Acuto.
VENEZIA, 18 Aprile (ritardata).
Concerto di musica sacra al Liceo Benedetto Marcello.
Inaugurazione dell’organo regalato dal barone Alberto Franchetti — Varie.
Ieri al Liceo Benedetto Marcello vi fu il solito annuale concerto di musica sacra: però quest’anno i soci non furono invitati ad udire lavori di lena, quali: Gallia, Redenzione, Sette Parole, ecc., ecc.; ma un programmino di musica sacra di varia indole e di vari autori. Si eseguirono: il Mottetto a quattro voci (coro) O vos omnes, del Vittoria; un’Ave Maria, Mottetto a quattro voci (coro) con accompagnamento d’organo, del Grazzini, professore di contrappunto e direttore artistico.del nostro Liceo; l'Andante religioso per quartetto d’archi di Rubinstein; il Miserere, cinque versetti {Miserere — Amplius — Tibi soli — Ecce enim — Tunc, acceptabis) a nove voci (in due cori); il duetto Quando Corpus di Pergolesi, per soprano e contralto, e Fuga finale ( coro ), con accompagnamento di quintetto d’archi e d’organo.
Di questi pezzi eseguiti tutti — l’ultimo eccettuato — abbastanza bene, furono ripetuti l'Ave Maria del Grazzini, composizione che mi parve felice sotto ogni riguardo, e l’Andante religioso di Rubinstein, che fu eseguito lodevolmente dai signori professori Tirindelli, Lancerotto, Piermartini e Radi. Piacque pure assai il Mottetto del Vittoria, la cui esecuzione fu migliore di quelle che ebbero gli altri pezzi tutti, e anche di questo si voleva la ripetizione, che non fu concessa.
Si trasse argomento di questa circostanza per inaugurare l’organo che il barone Alberto Franchetti, con munificente generosità, regalava, non è guari, al nostro Liceo. Lo strumento parve a tutti ottimo, rispondente al luogo e all’indole delle esecuzioni in esso possibili. Però, per udire con piacere un concerto di solo organo, abbisognano tre cose: l’ambiente vasto, alto e costruito a vòlte; potenza straordinaria e ricchezza di risorse nello strumento; grande pratica e riconosciuta perizia nel suonatore. In Francia, in Germania, in Isvizzera e ora anche in Italia, vi sono organi e organisti famosissimi ed il segreto dei successi che si ottengono sta appunto in quanto ho detto. A Venezia abbiamo dei suonatori d’organo ben superiori al prof. Giarda — il cui strumento è il pianoforte, nel quale eccelle — quali il Coccon, l’Acerbi, il Manfrin ed altri ancora; ma per la mancanza dell’ambiente opportuno e per le ristrette risorse dello strumento — adattatissimo per un Liceo del resto — neanche quei valentissimi avrebbero potuto ottenere un successo molto superiore a quello negativo ottenuto dal professose Giarda.
Tempo addietro Raffaello Frontali mi scriveva da Pesaro di un grandissimo organo che si stava costruendo a quel Liceo Rossini, e sarei oggi curioso di sapere esattamente quale importanza ha veramente lo strumento, quale sia la vastità dell’ambiente, quale la costruzione, se a volta o no, e quali gli effetti.
Nella rubrica Alla rinfusa ho visto accennato domenica scorsa al vincitore del concorso Baruzzi di Bologna, che fu il Pizzi, ed alla menzione onorevole aggiudicata allo Zuelli. Dopo questi due valentissimi, i quali avevano il vantaggio di aver tentata ancora la composizione melodrammatica, venne terzo il signor A. De Lorenzi Fabris, col suo Maometto II. — Questo giovane valente è allievo del nostro Liceo, per cui la classificazione tanto onorifica che ebbe il suo lavoro, tenuto conto del ragguardevole numero di concorrenti, riflette bella luce anche sul nostro Liceo.
In uno degli ultimi numeri di questa Gazzetta ho letto con molto piacere in un carteggio da Genova, che in quella città aveva esordito, e bene, nell’opera Macbeth, la signorina Emma Buzzolla. Nel mese di aprile del 1871 — ahimè sono ornai 18 anni — io scriveva per questa Gazzetta una estesa necrologia dell’esimio maestro di musica veneziano Antonio Buzzolla, morto il 20 marzo di quell’anno, necrologia che fu stampata nel N. 14, pagine 123-124. — Emma Buzzolla aveva allora due o tre anni, e qualcuno di più ne aveva il fratello suo. Ora questo è compositore di musica di bello ingegno, e la Emma, gentilissima signorina, fece ornai felicemente l’arduo passo come virtuosa di canto. Amico nei dolori e nei piaceri, mi è goduto l’animo di registrare in questa stessa Gazzetta due fatti i quali ricordano, l’uno la morte all’arte del padre Buzzolla, che era da tutti amato per la bontà dell’indole, come per il bello ingegno; l’altro, la nascita all’arte dei figli suoi, i quali promettono tanto bene e sapranno certo mantenere.
Ieri si è chiusa colla Norma la stagione musicale di primavera al Rossini, e domenica si aprirà quella di Pasqua al Malibran. Opera di apertura: il Trovatore, e poscia Faust e Mosè.
Non posso parlare oggi dei concerti popolari inaugurati domenica decorsa nel Salone dei Giardini Pubblici, perchè non ho potuto assistervi: sarà per un’altra volta. — P. F.
VENEZIA, 24 Aprile.
Società Corale di Colonia — Il Trovatore al Malibran — Varie.
