De mulieribus claris/CI
Questo testo è completo. |
◄ | C | CII | ► |
CAPITOLO CI.
Costanza, Reina di Sicilia.
Costanza romana imperadrice fu famosa in terra della somma altezza del mondo; ma perchè ebbe lo comune onore con molti, pare avere menomato l’ammirazione di quegli che guardano quegli che nella nostra età vogliono apparere, hanno da cercare altra cagione d’eccellenza1, la quale non mancò a questa: e certamente se non le fu conceduto per alcuno altro merito, almeno per un solo figliuolo diventò famosa. Questa fu figliuola di Guglielmo, ottimo re di Sicilia, nella cui natività, secondo che molti dicono, Giovacchino, abate Calavrese, dotato di spirito profetico disse a Guglielmo, che la figliuola per innanzi sarebbe la distruzione del regno di Sicilia. Per lo quale augurio impaurito, e maravigliatosi, credendo allo augurio, cominciò a pensare con ansietà per che modo potesse avvenire per una donna; e non vedendo che potesse essere se non per lo marito e lo figliuolo di quella, avendo compassione al suo regno, diterminò, s’egli potesse, tor via questa per sua provisione. E acciocchè egli togliesse via la speranza del matrimonio e dei figliuoli, rinchiuse quella verginetta in un chiostro di monache, e fecele promettere a Iddio perpetua verginità: e non fu da dispregiare sua provisione se fusse giovato. Ma perchè noi stolti e deboli ponemo contro a Iddio i nostri sforzi2, il quale purga giustamente gli scellerati fatti degli uomini? certamente noi c’inganniamo ad una e minima percossa. Essendo morto lo suo santissimo padre e il suo fratello, non essendo rimaso niuno suo legittimo erede del regno salvo ella; avendo già consumata tutta sua gioventù, e già essendo fatta vecchia; e dopo la morte di Guglielmo avendo preso la corona del regno Tancredi, e dopo quello Guglielmo suo figliuolo, ancora fanciullo essendo, avvenne o per la indegna rinnovazione dei re, che per opera de’ Baroni, nascendo le guerre di ciascuna parte, lo regno pareva andare tutto in esterminio per ferro e per fuoco. Per la qual cosa avendo compassione alcuni della sciagura, vennegli a mente quello che seguì dappoi, cioè che Costanza fusse data per moglie ad alcuno principe; acciocchè per la potenzia di quello per sua opera fusse vietato lo mortale movimento. E non si ottenne senza inganno e gran fatica, consentendolo il Papa, che Costanza consentisse a cosiffatta opinione, stando ella ferma nel proposito di sua professione, e eziandio parendo contrastare. Ma repugnando ella, e già essendo avvenuto che non si poteva comodamente ritrarre, fu data per moglie a Arrigo imperadore di Roma, figliuolo innanzi di Federico primo. E così la crespa vecchia lasciato lo santo chiostro, messe giuso le bende monacali, ornata di vesti reali, maritata, imperadrice si manifestò; e quella che avea consagrato a Dio perpetua verginità, entrata nella camera dello imperatore, e montata nel letto matrimoniale, mise giuso a mal suo grado quella verginitade. Di che addivenne, non senza ammirazione di quegli che l’udirono, in età di cinquantacinque anni ella ingravidò. E non essendo dato fede a quella gravidezza, e essendo creduto da’ più che quello fusse inganno, a tor via la sospetto, fu proceduto provedutamente, che appressandosi il tempo del parto, di comandamento dello imperadore fusse mandato per le donne di Sicilia, sicchè tutte le donne, quelle che volessero, fussero presenti al futuro parto. Le quali sopravvenendo eziandio di lungi, posero nei prati le tende fuori della città di Palermo, e, secondo alcuni, drento alla citta; e riguardando ognuna, la vecchia imperadrice partorì, cioè, Federico; lo quale poi, cresciuto maraviglioso uomo, fu peste3 di tutta Italia non che del regno di Sicilia, acciocchè non fallisse l’augurio del calavrese Abate. Dunque chi non penserà che la gravidezza e il parto di Costanza fusse maraviglioso, poichè oltre a questo non sia udito alcuno alli nostri tempi anzi dalla venuta di Enea in Italia, salvo uno parto di sì antica donna, cioè d’Elisabetta moglie di Zaccheria, della quale per singolare opera di Dio nacque Santo Giovanni, al quale non doveva poi nascere pari intra i figliuoli delle femmine4.
