Dalle Satire (Alfieri, 1912)/Satira Nona. I Viaggi

Satira Nona. I Viaggi

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Satira Nona.1

I Viaggi.

Capitolo Primo.

Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύαργον [nel testo d’Omero πολύτροπον], ὃς μάλα πολλά
Πλάγχθη.

Omero, Odissea, v. 1.

Narrami, o Musa, le ozïose imprese,
D’uom, che tanto vagò.


Certo l’andar qua e là peregrinando
Ell’è piacevol molto ed util arte;2
3 Pur ch’a pié non si vada, ed accattando.
Vi s’impara piú assai che in su le carte,
Non dirò se a stimare o spregiar l’uomo,3
6 Ma a conoscer se stesso e gli altri in parte.
De’ miei vïaggi, per non farne un tomo,4

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Due capitoli soli scriverò:
9 Eccomi entrato già nell’ippodròmo.5
Del quarto lustro a mezzo appena io sto,
Ch’orfano, agiato, ineducato, e audace,
12 Mi reco a noja omai la Dora e il Po.6
Calda vaghezza,7 che non dà mai pace,
Mi spinge in volta: e in Genova da prima
15 I passi avidi miei portar mi face.8
Ma il Banco, e il Cambio, sordidezza opíma,
E vigliacca ferocia, e amaro gergo
18 Sovra ogni gergo che l’Italia opprima,
E ignoranza, e mill’altre ch’io non vergo
Note anco ai ciechi Liguresche doti,
21 Tosto a un tal Giano mi fan dare il tergo.9
E, bench’un Re10 non mi piacesse, io voti
Non fea pur mai per barattarmi un Re

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24 In sessanta parrucche d’Idïoti.11
Visto che in Zena12 da imparar non v’è,
L’Appennin già rivarco e m’immilàno.13
27 Ma quivi io sto esclamo un altro Oimè.
Le cene, e i pranzi, e il volto ospite umano,
E i crassi corpi e i vie piú crassi ingegni
30 Che il Beozio t’impastan col Germano,14
Fan sí ch’io esclami: «Oimé, perché pur regni,
Alma bontà degli uomini, sol dove
33 Son di materia inaccessibil pregni!»15
Dall’Insubria me quindi or già rimuove
L’agitator mio Démone, che pinge
36 Nuovi ognora i diletti in genti nuove.16
Oltre Parma, oltre Modena ei mi spinge,
Oltre Bologna; senza pur vederle;
39 Come del barbaro Attila si finge.17
Rapido sí travalico già per le
Tosche balze, che tante ali non puote
42 Neppur Scaricalàsin18 rattenerle.
Eccomi all’Arno, ove in suonanti note
La Plebe stessa atticizzando19 addita
45 Come con lingua l’aria si percuote.
Ma non mi fu, quanto il dovea, gradita
L’alma Cantata20 allor, perché m’era io
48 Anglo-Vandalo-Gallo21 per la vita:

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Né mi albergava in core altro desío,
Che varcar l’Alpi, e spazïar la vista
51 Fra que’ popoli, grandi a petto al mio.
Quind’io Fiorenza già tenea per vista;
E, muto e sordo e cieco a ogni arte bella,
54 D’Anglo sermon quivi facea provvista;22
Ignaro appien di mia futura stella,
Che ricondurmi all’Arno un dí dovea
57 Balbettator della natía favella.23
Pur non del tutto vaneggiar mi fea24
D’Oltrementi l’amor, quand’io di tanto
60 Minori i Toschi al lor sermon vedea.
Ma, piú che i Toschi io nullo,25 or lascio intanto
Firenze, e Lucca già di vol trapasso,
63 Senza pure assaggiarvi il Volto Santo.26
Pisa Livorno e Siena mi dan passo,27
Perch’io sbrigarmi in fretta e in furia voglio
66 Di veder questa Roma e il suo Papasso,28
Ecco, alle falde io sto del Campidoglio:
Ma il carneval che in Napoli mi chiama,
69 Fa che per or di Roma io mi disvoglio.
Nei giorni santi di vederla ho brama,
Perché i Britanni miei l’usan cosí;
72 E il mio appetito ratto si disfama.29

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Bella Napoli, ho quanto, i primi dí!
Chiaja, e il Vesuvio, e Portici, e Toledo,
75 Coi calessetti, che saettan lí;30
E il gran chiasso e il gran moto, ch’io ci vedo,
D’altra vasta città finor digiuno,31
78 Fan sí che fuggon l’ore e non m’avvedo.
Ignoranti miei pari, assai piú d’uno
La neghittosa Napoli men presta,
81 Con cui l’ozio mio stupido accomuno.32
Ma, sia pur bella, ha da finir la festa.
Al picchiar di Quaresima, mi trovo
84 Tra un fascio di ganasce senza testa.33
Retrocediamo a procacciar del nuovo:
Qui non s’impara; io grido: ma non dico
87 «Ch’altri diletti che imparare io provo».34
Già torno al Tebro, e un pocolin l’Antico
Nella Rotonda e il Coliséo35 pur gusto;
90 Ma il troppo odor di preti è a me nemico.
Sí stoltamente hammi impepato il gusto
La mal succhiata Oltremontaneria,36
93 Ch’io d’ogni cosa Italica ho disgusto.
Conobbi in poi, campando, esser piú ria
Della classe Pretesca mille volte
96 L’Avvocatesca ignuda empia genía.
Spregiudicato i’ mi tenea, stravolte
Da nuovi pregiudizi in me l’idee:37
99 Quindi io l’orme da Roma ho già rivolte.
Spronando ver le Adriache maree,
Rido in Loreto dell’alata Casa,38

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102 Pur men risibil che le antiche Dee.
Ma la Città che salda in mar s’imbasa39
Già si appresenta agli avidi miei sguardi,
105 E m’ha d’alto stupor l’anima invasa.
Gran danno che cadaveri i Vegliardi,
Che la reggean sí saggi, omai sien fatti,
108 Sí ch’a vederla io viva or giungo tardi.
Ma, o decrepita od egra o morta in fatti,
Del senno uman la piú longeva40 figlia
111 Stata è pur questa: e Grecia vi si adatti:
Tal, che s’agli occhi forbe sua quisquiglia,41
Può forse ancor risuscitar Costei
114 «Che sol se stessa e null’altra somiglia».42
Tosto che il Doge antiquo dar per lei
All’antiquo Nettúno anel di sposa
117 Visto ebbi, ratta dipartenza io fei.43
Francia, Francia, esser vuol: piú non ho posa:
Balzo a Genova: imbarco: Antibo afferro:
120 Ivi ogni sterco Gallo a me par rosa.
Marsiglia tiemmi un mese, s’io non erro,44
Fra le sue Taidi a cinguettar Francese:
123 Precipitoso io poscia indi mi sferro;45
E son del gran Lutòpoli46 sí accese

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Le brame in me, ch’io né mi mieto il pelo,47
126 Notte e dí remigando ad ali tese.
Giungo al fin dove in nebuloso velo,
Di mezzo dí, d’Agosto, io mal vedeva
129 Sozzo piú ancor che il pavimento il cielo.
Dentro un baratro scendo, in cui mi aggreva
Che il suo bel nome San Vittorio affonde:48
132 Scontento è l’occhio mio, né piú si eleva.
Ma scontento è vieppiú l’orecchio altronde,
Tosto ch’io sento del parlar Piccardo
135 Affogarmi le rauche e fetid’onde.
Taccio il civile-barbaro-bugiardo
Frasario urbano d’inurbani49 petti,
138 Figlio di ratte labbra e sentir tardo.
Che val (grido) ch’io qui piú tempo aspetti?
Di costor, visto l’un, visti n’hai mille,
141 Visti gli hai tutti: a che piú copie incetti?50
Senza stampa, la Moda scaturille:
Quindi scoppiettan51 tutte a un sol andazzo
144 Le artefatte lor gelide faville.
Tornommi in mente allor, ch’io da ragazzo
Visti avea quanti fur Galli e saranno;
147 Che il mi’ Mastro di ballo era il poppazzo.52
E ignaro allora io pur che con mio danno
Vi dovrei poscia ritornare un giorno,
150 Cinque mesi mi pajon piú che l’anno.
Tra Scimmio-Pappagalli53 omai soggiorno
Piú far non vò: sol d’Albïone54 avvampo:
153 Se Filogallo55 io fui, mel reco a scorno.
Arràs Doàggio Lilla,56 come un lampo,
Di bel Gennajo, assiderato, io varco,

