Capitolo undicesimo - Storia di due vecchi felici

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Capitolo undicesimo - Storia di due vecchi felici
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Capitolo XI.

STORIA DI DUE VECCHI FELICI.

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Nihil est otiosa senectute jucundius.

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Fra i molti amici, che la fortuna mi ha dati, ne conto due, che visito spesso e con crescente amore, perchè la loro conversazione mi rallegra e mi insegna; ed io li considero come due miei grandi maestri nell’arte difficilissima della vita.

Vivono in due altitudini molto diverse della gerarchia sociale, ma quanto a felicità sono alla stessa latitudine.

Se avessi la loro fotografia, ve la presenterei come ornamento del mio modesto libriccino e come delizia ai vostri occhi Nei loro lineamenti riposati, sereni, tranquilli nel loro sorriso divenuto temperamento, voi vedreste il ritratto di due uomini felici. Eppure il ricco ha ottantadue anni, il povero ne ha ottantotto. Non so quanti altri anni potranno aggiungere a quelli che hanno oggi; di questo soltanto sono sicurissimo: che cioè la loro felicità durerà quanto la loro vita. [p. 200 modifica]

Non potendo presentarvi la loro fotografia, cercherò di tracciarvene a grandi tratti i lineamenti, con quel povero strumento d’arte che è la penna, e che pur troppo è il solo ch’io sappia maneggiare.

Ipsilonne

Se leggete i miei libri, conoscete già uno di questi due vecchi felici, perchè io ho raccontato un episodio glorioso della sua vita nel mio Testa.

Ora però devo presentarvene il ritratto.

Ipsilonne ha le gambe poco diritte, ma ciò non gli impedisce di camminare speditamente, nè gli ha mai impedito di fare il pescatore sino ad oggi.

È di giusta statura, asciutto di carni e quasi magro. Ha ancora molti capelli e qualche dente e soprattutto uno stomaco di ferro, che gli permette di digerire ogni cosa e perfino il caciucco, il formaggio pecorino e i polipi lessi e messi in insalata.

Sua delizia gastronomica sono i peperoni, dei quali preferisce i più forti e [p. 201 modifica] quelli che contendono al corallo le tinte più porporine. Nessun regalo più gradito posso fargli di una dozzina di quei peperoni di Ceilan o di Spagna, che coltivo con tanto amore nella mia Serenella, per diletto dei miei occhi e per farne dono agli amici miei, amanti degli aromi piccanti.

Egli chiama nel suo dialetto pevron quei bei corni di porpora e li accarezza con le mani callose e li nasconde nella sua vecchia giacca, col gesto comico dell’avaro, che nasconde il proprio tesoro.

Fino a questi ultimi anni ha fatto il pescatore e il barcaiuolo, ma ora ha raggiunto il colmo della felicità, vivendo di rendita.

Una rendita che a un signore non basterebbe per una settimana, ma a lui basta per tutto l’anno. Una rendita, che gli è doppiamente cara, perchè è il frutto di una vita intera dedicata al lavoro e alle opere buone e frutto della riconoscenza che ha seminato vivendo.

Che bella e gioconda cosa è la spiga, seminata da noi, coltivata col nostro sudore e che ci rammenta il bene che ab[p. 202 modifica] biamo fatto noi, e il bene che ci vogliono gli altri. Chi non ha mangiato di questo pane, veramente eucaristico, non ha conosciuto una delle gioie più alte concesse all’uomo. Pane eucaristico, perchè in esso è nascosto un Dio: il Dio del bene.

La rendita di cui gode Ipsilonne consta di due cespiti, come direbbe un burocratico della finanza.

Il primo è una pensioncina che gli feci aver io dal Depretis e che il Crispi aumentò e rese vitalizia. È il premio che il Governo italiano gli ha concesso, per aver salvato la vita di Garibaldi con pericolo della sua. E questo è il premio di un atto eroico, è il premio dato dalla patria a un suo cittadino.

