Camiola Sanese

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Camiola Sanese
CI CIII
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CAPITOLO CII.

Camiola Sanese.

Camiola vedova, donna famosa delle bellezze del corpo e de’ costumi, di cortesia e laudabile onestà, per nazione fu di Siena, e figliuola di Lorenzo di Toringo, uomo d’ordine militare. Condusse sua vita presso a Messina città di Sicilia con un solo marito infine che eglino vissero nondimeno lodevolmente che nobilmente. E essendo re dell’isola Federico terzo, e quel medesimo essendo imperadore; e morendo i suoi, ella rimase erede di ricchezze quasi reali; e servando ella onestà, Federico predetto già essendo morto, e a lui sendo sostituito Piero suo figliuolo; avvenne che di comandamento del re s’apparecchiava a Messina una grande armata [p. 435 modifica]sotto capitananza di Giovanni, conte di Chiaramonte, a quel tempo uomo di grandissima prodezza, per dare soccorso ai Liparitani assediati, per fame ridotti ad estremitade; nella quale armata montarono non solamente cavalieri condotti per soldo, ma molti nobili per aiutorio volontariamente, così di quegli della marina come di quegli che abitavano fra terra per acquistare gloria d’arme. Ed avea assediata quella città Gottifredo di Squillazzo, valente uomo, in questo tempo prefetto di mare di Roberto, re di Sicilia e di Gerusalem; il quale avea sì indeboliti quegli della terra, che egli assediò con marrangoni e difici da combattere1, e con le spesse battaglie, che si sperava che tosto s’arrendesse. E avendo saputo per ispie d’alcune barche, che l’armata de’ nimici era molto maggiore che la sua; ridotto le sue navi insieme, cominciò a aspettare la fortuna del fatto. Ma i nimici, presi subito i luoghi abbandonati, non impacciando alcuno, portarono2 lo soc. [p. 436 modifica]corso a quegli della terra, il quale eglino avevano portato. Per la quale prosperità Giovanni insuperbito richiese Gottifredo di battaglia, la qual cosa non rifiutando quell’uomo d’ardentissimo ingegno, e la notte avendo fortificato di torri e di pareti, e avendo ordinate le navi, ed altre cose; nello apparire dell’aurora con ardenti parole avendo confortati i suoi alla battaglia, levate l’ancore e dato il segno, volse le prode a’ Siciliani. Ma Giovanni, lo quale non credeva che Gottifredo aspettasse la possanza delle navi dei Siciliani, non ch’egli pigliasse la battaglia, non avea apparecchiate le sue navi a combattere, anzi a seguire quelle che fuggissero; vedendo3 l’apparecchiamento e l’ardore dei nimici che sopravvenivano, quasi mancandogli l’animo, pentissi di avere domandato quello che egli avea pensato non potere ottenere; e già sfidandosi del fatto, assai avendo raffreddato l’animo, acciocchè al postutto non paresse invilito, subito rivolse l’ordine a [p. 437 modifica]battaglia, quanto per lo spazio gli fu conceduto, e diede lo segno della battaglia. Già erano presso i nimici, i quali, levato lo rumore, avevano mescolate le prode con l’armata de’ Siciliani la quale veniva pianamente, e incominciava la battaglia. Gittati uncini di ferro nel primo assalto con lance e con saette, stando pigri e quasi smarriti i Siciliani per la subita commutazione; la gente di Gottifredo innanzi volontariamente correndo a presentarsi ai navili de’ nimici, cominciarono a combattere con le mani e con le spade, e a bagnare ogni cosa di sangue. I Siciliani, già disfidandosi, rivolgendo le prode, quegli che poterono, volsero le spalle. E apparendo quegli di Gottifredo essere vincitori, affondaronsi molte delle navi de’ Siciliani, e molte ne furono prese, e poche più leggieri per virtù de’ galeotti camparono salve. E in quella battaglia pochi morirono, ma molti ne furono feriti: Giovanni, prefetto dell’armata, fu preso, e con lui tutti i nobili i quali volontariamente erano andati in su l’armata, e de’ galeotti molti, e molte insegne de’ cavalieri e delle navi, e il grande stendardo del re, lo quale era portato nella nave del pretore. E essendo [p. 438 modifica]venuta la terra a rendersi, perseguiti da fortuna di mare, furon menati a Napoli in catena e messi in prigione. E era tra quegli un giovine chiamato Orlando, figliuolo bastardo del re, bello del corpo e valente; il quale, essendo cercato riscattare tutti gli altri presi, solo essendo ritenuto, partendosi tutti gli altri, rimase tristo in prigione: perchè