Eh! La vita/Al Santuario
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AL SANTUARIO
Visto che la signora Gina era uscita su la terrazza, Andrea Collini accese un’altra sigaretta e la seguì lasciando Rosselli in preda di Tonghi — povero Rosselli!... — Ma se lo meritava quel martirio; pareva quasi contento di sorbirsi la interminabile chiacchierata, perchè, se si sapeva quando Tonghi cominciava, non si sapeva mai quando avrebbe finito.
La signora Gina, coi gomiti appoggiati su un pilastretto e il mento tra le palme, guardava quella falce lunare che si elevava lentamente su le colline, sparendo e riapparendo tra la nuvolaglia che ingombrava il cielo.
— A che pensa? — le domandò Collini.
— A niente. Mi godo questa tiepida serata.
— Ma dunque... vuol proprio farmi impazzire?
— La prego... non ricominci!
— Non ricomincio perchè non cesso un istante. Come sarei felice di compensarla di tutte le delusioni della sua vita!
— Presume troppo! E poi, chi le ha detto che io abbia avuto delusioni?
— Si vede! Tonghi è un brav’uomo, ma intollerabile, asfissiante, anche per coloro che lo avvicinano a intervalli; figuriamoci quale dev’essere per lei che ha avuto la sventura!...
— È una sua sciocca supposizione.
— All’occhio di chi vuol bene non sfugge niente!
— Certi occhi travedono, secondo il proprio interesse. La prego; non mi costringa a ricorrere a mezzi che mi repugnano... Glielo dico per l’ultima volta.
— Da quasi un anno sto in adorazione davanti a lei...
— È troppo ostinato.
— Come tutti coloro che amano davvero... Non mi spinga a commettere qualche pazzia!
— Non so in che modo potrei impedirglielo.
— Con l’avere pietà di me!... Con l’amarmi un po’!
— E lei... finge di essere amico di mio marito!
— È l’unico mezzo per avvicinarla. Me lo rimprovera?
— Se io dovessi tradire mio marito, la prima cosa che farei sarebbe di abbandonare la sua casa.
— Ah! Che grande felicità!
— Non si lusinghi! Questo non avverrà mai. Io mi sento mortificatissima della sua insistenza. Come devo farglielo intendere?
— Dovrei strapparmi il cuore per dimenticarla!...
Si sentì il rumore dei passi di Rosselli e del marito che venivano anch’essi nella terrazza.
— Ve lo immaginate — disse la signora Tonghi, ridendo — un Collini... poeta? Pare che sia un po’ turco; gli piace più la mezza luna che non la luna piena.
— L’ho sempre detto che Collini è imbecille! — esclamò il signor Tonghi. — Non te l’avere a male, caro mio!
— Hai ragione — rispose Collini, aggrottando le sopracciglia.
E buttò via la sigaretta che gli si era spenta tra le dita.
Due volte al mese, Tonghi invitava a desinare i due amici Collini e Rosselli che, per l’identica ragione, si mostravano condiscendenti alle stranezze di lui; con la sola differenza che Collini era l’innamorato respinto della signora Tonghi, mentre Rosselli godeva tutte le grazie di essa, senza che nessuno mai avesse avuto il minimo sospetto della loro intimissima relazione.
Avevano adottato un modus vivendi da ingannare chiunque. La signora Gina non pronunciava il nome di Rosselli senza aggiungervi: — Quell’antipatico di!... — oppure: — Quell’opprimente di!... — E Rosselli, parlando di lei con Collini e con altri amici, diceva spesso: — Quella leziosa! o: quella pretenzionosa della Tonghi! — E non aggiungeva mai: signora, quasi fosse di troppo.
Così era accaduto che Collini aveva spesso creduto suo dovere di prendere le difese di lei.
— Leziosa? Ma se è di una semplicità straordinaria!
— Voluta, ricercata; per questo mi dà ai nervi. E poi, quell’aria di rassegnata, di vittima!... Oh! certamente Tonghi con le sue manie, con le sue meticolosità di ordine e di pulizia, non è tale da render felice una donna; ma, d’altra parte, vedersi davanti, da mattina a sera, quel viso da funerale, deve essere così nell’intimità; — noi vediamo la rappresentazione, la parata — è cosa da far perdere la pazienza anche a un santo.
