Giovanna, reina di Gerusalemme e di Sicilia

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Giovanna, reina di Gerusalemme e di Sicilia
CII Protesto

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CAPITOLO CIII.

Giovanna, reina di lerusalem.

Giovanna, reina di Ierusalem e di Sicilia, oltre all’altre donne al nostro tempo, è famosa per nazione, per potenza e per costumi: della quale pareva odioso se avessi taciuto, e tacere di lei era meglio che scrivere indarno sì poco. Dunque questa fu la prima figliuola di Carlo, glorioso duca di Calabria, primogenito di Ruberto, di famosa memoria, re di Sicilia e di Ierusalem, e di Maria sorella di Filippo re di Francia; del cui padre e madre1 se noi vogliamo cercare gli avoli e bisavoli non cesseremo infino che per gli ascendenti re noi verremo a Dardano, primo autore d’Ilione, il padre del quale gli antichi dissero essere stato Giove. Della quale nobile schiatta tanti famosi principi sono discesi d’una e d’altra parte, che non è alcuno de’ re de’ Cristiani che non le sia parente e congiunto; e così [p. 447 modifica]niuna schiatta a nostri dì nè de’ nostri padri fu famosa più di nobiltà in tutto il mondo di questa. Eziandio dappoi essendo piccola fanciulla, essendo morto il padre giovane, non avendo suo padre erede maschio, avvenne di ragione, eziandio comandando egli così, che ella sopravvivendo2 diventasse erede del regno. E non fu la sua eredità oltre alla torrida zona, oltre i Sauromati sotto tramontana, dove è il ghiaccio; anzi fu tra ’l mare Adriatico e Tirreno, da Piceno e Umbria allo paese de’ Volschi, infino al mare di Sicilia, sotto temperata aria. Tra i quali confini obbediscono a sua signoria gli antichi Campagnuoli, i Lucani, i Bruzi, i Salentini, i Calavresi, i Dauni, i Vestini, i Sanni, i Peligni, i Marsi e altri molti, acciò che io taccia i maggiori, come lo regno di Ierusalem, e l’isola di Sicilia, e la Gallia Cisalpina, lo terreno da piè de’ monti, le quali cose sono occupate per ingiuria degli occupatori. E così obbediscono quegli che abitano [p. 448 modifica]nella settima provincia3 tra la Gallia Narbonese, lo Rodano e le Alpi e il contado di Folchacherio ai suoi comandamenti, e confessano quella essere donna ereina. Oh quante famose cittadi sono in queste provincie, quanti maravigliosi castelli, quanti golfi di mare e quanti rifugj di nocchieri, quanti porti, quanti luoghi, quante fontane medicinali, quante selve, quanti boschi, quanti paschi, e dilettevoli e fruttiferi campi! Ancora quanti grandi popoli, quanti grandi baroni, e ancora come grandi ricchezze, ed abbondanza di tutte cose che aspettano alla vita! e certamente non sarebbe lieve esprimerlo. La quale essendo grandissima signoria e non usata a essere retta da donne, nondimeno dà ammirazione e nominanza, se noi guardiamo bene4. E, che è molto più maraviglioso, a lei basta l’animo alla Signoria, che tanto chiara serva [p. 449 modifica]ancora la nobiltà de’ suoi passati. Perchè ella, poichè ella fu onorata della corona reale, drizzata5. .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .     era suo sostegno, incominciò nuovo e mortale scisma; a da questo si conobbe la somma de’ mali di quella; perchè la cosa procedè tanto innanzi, che, vivendo Urbano, e non temendo siffatta cosa, fu eletto un altro Papa, come in veleno della fè cattolica. Al quale, mutata l’opinione, la detta reina cominciò a essere favorevole, o che la fortuna menasse quella ad esterminio, o ch’ella fusse tratta da perverse lusinghe de’ suoi. E per questo ogni cosa fu turbata e messa in confusione; perchè lo detto Urbano, vero Papa, mosso per isdegno pronunziò scismatica anima della fè di Cristo e della chiesa la detta reina, la quale