Piero re, al quale spettava il fatto del fratello, perchè la cosa era stata malcondotta, e oltre al suo comandamento, avea in odio così quello come gli altri, i quali erano stati in quella battaglia navale. Dunque essendo quello così in prigione e quasi senza speranza di libertà, e stando inferriato, avvenne ch’egli tornò a memoria a Camiola, la quale vedendo quello dispregiato da’ suoi frategli, ebbe compassione alla sciagura; deliberò con seco, s’ella potesse onestamente volere ridurre quello a libertà: e non vedendo alcun’altra via, salvando l’onore di sua onestà, s’ella non lo togliesse per suo marito; nascosamente mandò chi cercasse, se per quello modo egli volesse uscire di prigione: fu ottenuto leggiermente; e così servata ogni solennità di ragione, sposò quella come moglie per pro[p. 439 modifica]curatore, consentendolo, e sotto fermezza dello anello. E senza indugio mandato da Camiola dumila once d’argento, e pagato, tornò libero della prigione; e non andò altrimenti a casa della sposa come se non se ne fusse fatto parola. Camiola primieramente si maravigliò; e finalmente sentendo la ingratitudine di quell’uomo, sdegnossi; poi, acciocchè non paresse mossa da ira più che da ragione, piacevolmente fece richiedere quello ch’egli compiesse le nozze; il quale avendo negato che niuna cosa aveva a fare con lei, fecelo richiedere innanzi al giudice ecclesiastico, e con le autentiche carte per testimonianza di valenti uomini vinse quello essere marito. La qual cosa poi vergognandosi egli confessò: e poichè il beneficio di quella donna verso di lui fu conosciuto, ripreso da’ frategli e stimolato dagli amici, fu indotto a consentire la domanda di quella donna, e domandò fare le nozze. Ma quella donna di grande animo favellò quasi queste parole in presenza di molti: Orlando, io ho onde ringrazj Iddio; perchè, innanzichè sotto questo pretesto di matrimonio tu viziassi l’integrità della mia onestà, hai mostrata la malvagità della tua [p. 440 modifica]perfidia; e consentendo quello, lo cui nome santissimo tu ti sei sforzato beffare con lo malvagio spergiuro, con la ragione io ho riprovata la tua bugia, la quale è grandissima a me di te e di tuo matrimonio4. Io penso che tu credesti, essendo ancora in prigione, ch’io avessi smenticato me e la mia condizione, e che mattamente io desiderassi tua bellezza con un ardore femminile; e questa, come tu avessi ricoverato tua lihertà con la mia moneta, con una negazione beffare, e vituperarla; e come tu fossi tornato a’ primi onori torre per moglie più gentil donna: e quanto tu hai potuto, ti se’ sforzato al fatto; ma Colui che da alto vede le basse cose, e che non abbandona quegli che sperano in lui, conosciuta la purità della mia mente, ha fatto, che con poca mia fatica io abbia guasto i tuoi inganni, e discoperta la tua ingratitudine; e mostrassi la tua malvagità; e non ho fatto questo tanto per vituperare la tua crudeltà nè per mio fatto, ma perchè innanzi i tuoi frategli e gli altri possano ve[p. 441 modifica]dere quello sia da commettere alla tua fede, quello che gli amici possano sperare, quello che i nimici possono temere. Io ho perduto l’oro, e tu la fama, io ho perduto la speranza, e tu la grazia del re e degli amici. Le donne di Sicilia si maravigliano della mia cortesia, e magnificommi la loro lode; tu se’ fatto a conoscenti e a non conoscenti vituperoso giuoco. In questo nondimeno per alcuno spazio sono stata ingannata: io pensava avere tratto di prigione reale e magnifico giovane, dove io veggo avere liberato bugiardo ribaldo, traditore e ruffiano, crudele bestia. E non voglio che tu creda avermi tratto in questo: mossemi la recordazione de’ beneficj di tuo padre, se il serenissimo Federigo, re di santa recordazione fu, tuo padre, la qual cosa appena posso credere, che di sì famoso principe nascesse sì scornato figliuolo. Tu pensasti indegna cosa, che una vedova di sangue non reale avesse marito di schiatta reale, giovane robusto e bello, la qual cosa io confesso volontariamente. Ma io vorrei, e tu puoi con ragione, che tu mi risponda: quando io credeva averti fatto mio col mio servizio, e quando io pagai per la tua libertà moneta, [p. 442 modifica]dove era allora la tua libertà, dove era la tua gran forza, dove era la tua bellezza? erano coperte da oscura caverna, nella quale tu eri tenuto stretto, tutte queste cose: la pallidezza