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Gazzetta Musicale di Milano

Rivista Milanese

Sabato, 27 aprile.


Al Filodrammatico ha ottenuto successo completo la vecchia opera di Rossini, L’Italiana in Algeri.

È la solita storia; questi spartiti che un giorno ebbero grande voga, abbandonati poi per le vicende della moda, tornano oggi graditissimi alla luce della ribalta e quasi per intero sembrano ancora freschi e vegeti come se il tempo per essi non fosse passato. Miracolo del genio, dell’arte vera!

L’esecuzione accuratissima ha giovato al successo. Furono applauditi le signore Carafa e Bianchi, e i signori Chinelli, tenore, Vanden, basso e Correggioli, buffo.

Il maestro Panizza concertò l’opera con amore e ottenne un buon resultato complessivo.

La Lucrezia Borgia, rappresentatasi giovedì, subì invece sorte contraria. Il capolavoro di Donizetti fu dato senza alcuno degli elementi necessari. Se si eccettua la signorina Italia Costa, un Maffio Orsini degno di plauso, tutto il resto concorse a rendere quello spettacolo un’indecente parodia.

A giorni verrà dato l’Jolanda, idillio musicale del maestro Gellio Coronaro. Vogliamo sperare che l’esecuzione sarà tale da non muovere le risa, come è avvenuto per la Lucrezia Borgia!

La Società Corale di Colonia

A MILANO


Fu ancora un trionfo, un nuovo saggio e splendidissimo delle speciali attitudini, che si hanno fuori d’Italia pel canto corale.

Allorché, festeggiatissima, la Società Corale di Zurigo si presentò a Milano, io scrissi tutto quello che pensavo in rapporto a questa nostra inferiorità; rammento anzi d’essermi assai dilungato in proposito, quindi questa volta salto a pie’ pari tale parte, del resto interessante, anche perchè, da quel giorno, a oggi nulla da noi s’è fatto di nuovo in tale materia, che potesse dare ragione ai miei desideri e a quelli di coloro che amerebbero potessimo fare noi ciò che fanno adesso queste Società d’oltr’alpe. Quando andremo noi, con un nostro corpo corale, a Vienna o a Berlino? Mai, o forse ben tardi. Lasciamo da parte le utopiache illusioni che gli odierni esempi debbano giovare a scuotere questa nostra apatia! Noi, andiamo a sentire quegli ammirevoli eccezionali cantori, applaudiamo a piene mani, ma quando usciamo siamo tali e quali come quando vi siamo entrati, convinti che noi col nostro carattere, coi nostri usi e costumi, non giungeremo mai a fare qualche cosa di simile; e pazienza, aspettiamo!

Intanto dobbiamo registrare anche pei cantori di Colonia un successo caldissimo, in alcuni punti entusiastico.

Non mi perdo ad analizzare pezzo per pezzo il lungo programma; facendo ciò copierei nè più, nè meno, che quello che hanno scritto i miei colleghi della stampa e sarei anzi perfettamente d’accordo con essi per il modo col quale l’insuperabile coro tedesco interpretò’ ed eseguì i vari pezzi. Nel 0 bone Jesu del Palestrina lo stile tradizionale fu meravigliosamente conservato, nel Guardati del Girschner quei 110 uomini pareva che invece di cantare pizzicassero no istromenti a corda, e parimente perfetta l’esecuzione di tutti gli altri pezzi, in tutti la stessa sorprendente precisione nei valori delle figure, precisione addirittura matematica, quella che, bisogna dirlo, noi non raggiungiamo nemmeno nelle esecuzioni orchestrali, ove cosi spesso una semicroma, dopo la croma puntata, giunge tardi, al posto per esempio di una biscroma!

Inoltre felicissimi i coloriti, i piani che sono piani, i forti che sono forti, e così i crescendo e gli smorzando, ecc. Di tutto questo mirabile resultato ne ha certamente primo merito il maestro Enrico Zöllner, quel valente e forte musicista, che al primo concerto ei ha dato un solo saggio del suo grande valore di compositore con quel Saluto all'Italia, pagina severa come la nazione che lo rivolge, serena come la nazione cui è rivolto.

Ho detto già che le feste, che furono fatte ai valenti cantori, furono degne dei loro grandi meriti; aggiungerò che di alcuni cori fu chiesta e ottenuta la replica, che si sarebbe desiderata anche del Tramonto di Sgambati, mentre il secondo coro dello stesso autore, Su, vola uccellino, sembrato di una caratteristica un po’ manierata.

Come solisti furono applauditi la signora Donita e ignori Wolff e Roth.

Il vastissimo, magnifico, superbo salone dell’Eden accese una vera folla di gente, il tutto Milano artistico, del censo e della borghesia e tutta o quasi la colonia tedesca qui residente. E tutta quella gente, tutta, nonché i no cantori, avevano costantemente lo sguardo rivolto al centro della grande platea, dove sedeva tranquillo il primo italiano vivente, Giuseppe Verdi.

Il veramente ingenuo quanto grande maestro era lieto, pensava lui, di sedersi confuso tra la folla dove nessuno lo avrebbe riconosciuto!! Oh! sì, appena spuntò dalla porta di mezzo quella faccia sulla quale è scritta tutta la storia dell’arte musicale italiana, un grido solo acclamò a quell’uomo, quella folla sentì ad un tratto un fremito d’orgoglio d’averlo fra lei, e i battimani non sembrava volessero cessare.

In quel momento abbiamo colto a volo questa botta e risposta che, collo spirito arguto dei milanesi, caratterizza tutta la scena: — Pover omm!... ei lassen nanca sta quiett! — Bravo ti!... e lu ei doveva minga scriv ei Rigoletto!...

SOFFREDINI.