Commedia (Buti)/Paradiso/Canto XXXI
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(Commento di Francesco Da Buti) (XIV secolo)
Canto trentunesimo
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C A N T O XXXI.
1In forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa.
4Ma l’altra, che volando vede e canta1
La gloria di Colui che la innamora,
E la bontà che la fece cotanta,
7Siccome schiera d’ape che s’infiora
Una fiata, et una si ritorna
Là, dove suo labore s’insapora,2 3
10Nel gran fior discendea, che s’ adorna
Di tante follie, e quinde risaliva4
Là, dove il suo amor sempre soggiorna.
13Le facce tutte avian di fiamma viva,
E l’ ali d oro, e l’altro tanto bianco,
Che nulla nieve a quel termine arriva.
16Quando scendean nel fior di banco in banco,
Porgevan de la pace e de l’ardore,
Che elli acquistavan ventilando il fianco.5
19Nè l’interporsi tra ’l di sopra e ’l fiore
Di tanta moltitudine volante6
Impediva la vista e lo splendore:
22Che la luce divina è penetrante
Per l’universo, secondo ch’è degno,
Sì che nulla li può essere ostante.
25Questo siguro e gaudioso regno,
Frequente in gente antica et in novella,
Viso et amor avea tutto ad un segno.
28O Trina luce, che ’n unica stella7
Scintillando a lor vista sì li appaga,8
Guardi qua giuso a la nostra procella.
31 Se i Barbari, venendo di tal plaga,
Che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
Rotante col suo fillio und ella è vaga,
34Veggendo Roma e l’ardua sua opra
Stupefaciansi, quando Laterano9
A le cose mortali andò di sopra;
37Io, che al divino da l’umano,
A l’eterno dal tempo era venuto,
E di Firenze al popul iusto e sano,10
40Di che stupor dovea esser compiuto!
Certo, tra esso e ’l gaudio mi facea
Libito non udire, e starmi muto.
43E quasi peregrin, che si ricrea
Nel tempio del suo voto riguardando,
E spera già ridir com’elli stea,
46Su per la viva luce passeggiando,
Menava io li occhi per li gradi
Mo su, mo giù, e mo ricirculando.
49Vedeva visi di carità suadi,11
D’altrui lume fregiati e di suo riso,
E d’atti ornati di tutte onestadi.12
52La forma general di Paradiso
Già tutta ’l mio sguardo avea compresa,
In nulla parte ancor fermato fiso;13
55E volgeami con vollia riaccesa
In dimandar la mia donna di cose,
Di che la mente mia era sospesa.
58Uno intendea, et altro mi rispuose:
Credea veder Beatrice, e viddi un Sene14 15
Vestito co le genti gloriose.
61Diffuso era per li occhi e per le gene15
Di benigna letizia, in atto pio,
Quale a tenero padre si con vene;
64Et: Ov’è ella? di subito diss’io;
Und’elli: A terminar lo tuo desiro,
Mosse Beatrice me del loco mio;
67E se riguardi su nel terzo giro
Dal sommo grado, tu la rivedrai
Nel trono, che i suoi merti li sortiro.
70Senza risponder li occhi su levai,
E viddi lei che si facea corona,
Riflettendo da sè li eterni rai.
73Da quella region, che più su tona,
Occhio mortale alcun tanto non dista,
Qualunqua in mare più giù s’abbandona,
76Quanto lì da Beatrice la mia vista;
Ma nulla mi facea: chè la sua effige16
Non descendeva a me per mezzo mista.
79O donna, in cui la mia speranza vige,17
E che soffristi per la mia salute
In Inferno lasciar le tue vestige,18
82Di tante cose, quant’io ò vedute,
Dal tuo podere e da la tua bontà te
Ricognosco la grazia e la virtute.
85Tu m’ài di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutt’i modi,
Che di ciò fare avean potestate.19
88La tua magnificenzia in me custodi
Sì, che l’anima mia, che fatt’ài sana,
Piacente a Dio dal corpo la disnodi.20
91Così orai; e quella sì lontana,
Come parea, sorrise, e riguardommi:
Poi si tornò a l’eterna fontana.
94El santo Sene: Acciò che tu assommi
Perfettamente, disse, il tuo cammino,
A che priego et amor santo mandommi,
97Vola co li occhi per questo giardino:
Chè veder lui t’acconcerà lo sguardo
Più a montar per lo raggio divino;
100E la Regina del Cielo, unde io ardo
Tutto d’amore, ne farà ogni grazia:
Però ch’io sono il suo fidel Bernardo.