Note
- ↑ Cod. Cass. di quegli che ghuardino aquesta cercare altro chagione della rore oquegli che nella nostra età vogliono apparere le quali nom macho aquesta. Test. Lat. alia claritatis causa nostro ævo apparere valentibus quærenda est quæ hulc non defuit.
- ↑ Test. Lat. conatus exponimus.
- ↑ Cod. Cass. fu presso datutta italia. Test. Lat. et Italiæ totius nedum regni Siciliæ pestem.
- ↑ Molti furono nella storia i fatti ai quali gli uomini prestarono fede, infino che i filosofi non avessero gettato un lume su di quelli, e li avessero trasformati in favole agli occhi di coloro che, vergognando, risero di lor credenza. Ma alcuno ancor ve n’ha che, conquiso dalla critica, come idolo s’erge nella storia, ed al quale fanno tuttor riverenza coloro che, allusingati dallo spirito di parte, soffrono buon grado che lor ragione invilisca sotto la tirannide del pregiudizio. Chi non ha contezza d’una Papessa Giovanna? e chi non ne ascolta la storia col sogghigno del disprezzo, simile a racconto nato fra il cicalare di muliebre brigata? Eppure siccome i Protestanti posero tutt’opera a rivestire cotesta favoletta del manto della verità, come se dall’esistenza di Papessa Giovanna venisse compiuto trionfo alle congreghe di loro sulla Chiesa di Cristo; e perchè gli argomenti di questi non menassero in errore quei che della cosa poco o niente sapessero, mi cadde in animo dire di questa Giovanna e provarne falsa l’esistenza: e di cortovengo alle pruove. Sebbene siano gli eruditi discordevoli, pure la Cronica di Mariano Scoto è il libro più antico, nel quale si legge della Papessa Giovanna, e queste ne sono le parole: Leo Papa obiit Kalendis Augusti. Huic successit Joanna annis duobus, mensibus quinque, diebus quatuor. Scoto nacque nell’anno 1028, morì nell’anno 86 dello stesso secolo, 236 anni dopo la elezione di Benedetto III; dunque circa due secoli e mezzo lo divisero dal riferito avvenimento: egli non è scrittore coevo; se non lo è, vediamo se dagli scrittori sincroni egli abbia ricevuto sì bello raeconto. Fra questi maggior fede è da prestarsi a colui che non solamente visse nello stesso secolo, ma nell’anno istesso, e nel luogo medesimo ove il fatto avvenne questi è Anastagio Bibliotecario, il quale, testimone oculare in Roma della morte di Leone IV e dello immediato innalzamento di Benedetto III, non fa motto di sorte di Giovanna, che fra questi due pontefici abbia tenuto nelle mani la somma delle cose Cristiane. Adone, Arcivescovo di Vienna, Guglielmo, Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, gli Annali de’ Franchi detti Bertiniani, Reginone, Abate di Pruim, Incmaro Remense, i quali tutti vissero nel nono secolo, tacquero di questa Papessa, ed il loro silenzio è argomento vigoroso per chiarirci della falsità del racconto di Scoto. Imperocchè non può cadere in animo ragionevole, esser questi venuti in comune mento nel tralasciare storica verità. Che se poi tutti gli scrittori coevi, come membri della Chiesa Romana