L’altro cespite è il tributo di un suo figliuolo, che in America onora il nome italiano con l’onesto commercio. È il ricorso di un santo affetto, che l’Oceano non ha fatto naufragare, ma ha raddoppiato. Un vecchio padre può ricevere senza rossore da un figlio a cui diede la vita e che iniziò all’onestà sicura, al lavoro costante.

Ed ecco come Ipsilonne vive di rendita [p. 203 modifica] e non maneggia più le reti e il remo che come dilettante.

Quand’egli il mattino ha preso il caffè, preparato amorosamente dalle mani di una sua figliuola, mette in bocca una cicca e va sulla spiaggia dove tra i battelli in riparazione e le paranze tirate sulla riva, tengon convegno sulla molle arena i bambini e i vecchi; la poesia e la gloria della famiglia umana. I primi giuocano, gli altri fumano o ciccano, e fumando o ciccando, ruminano deliziosamente le care memorie di una lunga vita.

Ipsilonne è il decano di tutti quei veterani della vita e l’aver salvato la vita a Garibaldi mette intorno al suo capo come un’aureola di santo.

Io l’ho veduto tante volte nelle giornate fresche dell’inverno distendersi voluttuosamente sulla tiepida arena e beversi tutta quella delizia di sole, con un’intensa attenzione epicurea; mentre il suo sguardo si perdeva nell’orizzonte di quel mare sempre azzurro e di cui egli conosce da quasi novant’anni le bellezze e le ire, gli scherzi e gli sdegni. [p. 204 modifica]

Quanta felicità in quella creatura povera e vecchia!

Spesso lo vedevo con la sinistra smuovere dall’una all’altra guancia la sua cicca pizzicante e poi accarezzarsi il mento più volte, come chi è contento di vivere e trova che la vita è una bella e buona cosa, quando non vi si mescono i veleni dell’odio e gli assenzi della vanità offesa.

Io ho invidiato spesso le lucertole, quando appianando le quattro zampine sulla sabbia ardente, nel pieno del sole, la toccano con la pancia beata, bevendo tutto quel calore e tutta quella luce, con gli occhi socchiusi per la troppa voluttà. Ma la lucertola umana è ancor più felice, perchè uomo e perchè pensa e raccoglie nel molle letargo di una sonnolenza meditabonda tutte le memorie del passato e tutta la coscienza di un presente felice; senza rimpianti, senza desideri e senza noia.

Chi non può esporsi al sole senza un ombrellino o senza un’emicrania, insulta suo padre, il padre di tutti, ed io lo compiango come un povero infermo.

Chi non ha saputo godersi le delizie [p. 205 modifica] inenarrabili di una lucertola, sdraiata sull’arena calda di una spiaggia, è un mezz’uomo, è un invalido, che io compatisco.

Quando Ipsilonne è stanco di far la lucertola, parla coi suoi coetanei del passato e del presente, avendo sempre qualche nuovo aneddoto di pesca o di marina da narrare. Ha raccontato già cento volte la sua impresa garibaldina, ma vi è sempre chi l’ha dimenticata o per cortesia speciale finge di averla scordata.

Dalla conversazione con i vecchi passa a giuocare con i piccini. I vecchi e i bambini in tutti i tempi si son sempre intesi e hanno sempre goduto della reciproca compagnia. Dandosi la mano, essi chiudono quel circolo in cui si muove e si agita tutta la grande famiglia umana. Essi sono il principio e il fine delle cose; e come col riunire i due opposti elettrodi scocca la scintilla elettrica, così il vecchio, dando la mano al bambino, ristabilisce l’equilibrio delle opposte forze, e ciò che fu feconda e ciò che sarà. Il bambino che bacia il vecchio forma uno dei quadri più umani, più divinamente umani che ci [p. 206 modifica] porge la vita. È tutta la storia in ciò che ha di più bello e di più caro.

