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cantevoli, ampiezza di coloriti, potenza drammatica — i secondi non solo cantarono alla perfezione, ma agirono, quasi, come artisti primari, aggiungendo con ciò grande efficacia all’effetto dell’opera.
Ottime le scene del signor Zuccarelli, egregiamente coadiuvato dal macchinista signor Stancich: migliori, in ispecie, la prima e la terza. Splendidi i costumi, per novità di colori, semplicità ed effetto: ei congratuliamo davvero coll’egregio pittore signor Hohenstein, che per la prima volta si assunse il difficile compito di ideare questa importantissima parte della messa in scena, e vi riesci con quella sobrietà e buon gusto che caratterizzano un artista.
La critica. — Il pubblico.
La critica milanese si scagliò con grande severità contro
il libretto, e se fu più mite col musicista, riconoscendone
tutto l’ingegno, ne accolse però il lavoro in modo tale
che ove il Puccini non avesse fortissima fibra d’artista,
potrebbe concludere col dire: cambiamo mestiere!— Ma
queste severità della critica, talvolta cosi benigna cogli ingegni
mediocri, non devono affatto scoraggiare il giovane
maestro, al contrario: le discussioni passionate ed ardenti,
i lunghi e ripetuti articoli, più demolitori che edificatori,
non succedono e non si scrivono per le opere mediocri,
le. quali si elogiano talvolta, ma cadono sempre per inerzia
propria, fra l’indifferenza della critica
e del pubblico stesso.
Fra i giornali, constatarono senza reticenze il grande ingegno del Puccini, il Secolo, il Pungolo, il Caffè. Non si pronunciò in modo deciso il Corriere della Sera: acre, violenta, negatrice di tutto, la Lombardia: la Perseveranza, con un piccone di zucchero, tentò demolire l’opera e l’autore.
Di tali severità della critica, se ne riscontrano parecchie nella storia dell’arte: anzi, tutti i maestri che poi fecero grande il loro nome, vennero acremente discussi, ferocemente criticati nei loro primi lavori. Con ciò non vogliamo ora fare confronti, nè collocare il Puccini fra i grandi od i piccoli maestri: l’Edgar si può dire la sua prima opera, e l’autore deve, anziché rimanere inerte o sfiduciato, sentirsi quasi orgoglioso delle altitonanti voci che si alzarono intorno all’opera stessa. Il maestro Puccini può dire: batti, ma ascolta.
E l’Edgar fu battuto, ma ascoltato, molto ascoltato: tanto che ad onta del giudizio pressoché contrario della critica, si verificò il più strano e raro dei fenomeni teatrali, l’accorrenza, cioè, di un pubblico affollato, attento, alla seconda e terza rappresentazione dell’Edgar; di un pubblico che non trovò un solo brano che potesse disapprovare, ma che applaudi tutti i pezzi con unanime convinzione, ed i punti salienti dell’opera con entusiasmo schietto e convinto: di un pubblico che chiamò in ciascuna delle tre rappresentazioni il maestro per ben 24 volte all’onore del proscenio, facendo replicare due pezzi, nelle prime due sere, e tre nell’ultima, chiudendo poi l’attuale stagione con una commovente’ dimostrazione di stima al Puccini, che il pubblico intiero volle all’ultimo salutare entusiasticamente, chiamando ad alte grida il maestro solo.
Questa è cronaca esatta, questi sono fatti che si possono velare, sott’intendere ed anche tacere, ma che è impossibile negare. E si noti che in tutte e tre le sere, se vi fu attenzione vivissima, intensa, questa era anche assai nervosa, non cessando mai e nel corso dell’opera, e durante gli intervalli le discussioni ardenti, vivaci, nei palchetti, in platea, in ridotto, tanto che soltanto un lavoro d’arte, di grande levatura e di forte tempra poteva resistere alla turbinosa corrente delle passioni, favorevoli o contrarie, sollevate.
Dobbiamo poi constatare un altro stranissimo fatto ed è che la critica milanese, pur essendo in generale o reticente o severa verso il Puccini, ha pressoché unanime espresso il desiderio che l’Edgar si possa udire in alcune delle rappresentazioni che si daranno alla Scala nel prossimo maggio, durante la stagione delle corse. Tale desiderio è davvero tanto più rimarchevole in quanto che la critica fu vivace: ma in ogni modo onora il maestro e la critica stessa.
L’Impresa della Scala pare intenda dare oltre alle 6 rappresentazioni d’obbligo di un’opera-ballo, due o tre rappresentazioni dell’Edgar. Ciò sarebbe una vera fortuna pel giovane maestro, non solo, ma varrebbe ad offrire maggiore varietà di spettacoli ai molti che si recheranno in breve a Milano, attratti dall’interessante programma delle corse di maggio. Edgar è stato assai discusso, ma nel complesso nessuno ha negato che sia spettacolo degno del massimo nostro teatro e per la messa in iscena, e per la bontà veramente rimarchevole dell’esecuzione. Noi speriamo che l’onorevole Commissione direttrice della Scala troverà modo di appoggiare il progetto dell’Impresa.
Ci rimarrebbe ancora a parlare del libretto, al quale vennero serbate le critiche più acerbe. Ma lo spazio ei manca, nè vogliamo abusare della pazienza dei nostri lettori, che a lungo abbiamo già trattenuto.
Ferdinando Fontana ha idee speciali intorno all’arte, diremo così, del librettista: alcune di queste idee le dividiamo, ma per molte altre ei troviamo agli antipodi. — Il Fontana, • ne’ suoi libretti, è quasi un poeta-filosofo e vorrebbe che il pubblico compenetrandosi in tali sue idee filosofiche ed astratte, intuisse da queste il carattere dei personaggi, le loro passioni e le cause degli avvenimenti.