Ier l’altro al teatro Rossini la famosa «Società corale maschile di Colonia» (Kölner-Mànner-Gesang-Verein) ha dato un concerto, ed il successo artistico ed economico fu ottimo. Parecchi pezzi ripetuti e circa 4,000 lire di incasso. Scrivendo ad un periodico di Milano, dove la Società stessa fu in questi f giorni degnamente apprezzata e tanto competentemente giudicata, non è proprio il caso di fare dell’altra critica. Mi limito quindi a condensare il mio povero parere in poche parole, cioè che anche questo con,certo servi a dimostrare quanto i tedeschi siano a noi superiori nella parte paziente dello studio: di qui l’esattezza mirabile, il sacrificio individuale per raggiungere collettivamente uno scopo artistico nobile ed alto; ma, riconosciuto ancora una volta tutto questo, devo pur dire che non ho provato che un senso di ammirazione, quasi mai veramente di entusiasmo.
Al teatro Malibran, il Trovatore, concertato e diretto dall’Acerbi,. fa furori. Il tenore Rawner, che ha voce fenomenale per estensione e? per intensità di suoni, sorprende addirittura. Ogni sera egli deve ripetere l’aria di sortita e la famosa cabaletta; Di quella pira. Piacciono pure la signora Calderazzi e Neumann, ed il baritono Pogliani ed f anche il basso, del quale non rammento il nome.
Al Lido sono incominciati i concerti domenicali, diretti dal maestro Malipiero, valente e modesto. Domenica, tra altro, vi fu un Concerto per violino del maestro V. Cozzi, suonato deliziosamente dal bravis’simo quanto simpatico autore.
I concerti orchestrali nel salone dei Giardini pubblici, incominciati sotto la direzione del prof. Giarda e poscia sospesi, per emergenze insorte, verranno ripresi e spero continuati sotto la direzione, credo, del maestro Domenico Acerbi. — P. F.
GENOVA, 23 Aprile.
Gli spettacoli d’opera al Politeama Genovese — Concerti.
Et resurrexit! ed il nostro Politeama Genovese è risorto esso pure
coll’Ernani di Verdi, che — come tutte le opere del grande maestro
— attrasse una folla immensa al vastissimo Politeama.
Dopo la Jone, di cui vi narrai vita e miracoli, e dopo i tre tenori
che si disputavano l’onore d’esservi più o meno fischiati o tollerati,
e dopo che per virtù del baritono Camera, la cui voce è un fenomeno
di strapotenza e di resistenza, si ebbe una Maria di Rohan, della cui
esecuzione non mi sono potuto fare un concetto esatte, perché sbalestrato
fra le opinioni di chi la trovò una cosa semi-quasi-press’a poco
perfettissima, e le mie orecchie le quali si ribellavano all’ottimismo
di tanti miei buoni amici e sopratutto a certe gridate, stonazioni e a
certi tagli che strozzano il largo pensiero musicale di quel Donizetti
la cui vena melodica aveva in quest’opera concisa già abbastanza, senza
sentir il bisogno di vedersela amputare in tal guisa.
Ma, dice un proverbio di non so qual data, il pubblico ha le esecuzioni che si merita, e quando scoppiano ad ogni po’ fragorosi applausi anche alle stonazioni, chi si contenta gode; — altro proverbio come sopra.
Eseguiscono la bell’opera del Donizetti la signora Buzzolla, la cui voce, se moderata dallo studio, potrà procurarle una brillante carriera; la signorina Trabucco, una dilettante genovese che si è data alle scene, e la quale ha finora tutti gli impacci d’una giovinetta esordiente; il tenore Cremonini, voce delicatissima, più adatta ad opere di genere leggero che alle parti del repertorio tragico; infine il baritono Camera, che quando avrà cessato di tuonare al Politeama, farà bene a sè stesso moderando la propria vociona, altrimenti se la rovinerà, e sarebbe peccato.
Nell’Ernani cantano: la signora Carolli De Bergagnes, la stessa che cantò la ]one, e nella parte dell’aragonese Elvira non fu da meno che in quella della giovane pompeiana; la sua bella e robusta voce fa un degno riscontro alle giunoniche braccia ed agli occhi nerissimi scintillanti, talché il pubblico è qualche volta imbarazzato se più debba ammirare l’artista o la bella e formosissima donna; io, per non sbagliare, faccio delle due una cosa sola, ed auguro che ei sia dato udirla in altri spartiti. Il tenore Caliioni, che alcuni anni fa cantò al Carlo Felice, mi pare non abbia più la voce geniale d’allora, essa è tremula e negli acuti poco espansiva; gli auguro che sia effetto di passeggera indisposizione. Il tuonante Camera tuona anche nelle spoglie di Carlo V, e per un imperatore ciò sarebbe in carattere, se Verdi non avesse scritto anche per esso delle delicate pagine, che vorrebbero essere colorite con più grazia. Il basso Araudo sarebbe un buon Silva, se la sua voce avesse un po’ di quella robustezza di cui abbonda la voce del Camera; ha però dell’intelligenza e si fa applaudire.
L’opera è concertata e diretta dal maestro Errante, il quale, anziché errare, tiene assai bene in carreggiata i vari e scarsi elementi di cui dispone.
Ora si prova la Linda, dopo la quale cominceranno le prove della Francesca da Rimini del Cagnoni, attesa con viva impazienza.