103Quale colui, che forse di Cloazia21
Viene a veder la Veronica nostra,
Che per l’antica fame non sen sazia;22
106Ma dice nel pensier, finchè si mostra:
Signor mio, Iesu Cristo, Iddio verace,
Or fu sì fatta la sembianza vostra?
109Tale era io, mirando la vivace
Carità di colui, che ’n questo mondo
Contemplando, gustò di quella pace.
112Figliuol di grazia, quest’esser iocondo,
Cominciò elli, non ti sarà noto
Tenendo li occhi pur quaggiù al fondo;
115Ma guarda i cerchi fin al più remoto,
Tanto che veggi seder la Regina,
Cui questo regno è suddito e devoto.
118Io levai li occhi; e come da mattina
La parte oriental dall’orizonte
Soverchia quella, dove ’l Sol declina;
121Così, quasi di valle andando al monte23
Colli occhi, vidi parte ne lo stremo
Vincer di lume tutta l’altra fronte.24
124E come quivi, ove s’aspetta ’l temo,
Che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
E quinci e quindi il lume si fa scemo;
127Così quella pacifica Oriafiamma
Nel mezzo s’avvivava, e d’ogni parte
Per equal modo allentava la fiamma.
130Et in quel mezzo co le penne sparte25
Vidd’io più di mille Angnoli festanti,
Ciascun distinto e di fulgore e d’arte.
133Viddi quivi ai lor giuochi et ai lor canti26
Ridere una bellezza, che letizia
Era nelli occhi a tutti li altri Santi;
136E s’io avesse in dir tanta divizia,
Quanto in imaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia.
139Bernardo, come vidde li occhi miei
Nel caldo suo calor fissi et attenti,
Li suoi con tanto afletto volse a lei,
142Che i miei di rimirar fe più ardenti.
- ↑ v. 4. C. A. altro,
- ↑ v. 9. C. A. lavoro
- ↑ v. 9. C. M. si rinsapora,
- ↑ v. 11. C. A. quivi
- ↑ v. 18. C. A. al fianco.
- ↑ v. 20. C. A. plenitudine
- ↑ v. 28. C. A. che unica
- ↑ v. 29. Appaga. In sul nascere del nostro idioma fu terminata più ragionevolmente in a la seconda persona singolare del presente indicativo, siccome in latino. E.
- ↑ v. 35. C. A. Stupefaceansi,
- ↑ v. 39. C. A. E di Fiorenza popol giusto
- ↑ v. 49. C. A. E vedea visi a
- ↑ v. 51. C. A. E atti
- ↑ v. 54. C. A. tutto mio sguardo avie
- ↑ v. 59. C. A. Credia
- ↑ 15,0 15,1 vv. 59. 61. Sene; vecchio: gene; guancie, secondo il latino senex, gena. E.
- ↑ v. 77. C. M. C. A. chè sua
- ↑ v. 79. Vige, secondo il vigeo latino. E.
- ↑ v. 81. Vestige, vestigie dai singolare vestigia. E.
- ↑ v. 87. C. A. avevi in potestate
- ↑ v. 90. C. A. si disnodi.
- ↑ v. 103. C. A. Croazia
- ↑ v. 105. C. A. si sazia;
- ↑ v. 121. Di valle al monte; di basso all’alto, modo avverbiale vivente pure oggi in quel d’Urbino. E.