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156 Né in Sant’Omèro Celtico mi accampo.
A Calesse, a Calesse:57 e pronto imbarco:
Degli Ouì già so’ stufo a piú non posso:
159 Ogni Ouì ch’io v’aggiungo, emmi rammarco.58
Già navigo: e mi par tolta di dosso
Essermi tutta l’ammorbata Francia,
162 Che d’ira e tedio hammi smidollo59 ogni osso.
Ecco Dóver: si butta in mar la lancia:
Mi vi precipit’io fra i remiganti,
165 E il suol Britanno appien già mi disfrancia.60
Dopo i voti e sospiri e passi tanti
Ti trovo e calco alfin, libera terra,
168 Cui son di Francia e Italia ignoti i pianti.
Qui leggi han regno, e niun le leggi atterra:
E ad ogni istante il frutto almo sen vede;
171 La ricchezza e lo stento non far guerra.61
Il beato ben essere che eccede,62
E il non veder mai là nulla di zoppo,63
174 Fan ch’ivi l’uom sognar spesso si crede.
Né il ciel di nebbie e di carbone intoppo
Dammi a letizia; che, se il fumo è molto,
177 Tanto è l’arrosto che fors’anco è troppo.
Uomini or veggio, ai fatti al par che al volto:
E, se i lor modi han soverchietto il peso,
180 Dal candor di lor alme ei mi vien tolto.64
Piú che il fossi mai stato, or dunque acceso
Son d’ogni uso Britannico: e m’irrita
183 Vieppiú il servaggio, onde il mio suol m’ha offeso.
Deh potess’io qui tutta trar mia vita!
Grida il giusto mio sdegno generoso,
186 Qual d’uom che liber’alma ha in sé nutrita.

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Ma, per disciormi dal Tutore annoso,65
Il già spirante omai mio quarto lustro
189 Vuol che in patria men torni frettoloso.
Sol di passo, in Olanda io m’impalustro;66
Dove la industre libertade ammiro,
192 Per cui terra sí poca ha sí gran lustro.67
Quindi l’Austriaco Belgio pingue miro:
Ma qui di Francia il puzzo già mi ammorba,
195 Tanto è Brussella di Parigi a tiro.68
Eppur egli è mestier ch’io ancor mi sorba
Della schifosa Gallia altro gran squarcio,
198 Fiandra, Lorena, e Alsazia pur tropp’orba:
Poiché a dispetto di sua lingua marcio
E d’ogni suo costume e privilegio,
201 Soffre i Galli tiranni, e non fa squarcio.69
Basilèa fa scordarmi il poter regio,
E cosí tutta Svizzera ch’io scorro;
204 Popolo ottuso sí, ma franco e egregio:
Tranne Ginevra, i cui Scimiotti abborro
Misti di Gallo e Allòbrogo ed Elvetico:
207 Né in cotai saccentelli io m’inzavorro.70
Lascio la Pieve di Calvin frenetico
Ai mercantuzzi suoi filosofastri;
210 E sia pur culla del Rousseau bisbetico.71
E, perché in nulla il Ver da me s’impiastri,72
Dirò che allor né il gran Volterio pure
213 Fa ch’io Ferney nel mio viaggio incastri.73

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D’ogni Gallume risanate e pure
Già già l’idee riporto appien d’oltr’alpe,
216 Viste dappresso tai caricature:
Da Ginevra indi avvien ch’in fretta io salpe,
Né visitar quel Mago74 abbia vaghezza,
219 Che trasformato ha i Galli in Linci-talpe.
Scendo in Italia: e quasi emmi bellezza
Il mio nido, s’io penso al carcer Gallo:
222 Se all’Angle leggi io penso, emmi schifezza.
Mi stutorizzo in pochi mesi, e a stallo75
Non vuol ch’io resti la bastante borsa:
225 Pasciuto, e giovin, correr de’ il cavallo.
Ma stanco io qui dalla bïenne corsa,
D’un solo fiato76 o bene o mal descritta,
228 Divido il tema: ed anco il dir m’inforsa77
Il timor di vergar rima antiscritta:78
Stolta legge (anch’io ’l dico), ma pur legge
231 Che il Terzinante antico Mastro ditta.
Obbedisco: e do tregua anco a chi legge.79

Capitolo Secondo.80

Mezzo un Ulisse io pur, quanto alla voglia
Insazïabil di veder paesi,81
3 Torno a spiccarmi dalla patria soglia.
L’Europa tutta a scalpitare82 intesi
Saran miei passi in trïennal vïaggio,
6 Tanto son del vagar miei spirti accesi:

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I due terzi omai scorsi eran di Maggio
Sessantanove settecento e mille
9 Gli anni dal ricovrato almo retaggio;83
Quand’io, com’uom che in gran letizia brille,
Ampie l’ali spiegava al vol secondo;84
12 Perché il primier non quant’io volli aprille.
Di me stesso signor, signor del mondo
Parmi esser or: né loco alcun mi cape,
15 Se pria non vo dell’universo al fondo.85
Già Vinegia riveggio: e tal mi sape
Quella sua oscena libertà posticcia,
18 Qual dopo ameni fichi ostiche rape.86
Uom che ha visto i Britanni, gli si aggriccia87
Tutto il sangue in udir libera dirsi
21 Gente che ognor di tema raccapriccia.
Passo, e son dove il Trivigiano unirsi
Incomincia al Trentin: seguo, ed Insprucche88
24 Già m’intedesca in suono aspro ad udirsi.
Pur mi attalentan quelle oneste zucche,89
E i lor braconi, e il loro urlar piú assai,
27 Che i nasucci dei Galli90 e lor parrucche.
Già varco e Augusta e Monaco; né mai,
Finché la Sede Imperïal mi appare,
30 Resto dal correr che mi ha stufo omai.
Qui poserommi un po’; che un dolce stare
Questa Vienna esser debbe, almen pel corpo;
33 Che già so v’esser poco da osservare.
Ma troppo piú ch’io mel credeva io torpo91
E d’intelletto e d’animo, fra gente
36 Cui si agghiaccia il cervello e bolle il corpo.
Viva sepolta in corte aver sua mente92

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Vedev’io là l’impareggiabil nostro
39 Operista, agli Augusti blandïente:93
E il mal venduto profanato inchiostro
Sprezzar mi fea il Cesareo Poeta:94
42 Tai due nomi accoppiati a me fan Mostro.95
Bench’io di Pindo alla superba meta
Il piede allor né in sogno anco drizzassi,
45 Doleami par Palla scambiata in Peta:96
Diva, ond’aulico97 vate minor fassi,
Non che dell’arte sua che a tutte è sopra,
48 Ma di se stesso, ov’a incensarla ei dassi.
Ma in dir tai cose or perdo e il tempo e l’opra:
Andiamo a Buda. Io vado, e torno, e parto,
51 Com’uom che frusta e spron piú ch’altro adopra.
In Austrïato e Ungarizzato, un quarto
D’ora neppur vo’ in Böemarmi in Praga:
54 La Germania Cattolica già scarto.
Dresda, bench’egra di recente piaga
Chi i Borussi satelliti le han fatta,
57 Parmi dell’Elba a specchio seder vaga.98
Un certo che di lindo ha, cui s’adatta
L’occhio mio: la favella appien rotonda,
60 Benché ignota, l’orecchio mi ricatta.99
Ma fatal cosa ell’è ch’ove piú abbonda
Un bel parlare, ivi la specie umana
63 Sia seccatrice almen quant’è faconda.
Partiamo. A Meissen100 per la porcellana,
Poi per la Fiera a Lipsia m’indirizzo,101