innanzi avea chiamata diletta figliuola, e finalmente la diffamò per pubblichi processi; e non cessò infino che la cacciò del regno; e chiamò d’Ungheria, di quella medesima schiatta reale, Carlo, giovane di gran [p. 450 modifica]vista e fama; intantochè prima la reina predetta non rifiutava avere quello per successore, e per augurio d’ogni uomo pareva dovere essere innanzi sostituito quello re. Dunque sforzandosi l’ardito re giovane acquistare l’eredità, e quella, forte per antica possessione, sforzandosi avere la sedia de’ suoi passati, con grande apparecchiamenti di ciascuna parte avevano posto in grandissimo pericolo l’opinione. Ma la fortuna alla quale non si può dare resistenzia, secondo che dice Virgilio, conduce ogni cosa: quello che era meno possente rimase vincitore della guerra. Non era tra le parti alcuna varietà nota di gente, non d’arte di milizia; essendo dall’una Otto predetto, sommamente ammaestrato in fatti d’arme con espertissima compagnia degli antichi baroni del regno; dall’altra parte essendo il nuovo re quasi forestiero, intricato tra barberi, non esperto in signoria, e ignorante dei fatti d’Italia; non conosciuto dai signori del nostro paese e solamente aiutato dalla possanza del Re d’Ungheria, con questa venne a battaglia. Subito con una sconfitta entrato nel regno, contro l’opinione d’ogni uomo, sconfisse la gente de’ nemici, e pigliò [p. 451 modifica]l’antica città di Napoli, sedia del regno; ed assediò per mare e per terra la regina in uno castello, lo quale, secondo che si diceva, era inespugnabile. La quale in brieve tempo, vecchia e miserabile, s’arrendè, e venne in arbitrio del nuovo re che fusse costretta da necessità, o ch’essa per inganno de’ suoi fusse mal consigliata e confortata, o, secondo che si dice, tradita. Dispogliata d’ogni signoria e libertà fu messa in onesta prigione a Nocera sotto buona e fidata guardia, dove dopo alcuni mesi finì sua vita; ma come ella morisse n’è varia opinione. Alcuni dicono, e questa più famosa opinione è tenuta vera, ch’ella morì naturalmente come la maggior parte degli uomini, essendo costretta d’infermità, e forse perchè ella, non degna e non meritevole della sua infelice sorte, menossi al fine quasi come sdegnosa di vivere. Altri sparlando contro al re, come è d’usanza de’ rei, hanno avuto ardire dire ch’ella fu avvelenata; la quale opinione dee parere vana e falsa, s’io guardo alla benignità di quello re contro a tutti i vinti da lui. Alcuni altri, mossi da diletto di fare lo peccato più aspro, non hanno temuto di mormorare, ch’ella fu [p. 452 modifica] strangolata con uno laccio, benchè fusse senza la coscienza del re, e al postutto non sapendone egli alcuna cosa. Queste due ultime opinioni m’è piaciuto porre in questo luogo, non perchè sia da dubitare della prima per alcuno modo, ma perchè quegli che leggeranno sappiano che io le ripruovo come false e soperchie. Poichè ella fu morta, fu portata in luogo pubblico, dov’ella stette alla veduta d’ogni uomo, acciocchè niuno dubitasse dappoi ch’ella fusse viva: poi fu seppellita con reale onore d’ultima sepoltura; e fece manifesto che la vita umana è una favola; e che egli è vero quel detto del Poeta, che noi dobbiamo aspettare l’ultimo dì a lodare alcuno uomo; e che niuno si dee chiamare beato innanzi che muoia, e che sia seppellito. Laus Deo semper.



Note

  1. Cod. Cass. dechui madre e mai. Test. Lat. cujus parentum.
  2. Cod. Cass. sopravenendo. Test. Lat. superstes.
  3. Cod. Cass. gietrimuna provinciæ. Test. Lat. septimam provinciam.
  4. Quod cum permaximum sit dominium, nec id sit a mulieribus possideri consuetum, non minus miraculi quam claritatis affert, si satis inspicimus.
  5. Il Codice è scemo di una pagina.