Alla sala Sivori abbiamo avuto il violinista Ysaye che ei sbalordì tutti; e dicendo che ei ha sbalorditi, non esagero punto. Non aggiungo altro, perchè leggo sui giornali della vostra città, che eguale impressione ha fatto a Milano; per cui a quest’ora ne sapete ben più che io non potrei scrivervene, epperciò punto e basta. — Minimus.
SIENA, 24 Aprile.
Concerti dei ciechi di Firenze — Altri concerti — Progetto di un Istituto musicale — Orinante teatrale — La musica in provincia.
La sera del 22 p. p., nel locale della Fiera di beneficenza,
teatro della Lizza, elegantemente e sfarzosamente addobbato,
venne dato un concerto dai ciechi dell’Istituto di
Va (g]| Firenze. Il programma, dove figuravano i nomi di Haydn,
Schumann, Mozart, Vieuxtemps, venne tutto eseguito in modo meraviglioso
dai poveri infelici, i quali ebbero applausi e chiamate sine fine.
Ottima l’interpretazione data al Trio di Haydn per fusione, colorito,
sentimento, precisione mirabili, e buona pure quella data al Quartetto di Mozart. Il cieco Marghieri nel Concerto (op. 8) di Vieuxtemps si mostrò dotato di meccanica e di intonazione perfetta, ed il Bruni si rivelò pianista nitidissimo nel rendere i passi più ardui di quelle pagine classiche. Le due giovanette cieche Giannini e Loni riscossero applausi eseguendo a quattro mani La Chanson dans le jardin e Le jour de fête (op. 85) di Schumann.
Domenica (21) ebbe luogo pure alla Fiera un altro spettacolo variato, nel quale si distinsero i mandolinisti, ed ieri sera (23) suonò nello stesso locale la banda del Comune, ma ahimè! sono dolente di non poter dire per essa nulla di bene, giacché è ormai ridotta in modo da non fare onore davvero alla città! Et super omnia veritas!...
Da molto tempo si parla in Siena del progetto per la costituzione di un Istituto Musicale, progetto messo fuori da alcune persone rispettabilissime, a cui sta veramente a cuore il decoro e l’interesse della città. Al mantenimento di quest’Istituto dovrebbero concorrere vari corpi morali della provincia, ed il nostro Municipio non dovrebbe che erogare in favore di esso le diecimila lire annue, spese per la banda e la Scuola di musica. Già da un pezzo il progetto pareva arenato appunto tra i banchi... comunali, ma ora, si spèra, in seguito ad alcune assennate osservazioni del locale Libero cittadino, verrà presto presentato ai nostri padri coscritti, i quali, confidiamo, non vorranno mostrarsi avversi a sì benefica istituzione.
Niente sino ad ora si mostra sull’orizzonte teatrale riguardo a spettacoli di musica. Sarebbe desiderabile una buona stagione d’opera nel prossimo agosto, il mese nel quale un tempo Siena ha avuto spettacoli invidiabili, ma finché le nostre munifiche accademie si ostineranno a voler ricompensare così lautamente i poveri impresari, temo assai che si possa ritornare alle antiche glorie.
Nel vicino paese di S. Gemignano (provincia di Siena) si prepara una stagione musicale con Traviata e Lucia, protagonista la signora Spaziani. — Do.
TRIESTE, 18 Aprile (ritardata).
L'ultima dell'Otello.
TRIONFALMENTE si chiuse ieri a sera la stagione al nostro
teatro Comunale colla nona rappresentazione dell’Otello
Verdi, e peccato che è stata l’ultima, dico io, e con
me lo ripetono tutti i frequentatori dei teatro. Oh potenza
di questa musica, al cui fascino nessuno si può sottrarre; chi la sente
la prima volta ne viene potentemente scosso, resta sorpreso, non la sa
comprendere in tutta la sua elevata bellezza, ma la vuol riudire, e la
prova di ciò la troviamo nell’essere il pubblico seralmente accorso in
folla straordinaria a sentire l’ultima creazione verdiana, ascoltandola
col più vivo interessamento e con quella religiosa attenzione che si
accorda soltanto alle cose geniali. Quel canto mi conquide, dice Otello,
ed invero quel canto ei ha conquisi tutti; s’innalzi, a chi l’immaginò,
un inno di gloria che chiuda col grido entusiastico: Viva Verdi. —
Ma ora alcune parole sull’anzidetta ultima rappresentazione, in cui il
De Negri eseguiva per la centesima volta la parte del protagonista.
Torna superflua ogni parola di lode al suo indirizzo, è un Otello come
diffìcilmente noi potremo sentire in avvenire un uguale. In lui cantante
e attore formano quel complesso artistico, che manda il pubblico in
visibilio. Dovette ribissare l’Addio, sante memorie, e ripetere il giuramento.
Venne regalato d’una corona. Il baritono Leone Fumagalli assunse
per questa sola rappresentazione la parte di Jago. Non voglio fare
confronti fra lui e il suo predecessore, perchè in certo qual modo
neanche non reggerebbero; ma dirò soltanto che è ancora giovane, che
possiede della voce, e come mi sembra anche del talento, che è stato
applaudito dopo il Credo, e che in generale il pubblico gli ha fatto
buona accoglienza.