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66 Per la scïenza no, che a me fia vana.
Non mi pungea per anco il ghiribizzo
Di squadernar quei Tomi elefanteschi,102
69 Di sotto ai quali omai piú non mi rizzo.
Pria che né l’Us né l’Os103 l’alma mi adeschi,
Molti begli anni a consumar mi resta
72 Tra postiglion, corrieri, e barbereschi.104
Troppo è mattina: a rivederci a sesta,
Lipsia mia. — Già l’orribil Brandinburgo
75 Con sue arene ed Abeti m’infunesta.105
Re quivi siede un Uom semi-Licurgo,
Semi-Alessandro, e in un semi-Voltéro:
78 Chi grecizzasse, il nomeria Panurgo.106
Ei scrivucchia; ei fa leggi; ei fa il guerriero:
Ma, tal ch’egli è, sta dei Regnanti al volgo,
81 Come sta il Mille al solitario Zero.
Non vi par bello il paragon ch’io avvolgo
Nella moderna107 scorza geometrica,
84 Da cui sí dotta l’evidenza or colgo?
Ma già la numeral frase simmetrica
Lascio, e il suo gelo; e sfogherò il mio dire,
87 Sciolto dalla Ragione Inversa tetrica.108
Quel Federigo, ch’or ci tocca udire
Denominar col titolo di Grande,
90 A me piú ch’un Re picciol movea l’ire.
Che quanti guai per l’Universo spande
La Protei-forme infame Tirannia,
93 Tutti son fiori onde ha quel Sir ghirlande.109
Balzelli, oppressïon, soldateria,

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Brutalità, stupidità, Gallume,110
96 Teutonizzata la pederastia,
E in somma il piú schifoso putridume
Di quanti darian vizj Europe sei,
99 Quivi eran frutto di quel regio acume.
A tal Sacra Corona inchino io fei,
Che pueril vaghezza mi vi spinse
102 Per vederlo: or per visto il mi terrei.
Ma il Monarchesco suo fulgòr non vinse111
Miei sguardi sí, ch’io ne’ suoi sguardi addentro
105 Non penetrassi l’arte ond’ei si cinse.
Piú ch’altr’uomo, il Tiranno asconde in centro112
Del doppio cuore il marchio di sua vaglia:113
108 Ma, s’io di Vate ho l’occhio, ivi pur entro;
E scopro il come avvien che altrui prevaglia
(Se d’armi ha possa) il medïocre ingegno,
111 Che si svela piú in carta che in battaglia.114
Ogni scrupol di sale115 in uom che ha regno,
Stupir fa tutti, o sia ch’ei nuoca o giovi:
114 Ma chi lo ammira, di ammirarlo è degno. —
Tutto è Corpo di guardia, ovunque muovi116
Per l’erma Prussia a ingrati passi il piede:
117 Né profumi altri, che di pipa, trovi.
Là tutti i sensi Tirannía ti fiede;117
Che il tabacchesco fumo e i tanti sgherri
120 Fan che ognor l’uom la odora e porta e vede.
Fuggiamo, anche carpon; purch’io mi sferri
Da un tal Profosso.118 Adulatore a pago
123 Non mancherà, che a questo Sir si atterri.
Piú d’oro assai che non di gloria vago
Qualche Scrittor qui a chiudersi verrà,

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126 Che d’un Borusso protettor fia pago.119
Tra gl’impostori, quanti il Mondo ne ha,
Il piú sconcio non trovo e il piú irritante
129 Del Tiranno che versi o compra o fa.
Fuggiam, fuggiam da un Re filosofante,
Rimpannucciante120 alcun letteratuzzo,
132 Nemici e amici e sudditi spogliante.
Respiro alfin: sto in salvo. Un Sindacuzzo
Del pacifico Amburgo mi ristora
135 Del Berlinal filantropesco puzzo.
Ma molto, e troppo, a me rimane ancora
Del Borëal vïaggio; onde il parlarne
138 Emmi or fastidio, quanto il farlo allora.
Sbrighiamcen, su. — Di favellante carne
Candidi pezzi trovo in Danimarca,
141 Che non dan voglia pure di assaggiarne.121
Svezia, ferrigna ed animosa e parca,122
Coi monti e selve e laghi mi diletta;
144 Gente, men ch’altra di catene carca:
Ma poco io stovvi, perché nacqui in fretta.123
Già mezzo è il Maggio; e sí del Bòtnio golfo
147 Il ghiaccio ancor dà inciampo a mia barchetta.
Pur fa arrischiarmi il giovanil mio zolfo:124
Salpo: e spesso è mestier far via coll’ascia,
150 Quanto in Finlandia piú la prora ingolfo.125
Se un tavolon di ghiacci il legno fascia,
Fuor del legno su i ghiacci io tosto balzo,
153 Né pel mio peso l’isola si accascia.
Cosí, ruzzando e perigliando, incalzo126
La strada e il tempo; infin ch’Abo mi accoglie,

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156 Ma non piú tempo che la palla al balzo.127
Tutte son tese le mie ardenti voglie
A veder la gran gelida Metropoli,
159 Jer l’altro eretta in su le Sueche spoglie.128
Già incomincio a trovar barbuti popoli:
Ma l’arenoso piano paludoso
162 Mi annunzia un borgo, a non Costantinopoli.
Giungo: e in fatti, un simmetrico nojoso
Di sperticate strade e nane case,
165 S’Europa od Asia sia mi fa dubbioso.129
Presto mi avveggo io poi, che non men rase,
Di orgoglio no, ma di valor verace130
168 Le piante son di quell’infetto vase.131
Ogni esotico132 innesto a me dispiace:
Ma il Gallizzato Tartaro133 è un miscuglio,
171 Che i Galli quasi ribramar mi face.
Mi basta il saggio di un tal guazzabuglio:
Non vo’ veder piú Mosca né Astracano:
174 Ben si sa che v’è il Bue, dov’odi il muglio.134
Né vo’ veder Costei che il brando ha in mano,
Di sé, d’altrui, di tutto Autocratrice,
177 E spuria erede d’un poter insano:
Di epistole al Voltèro anch’essa autrice
E del gran Russo Codice, che scritto
180 Fia in sei parole: «S’ei ti giova, ei lice».135
Indiademato136 abbellisi il delitto,
Quant’ei piú sa, dei loschi e tristi al guardo:

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183 Ma lo abborra vieppiú chi ha il cuor piú invitto.
Inorridisco, e fuggo: e cotant’ardo
Di tornare in Europa, che in tre giorni
186 Son fuor del Moscovita suol bugiardo.
Né punto avvien ch’io in Dànzica soggiorni,
Perché assaggiata è dal Prussian Tiranno
189 Che sPolonizza già i suoi be’ contorni.
Cosí da un altro Borëal malanno
Sciolto mi trovo; e godo in me non poco,
192 Ch’ir non puossi a Varsavia senza danno.
Tutto arde allor, ma non di puro fuoco,
Il Babèlico Regno Pollacchésco,
195 Che in breve attesterà quant’è dappoco.
A mano armata un parteggiar Turchesco
Che libertà contamina col fiato,
198 Fa che in sí reo dissidio i’ non m’invesco.137
Dei Tedescumi tutti esuberato,138
In Aquisgrana trovomi d’un salto,
201 Dall’un Francforte all’altro rimbalzato.139
Quindi Spà, che può dirsi il Capo appalto
Dei vizj tutti dell’Europa, un mese140
204 Mi fa, bench’io non giuochi, in sé far alto.141
Poi, le già viste Fiandre e l’Olandese
Anfibio suolo142 rivarcati, approdo