E i bambini di San Terenzo conoscono il loro vecchio, che li accarezza, che dà loro un frutto o una tiratina d’orecchi e con cui scherzano e giuocano volentieri.

Le ore dei pasti suonano sempre un po’ tardi per il nostro Ipsilonne, perchè ha sempre appetito ed è sempre sicuro di trovare ottimo il vino e squisita la vivanda.

E giunto alla sera, senza essersi mai annoiato, giuoca la sua partita a tresette, ridendo, schiamazzando e riscaldandosi come un giovanotto alle vicende della fortuna o agli errori del compagno.

Egli ha anche un piccolo mondo soprannaturale, che consiste nella messa, cui ascolta ogni domenica, e nella comunione che fa ogni Pasqua. Non ha mai discusso la propria religione, nè l’ha mai lasciata mettere in canzonatura. È questa per lui una bandita, in cui nessuno deve mai penetrare. Dio per lui è l’indiscutibile, l’assoluto, è il dogma che non si può mettere in dubbio, perchè è quello che è e [p. 207 modifica] perchè suo padre, suo nonno, e suo bisnonno sono stati cristiani e cattolici, come lui.

Anche la morte è un altro dogma, che non si discute; ma egli non la teme. Quando qualcuno gli augura di toccare il secolo, risponde sempre a una maniera, crollando il capo e sorridendo:

— Sarà quel che sarà", dice egli; tanto pensarci e non pensarci è lo stesso. Quando il frutto sarà maturo, cadrà da sè e la morte lo raccoglierà. Per ora sento di esser ancora acerbo. Anche scrollando l’albero, il frutto non può cadere..." —

B. de B.

Ha ottantadue anni, ma è bello ancora.

Porta sul petto e sulle spalle una vera Via crucis di cavalierati, di commende e di gran cordoni ma cammina sempre diritto e con disinvolta agilità.

Ha tutti i suoi capelli, nè si vergogna di averli bianchi, di una bianchezza argentina tanto bella che mi fa sempre [p. 208 modifica] pensare perchè Dio non abbia dato ai giovani le chiome bianche, riservando ai vecchi il colore triste del lutto.

I suoi baffi e il suo pizzo son molto grigi, quasi bianchi come i capelli; ma impiantati bene, come arbusti vigorosi, ben nutriti e ben coltivati.

Della vecchiaia due sole magagne, l’orecchio un po’ duro e le mani un po’ tremule; come chi dicesse due nei in una bella faccia, due macchie nel sole.

Della sordità non si accorge, perchè con lui cortesissimi sempre gli amici hanno la cortesia di alzare un po’ la voce; e al tremito venuto a poco a poco non ci bada, perchè non gli impedisce nè di scrivere, nè di suonare il pianoforte.

Mangia con appetito, e digerisce tutto ciò che mangia; dorme tranquillamente; passeggia, e nelle feste di famiglia, quando non è al pianoforte, fa ancora qualche giro di valzer, scegliendo la signora più bella o la signorina più desiderata.

Nessuno al mondo è senza vizi e anche il mio commendatore ha i suoi: fuma dei Virginia e ne fuma troppi; beve dei [p. 209 modifica] cognacchini e ne beve troppi; ma quando io lo rimprovero, mi ride in faccia, dicendomi: ne ho sempre bevuto e vedete che non mi hanno fatto troppo male.

Ed io devo tacere e chinare il capo.

Questo bel vecchio è stato sempre bellissimo, attraversando la vita con tutte la varie bellezze della infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza e dell’età matura ed ora ha le bellezze della vecchiaia: le più rare, non le ultime.

Alla bellezza ha sempre avuto compagni la grazia e lo spirito; per cui egli è molto piaciuto alle donne e queste, naturalmente, son sempre piaciute molto a lui. Da questo accordo perfetto nacque un’armonia di note deliziose, che come una dolce e cara musica del cuore ha accompagnato sempre il mio commendatore.