La signorina Giovannoni-Zacchi, ad onta della sua giovinezza, può vantare un successo completo; eseguisce la parte di Desdemona con veramente ammirabile coscienza, curando ogni più piccolo dettaglio tanto scenico che musicale. Il pubblico la seppe apprezzare e da giudice giusto la rimeritò di applausi, i quali dopo Ave Maria raggiunsero in calore la gradazione massimale in questo punto ricevette due eleganti mazzi di fiori. Sempre ottimamente il Navarrini, il quale al suo apparire nell’atto terzo venne accolto da un lungo applauso, tributo d’aggradimento veramente meritato da questo egregio e infaticabile artista, il quale, cosa rara, cantò in tutte le 53 rappresentazioni della stagione. La Ravasio-Prandi, il De Comis, il Pelizzoni e il Novara contribuirono come per lo passato al buon andamento dello spettacolo. Va lodato il coro, ma non posso dire senza restrizione, perchè all’atto secondo lascia a desiderare. Inappuntabile l’orchestra sotto la direzione del valente maestro Gialdini, il quale venne particolarmente festeggiato dal pubblico, essendoché questa ultima della stagione era la sua serata d’onore, in cui ricevette tre corone, e da parte dell’orchestra un biglietto di visita in argento con incisavi una dedica.
Come ho detto, l’esecuzione dell'Otello è stato un avvenimento veramente artistico, il quale per la sua importanza occuperà uno dei posti d’onore negli annali del nostro teatro Comunale. L’Impresa poi, per conto suo deve votare uno speciale e caldo ringraziamento a quel mago di Verdi che seppe colmare la cassetta dei biglietti. E qui forse dovrei gettare uno sguardo retrospettivo sull’andamento degli spettacoli dell’ora cessata stagione; ma siccome dovrei toccare delle corde che darebbero suoni poco gradevoli per le orecchie di taluni, così lascio l’argomento nella penna.
Dovrei pure parlare del concerto dell’Associazione italiana di beneficenza dato l’altra sera al Politeama Rossetti, ma la tirannia dello spazio mi vieta di estendermi come vorrei su questo fatto. Però mi sia concesso di dire che in questa circostanza tutti due li scopi, tanto il finanziario come il musicale, sono stati splendidamente raggiunti; il primo da parte della cittadinanza tutta, la quale non manca mai di fare in numero stragrande atto di presenza in questo caso, e il secondo da parte dei principali artisti della testé decorsa stagione al nostro teatro Comunale, e del coro, e dell’orchestra di questo. Il concerto era organizzato e diretto dal maestro Gialdini, e non occorre dir altro.
Anche il quartetto Heller ha principiato la seconda serie delle sue produzioni di musica da camera; ma anche di queste parlerò in una
mia prossima. — O. V.PARIGI, 23 Aprile.
La MESSA di Rossini.
Veramente, se la Direzione dell’Opera Comica avesse voluto, il giovedì santo, dare un componimento sacro dell’immortale
autore del Mosè, avrebbe potuto e dovuto
scegliere lo Stabat, che da molto tempo non è stato eseguito
in questa metropoli. Ma, riposandosi sul felice successo del Re d’Ys, che si avanza rapidamente verso la centesima rappresentazione, e
troppo occupata nelle prove dell’Esclarmonda di Massenet, ha trovato
più comodo e più speditivo di far eseguire la Piccola Messa di Rossini, come la intitolò l’illustre maestro, il quale certamente, nello scriverla, non prevedeva che sarebbe data in un teatro, e molto meno
all’Opera Comica. Non dico ciò per la parola «comica,» poiché su
questo teatro fu dato anche la Messa da Requiem di Verdi, e con un
immenso successo. E fu udita per la prima volta in quello del palazzo
Pillet-Wils, cantata dalle due sorelle Marchisio (soprano e contralto),
dal tenore Gardoni, tanto rimpianto, e dal basso Agnesi.
All’Opera Comica, diretta attualmente dal signor Paravey, essa è stata cantata dalle signore Simonnet e Deschamps; quella, soprano; questa, contralto; dal tenorino Mouliérat e dal basso Fourulto. Vi scrissi nella mia precedente lettera che se l’esecuzione fosse stata soddisfacente, ve ne avrei detto qualche parola. Essa lo è stata, più specialmente per parte dell’orchestra e dei cori. Quanto ai quattro artisti di canto, le donne sono state di molto superiori ai due del nostro sesso. Nel duetto del Qui tollis, le signore Simonnet e Deschamps hanno ricevuto tutti i suffragi. La magnifica voce del contralto Deschamps ha fatto valere i bei pregi del Crucifixus, e la Simonnet non poteva cantare con più soavità e con più alto stile l’O salutaris. Non posso dire altrettanto del Domine, detto da Mouliérat, e del Quonium, interpretato da Fourulto. Se non che, all’Offertorio, le quattro voci ed i cori hanno intonato la preghiera del Mosè, che può dirsi la più bella delle preghiere che l’arte musicale possa vantare, e questa ha veramente elettrizzato l’uditorio, checché ne dicano i partigiani troppo intransigenti della nuova scuola, i quali vorrebbero fosse cancellato interamente tutto ciò che ha scritto Rossini, tutte les pantalonnades de Rossini, come non temè di scrivere Berlioz. (Veggasi il volume contenente la sua corrispondenza).
Per completare il programma del concerto religioso del venerdì santo, la Direzione ha creduto dover aggiungere alla «Piccola Messa di Rossini,» quattro altri pezzi: l’Inno di Haydn per gli strumenti ad arco, e l’Aria di chiesa, attribuita a Stradella e che non è di Stradella. Fin qui nulla di straordinario. Ma gli altri due pezzi aggiunti erano l’Ouverture del Freischütz e l’Andante della Sinfonia in do min. di Beethoven. Non ho ben capito il carattere religioso di questi due pezzi di musica, appiccicati al concerto del giovedì santo. Ma forse è mia colpa. Troppo ingenuo, avevo creduto che si sarebbero trovati facilmente negli oratori celebri due pagine musicali d’uno stile più religioso ed atte a figurare in un concerto sacro. Pare che mi sia ingannato...