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207 Un’altra volta al libero paese:143
Cui vieppiú sempre bramo e invidio e lodo
Viste or tante altre carceri Europee
210 Tutte affamate e attenebrate144 a un modo.
Venalitade e vizj e usanze ree,
Io già nol niego, hanno i Britanni anch’essi:
213 Ma franca han la persona, indi145 le idee.
Finch’altro Popol nasca, e l’Anglo cessi,
Questo (e sol questo) s’ami e ammiri e onori,
216 Poich’ei non cape né oppressor né oppressi. —
Quivi allacciato in malaccorti amori
Quasi otto lune io stava; usato frutto
219 Degli ozïosi giovanili errori.146
Spastojatomi147 alfin dal vischio brutto,
Ripiglio il vol: Batavi148 e Belgi e Senna
222 Tocco e rivarco e lascio, a ciglio asciutto:
E la noja piú sempre ali m’impenna.149
Scendo con Lora: indi Garonna io salgo,
225 Che Spagna esser mi de’ l’ultima strenna.150
Di Bordella e Tolosa non mi valgo,
Se non come di ponti; e son già dove151
228 La prima rocca degl’Ibèri assalgo.
Ben dico, assalgo; né a ciò dir mi muove
La scarsa rima:152 ell’è guerriera impresa
231 Peregrinar, dov’ogni ostacol trove,
Senz’agio alcuno, e triplicar la spesa:
Per esser tutto strada, strada niuna:
234 Tale Arabia153 in Europa assai pur pesa.
E quanto inoltri piú, piú il suol s’impruna:154

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Arragona, peggior di Catalogna:
237 Finché il peggio del pessimo si aduna
Là, dove il bel Madrid non si vergogna
Di metropolizzare in un deserto
240 Che a fiere albergo dare in vista agogna.155
Qui pur già trovo il Gallicùme inserto,156
Che dalle vie sbandito ha gli escrementi,
243 E cosí scemo assai l’ispano merto.
Che se un lor volto avean le Ibère genti,
Pregio era primo abborrir essi i Galli
246 E tutti i lor corrotti usi fetenti.
Fatte hai, Madrid, tue vie tersi cristalli:
Ma, sottendrando a’ sterchi i Gallici usi,
249 Vedrai quanto perdesti in barattalli.157
Né alcun qui me d’esuberanza158 accusi.
Meglio è ignoranza onestamente intera,
252 Che del mezzo saper gli atroci abusi.
Già per Toledo e Stremadura io m’era
A passo a passo tratto entro Lisbona,159
255 Che serba ancor sua faccia Arabo-Ibèra.
Qui la molta barbarie si perdona;
Tanta ella assume novitade al fianco,
258 Che tutta d’usi antigalleschi suona.
E laudato sia il Ciel; che v’ha pur anco
In Europa un cantuccio, ov’è di fede
261 Che reïtade è l’imitare il Franco.
Torni e l’Ispano e il Portoghese erede
Del navigare e guerreggiar degli avi,
264 Che grandi fur senza Gallesche scede.160
Ma finiamla. Io do volta: e le soavi
Piagge Andaluse di Siviglia e Gade161
267 Fan misurarmi ad oncia i muli ignavi.
Noja e diletto in un provar mi accade,

[p. 266 modifica]

Assaporando in regïon sí vasta
270 Sempre beato cielo e inferne162 strade.
Alle Colonne d’Ercole mi basta
Giunto esser pure. Io retrocedo, e tutta
273 Quant’ampia è Spagna al mio tornar contrasta.
Affronto allor quella spiacente lutta,163
Della ostinata pazïenza al fonte
276 Bevendo sí, che nulla or mi ributta.
Già la Moresca Cordova ho da fronte:164
Poi del terrestre suo bel paradiso
279 Mi fa Valenza le delizie conte.165
Poi per Tortosa, là dond’io diviso166
Di Barcellona uscii se’ mesi innanzi,
282 Torno; e dal patrio amor ho il cor conquiso.167
Spiacemi sol che a transitar mi avanzi
La Gallia ancor cui sempre ha l’uom fra’ piedi:
285 Ingojamcela dunque, insin ch’io stanzi.168
Narbona e Monpélier, se tu vuoi, vedi:
Io per me chiudo gli occhi, e corro; e al lido
288 Scendo, da cui vedrò l’Itale sedi.
Già mi saetta Antíbo in ver l’infido
Ligure, a sazietà visto e rivisto,
291 Dond’io mi spicco verso il patrio nido:
Ch’io men l’ho a schifo, da che pur men tristo
Al par169 dei Paesoni e Paesotti
294 Mel fa di esperïenza il duro acquisto.
Dal corso trïennal nojati, e rotti
Ripatriammo al fin, volente Iddio,
297 Dell’Europa quant’è170 chiariti e dotti
Del pari, e il Legno, e il Ser Baule, ed Io.171