avessero consentito nell’occultare ai posteri fatto che a vergogna di loro Chiesa tornava, da quale cagione faremo noi derivare il silenzio di altri scrittori coevi, nimicissimi del seggio di S. Pietro, e bramosi (come tra gli eretici corre usanza) di apporre delitto o errore alla Chiesa Romana? Una donnicciattola di mal partito assisa su la cattedra di S. Pietro, la quale nel nono secolo per benevolenza di Carlo Magno, e di Pipino non poco s’innalzava su i troni delle potestà laicali per innata spirituale possanza e per acquisita signoria, era forse oscuro personaggio che poteva aggirarsi nelle tenebre della corte pontificia senza che gli eretici ne avessero contezza? e gli stessi cattolici non ne avrebbero fatto pubblico e grande ragionare? Fozio, vivente nel nono secolo e nell’anno a cui Scoto assegna l’elezione di Giovanna alla santa Sede, uomo fornito di grandissimo ingegno, colto in molta parte di studj, di cuore corrotto, astutissimo quanto ne cape in Greco imbroglione, per ambizione e per ripetuti anatemi furente contro a’ Romani Pontefici, il quale nella corte di questi avea suoi satelliti, che i fatti di loro gli rapportassero, per avere onde calunniarli, e dare un varco alla bile che gli bolliva nel petto, Fozio, dissi, non solo si astiene delle querele contro ai cattolici, e non li mette in beffe, come quei che soffrivano reggersi la Chiesa per mano di laida cortigiana; ma anzi in un suo libronse 1 chiaramente dice a Leone IV, essere succeduto Benedetto III, e poi Niccolò I, Adriano II, e Giovanni VIII. Il silenzio di Fozio è troppo nemico di Papessa Giovanna; se non vogliamo porre che quel terribile padre dello scisma greco per modestia o per timore sia andato più rattenuto in questo avvenimento nell’apporre tanto errore alla Chiesa Romana.
Metrofane Smirneo, pur vissuto nel IX secolo, che non meno di Fozio furiava contro nostra Chiesa, tace di questa Giovanna.
Ma se non vollero levar la voce gli eretici alla mostruosa elezione di Giovanna, non sarebbero trascorsi in risa ed in beffe i seguaci di Fozio, allorchè nel primo anno del pontificato di Papa Formoso, venne a chiari caratteri scolpita la serie dei Pontefici che avevano bandito l’anatema nel corso di 45 anni a quell’eresiarca, nel portico della Chiesa patriarcale di Costantinopoli, non leggendosi il nome di Giovanna Papessa per due anni e cinque mesi? Quando Leone IX rinfacciava a Michele, patriarca Costantinopolitano, una femmina aver governata sua Chiesa, non avrebbe il Greco rimbeccato il Pontefice di simile elezione avvenuta al soglio di S. Pietro? Eppure e i seguaci di Fozio tacquero di Giovanna quando non la videro nel ruolo dei Pontefici, e si tacque Michele, rampognato dal Pontefice. Se mai sono tutt’ora fautori di questa favoletta non andranno poco stretti al nodo di questo argomento.
Le parole di Mariano Scoto risguardanti Giovanna furono come il seme gettato dal quale doveva nascere mostro gigante, delizia della Chiesa Riformata e de’ gonzi.