Maria Maddalena.
Della Marie Magdeleine di Massenet, non vi dirò che poche parole,
quell’oratorio o questo dramma sacro non essendo una novità. Fu il
primo lavoro, in fatto di componimenti religiosi, che fece eseguire Massenet,
dopo aver esordito con molto successo all’Opera Comica, ed è
dalla Marie Magdeleine che cominciò la sua rinomanza. L’Eva, che la segui, piacque, ma è lontana dal valere l’altra. Infatti, la prima è stata più volte eseguita e lo sarà ancora; non così l’Eva, benché contenga non poche bellezze.
Cantata dalla Krauss al concerto diretto dal Colonne, la Marie Magdeleine ha affermato anche più il successo già altra volta ottenuto ed oramai più che sicuro. Il compositore non poteva nei suoi sogni più ‘ambiziosi, immaginare un’esecuzione più perfetta da parte, sia della grande artista di canto, sia da quella dell’orchestra diretta dal Colonne.
Per quanto vasta sia la sala dello Châtelet (che non contiene meno di tremilaseicento persone), molta gente dovè restare alla porta, sicché il Direttore di questi concerti ha dovuto permettere di far eseguire una seconda volta la Marie Magdeleine, e questa seconda esecuzione avrà luogo domenica 28 corrente. Non vi sarà un sol posto vuoto.
Ed ecco tutta la musica religiosa, che è stata data nella settimana santa a Parigi. — A. A.
RATISBONA, 18 Aprile
Concerti... e concerti
Volendo dedicare intieramente la corrispondenza della prossima
settimana alle grandi esecuzioni di musica sacra che
in questi giorni si succedono alla Cattedrale — delle
quali ho creduto bene indirizzare il programma al signor
Direttore della Gazzetta Musicale — non credo di meglio che vuotare
il sacco degli altri argomenti colla presente che tratta dei concerti avvenuti negli ultimi otto giorni.
Il 6 corrente ebbe luogo il più interessante: quello dato dal pianista Giehrl e dal baritono Gura di Monaco. Il prof. Giehrl è un artista sicuro, esatto ed assai animato nell’interpretare i classici autori. La Sonata appassionata, op. 57, di Beethoven, il Larghetto del Concerto, op. 21 ed il Valzer in Mi min. di Chopin, il Rondò, op. 24, di Weber, furono da lui resi colla dovuta osservanza di stile e di sentimento proprio a ciascuno dei tre grandi maestri citati. Nella Tarantella in Si min. di Rubinstein invece mi è parso alquanto debole e nel Concerto-Studio di sua composizione, un po’ vago, di modo che il pubblico rimase freddino anzichenò. Il Gura, cantante vero, da non confondersi col resto dei Sanger, che pullulano su questi teatri e che pretendono di essere seguaci del bel canto italiano, rese stupendamente due Ballate del Loewe, tre Romanze del Sommer e due Lieder magistrali — Waldesnacht e Prometheus di Schubert. Il primo di questi due piccoli capolavori è tutto un poema di idealità, non così astratta forse come quella che emerge dalle opere di Schumann, ma ugualmente accarezzante lo spirito. Il secondo invece è intensamente drammatico, alteramente sdegnoso, al pari delle parole di Goethe, che l’eroe della greca mitologia lancia a Dio.
Il Sing-Verein, altra delle dieci Società musicali che qui fioriscono, ei ha chiamati il giorno 11 aprile ad un concerto dato a scopo di beneficenza. Il programma assai variato comprendeva dei Mànnerchor, dei brani di Quartetti di Haydn, Beethoven e Blumenthal, più delle Arie celebri di Mendelssohn, Beethoven, Witt e Sturm. Messo assieme forse con soverchia fretta, non posso dire che tale concerto sia riuscito un modello di perfetta esecuzione; ma si trattava di beneficare ed il pubblico ha fatto bene a non lesinare negli applausi.
La cittadina Musikschule — osservi il lettore che non parlo della rinomata Kirchenmusikschule — o scuola di musica sacra — invitava il pubblico per la sera seguente ad una serata musicale come saggio degli allievi della scuola. Malgrado che nel programma figurassero i più classici nomi, l’esito del concerto è stato assai mediocre. Del resto da una modestissima scuola cittadina, che si regge per iniziativa privata, non si possono pretendere grandi cose. Quello poi che non mi riserbo di deplorare, è la scelta del programma troppo superiore alla capacità degli allievi.