Note

  1. Un viaggio in Italia, o, se era possibile, anche all’estero, soleva considerarsi, nel secolo xviii, il necessario compimento di quella qualunque istruzione che i giovani di famiglia aristocratica avessero ricevuto in patria; viaggi che porsero argomento di riso a poeti satirici e a commediografi, dal Parini, il cui giovin signore ha già devotamente visitato ciò che piú gli premeva in Francia e in Inghilterra, al Pindemonte, che presentò in una satira, intitolata appunto I viaggi, tipi svariati di giovani ignoranti e boriosi, al Goldoni che nella Pamela nubile introdusse quel Lord Harnold, il quale, dopo aver girato mezza Europa, è tornato in patria recando preziose notizie sulla cioccolata di Venezia, sui gelati di Napoli, sulla aerea leggerezza delle donne parigine. L’A. descrive in questa sua satira, divisa per comodità e per riposo del lettore in due parti, i viaggi da esso compiuti dal 1766 al 1772.
  2. 2. Arte, passatempo, divago.
  3. 3-5. Il Pindemonte nella cit. sat., dopo essersi domandato qual frenesia spinga mai gli Italiani a viaggiare senza posa, immagina che il lettore gli obietti:
    Ir d’ogni cosa
    Piú degna e rara in traccia, ed arricchire
    Di passo in passo, come nobil fiume
    Che tanto cresce piú, quanto dal fonte
    Piú s’allontana, tornò sempre in lode.
    Non viaggiò Pitagora? Non Plato?
    E che egli risponda:
    O lettor mio, parli erudito; meco
    Dunque, ov’agio tu n’abbia, osserva un poco
    I Pitagori nostri ed i Platoni
    Che ad arricchir di passo in passo, e come
    Nobili fiumi, a crescer van pel mondo.
  4. 7. Un tomo, un volume.
  5. 9. L’ippodromo è, veramente, il luogo ove corrono i cavalli; qui l’A. vuol dire: eccomi pronto a incominciare la narrazione, e l’immagine ricorda quella di Dante (Par., I, 16 seg.):
    In sino a qui l’un giogo di Parnaso
    Assai mi fu, ma or con ambedue
    M’è uopo entrar nell’aringo rimaso.
  6. 10-12. Un piccolo viaggio sino a Genova l’A. l’aveva fatto nel 1765 col suo curatore e, come dicemmo, di quella magnifica città aveva riportata una indimenticabile impressione (Aut., II, 10°). Il secondo viaggio ebbe principio la mattina del dí 4 ottobre 1766. — Orfano; l’A. aveva perduto il padre, quando contava appena un anno, la madre non aveva tardato a passare a nuove nozze, ed egli era stato, nel 1758, posto nell’Accademia di Torino, ove era rimasto sino al maggio del 1766. — Ineducato; nell’Aut.: «Epoca seconda, adolescenza; abbraccia otto anni d’ineducazione». — La Dora e il Po; Torino.
  7. 13. Vaghezza, desiderio di novità.
  8. 15. Mi face, mi fa.
  9. 16-21. Nella Piazza de’ Banchi è una vasta loggia costruita anticamente per i negozianti, e che serve di passeggio o di luogo di ritrovo: col. Cambio il nostro P. deve alludere alla Banca di San Giorgio, altro centro commerciale di Genova. — Sordidezza opima, antitesi, con cui l’A. vuol contemporaneamente mettere in rilievo l’avidità e il fasto dei Genovesi, antitesi continuata nelle parole che seguono, vigliacca ferocia: si vegga intorno all’opinione che l’A. ebbe de’ Genovesi, il son. Nobil città, che delle Liguri onde; senonché è da osservare che, forse, l’A. fu indotto a giudicare tanto sinistramente una popolazione, che pur si solleva sopra tutte le altre d’Italia per alcune particolari virtú, da quell’irragionevole antipatia che separò, per tanti secoli, i Piemontesi dai Liguri: molto piú serenamente un altro Piemontese, il Baretti, scriveva (Gli Italiani, Milano, Pirotta, MDCCCXVIII, 147): «Per me, invece di persistere nella mia prima e ridicola antipatia pe’ Genovesi, ho sovente detto che se fosse in mio potere di radunare tutti i miei amici in un luogo, preferirei di vivere in Genova piuttosto che in alcun’altra città, perché il governo vi è benigno, il clima temperato, le case pulite e comode, e tutta la campagna non offre che punti di vista amenissimi e vaghi paesaggi». — Gergo, dialetto. — Non vergo, non scrivo. — Giano, in doppio significato: e perciò che l’A. ha detto riguardo alla sordidezza opima e alla vigliacca ferocia, che fanno quasi avere alla città un duplice aspetto, e perché erroneamente si credette da molti che il nome di Genova derivasse da quello di Giano, principe di Troia, suo ipotetico fondatore, mentre Genova con Ianus non ha nulla a che fare, essendosi, anche nei tempi piú antichi, chiamata Genua, non Ianua.
  10. 22. Un Re, il re del Piemonte.
  11. 24. Idioti, stolti e ignoranti: Genova era costituita a repubblica e governata da 60 senatori.
  12. 25. Zena: cosí chiamano i Genovesi la loro città.
  13. 26. M’immilàno, verbo di zecca alfieriana, foggiato sull’immiarsi, l’intuarsi, l’immillarsi, l’incielarsi di Dante.
  14. 30. Che hanno la stupidità beota mista con la dolcezza germanica.
  15. 31-33. Perché sono buoni soltanto gli uomini materiali, quelli la cui anima è fatta quasi inaccessibile da un alto strato di adipe? Del soggiorno dell’A. a Milano fu discorso commentando il sonetto O cameretta, che già in te chiudesti.
  16. 34-36. Analogamente il Leopardi nelle Ricordanze (19 e segg.):
    E che pensieri immensi
    Che dolci sogni mi spirò la vista
    Di quel lontano mar, quei monti azzurri
    Che di qua scopro, e che varcare un giorno
    Io mi pensava, arcani mondi, arcana
    Felicità fingendo al viver mio!
  17. 37-39. «Per la via di Piacenza, Parma, e Modena, si giunse in pochi giorni a Bologna: né ci arrestammo in Parma che un sol giorno, ed in Modena poche ore, al solito senza veder nulla, o prestissimo e male quello che ci era da vedersi... Bologna, e i suoi portici e frati, non mi piacque gran cosa: dei suoi quadri non ne seppi nulla....» (Aut., III, 1°). — Si finge, si racconta.
  18. 42. Scaricalasino è una terra del comune di Monghidoro (Bologna), e qui l’A. vuol dire che un asino, com’era lui in quel tempo, avrebbe almeno dovuto fermarsi in un paese che porta tal nome augurale. Vegg., a tal proposito, la pagina veramente umoristica dell’Aut. (III, 9°) dove l’A. narra del suo incontro con un asinello nella dotta Gottinga.
  19. 44. Atticizzando, dettando legge a tutta l’Italia, come l’Attica dettava legge a tutta la Grecia, per il linguaggio.
  20. 47. Cantata, non parlata, tanto suonava dolce il toscano all’A.
  21. 48. Anglo-Vandalo-Gallo, barbaro innamorato dell’Inghilterra e della Francia: perciò che l’A. vide nel breve tempo che rimase a Firenze, legg. il cap. I° dell’ep. III dell’Autob.Per la vita, a costo della vita.
  22. 53-54. «Fra le tante mie giovenili storture, di cui mi toccherà di arrossire in eterno, non annovererò certamente come l’ultima quella di essermi messo in Firenze ad imparare la lingua inglese nel breve soggiorno di un mese ch’io vi feci, da un maestruccio Inglese che vi era capitato; invece di imparare dal vivo esempio dei beati Toscani a spiegarmi almeno senza barbarie nella loro divina lingua ch’io balbettante stroppiava, ogni qual volta me ne doveva prevalere» (Aut., III, I°).
  23. 57. Nel son. Che diavol fate voi, Madonna Nera: Tosco innesto son io su immondo stelo.
  24. 56-58. E piú largamente in un son. già commentato:
    Italia, o tu che nulla piú comprendi
    Di grande in te, che l’aureo tuo sermone...
  25. 61. Nullo, senza alcun valore, ignorantissimo.