— Viso da funerale? Io non ho visto un viso più sorridente, più lieto!
— Sorridente con quella specie di ghigno che le contrae le labbra?
— Vuol dire che i nostri occhi vedono diversamente. Sei invidiabile. Per me, invece...
E Collini, una sera, uscendo di casa Tonghi dopo il solito desinare, credendo di confidarsi con uno che non avrebbe mai potuto essere un rivale, gli aveva rivelato le sue pene di cuore.
— Povero Collini! Ti compiango. Quella donna è un pezzo di ghiaccio.
— Spero di scioglierlo, un giorno o l’altro...
— Amor che a nullo amato amar perdona! Cose che si dicono in versi, perchè in prosa, con rispetto di Dante, farebbero ridere i polli. Lascia andare! Mancano belle e compiacenti donne in questo mondo? E poi, te lo avverto, Tonghi non è un marito comodo.
— Mi amazzerebbe?
— Ammazzerebbe pure lei anche pel solo sospetto.
— Lei, no! Lei, no!
Si vedeva che Collini era innamorato davvero, se protestava a quel modo, quasi ci fosse proprio pericolo che il geloso marito arrivasse a quell’estremo.
⁂
Se avesse saputo come ridevano di lui i due amanti, nella cameretta fuori mano, dove si rifugiavano due volte la settimana!
Ridevano, ma spesso non erano tranquilli, specialmente lei. Aveva tristi presentimenti, senza saper spiegarsene la ragione.
— Ho dovuto fingere un forte malessere, consultare il nostro dottore... Sembra ripreso da un impeto di brutale passione... Cosa insolita. Ho dovuto quasi lottare per resistergli... Oh, tu non puoi immaginare come mi repugna di essere sua!
Egli diventava pallido, si stirava le mani, minacciante.
— Sua, mai più! Mai più!
La serrava fortemente tra le braccia, la copriva di baci, quasi per difenderla. Lei gli si abbandonava sul petto, singhiozzante:
— Ha parlato anche di un viaggio in Svizzera!
— Ah, se tu volessi!
— Uno scandalo, no! Per mia madre. Ne morrebbe!
— E forse il nostro amore perderebbe la sua più grande attrattiva, uscendo dal mistero che ora lo circonda!
— Non dire così. Anche al cospetto del cielo e della terra!... Soltanto per mia madre!
— Perchè vuol condurti via? È impossibile che io viva, anche per qualche mese, lontano da te.
— Resisterò... Mi ammalerò... più gravemente.
E così dicendo sorrideva.
Allora, a poco a poco, il cielo delle loro anime si schiariva, assumeva una limpidezza raggiante di sole; e tutti e due dimenticavano il mondo, come se quella camera, quell’appartamentino (a cui si accedeva da due vie e sembrava fatto apposta per eludere i sospetti della gente) rimanesse così lontano lontano da dar l’illusione che essi fossero i soli esseri viventi in un’isola, in un continente, in un pianeta sperduto nello spazio.
E quando la piccola soneria dell’orologio, mezzo soffocata da un drappo per attutirne lo squillo, li destava dal dolcissimo sogno, ella spesso ripeteva:
— Sì, sì, basta! Si può morire di felicità!
— Sarebbe il più bel morire! — rispondeva Rosselli!
— Vivere dobbiamo. Per morire c’è sempre tempo!
E lei gli faceva un inchino:
— Addio... antipatico! Addio... opprimente!
— Addio... leziosa! Addio... pretenzionosa!
Si staccavano a stento.
Era stato un colpo improvviso, e le loro due giovinezze si eran esaltate sempre più in quel mistero che le circondava.