- ↑ v. 123. C. M. C. A. del lume
- ↑ v. 130. C. A. Ed a quel
- ↑ v. 133. C. A. Vidi a’ lor giuochi quivi
C O M M E N T O
In forma dunque ec. Questo è lo canto xxxi, nel quale lo nostro autore finge com’elli vidde la forma del paradiso; e com’elli vidde Beatrice ritornata al suo scanno, del quale si partitte quando elli si smarria da la via de le virtù ne la selva de’ vizi, per muovere Virgilio che lo venisse a soccorrere; e come santo Bernardo li apparitte e mostrolli la Vergine Maria. E dividesi questo canto principalmente in due parti: imperò che prima finge come elli vidde fatta la gloria de’ beati in forma di rosa, conchiudendo per l’antecedente; e come vidde li Agnoli fare festa co li beati; e com’elli si meravigliava de la bellezza di paradiso; e come Beatrice si partì da lui, e ritornò al suo scanno, e santo Bernardo li apparve. Ne la seconda finge ch’elli vedesse Beatrice nella sua sedia beata; e com’elli la ringraziò del beneficio ricevuto da lei; e come santo Bernardo lo confortò a ragguardare la gloria di vita eterna, e spezialmente la Vergine Maria; e come vidde molti Agnoli intorno a lei; e come santo Bernardo tutto si misse a contemplare lei. La prima, che sarà la prima lezione, si divide tutta in cinque parti: imperò che prima finge, replicando e raccolliendo, come era fatta la gloria di paradiso; nella seconda finge come li Angnoli si mettevano ne lo splendore, e come facevano festa e congratulazione ai beati, et incominciasi quine: Le facce tutte ec.; nella terza finge com’elli s’ammirava di tanta letizia et allegrezza, et incominciasi quine: Questo siguro ec.; ne la quarta parte finge come, ragguardando per lo paradiso, volse parlare a Beatrice per dimandarla, e santo Bernardo li rispuose: imperò ch’ella s’era tornata alla sua sedia, et incominciasi quine: E quasi peregrin ec.; nella quinta parte finge come santo Bernardo li mostrò Beatrice ne lo scanno, dove era montata e ritornata, et incominciasi quine: Uno intendea ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere la lettera co la esposizione testuale, allegorica e morale.
C. XXXI — v. 1-12. In questi quattro ternari lo nostro autore finge com’elli, facendo epilogo e conclusione, dimostra come era fatta la gloria de’ beati, che erano in vita eterna, dicendo così: dunque la milizia santa; cioè quella congregazione dei beati, che nel mondo avea militato: ma allora triunfava, Mi si mostrava; cioè si mostrava a me Dante, In forma di candida rosa; cioè di bianca rosa; e questo dice, a dimostrare la purità de’ beati, Che; cioè la quale milizia santa, Cristo fece sposa; cioè sua: imperò ch’elli l’unitte a sè, nel suo sangue; cioè nella sua passione, spargendo lo suo sangue: imperò che lo spargimento del suo sangue fu di tanta eccellenzia nel cospetto d’Iddio padre, che l’umana natura per l’effusione del detto sangue, del quale elli fe sacrificio a Dio padre, meritò d’essere coniunta con lui ne la gloria di vita eterna e godere con lui in perpetuo. Ma l’altra; cioè milizia angelica, che; cioè la quale, volando; cioè per lo paradiso, vede e canta; cioè vede e loda, La gloria di Colui; cioè di Iesu Cristo, che la innamora; cioè lo quale innamora lei, cioè fa lei essere innamorata di lui, E la bontà; cioè loda ancora di colui, cioè d’Iddio, che; cioè lo quale Iddio, la fece cotanta; cioè fece la detta milizia, cioè l’angelica essere sì grande com’ella è. Siccome; ecco che fa una similitudine, dicendo: Siccome schiera d’ape: l’apa è piccolo animale che fa la cera e lo mele: e come lo detto animale è studioso a volare insù li fiori, e di quinde tornare al bugno a riponere lo mele e la cera che succhia e cava de’ fiori; così li Agnoli si posavano co li beati spiriti, congratulandosi e facendo festa con loro, e di quinde si tornavano a Dio, nel quale si dirizzava lo loro amore; e però dice: che; cioè la quale schiera, s’infiora; cioè si mette ne’ fiori, Una fiata; cioè alcuna volta, et una si ritorna; cioè et una altra volta la detta schiera di lape 1, Là, dove; cioè in quello luogo, nel quale, suo labore 2 s’insapora; cioè si pasce la sua fatica, cioè al bugno nel quale ella si pasce, Nel gran fior; cioè la detta rosa, che era grandissima, come detto è di sopra, discendea; cioè la milizia delli Angeli descendeva da Dio e veniva ai beati, e di quinde tornava a lui, che; cioè lo quale fiore, cioè la detta rosa: imperò che, come la rosa è grande per rispetto delli altri fiori; così era lo detto luogo de’ beati, s’adorna; cioè adorna sè, Di tante follie; cioè quante sono le sedie dette di sopra; e queste follie pone per le sedie, che à detto di sopra essere intorno al grandissimo lume, e quinde; cioè da quelle follie, cioè dalle sedie dette, risaliva; cioè ritornava suso a Dio, Là, dove; cioè in quel luogo, nel quale, il suo amor; cioè l’amore de’ detti Agnoli, sempre soggiorna; cioè sempre sta e riposasi: l’amore de’ santi Agnoli sempre si posa in Dio.
