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252 dalle «satire»


102 Pur men risibil che le antiche Dee.
Ma la Città che salda in mar s’imbasa1
Già si appresenta agli avidi miei sguardi,
105 E m’ha d’alto stupor l’anima invasa.
Gran danno che cadaveri i Vegliardi,
Che la reggean sí saggi, omai sien fatti,
108 Sí ch’a vederla io viva or giungo tardi.
Ma, o decrepita od egra o morta in fatti,
Del senno uman la piú longeva2 figlia
111 Stata è pur questa: e Grecia vi si adatti:
Tal, che s’agli occhi forbe sua quisquiglia,3
Può forse ancor risuscitar Costei
114 «Che sol se stessa e null’altra somiglia».4
Tosto che il Doge antiquo dar per lei
All’antiquo Nettúno anel di sposa
117 Visto ebbi, ratta dipartenza io fei.5
Francia, Francia, esser vuol: piú non ho posa:
Balzo a Genova: imbarco: Antibo afferro:
120 Ivi ogni sterco Gallo a me par rosa.
Marsiglia tiemmi un mese, s’io non erro,6
Fra le sue Taidi a cinguettar Francese:
123 Precipitoso io poscia indi mi sferro;7
E son del gran Lutòpoli8 sí accese


  1. 103. S’imbasa, ha le fondamenta.
  2. 110. Longeva, antica.
  3. 112. Forbe, pulisce. — Quisquiglia dicesi di cosa che abbia scarsa importanza, onde l’A. vuol forse significare che, se Venezia rimedierà alle sue piccole manchevolezze, potrà tornare un giorno quel che era stato. Intorno a Venezia legg. il son. Ecco, sorger dall’acqua io veggo altéra...
  4. 114. Verso del Petrarca, già altrove citato.
  5. 115-17. «Le solennità e le baldorie del giorno dell’Ascensione furono istituite a ricordo del trionfo riportato nel 997 dalle armi venete sui pirati narentani. In quello stesso dí si commemorò in appresso il dominio del mare, che molti credettero conceduto alla Repubblicità dal papa Alessandro III, quando nelle sue contese con Federigo Barbarossa s’era rifugiato in Venezia». Molmenti, op. cit., 76. — Nel complesso, a Venezia l’A. si annoiò, come rilevasi dalla lettera alla sorella Giulia di Cumiana del 16 maggio 1767, la piú antica che di lui possediamo: «Je ne sçais que devenir toute la journée et le soir non plus, je ne connois aucun autre que Monsieur de Camerana, qui n’est pas une grande ressource...» E vegg. anche il cap. 4° dell’ep. III dell’Aut.
  6. 121. A Marsiglia l’A. frequentò assiduamente il teatro e vi udí la Fedra del Racine, l’Alzira e il Maometto del Voltaire; di piú, era uno de’ suoi divertimenti colà bagnarsi quasi ogni sera nel mare (Aut., III, 5°).
  7. 123. Mi sferro, mi allontano.
  8. 124. Lutòpoli, dall’antico nome di Parigi, Lutetia, che si vuole originato da lutum, fango, la città del fango. Del suo ingresso nella capitale della Francia scrive l’A. nell’Aut. (III, 5°): «Era, non ben mi ricordo il dí quanti di agosto, ma fra il 15 e il 20, una mattinata nubilosa, fredda e piovosa; io lasciava quel bellissimo cielo di Provenza e d’Italia; e non era mai capitato fra sí fatte sudicie nebbie; massimamente in agosto; onde l’entrare in Parigi pel subborgo miserissimo di San Marcello, e il progredire poi quasi in un fetido fangoso sepolcro nel sobborgo di San Germano, dove andava ad albergo, mi serrò sí fortemente il cuore, ch’io non mi