Ebbe rare fortune, ma non fu mai libertino. In amore guardò sempre in alto, serbandosi gentiluomo con tutte, nè mai portando in piazza i propri amori. È questo il vero modo di non sciupar la salute e di non perder mai la stima di se stesso. [p. 210 modifica]

E così la simpatia delle belle signore lo ha accompagnato sempre, e anche oggi ho ragione di credere, che Eva non è del tutto morta per lui. Se in amore non è più un artista di cartello, è però sempre un buon dilettante.

Ha viaggiato molto, ha occupato alti posti nella vita consolare e nei negozi delle banche fortunatissimo; per cui potè farsi da sè un’eccellente posizione nella gerarchia del denaro.

E la adoperò per raccogliere con intelletto d’amore un vero museo di arti belle e di rare curiosità, che lascia aperto a tutti e di cui per tanti anni fu egli stesso espositore e cicerone.

Amantissimo della buona società, aprì le sue sale a lieti conviti e a feste splendidissime, raccogliendo il meglio e l’ottimo della città in cui si era stabilito.

Caritatevole e facile soccorritore d’ogni sventura, porse aiuti anche alla scienza: di qui le molte e alte onoreficienze, di cui fu sempre vago e che gli ornano il petto nei dì solenni.

Adora la musica, nella quale è qualcosa [p. 211 modifica] più di un dilettante; e non solo interpreta mirabilmente le armonie dei grandi maestri ma egli stesso compone e può godere di udir eseguite dalle sue mani armonie e melodie create da lui.

In tutte le questioni controverse della politica, della religione, della morale egli ha sempre saputo tenersi lontano dagli eccessi; fossero poi di fanatismi o di sprezzi, di rivoluzione o di reazione. Credo che quella preziosa e rara lampada del buon senso non gli sia mai caduta di mano; per cui, mutando paesi e costumi e mutando tutte le cose intorno a lui, egli è sempre rimasto lo stesso gentiluomo, lo stesso galantuomo, lo stesso uomo felice.

Ma la sua felicità è ancor più singolare, perchè ha saputo resistere alla sventura. Molti sono felici, non per merito proprio, ma per merito della fortuna, che ha soffiato sempre in poppa sulla loro navicella.

Il mio commendatore invece, proprio negli ultimi anni della sua vita, quando più si ha bisogno di onde tranquille e di [p. 212 modifica] cielo sereno, vide travolta la sua barca da una formidabile bufera. Gravi disastri bancarii gli portarono via più di due terzi della propria fortuna: per lui abituato da più di mezzo secolo alla ricchezza era una vera miseria.

Chi sa quanti altri si sarebbero gettati nell’abisso, rinunziando alla vita, chi sa quanti naufraghi in tanta procella! Egli invece raccolse le vele, si guardò intorno, e colla calma che non dà che la forza, si privò del suo Museo, dell’amico suo di cinquant’anni, e si rassegnò ad una nuova e modesta posizione, senza maledire, senza imprecare, senza piangere.

Egli si mostrò grande davvero, perchè il rimaner felici in certi casi della vita è virtù, è quasi eroismo.

Il mio commendatore aveva raccolto in sè troppi tesori morali, per poter soccombere al naufragio del denaro. Egli rimase felice anche senza il denaro, prova di grandissima superiorità, di una grande altezza morale.

A lui son rimasti la salute, il fido affetto di una bella e dolce compagna; a [p. 213 modifica] lui la stima degli amici, le dolcezze della musica, la lettura dei libri prediletti; a lui l’appetito fedele e il sonno tranquillo, l’agilità dei muscoli e l’allegria costante.

Perchè non sarebbe egli ancora felice?

Ed egli lo è, dando a tutti un’alta e grande lezione nell’arte di vivere; di viver felici a ottantadue anni, senza egoismo, senza bassezze e senza una grande fortuna.