Ella gli aveva detto parecchie volte:
— Non ho rimorsi. L’ho sposato per amore, ed egli ha fatto di tutto per stancarmi, per allontanarmi da sè. Non credo ci sia mai stato al mondo, o che ci sia, un tiranno peggiore di lui; tiranno dalle piccole cose, dalle inutili manie, dalle continue, irritanti esigenze che ti tolgono il respiro. Sin dalle prime settimane. Non posso ricordare senza fremere il nostro viaggio di nozze: venti giorni... un’eternità! Continuamente: — Ma Gina! Ma Gina! — quasi lo spostare un oggetto, il trascurare il riporne uno dove, secondo lui, era indispensabile riporlo... fosse stato un delitto! Da principio ridevo, rimettevo l’oggetto al suo posto, eseguivo allegramente la manovra da lui voluta... Ma che? Dovevo ridurmi un meccanismo pronto ai suoi stupidi voleri? Mi sentii chiudere il cuore. Una irritazione sorda; poi odio a dirittura! Andavo a piangere in casa di mia madre. La cara e buona mamma non sapeva dirmi altro: — Fa’ la volontà di Dio! — Era Dio forse lui? Dio sei stato tu, tu la luce, l’amore la vita! Ah, se non fosse per la mamma!... Non ho rimorsi. Sono orgogliosa di quel che faccio. Se occorresse, glielo griderei in viso!
Lui tentava di rabbonirla, d’impedirle di commettere un’imprudenza, nei giorni in cui ella arrivava nel loro rifugio più irritata del solito. Ormai aveva voluto staccarsi completamente dal marito; non sapeva più vincere la repugnanza ch’egli le ispirava. E in questo Rosselli era d’accordo con lei: tremava al solo pensiero di saperla alla mercè della violenza di colui che l’aveva in potestà sua, protetto dalle leggi umana e divina. La vera legge umana era il loro amore; la vera legge divina il loro amore, sempre, il loro amore! Non era anche troppo sacrificio il mentire davanti a lui, davanti alla società? Non era un miracolo di amore il non essersi mai traditi un solo istante?
Per un nonnulla, al suo solito, Tonghi aveva fatto una gran scenata con la moglie. Essa, già pronta per andar fuori, non aveva risposto una sola parola, terminando di aggiustarsi la veletta davanti allo specchio, quasi suo marito non parlasse con lei.
Egli aveva interpetrato quel silenzio a modo suo, come un’acquiescenza alla sua sfuriata, abituato a credere di aver sempre ragione. Si era accorto da un pezzo, che qualcosa era venuto meno tra loro, ma pensava che, pur troppo, doveva esser così nel matrimonio. Non gli passava pel capo che fosse colpa del suo strambo carattere se quel qualcosa era avvenuto. Sofisticava intorno a tutto, riteneva che, per esempio, il lasciare un volume su una seggiola invece che sul tavolino dov’egli l’aveva posato, o nello scaffale dov’era stato collocato, fosse una storditezza imperdonabile da scompigliare tutto l’ordine della casa; non sapeva persuadersi che con l’interminabile trovar da ridire su ogni piccola cosa, con l’esagerazione degli sfoghi, che diventavano spesso escandescenze, egli era l’artefice della sua e dell’altrui infelicità; no, non gli passava pel capo. Fortunatamente il suo orgoglio non gli permetteva di dubitare che sua moglie potesse tentar di cercare altrove quelle dolcezze, quella tranquillità che ormai non trovava più in famiglia.
— Va a dir male di me da sua madre!
Il suo più nero sospetto era questo.
Perciò accolse con un scettico sorriso la rivelazione di Collini che quella mattina, a bruciapelo, venne a dirgli:
— Tua moglie ha un amante!
Collini si era lasciato cascare su una seggiola, quasi lo sforzo per quest’accusa avesse esaurito le sue forze.
— Che interesse hai tu di farmi tale rivelazione?... — disse Tonghi. E soggiunse sùbito: — Di calunniare mia moglie?
— Sono un miserabile! — esclamò Collini. — Che interesse? La ho amata inutilmente un anno, più. Credevo che mi resistesse per dignità di donna onesta. Ma ora che ho scoperto.... Nè io, nè lui!
— Se tu mentisci!...
E Tonghi gli si slanciò addosso, mettendogli le mani alla gola.
— Nè io, nè lui! — replicò Collini. — So che commetto un’infamia....
— Chi, lui?
— Rosselli! È stato un caso... Potrai sorprenderli quando vorrai.
— Se tu mentisci!... Va’ via! Sei un gran vigliacco; mi fai schifo! Non comparirmi più dinanzi! E non ti sfugga con altri una sola sillaba di quel che sei venuto a dirmi. Al mio onore penserò io, provvederò io. Va’ via!