  26. 63. Il Volto Santo, ricordato anche da Dante (Inf., XXI, 48) è un crocifisso di legno nero, portato, dicono da Costantinopoli a Lucca verso l’ottavo secolo, opera, secondo la leggenda, di Nicodemo, meno il volto scolpito da mano divina, che conservasi in una cappella nella magnifica cattedrale di Lucca.
  27. 64. Di Pisa piacque all’A. il Camposanto, di Livorno la topografia, che gli richiamava alla mente quella della sua Torino; in Siena, «sebbene non gli piacesse gran fatto.... pure sentí quasiché un vivo raggio che gli rischiarava a un tratto la mente, una dolcissima lusinga agli occhi e al cuore, nell’udire le piú infime persone cosí soavemente, e con tanta eleganza, proprietà e brevità favellare (Aut., III, I°).
  28. 66. Papasso è propriamente il sacerdote di false religioni, e l’usarono in tale significato il Pulci (Morg. XVIII, 119) e l’Ariosto (Orl. fur., XXXVIII 36); ma credo che qui ci stia unicamente per via della rima.
  29. 72. Disfama è in Dante (Purg., XV, 76):
    E se la mia ragion non ti disfama...
  30. 73-75. Famosi anche oggi i vetturini napoletani per l’abilità con la quale guidano, traverso a vie formicolanti di popolo e di carrozze, i loro cavalli.
  31. 77. Torino era allora - lo dice l’A. nell’Aut., - una microscopica città; ma Genova, che egli aveva veduto due volte, non era essa vasta?
  32. 79-81. A Napoli l’A. era andato con un Fiammingo, accompagnato dal rispettivo aio, e con un Olandese, e in quella città aveva trovati altri giovani ignoranti come lui e quanto i suoi compagni di viaggio.
  33. 84. Tra scervellati, che non facevano che mangiare.
  34. 87.Credo che questo verso sia dell’A., con prima parte tolta in prestito dal Tasso (Gerus. lib., I, 2):
    D’altri diletti che de’ tuoi le carte.
  35. 89. Coliseo è la forma popolare per Colosseo.
  36. 92. E, con l’oltramontaneria, l’antipatia per la religione cattolica (v. 89) combattuta dagli Enciclopedisti, le cui idee erano, per cosí dire, diffuse nell’aria.
  37. 97-98. Non poteva dirsi spregiudicato, se agli antichi pregiudizi ne aveva sostituiti degli altri.
  38. 101. L’alata casa; la leggenda narra che nella notte del 29 maggio 1299 la casa di Nazareth fu trasportata dagli angeli sopra un colle delle Marche, posseduto dalla famiglia Antici di Recanati. — Pur men risibil ecc.; ai misteri del Paganesimo l’A. disse piú volte di preferir quelli della religione cristiana, e intorno a ciò può vedersi la sat. L’antireligioneria.
  39. 103. S’imbasa, ha le fondamenta.
  40. 110. Longeva, antica.
  41. 112. Forbe, pulisce. — Quisquiglia dicesi di cosa che abbia scarsa importanza, onde l’A. vuol forse significare che, se Venezia rimedierà alle sue piccole manchevolezze, potrà tornare un giorno quel che era stato. Intorno a Venezia legg. il son. Ecco, sorger dall’acqua io veggo altéra...
  42. 114. Verso del Petrarca, già altrove citato.
  43. 115-17. «Le solennità e le baldorie del giorno dell’Ascensione furono istituite a ricordo del trionfo riportato nel 997 dalle armi venete sui pirati narentani. In quello stesso dí si commemorò in appresso il dominio del mare, che molti credettero conceduto alla Repubblicità dal papa Alessandro III, quando nelle sue contese con Federigo Barbarossa s’era rifugiato in Venezia». Molmenti, op. cit., 76. — Nel complesso, a Venezia l’A. si annoiò, come rilevasi dalla lettera alla sorella Giulia di Cumiana del 16 maggio 1767, la piú antica che di lui possediamo: «Je ne sçais que devenir toute la journée et le soir non plus, je ne connois aucun autre que Monsieur de Camerana, qui n’est pas une grande ressource...» E vegg. anche il cap. 4° dell’ep. III dell’Aut.
  44. 121. A Marsiglia l’A. frequentò assiduamente il teatro e vi udí la Fedra del Racine, l’Alzira e il Maometto del Voltaire; di piú, era uno de’ suoi divertimenti colà bagnarsi quasi ogni sera nel mare (Aut., III, 5°).
  45. 123. Mi sferro, mi allontano.
  46. 124. Lutòpoli, dall’antico nome di Parigi, Lutetia, che si vuole originato da lutum, fango, la città del fango. Del suo ingresso nella capitale della Francia scrive l’A. nell’Aut. (III, 5°): «Era, non ben mi ricordo il dí quanti di agosto, ma fra il 15 e il 20, una mattinata nubilosa, fredda e piovosa; io lasciava quel bellissimo cielo di Provenza e d’Italia; e non era mai capitato fra sí fatte sudicie nebbie; massimamente in agosto; onde l’entrare in Parigi pel subborgo miserissimo di San Marcello, e il progredire poi quasi in un fetido fangoso sepolcro nel sobborgo di San Germano, dove andava ad albergo, mi serrò sí fortemente il cuore, ch’io non mi ricordo di aver provato in vita mia, per cagione sí piccola, una piú dolorosa impressione».
  47. 125. Né mi mieto il pelo, non mi faccio radere la barba.
  48. 130-131. Allusione ad uno dei sobborghi parigini, detto di San Vittore dalla omonima abbazia. Sembra che l’A. amasse il santo di cui aveva il nome, poiché in testa al son. Non t’è mai patria, no, il tuo suol paterno, si legge, accanto alla data: «Pel mio San Vittorio».
  49. 136-137. Civile-barbaro-bugiardo, urbano... inurbani, solite efficaci antitesi come ne’ primi versi a proposito di Genova.
  50. 141. Incetti, vai cercando.
  51. 143. Scoppiettare, è qui usato transitivamente e ha per suo completamento faville.
  52. 147. Il poppazzo, il burattino prototipo, avendo visto il quale potevo dire d’aver visto tutti i Francesi. Nell’Aut. (II, 6°) si parla, e a lungo, di questo ridicolo maestro di ballo, onde sarebbe scaturita nell’animo dell’A. la prima scintilla d’odio contro i Francesi.
  53. 151. In altro luogo, scimmio-tigri.
  54. 152. Albione, Inghilterra.
  55. 153. Filogallo, amante de’ Francesi, come il misogallo ne è l’odiatore.
  56. 154. Doaggio, Douai. Lilla, Lille; cosí Dante (Purg., XX, 46):
    Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia....
  57. 157. Calesse, Calais.
  58. 159. Emmi rammarco, mi è cagione di rimpianto.
  59. 162. Smidollo, part. per smidollato; nel son. Oh qual mi rode, mi consuma e strugge...
    Un trotto-piè-di piombo che mi sugge
    E vuota ogni midolla infino all’osso...
  60. 165. Mi disfrancia, mi toglie, mi libera da ogni contatto con l’odiato suolo francese.
  61. 171. Non far guerra, non essere in lotta fra loro. Ma il Baretti, il 29 agosto 1760, scriveva a proposito di Londra, a’ suoi fratelli: «Sappiate, Padroni miei, che in Londra sola v’è poveraglia due volte piú che non vi sono persone in Milano. E quel ch’è peggio, la poveraglia di Londra è la piú malavventurata che sia forse in tutta cristianità».
  62. 172. Che eccede, che è in gran quantità.
  63. 173. Di zoppo, d’ingiusto: tutta la felicità dell’Inghilterra, dice l’A. nell’Aut., (III, 6°) proviene dall’equitativo governo.
  64. 180. L’ei si riferisce a peso del v. antecedente, — Tolto, compensato.
  65. 187. Annoso, vecchio.
  66. 190. M’impalustro, mi affondo nel basso terreno olandese.
  67. 190-92. «La Olanda è nell’estate un ameno e ridente paese; ma mi sarebbe piaciuta anche piú, se l’avessi visitata prima dell’Inghilterra; atteso che quelle stesse cose che vi si ammirano, popolazione, ricchezza, lindura, savie leggi, industria ed attività somma, tutte vi si trovano alquanto minori che in Inghilterra» (Aut., III, 6°). — Grande fu sempre l’ammirazione dell’A. per gli Olandesi, specialmente per l’eroica resistenza da loro opposta a Filippo II. — All’Haja l’A. incappò nella prima vera rete amorosa. (Vegg. la nota introd. al son. Adulto appena, alla festiva reggia.)
  68. 195. E anche oggi Bruxelles è una città prettamente francese.