Meno male che la sera successiva fummo compensati da un bel concerto promosso dal maestro Emilio Reuner. Egli eseguì sul violoncello, con grande slancio e sentimento artistico, il Grande Concerto in La min. di Saint-Saëns, una mediocre Romania di Volkann ed il Kol Nidrei di Max-Bruch. Una distinta dilettante dalla voce fresca ed intonata — pregio non troppo comune qui in Germania — si fece applaudire e meritamente nell’Aria dell’Orfeo di Gluck, in due bellissimi Lieder di Jensen e Levi; il primo sulle parole: Suona, suona, o mio Pandero, e il secondo dal titolo: Ultimo saluto. Richiesta del bis, la signorina Friedlein regalò al pubblico la notissima romanza della Mignon di Thomas:...das Land wo di Citronen blühn — Im dunheln Laub die Goldorangen glubn. Che volete! a questo punto ho proprio applaudito di cuore anch’io, e, lo confesso, un poco egoisticamente; perchè le parole ispirate a Goethe dal mio — mio per modo di dire — bel Lago di Garda, e la bella musica di Thomas traboccante di mesta poesia, attrassero la mia attenzione più che la vista — per quanto seducente — della signorina Friedlein. Completavano il programma due Ballate melodrammatiche di Schumann e Pabst. Vennero interpretate alla perfezione dal Reuner stesso che sedeva al pianoforte e dal signor Stark, un artista drammatico che ritiratosi dalle scene, ebbe tempo ancora d’arricchirsi — fortunato lui — dedicandosi all’industria della fabbrica dei colori. Dopo tutto, siccome le arti sono sorelle, il passaggio del signor Stark dagli amplessi di Melpomene e di Talia a quelli di Calliope,
lo affermano sempre devoto alle Muse. — G. T.SAN FRANCISCO (California), 3 Aprile.
Concerti — Madama Camilla Orso — Monsieur Ovide Musiti — Herr
Anton Hekking — Miss Alameda — La prova di un’Opera seria —
Metamorfosi musicali — Arrivo di un italiano — La Messa da
Requiem di Verdi.
La quaresima ei ha meglio trattati del carnevale, in quanto che fummo visitati, in queste due ultime settimane, da. qualche stella forestiera: Camilla Urso ei diede due concerti interessantissimi. Quella sua arcata maestra, quell’intonazione perfetta, quell’affettuoso sentimento che sempre accompagna ogni frase del pezzo che eseguisce, la rendono, a buon dritto, molto cospicua tra il numero dei più eminenti violinisti.
Un altro divo. nella grande arte di Paganini è venuto ad ammaliarci: Monsieur Ovide Musin, il quale ha ridestato tra noi quell’entusiasmo che tanto spontaneamente seppe provocare qui, or sono due anni. In questo lasso di tempo egli si è fatto anche migliore, e il suo suono è davvero una poetica rivelazione.
Un terzo grande artista ottenne qui un fenomenale successo. Il signor Antonio Hekking, violoncellista olandese, e fenomenale successo ottenne e otterrà ovunque, giacché egli è una di quelle rare individualità superiori a qualunque critica. Dotato d’un macchinismo sorprendente, egli trasfonde tutta l’anima sua a rivelare l’estetica d’ogni pezzo che eseguisce: il suo arco geme, freme, susurra, mentre le agili dita premono le corde, magnetizzando.
Miss Gleson, conosciuta a Milano sotto il nome di Alameda (preso a prestito dalla natia sua terra «Alameda,» nella Contea di San Francisco in California), è arrivata fra noi al suono di gran cassa. Essa diede un concerto, preparato a grandi colpi del suddetto strumento, e nel programma figuravano, tradotte in inglese, le critiche laudatone di vari giornali milanesi (ne ometto il nome per discrezione), le quali ’ dicevano mirabilia del suo bel canto (sic), della sua bella voce (sic), del suo gran talento (sic). Ma via, e sia detto ad onore della verità; per essere qui confinati lungi dai grandi centri artistici, non è poi ragione si debba ingoiarci certe carote, così, tutte di un pezzo, come ei vengono ammannite. Bref, Miss Alameda non piacque; e non c’è poi bisogno di essere un Rossini per capire che essa ha una di quelle voci americane, stridule quanto il fischietto d’una locomotiva, prive di ogni accento o colore musicale. Ci cantò l’aria di Bizet, nei Pescatori di Perle, che trovo male a proposito per un gran soprano che vuol far pompa di chirichichi, e ce la cantò con limitatissimo garbo e assai poca scuola.
A rompere la monotonia dei concerti, giunse, dal Messico, la compagnia d’opera spagnuola, impresa Cantellis; rappresentò un nucleo di Zarzuelas bastantemente divertenti, al teatro Bush. Una bella sera me n’andai in teatro per sentire l’annunciato Campanone del maestro Mazza e rimasi mistificato, gradevolmente però, quando invece udii la graziosissima e spontanea musica della Prova di un’Opera seria, di Ricci, la quale fece andare tutti in visibilio, tanto da costringere l’Impresa a far ripetere lo spartito per ben sei sere 2. Ora sembrerebbe che il Mazza abbia adottato questo gioiello d’opera buffa per la scena spagnuola, ma per quanto io mi sia provato di capire qual genere di trasformazione egli avesse fatto subire allo spartito del Ricci, per poi firmarlo col nome suo, non potei venire ad altra conclusione che il Mazza si sia, fortunatamente, contentato di tradurre il testo, lasciare i recitativi e battezzarla Campanone.
Intanto ecco un bel lavoro italiano che gira il mondo sotto altro nome, sotto altra bandiera! E non è questo il solo esempio di strana metamorfosi, per non dir altro, sofferto dalla musica italiana: certe edizioni tedesche e americane sono lì per dirvi che cinicamente si stampano i lavori di Scarlatti con tanto di ritratto e nome di Von Bülow, solo perchè ei li suona, ond’è che molti credono la Fuga del Gatto, lo Scherzo in Fa, ecc., essere roba tedesca! Troverete pure la famosa Gavotta del Lulli (generalmente scritto Lully) sotto il nome di Brahms; Padre Martini, Pergolesi, Boccherini col nome di Joseffy, Dulcken, ecc., ed il Gradus di Clementi, dopo di avere servito a cento pretenziosi tedeschi per fare un nuovo Metodo per Pianoforte (!), ora si stampa sfacciatamente col nome di Tausig, che lo ha mutilato di più della metà, come se poi certi esercizi a mano salda non giovassero alla formazione di un bel tocco e gli esempi di preludi, fughe e canoni non facilitassero a chiunque lo studio di Bach, Beethoven, Scarlatti ed altri. Insomma, si sta cercando di cancellare il nome italiano da quell’arte che gl’italiani hanno insegnato al mondo intero...