Martino Polono, morto 184 anni dopo Scoto e 425 dopo l’elezione di Benedetto III, riproduce la favola di Mariano, di altre circostanze adornandola, cioè, essere la Papessa di Magonza, e fatta Papa; in solenne processione, colta da subitano dolore di parto, nella pubblica via tra il Coliseo e la Chiesa di S. Clemente avere sposto il feto. Per avere poi contezza della statua innalzata nel sitɔ ove sgravossi questa femmina, in memoria di fatto tanto vituperoso alla Chiesa, e di non so qual sedia perforata, della quale poi usarono per non andare di bel nuovo falliti intorno al sesso del novello Papa, ti fa mestieri, o lettor mio, che tu percorra circa due secoli dopo la morte di Martino Polono per dare in un tal Teodorico Niemeo che ti dia sicurtà della sopraddetta statua, e dopo Niemeo circa altro secolo percorri, e venghi nel finir del secolo XV, perchè Guglielmo Brevin e il Platina ti faccian consapevole della sedia perforata. Oh la nuovafoggia di cercare storiche verità! Tutti gli uomini che hanno un cotal pocolino di senno per accertarsi de’ fatti tengono via retrograda e non progressiva: sarebbe assai gonzo colui, che per sapere delle gesta de’ Romani, mettendo d’un canto Livio, e tutti gli antichi scrittori, si stesse colle mani alla cintola aspettando qualcuno del tempo venturo, che, indipendente dall’autorità degli antichi storici, gli spacciasse cose da maraviglia. Ma tutto il nostro argomentare, che dal silenzio degli scrittori coevi prende forza, sembra che indebolisca, allor quando gli eretici, af fibbiando di nuovo la giornea, scendono ardimentosi nell’arena, e di fermo seguono a dire: Non esser favola la elezione di Papessa Giovanna; ma fatto storico, del quale racconta Anastagio Bibliotecario scrittore sincrono; e di alcuni esemplari della cronica di questi fanno copia a tutti in conferma di lor folleggiare. Ma noi, ponendo da banda Claudio Servio, che nella lettera a Claudio Salmasio con molto fior di senno ne chiarisce, il racconto della Papessa essere spurio accozzamento alla cronica di Anastagio, poichè dalla foggia del dire, e fin dalle parole chiaro si addimostra il racconto non essere del nono secolo; ad un tal Sarrau, zelante protestante citato da Baylense 2 mi rivolgo per soccorso. Questi negli esemplari di Anastagio avvertì le parole ut asseritur, ut dicitur, delle quali il Romano Bibliotecario usava nella narrazione della Papessa; e benissimo conchiude, non essere questo modo di raccontare cosa, e cosa di rilievo veduta coi proprj occhi, ma bensì novella raccolta veramente al trivio. Questo solo avvertimento del Sarrau, che scopre hastevolmente la frode dell’impostore che cacciò questa favola nella cronica di Anastagio, ne toglie l’obbligo di andar più per le lunghe. Ma a che t’interniamo, o leggitore? Gravissime ragioni, che nel Labbè, nel Natale Alessandro, nell’Allazio ed in cento altri non volgari scrittori tu potrai rinvenire, e che per amore di brevità tralasciamo, molto fortemente guarentiscono nostro avviso da qualunque opposizione; dappoichè nè Mariano Scoto, nè Martino Polono hanno lasciato scritto nelle di loro croniche il fatto di Giovanna, ma fuvvi da mano corruttrice messo per forza.
Noi da questo assai brieve argomentare ne avvisiamo andar chiarita la questione; che se poi agli eretici specialmente non vadano a sangue le nostre parole, e amano battersi a battaglia finita noi ci chiamiamo da parte, ed il solo Blondel Protestante terrà nostro campo. Egli, sordo ai richiami dei suoi confratelli, che lo predicavano traditore di loro Chiesa, e corrotto da’ danari dei Papisti, avendo dato il nome alla Riforma, e non la ragione, scrisse un libro a bella postaper confutare la favola della Papessa. Il suo libro intitolato: Ecclaircissement de la question si une femme a estè assise au siegs papal de Rome, sarà come nostro propugnacolo, e dal quale torremo queste sole parole a conchiusione del nostro dire: C’est un conte qui a estè enrichi avec le tempsnse 3.
- ↑ Phot. de Spir. San. Proces, Lib. I.
- ↑ Diction. Martin. Polon.
- ↑ Su quanto si è detto veggasi Labbè, Coll. Conci. e di Parisi: Tom. XV ad an. 855. Ioannæ papissæ Cænotaphium eversum Natalis. Alessan. Hist. Eccl. ad an. 855. Leone Allazio Byzant. Script. Hist. Tom. XXIII, pag. 82. Confut. fabu. Papis. Ioan. ·