della luce non veduta, e la puzza dell’oscura prigione, per le quali cose tu debole marcivi puzzolente abbandonato da ogni uomo, avevano oppresse queste tue virtudi, le quali tu superbo magnifichi: non solamente allora tu dicevi me degna d’uno reale giovane, ma di celestiale Iddio. O come lievemente, o come tosto tu, giovane scelleratissimo, come tu vedesti lo cielo della tua patria oltre la tua speranza, già volgesti la tua opinione5! non ricordandoti poi che tu fosti in tuo arbitrio, che io sono Camiola, la quale ebbi compassione alla tua avversità, la quale sola per la tua salute pagai la mia moneta; io sono Camiola che col mio denaro t’ho riscosso dalle mani del capitale inimico de’ tuoi maggiori6, [p. 443 modifica]dalle catene, dalla prigione, dall’estrema miseria. Io ti drizzai a speranza, essendo tu già caduto in disperazione; io t’indussi nella patria; io ti ritornai nella casa reale nella prima vita; io t’ho fatto reale, robusto e bello giovane, di prigione brutto e debole. Ma perchè ti ridico io a memoria quelle cose delle quali ti dei ricordare, e che tu non puoi negare? ora tu per si memorabili servigi m’hai rendute queste grazie, e che hai ardito dire te non essere mio marito e dispregiare lo matrimonio fermato per onesti e santi testimonj e per sagrate carte; e la tua ricomperazione dispregiare, e invilire; e macchiare me, se tu avessi potuto, con brutta sospizione. Tu uomo di non sana mente ti vergognavi d’avere per moglie una vedova nata di padre d’ordine di cavalleria? or quanto era meglio esserti vergognato di avere fallito alla detta fede, avere dispregiato7 lo santo e terribile nome di Dio, e con la tua ingratitudine maladetta avere mostrata quanta abbondanza di vizj8 tu abbia. Io confesso me non essere donna di schiatta reale, ma essendo io [p. 444 modifica]dalla mia puerizia usata appresso le fanciulle del re, e le donne delle mogli, non è maraviglia ch’io abbia presi i loro costumi e animo; la qual cosa basta ad acquistare nobiltà reale. Ma perchè più parole? Io farò a te lievemente quello che tu con tutta tua forza ti sforzasti fare a me: negasti te essere mio marito; ma io volontariamente ti concedo che tu non sii mio marito, e benchè io abbia vinto te essere mio. La nobiltà reale sia tua, nondimeno bruttata d’infamia di falsità, sia tua la giovanile fortezza; tua sia la caduca bellezza, e io da qui innanzi sarò contenta della mia vedovità; e le ricchezze le quali Iddio mi ha prestate lascerò a più onesto erede, che a quegli che fussero generati da te. Partiti adunque, infelice giovane: e perchè tu hai fatta indegna cosa contro di me, impara alle tue spese con che arti, con inganni tu ti faccia beffe dell’altre femmine: a me basta ch’io sia ingannata da te una volta. Per la qual cosa io ho in animo non essere mai insieme con teco: ma molto penso che sia da tenere9 innanzi servare vita casta, [p. 445 modifica]che avere tuo matrimonio. E, dette queste parole, tolsesi di sua presenza; e dappoi non si potè nè con prieghi nè con ammaestramento rimuoverla da suo proposito. Ma Orlando, confuso e tardi pentuto di sua viltà, ripreso da ogni uomo, con volto basso10 non solamente fuggendo la presenzia de’ frategli, ma eziandio de’ popolari uomini, partissi con misera fortuna non ardiscendo domandare a ragione quella ch’egli avea rifiutata ad inganno. Il re e gli altri nobili del nobile animo di quella donna magnificarono quella con maravigliose lodi, incerti che cosa fusse più da lodare, o che Camiola contro all’avarizia delle femmine ricomperasse di tanta moneta quel giovane, o che ella animosa dispregiasse e rifiutasse quello, ricomperato e convinto come indegno di lei.

Note

  1. Cod. Cass. echo rimanghoni edi fici dachonbattere. Test. Lat. machinis bellicis.
  2. Cod. Cass. noninpacciarono alcuno portando lo soccorso. Test. Lat. impediente nemine... intulere subsidia.
  3. Cod. Cass. seghuendo. Test. Lat. videns.
  4. Test. Lat. mendacium quod mihi de te deque tuo conjugio per maximum est.
  5. Cod. Cass. gia volesti lotuo oppenione. Test. Lat. vertisti sententiam.
  6. Betussi. Test. Lat. substantias exolvi meas: ego Camiola sum, quæ te e manibus capitalis ho stis tuorum, ece.
  7. Cod. Cass. avere dispregiare.
  8. Idem, divirtu. Test. Lat. vitiorum.
  9. Cod. Cass. temere innanzi. Test. Lat. præponendam.
  10. Cod. Cass. commolto basso. Test. Lat. de jecto vultu.