Dall’Australia arrivò e prese stanza tra noi un certo signor Faustino Ziiiani per dare lezioni di canto. La bella raccomandazione di essere già stato professore di canto al Conservatorio di Milano, come ho letto in parecchi giornali, mi fa credere alla sua abilità, e in questo caso le lezioni pioveranno 3.
Per Pasqua avremo dei concerti, i quali promettono di fare epoca. L’impresario De Vivo ei porterà la rinomata signora Albani; si può dunque presagire un avvenimento artistico, tanto più che con essa verrà pure il signor Bevignani, nome anche questo caro all’arte italiana.
Si dice che la Società «Haydn e Handel» diretta dall’inglese M.r Sterard, darà fra poco la Messa da Requiem di Verdi.
La Messa si darà, ma sarà poi quella di Verdi?... — R. A. Look.
REBUS
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(Massimiliano Sartore).
Quattro fra gli abbonati che invieranno l’esatta spiegazione, estratti
a sorte, avranno cadauno in dono musica da sciegliersi fra tutte le
Edizioni Ricordi e Lucca, per un importo non eccedente il prezzo marcato di lordi Fr. 4, o netti Fr. 2.
Nell’inviare la soluzione si deve in pari tempo indicare qual’è la musica che si desidera in dono; senza di che non si terrà conto della spiegazione inviata.
SPIEGAZIONE DELLA BIZZARRIA A SORPRESA DEL N. 15:
Fu spiegata esattamente dai signori: E. Ricchiardi, R. Zuin, F. Piazzi, M. Vezzani, E. Bassano, U. Nordio, G. Pagani, G. Da Ponte, A. Albertini.
Estratti a sorte quattro nomi, riuscirono premiati i signori:
U. Nordio, R. Zuin, G. Da Ponte, M. Vezzani.
OmessI: dell’Anagramma del N. 8: A. Albertini, G. Da Ponte
P. B. Marconi e del Rebus del N. 14: G. C. Serafini.
(1) Il Vascello Fantasma. (2) I Maestri Cantori di Norimberga.
Editori-Proprietari G. RICORDI & C.
Brambilla Achille, gerente. R. Stabilimento G. Ricordi & C. GIUSEPPE NAPOLEONE CAROZZI
ORTOFONO
distinto con Menzione Onorevole all’Esposizione Musicale in Milano 1881
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C - Piumino per regolare l’emissione dell’aria.
Per consigli pratici sulla coltura della Voce, uso dell’Ortofono e dettagliate descrizioni, fare richiesta all’inventore.
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INDIRIZZI
Barera Carlo — Specialità Mandolini e Chitarre — VENEZIA, S. Salvatore, N. 4927-28. (103-15)
Galli Carlo — Maestro d’Armonia, Composizione, Organo ed Harmonium — MILANO, Piazza S. Ambrogio, 45. (111-11)
Quaranta cav. Francesco — Maestro di Canto — MILANO - Via Solferino, N. 7.. (113-16)
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Buzzi-Peccia Arturo — Maestro di Canto e di Composizione — Via Pantano, 6 — MILANO. (13)
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Gialinà Evelina — Maestra di Canto della R. Scuola Normale - VENEZIA, SS. Apostoli, Fondamenta dei Sartori, 4806. (7)
Carlini Cav. Oreste — Professore di Canto e Pianoforte — LIVORNO, Via del Muro Rotto, 15, p. p. (7)
Fiorinotto Emanuele — Professore di Violoncello e Contrabasso alla Scuola d’Istrumenti ad Arco — VERONA. (7)
ANNUNCI TEATRALI.
DISPONIBILITÀ. MORI MARIA — Milano, Via S. Pietro all’Orto, 6. DUROT EUGENIO — tenore — per la primavera. GIORDANI ENRICO — baritono — Bologna, Via Massalella, 83. DADÒ AUGUSTO — basso — Milano. EMILIANI ORESTE — tenore — da oggi in avanti.
SCRITTURE LEONARDI EMMA — mezzo-soprano — riconfermata al teatro Liceo di Barcellona SOTTOLANA EDOARDO — baritono — per il teatro Carignano di Torino, stagione di primavera SINGER TERESINA — pel Brasile, stagione d'estate. RAVOGLI GIULIA — pel teatro Vittorio Emanuele a Torino, dal 10 maggio al 5 giugno prossimo.