  69. 201. Non fa squarcio, non si oppone, non si ribella.
  70. 207. M’inzavorro, mi intrigo, mi impiglio.
  71. 208-210. Ginevra è la città dove Calvino morí il 27 maggio 1564 e dove nacque il Rousseau il 28 giugno 1712: quanto questi fosse ombroso e iracondo, seppe e poté constatare de visu il Goldoni (Memorie, III, 16° e 17°.)
  72. 211. S’impiastri, si nasconda, si scopra.
  73. 212-13. Ferney è a sette chilometri da Ginevra e fu il soggiorno preferito del Voltaire; quel gran, preposto a Voltaire, deve intendersi ironicamente, poiché nella sat. L’Antireligioneria, cominciata il 10 marzo 1796, il filosofo di Ferney è chiamato micròscopo, stupido, e, infine,
    Disinventor, od Inventor del Nulla,
    che non sono complimenti davvero. — Incastri, faccia entrare.
  74. 218. Il Mago è pur sempre il Voltaire, ed è voce ironica anch’esso. — Galli è da intendersi qui – né il doppio senso è nuovo – tanto nel significato di Francesi, quanto di quei volatili che tutti conoscono.
  75. 223. Mi stutorizzo, mi libero dal tutore. — A stallo, entro la stalla, metafora che trova il suo compimento nel verso 222. La prima parte de’ viaggi dell’A. fu terminata verso l’ottobre del 1768; era stato, dunque, fuori del natío Piemonte due anni precisi.
  76. 227. D’un solo fiato non fu composta questa prima parte de I Viaggi perché, sempre secondo il ms. laurenziano, fu incominciata il 2 aprile del ’96, e condotta a termine il 2 febbraio dell’anno successivo.
  77. 228. M’inforsa, mi mette in dubbio.
  78. 229. Antiscritta, già adoperata in questo componimento.
  79. 231-32. È vero che Dante (il Terzinante antico Mastro) non usa mai la stessa rima nello stesso canto, ma che questa legge sia stolta (a parte l’irreverenza dell’aggettivo) non mi sembra.
  80. Questa seconda parte fu incominciata il 3 febbraio del 1797, terminata il 19 marzo.
  81. 1-2. Dante, di Ulisse (Inf., XXVI, 94 e segg.):
    . . . . . . . . . .
    Né dolcezza di figlio, nè la piéta
    Del vecchio padre, né il debito amore
    Lo qual dovea Penelope far lieta
    Vincer potero dentro a me l’ardore
    Ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
    E degli vizi umani e del valore...
  82. 4. Scalpitare, percorrere coi cavalli.
  83. 9. Dalla nascita di Gesú Cristo,
    Ch’aperse il ciel dal suo lungo divieto.
  84. 11. Verso che ricorda quello di Dante nel cit. epis. di Ulisse:
    De’ remi facemmo ale al folle volo.
  85. 15. E ancóra Dante (Inf., XXXII, 8):
    Descriver fondo a tutto l’Universo.
  86. 16-18. Stridente contraddizione, a prima vista, con ciò che fu detto nella prima parte di questa satira; ma tutto divien chiaro, quando si legga la terzina seguente. — Sape, ha sapore. — Ameni, dolci. — Ostiche, disaggradevoli, amare.
  87. 19. Gli si aggriccia, gli si gela.
  88. 23. Insprucche, per la rima: cosí l’Ariosto (Orl. fur., IV, 53), Beroicche per Berwich.
  89. 25. Mi attalentan, mi piacciono. — Zucche, teste vuote.
  90. 27. I nasucci dei Galli: vegg. la nota al v. 12 del son. Piacemi almen che nel vagar mio primo....
  91. 34. Torpo, dormo (dal lat. torpere).
  92. 37. Non è vero che il Metastasio seppellisse alla Corte di Vienna la sua mente: ché anzi egli vi lavorò, e vi lavorò moltissimo.
  93. 39. Operista, scrittore di melodrammi. Blandiente, adulante, accarezzante.
  94. 40-41. «... avendo io veduto il Metastasio a Schoenbrunn nei giardini imperiali fare a Maria Teresa la genuflessioncella d’uso con una faccia sí servilmente lieta ed adulatoria, ed io giovenilmente plutarchizzando, mi esagerava talmente il vero in astratto, che io non avrei consentito mai di contrarre né amicizia né famigliarità con una Musa appigionata o venduta all’autorità despotica da me sí caldamente aborrita» (Aut., III, 4°).
  95. 42. Tanto il nome di poeta e di cortigiano, accoppiati, rappresentano ai miei occhi una mostruosità: nel cap. 4° del libro I del Principe e delle lettere: «Vuole, e dee volere il principe che siano ciechi, ignoranti, avviliti, ingannati ed oppressi i suoi sudditi... Vuole il letterato, e dee volere, che i suoi scritti arrechino al piú degli uomini luce, verità e diletto. Direttamente dunque opposte sono le loro mire».
  96. 45. Peta, dea dei Petenti (nota dell’A.).
  97. 46. Aulico, cortigiano.
  98. 55-57. Allude l’A. alla Frauenkirche, curioso edifizio cominciato nel 1726, consacrato nel ’34, terminato nel ’45 e a cui le bombe di Federico II (imperatore dei Borussi = Prussiani) guastarono nel 1760 la cupola.
  99. 60. Mi ricatta, mi riconquista, mi riguadagna.
  100. 64. Meissen è celebre per la fabbrica di porcellane, fondata nel 1710 dal Böttger.
  101. 65. A Lipsia ha luogo la pasqua di ogni anno una grande fiera libraria, al tempo del nostro Poeta assai piú che oggi non sia, frequentata.
  102. 68. Elefanteschi, mastodontici, come sono gli in-folio.
  103. 70. L’us e l’os, desinenze latine e e greche.
  104. 72. Barbereschi, cavalli della Barberia.
  105. 73-75. È ancor troppo presto perché io mi senta invaso dalla febbre dello studiare, il buon momento verrà piú tardi: la sesta era una delle ore canoniche. — M’infunesta, uno dei cento vocaboli composti con l’in, onde è piena questa satira: mi rende triste.
  106. 76-78. Semi-Licurgo, mezzo legislatore; Semi-Alessandro, mezzo conquistatore; semi-Voltéro, mezzo filosofo umanitario. — Panurgo (colui che fa tutto) è un personaggio del Pantagruel del Rabelais, scaltro, sempre a corto di denari, e con duecento tre modi a sua disposizione per trovarne quanti voleva, bevitore, furfante, e, in fondo, il migliore uomo che fosse sulla terra.
  107. 83. Moderna, tanto di moda quando l’A. scriveva; anche la Contessa di Albany si occupava, non so con qual risultato, di scienze esatte.
  108. 87. La ragione è inversa perché del volgo dei sovrani uno su mille potrebbesene avere cattivo e inetto, mentre in tutta l’Europa, su tanti cattivi ed inetti, non ve n’è alcuno operoso e buono, o uno solamente che usurpa tal fama per la malvagità degli altri. — Tetrica, val quanto tetra, mesta, dolorosa.
  109. 92-93. Proteiforme, che prende gli aspetti piú vari. — Tutti son fiori, ecc., sono i bei prodotti di questo re enciclopedico.
  110. 95. Gallume, pensieri, costumi, lingua francesi: intorno alla gallofilia di Federico II vegg. l’annotazione al son. L’idïoma gentil, sonante e puro.
  111. 100-103. «Fui presentato al Re. Non mi sentii nel vederlo alcun moto né di meraviglia né di rispetto, ma d’indegnazione bensí e di rabbia... Il re mi disse quelle quattro solite parole di uso; io l’osservai profondamente, ficcandogli rispettosamente gli occhi negli occhi e ringraziai il cielo di non mi aver fatto nascer suo schiavo...» (Aut., III, 8°). Similmente scriveva al cognato Giacinto di Cumiana l’11 nov. 1769. — Or per visto etc., ora non andrei a vederlo.
  112. 106. In centro, nella parte piú riposta dell’anima sua.
  113. 107. Vaglia, valore, ma non è di uso frequente.
  114. 111. Che si palesa piú a parole che a fatti; e ciò non è storicamente vero.
  115. 112. Ogni scrupol di sale, ogni piccolo segno d’intelligenza; cosí credo, ma l’espressione è un po’ oscura.
  116. 115. «Uscii di quella universal caserma prussiana verso il mezzo novembre, abborrendola quanto bisognava» (Aut., III, 8°).
  117. 118. Ti fiede, ti ferisce.
  118. 121-122. Mi sferri Da un tal Profosso, mi liberi da siffatto carceriere militare.