Collini, atterrito, si era mosso per uscire; ma Egidio Tonghi lo fermò per un braccio.
— Prima, dimmi tutto!
Gli era parso che un profondo abisso gli si fosse spalancato davanti e ch’egli stesse per precipitarvi.
Che fare? Sorprenderli? Ucciderli?... Andar in carcere per loro?
Si aggirava in casa come una belva nella sua gabbia di ferro, pensando che in quel momento essi erano là, nel loro nido, felici, senza sospetto!...
Si fermò tutt’a un tratto davanti a una stampa che rappresentava il Santuario dell’Immacolata in cima alla rupe di Raceno. Un’idea diabolica gli balenò nel cervello, e rimase assorto, quasi vedesse già compiuto quello che fantasticava da un’ora.
Per questo potè dominarsi vedendo rientrare con qualche ritardo sua moglie.
— La mamma sta poco bene... — ella disse, per scusarsi.
— Niente di grave, spero.
— Oh! Niente di grave.
⁂
Il vecchio frate, custode del Santuario, li aveva ammoniti:
— Non s’inoltrino troppo avanti da quella parte. L’altezza dà la vertigine.
— Non siamo bambini — aveva risposto Egidio Tonghi.
Pochi scalini e poi una piccola spianata semicircolare, senza nessun riparo, aperta sul gran vuoto della ristretta vallata dove la roccia scendeva a picco.
— Avremmo dovuto far colazione qui — disse la signora Gina — invece che nel refettorio dell’eremo.
S’inoltrava cautamente, dopo aver preso il braccio di Rosselli.
— Sarà buono a trattenermi se mi prenderà la vertigine?
— Le verrò dietro, in ogni caso.
— Oh! Così cavalleresco!
Era felice di poter passare una giornata intera assieme con lui, sotto gli occhi del marito.
Tonghi, risalito gli scalini, aveva tirato fuori dalla tasca la rivoltella, e con gli occhi quasi fuori dell’orbita, iniettati di sangue, con voce roca, imperiosa, gridò alla moglie e all’amico:
— Buttatevi giù! Vi ho condotti qui apposta.... Buttatevi, o vi ammazzo!
I due amanti improvvisamente impalliditi, capirono che non si trattava di un’allucinazione, di uno scherzo di cattivo genere, di una minaccia da burla, e si voltarono stringendosi, disperatamente, l’uno all’altro.
— Buttatevi!... O vi ammazzo!... Il turpe inganno è finito!
— Inganno?
— Zitta!
— Inganno? — riprese la signora Gina non dando retta a Rosselli che le stringeva forte il braccio.
— Ma è stato unicamente...
— Zitta! Zitta!
— ... per mia madre!... Sì, ci butteremo giù, felici di morire insieme, al tuo cospetto, in un abbraccio e in un bacio supremo!...
— Sputandoti in viso il nostro odio, il nostro disprezzo! — soggiunse Rosselli.
Non c’era via di scampo; si sentivano presi; qualunque loro movimento in quel ristrettissimo spazio voleva dire la morte. E colui, brandendo l’arma, minacciava, ripetendo:
— Buttatevi! Buttatevi!
Senonchè la sua voce più non era imperiosa, sicura. Di fronte a quel deciso contegno, davanti a quell’altera proclamazione del loro amore e alla gioia di morire insieme si sentiva sfuggire la piena sodisfazione della vendetta; e quando li vide, avvinghiarsi in un abbraccio e incollare in un violento bacio le loro labbra, chiudendo gli occhi, indietreggiando, indietreggiando lentamente, quasi per assaporare in quel modo la dolcezza della morte imminente, Egidio Tonghi buttò la rivoltella e, senza sapere quel che facesse, emise un rauco grido:
— No! No! Fermatevi!
Troppo tardi!
⁂
Il vecchio frate, vistolo ricomparire solo, domandò:
— E gli altri due?
— Sono scesi giù; risaliranno dall’altra parte. Li attendo qui.
E si sedè sul banco di pietra davanti a la chiesetta, borbottando:
— Han fatto il salto! Io non volevo.... Risaliranno dall’altra parte... Li attendo qui!
Egidio Tonghi era impazzito.