NUOVISSIME PUBBLICAZIONI
DEL
REGIO STABILIMENTO TITO DI GIO. RICORDI E FRANCESCO LUCCA
DI
G. RICORDI & C.
53286 ALBANESE (E.) Lena. Barcarola. Poesia dell’avvocato F. Pinelli. S. o T Fr. 3 — ANDREOLI (C.) Danze per Pianoforte: 53438 — N. 1. Valzer... 4 — 53439 —» 2. Polka.... 3 50 53440 —» 3. Mazurka... 3 50 53441 —» 4. Galop.... 3 — BOLZONI (G.) Gavotta per istrumenti ad arco: 53295 — Partitura. (^) netti 1 50 53296 — Parti staccate..» — 50 — Ogni parte staccata» — io 53297 — Gavotta ridotta per Pianoforte 4 — 53409 — Impressioni Abrasesi. Polka-Marcia per Pianoforte 4 —’ 53202 CORONALO (GellioB.) Gavotta per Quintetto di Archi, ridotta per Pianoforte 4 — 53199 — Pallia di dolore! Romanza. Parole di A. Fogazzaro. S. o MS. o C. o Br 4 — 53475 DE-ROSSI (Dario) In Primavera. Melodia. Parole di Carmelo Errico. MS. o T 4 — 53351 FICCARSELI(S.) Scherzo per Pianoforte, eseguito dalla signora Gemma Luziani ne’ suoi concerti. 5 — FONTANA (F.) Libretto dell’Opera Edgar di G. Puccini... netti 1 — 53291 GASPERONI(E.) Fo/zio/r, ma petite! Gavotta per Pianoforte. Premiata nella gara musicale Scaramuccia. Firenze 1888... 3 — 53322 MARCHISIO (M.) Sonata caratteristica- per Pianoforte. Op. 17. 2.0 Tempo. Scherzo.... Fr. 3 — 53330 MAZZARELLA (B.) Improvviso in Fa diesis per Pianoforte 4 — 53331 — Valzer-Capriccio in Fa diesis per Pianoforte.. 4 — 53221 MAZZONE(U.) Mefistofele di Boito. Trascrizione per due Mandolini e Pianoforte 6 — 53197 NORSA (V.) Canzoncina d’aprile. Parole di E. Panzacchi. Ediz. illustrata. 3 — 52958 PONCHIELLI (A.) Capriccio per Oboe con Pianoforte 6 — PREITE (C.) Le temps de jadis. Gavotta per Quartetto d’Archi: 53511 — Partitura. (A) netti 1 — 53512 — Parti staccate..» — 40 — Ogni parte staccata» — io 53259 RENDANO (A.) 6.”“ Valse pour Piano 4 50 53260 — Barcarola per Pianoforte, dal Corsaro di Byron 5 50 SACCHI (V.) Canti corali all’unisono ed a due parti con accomp. di Pfte, ad uso delle Scuole Elementari e dei Giardini d’Infanzia: 53394 — Fase. 3.0. (A) netti — 50 53395 —» 4.°.» — 50 53339 SERPONTI (G. R.) Chi sei? Romanza. Parole di E. Golisciani. S. o T.. 4 — 53340 — L’Addio. Dilettino. Parole di A. Ghislanzoni. MS. e C. o Br.... 4 — 53396 WESTERHOUT(N.van) Menuet et Musette pour
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3 Gluck. Alceste 3 — Rossini. Il Barbiere di Siviglia. • 3 25 — La Sonnambula.... 2 50 — Armida 3 — — La Cenerentola.... 4 — Cimarosa. Il Matrimonio segreto. 3 50 ’ —Orfeo ed Euridice... 2 50 — Il Conte Ory 4 — Donizetti. L’Ajo nell’imbarazzo 3 — Hérold. Zampa....... 5 — — La Gazza ladra.... 4 50 — Anna Bolena
3 — Mercadante. Il Bravo. 3 — — Guglielmo Teli... • 5 50 — Belisario
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1 25 — Don Pasquale
1 25 — Don Sebastiano.... 1 50 — L’Elisir d’amore. 1 25 Donizetti. La Favorita Fr. Gluck. Hérold. La Figlia del Reggimento Gemma di Vergy. Linda di Chamounix Lucia di Lammermoor. Lucrezia Borgia. Maria di Rohan. Alceste..... Orfeo ed Euridice.. Zampa
Mercadante. Il Giuramento. Meyerbeer. Dinorah.... — Il Profeta. — Roberto il Diavolo biografico dell’Autore. ■ 1 25 • 1 25. 1 — Meyerbeer. Mozart. Pacini. Gli Ugonotti... Fr. Don Giovanni
Saffo
1 75 1 25 2 — • 1 50 Ricci (frat.) Crispino e la Comare. 3 —. 1 — Rossini. Il Barbiere di Siviglia. 1 25. 1 — — La Cenerentola.... 1 5o • 1 25 — Il Conte Ory. 1 50. 1 — — La Gazza ladra. 1 50 1 — — Guglielmo Teli.... 2 — 1 50 — Mosè
1 50 1 — — Otello....... 1 25 3 — — Semiramide
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- ↑ (1) Di tiratutto i Serassi ne modellarono due, uno per introdurre i soli registri costituenti il ripieno, l’altro per aprire i soli registri di concerto, e cosi essi avevano ottenuto due gradi di forza, il piano ed il forte. E oltre il tiratutto, i Serassi immaginarono la terza mano, ordigno posto al di— sopra della tastiera sotto forma di leva, per la quale il suonatore, mentre comprimendo un tasto fa risuonare una canna di una voce, può far risuonare contemporaneamente la canna corrispondente dell’altra voce alla ottava.
- ↑ (1) In America si suol cambiare d’opera tutte le sere ma, viceversa poi, una commediola qualunque si regge fin’anco un mese. (Nota, della Redazione).
- ↑ (i) Vedi in proposito alla Rinfusa del N.° 16 della Gazzetta Musicale del 21 aprile corrente. (Nota della Redazione).