  119. 126. Che sieno i Borussi fu detto piú sopra.
  120. 131. Rimpannucciare vuol dire migliorar le condizioni, rimettere a nuovo, ed è parola viva in Toscana. Il Giusti nella Vestizione (v. 73 seg.):
    Un rivendugliolo
    Rimpannucciato
    Ci ha a stare in aria?
    Va via, sguaiato!
  121. 139-141. La Danimarca ha belle e candide donne, ma oltremodo sciocche, sicché non ispirano alcun desiderio.
  122. 142. La Svezia produce oro, argento, rame, zolfo, nickel, ma, piú di tutto, è ricca di miniere di eccellentissimo ferro, del quale ogni anno si ricavano nove milioni circa di quintali. — Credo che in tutta la satira non sia un verso piú bello di questo: pare anch’esso di ferro.
  123. 145. Perché nacqui in fretta, perché è mio destino di correre sempre.
  124. 148. Il giovanil mio zolfo, il mio bollore giovanile.
  125. 150. Ingolfo, spingo innanzi. Uno dei passi piú dilettevoli dell’Autobiografia dell’A. è quello ove egli descrive la sua navigazione nel gelato golfo di Botnia, e consiglio il giovane, che ancora non lo conoscesse, a colmare súbito questa lacuna; lo troverà al capitolo 9° dell’ep. III.
  126. 154. Ruzzando, giocando come fanno i ragazzi. — Perigliando, correndo pencoli. — Incalzo, etc. consumo presto il tempo e percorro rapidamente la strada.
  127. 156. Cioè, per breve tempo.
  128. 158-159. La gran gelida Metropoli, Pietroburgo. — Ier l’altro etc.; l’A. allude alle perdite fatte dalla Svezia (lat. Suecia) sotto il regno di Ulrica-Eleonora, che, con la pace di Nystad (1721), cedette alla Russia la Livonia, l’Estonia, l’Ingria e la Carelia, e nel 1743 una parte della Filandia.
  129. 163-165. Analogamente nell’Aut. (II, 9°). — Simmetrico, in questo caso è nome; simmetria.
  130. 166-67. ... rase Di orgoglio no, ma di valor verace; espressione che richiama quella di Dante altrove cit.:
    ... le ciglia avea rase
    D’ogni baldanza...
  131. 168. Vase, vaso.
  132. 169. Esotico, forestiero.
  133. 170. Tartaro, Russo.
  134. 174. In altri termini, vista Pietroburgo, è facile formarsi un’idea di tutta la Russia.
  135. 175-80. L’imperatrice di cui parla l’A. in questi versi è Caterina II, che aveva sposato nel 1745 Pietro, Duca di Holstein Gottorp, nipote e successore designato dell’Imperatrice Elisabetta di Russia. Salita al trono, cospirò con uno de’ suoi favoriti contro il suo sposo e lo fece uccidere nel 1762. Magnificamente l’A. bolla nell’Autobiografia questa imperatrice, col rievocare per lei il nome di Clitemnestra, a cui aggiunge l’ironico filosofessa, perché ostentò principi liberali e fu in corrispondenza con tutti gli illuminati del tempo suo. — S’ei ti giova ei lice, parole che ravvicinano alla Semiramide dantesca (Inf., V.), quella sovrana che era comunemente chiamata la Semiramide del nord.
  136. 181. — Indiademato, ornato della corona di re.
  137. 187-198. verso il 1766, la Polonia era in preda ad un’immensa anarchia, e Caterina II, che voleva far salire sul trono polacco un suo favorito, fermò con Federigo di Prussia un trattato segreto, mediante il quale si promettevano vicendevolmente di usare tutti i mezzi affinché la repubblica polacca rimanesse guarentita riguardo alla stabilità della sua costituzione, del suo diritto di libera elezione e delle altre sue leggi fondamentali, aspettando il momento per intervenire: l’occasione non si fece attendere: il 13 ott. 1767 le forze russe irruppero a Varsavia, tre senatori, de’ piú autorevoli, furono arrestati e le piú inique leggi vennero promulgate. I Polacchi, strettisi nella Confederazione di Bard, per quattro anni tennero testa ai nemici, tanto piú che la Francia mandò loro degli aiuti e che i Turchi colsero quella occasione per muover guerra alla Russia; ma, caduto in Francia il ministero Choiseul, battuti i Turchi dal generale Rumanzoff, i confederati dovettero soccombere, e si ebbe nel 1772 il primo smembramento della Polonia. Questi sono i fatti ai quali, molto oscuramente, si riferisce ne’ suoi versi L’A. — SPolonizza, toglie il carattere polacco. — Senza danno, senza pericolo. — Babelico, pieno di confusione, di anarchia. — A mano armata etc.; vedere i Turchi che, solo se parlano di libertà, ne contaminano il santo nome, parteggiare per i Polacchi, mi fa allontanare da quei luoghi.
  138. 199. Esuberato, stufo, sazio.
  139. 201. Da Francoforte sull’Oder a Francoforte sul Meno.
  140. 202-203. Spa è famosa per le acque ferruginose della sorgente Pouhon, ed era nel sec. xviii una specie di Montecarlo: «parevami», scrive l’A. (Aut., III, 10°), «la vita di Spa essere adatta al mio umore, perché riunisce rumore e solitudine, onde vi si può stare inosservato ed ignoto infra le pubbliche veglie e i festini».
  141. 204. Mi fa... far alto, mi fa fermare.
  142. 205-206. L’Olandese Anfibio suolo, mezzo acqua e mezzo terra.
  143. 207. Al libero paese per eccellenza, l’Inghilterra.
  144. 210. Attenebrate è piú raro che ottenebrate, ma è voce accettata dalla Crusca.
  145. 213. Indi, conseguentemente.
  146. 217-219. Allude l’A. alla sua relazione con la corrotta Penelope Pitt, della quale già ebbi occasione di discorrere e sulla quale ora non mi soffermo.
  147. 220. Spastoiatomi, svincolatomi.
  148. 221. Batavi, Olandesi.
  149. 223. M’impenna: vegg. la nota al v. 10° del son. D’Arte a Natura ecco mirabil guerra.
  150. 225. Strenna, dono, passatempo.
  151. 226-227. Bordella, (lat. Burdigala) Bordeaux. — Se non come di ponti, come di passaggi da un luogo ad un altro. — E son già dove... «Partii per la Spagna verso il mezzo agosto. E per Orleans, Tours, Poitiers, Bordeaux e Toulouse, attraversata senza occhi la piú bella e ridente parte della Francia, entrai in Ispagna per le vie di Perpignano: e Barcellona fu la prima città dove mi volli alquanto trattenere da Parigi in poi» (Aut., III, 12°).
  152. 230. La scarsa rima, il trovarmi a corto di rime.
  153. 234. Tale Arabia, siffatto luogo deserto.
  154. 235. S’impruna, si rende difficile, irto di ostacoli.
  155. 238-240. Il bel Madrid, come il vil Parigi etc. — Metropolizzare, far da capitale, da metropoli. — Che a fiere etc: Che sembra destinata a dare piuttosto albergo alle fiere che all’uomo. — In vista, all’apparenza; frequente nei classici.
  156. 241. Inserto, inserito, infiltrato.
  157. 249. Barattalli, assimilazione per barattarli: cosi l’Ariosto (Orl. fur., II, 3): ... ben fo, [Baiardo] a chi lo vuol, caro costallo.
  158. 250. Esuberanza, esagerazione.
  159. 254. A Lisbona l’A. conobbe l’Abate di Caluso, fratello del Conte Valperga di Masino, allora ministro italiano in Portogallo, ed ebbe la prima forte impressione poetica a sentirgli leggere l’ode del Guidi Alla Fortuna.
  160. 260-264. Di fede, articolo di fede. — Scede, smorfie, ridicolezze.
  161. 266. Gade (lat. Gades), Cadice.
  162. 270. Inferne, infernali.
  163. 274. Lutta sta per lotta.
  164. 277. Da fronte, piú comunemente: di fronte.
  165. 279. Conte, cognite, conosciute.
  166. 280. Diviso, partito.
  167. 282. Conquiso, preso, traboccante.
  168. 285. Io stanzi, io mi fermi.
  169. 293. Al par, significa in paragone, in confronto.
  170. 297. Quant’è, in lungo e in largo.
  171. 298. Ignorante, vuol dire l’A., piú di quando era partito: e ciò non è vero: qualche cosa, durante il viaggio, aveva letto, da un certo amore della poesia si era, anche per un momento, sentito accendere; era la prima scintilla: un giorno, sarebbe divampata la fiamma.