C. XXXI — v. 13-24. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come erano fatti li detti Agnoli, dicendo così: Le facce; loro, s’intende dei detti Agnoli, tutte avian di fiamma viva; cioè splendente et ardente, come è la fiamma del fuoco viva, E l’ali d’oro; cioè l’ali di colore d’oro, e l’altro; cioè e l’altra loro parte della loro apparenzia, tanto bianco; cioè sì grandemente bianco, Che nulla nieve a quel termine arriva: cioè viene a quello termine di bianchezza, al quale era l’apparenzia de’ delti Agnoli ne l’altre parti, che quelle che dette sono. E qui è da notare che l’autore nostro non senza cagione fece questa fizione; cioè che li Angnoli avessono le faccie accese come fiamma, l’ali splendenti come oro; l’altra parte più bianca che nieve, e l’intenzione sua fu per dimostrare che li Angeli ànno la carità loro in verso Iddio, ardente come fuoco; l’esercizio loro preziosissimo e fermissimo come è loro, cioè in servire e compiacere a Dio; la purità e nettezza sopra ogni nettezza e purità. Quando scendean; cioè li detti Agnoli da la Divinità giuso ne lo splendore del mezzo; e però dice: Nel fior; cioè 3 nella rosa detta di sopra, di banco in banco; cioè di scanno in scanno de’ beati, cioè facendosi dal primo al secondo, e dal secondo al terzo, e così delli altri, Porgevan de la pace; cioè di quella pace, che ricevevano da Dio e che avevano tra loro, e de l’ardore; cioè del fervore della carità, Che; cioè la quale pace et ardore, elli; cioè li detti Agnoli, acquistavan; cioè da Dio, ventilando il fianco; cioè battendo le loro ale. Quando li Angeli battono l’ale, fanno vento al fianco, e questo veggiamo nelli uccelli; e così intende per questo lo mettersi in esercizio, per seguitare la voluntà d’Iddio, e così li Agnoli acquistano pace e carità, quando metteno ad esecuzione la voluntà d’Iddio. Et ora tollie una dubitazione, che potrebbe occorrere: imperò che si potrebbe dire: Se li Agnoli scendevano da Dio in questa rosa, e li Agnoli sono in grande moltitudine, dunqua lo loro descendere dovea impedire li beati da la visione d’Iddio, e così mancare la loro beatitudine. Ora tollie lo dubbio, dicendo così: Nè l’interporsi; cioè nè l’interponer sè, Di tanta moltitudine volante; cioè che faceva la moltitudine sì grande, come è quella delli Angeli, che volavano, tra ’l di sopra; cioè tra Dio, unde scendevano, e ’l fiore; cioè e la rosa, a la quale scendevano, Impediva la vista; cioè lo vedere de’ beati, e lo splendore; cioè quello, che descendeva da Dio nel mezzo de la rosa. Et ora rende la cagione, dicendo: Chè; cioè imperò che, la luce divina; cioè la luce, che viene da Dio, è penetrante; cioè è che passa ogni cosa, Per l’universo; cioè per tutto ’l mondo, secondo ch’è degno: Iddio illumina ogni cosa, secondo che è degna d’essere illuminata da lui, Sì; cioè per sì fatto modo, che nulla li può essere ostante; cioè nulla cosa può essere, che impacci la luce d’Iddio, che non passi a chi n’è degno: la grazia d’Iddio passa in ognuno, che d’essa si renda degno.
C. XXXI — v. 25-42. In questi sei ternari lo nostro autore finge come, vedendo sì grandi cose, come era lo regno di vita eterna, diventò stupefatto; et inanti fece prego a Dio per quelli del mondo, dicendo così: Questo siguro e gaudioso regno; cioè di vita eterna, lo quale è siguro, perchè non si può perdere, et è indeficiente et allegro, perchè non riceve turbazione 4, Frequente; cioè abondante, in gente antica et in novella; cioè di quelli del vecchio Testamento e del nuovo, Viso et amor; cioè intelletto e carità, avea tutto ad un segno; cioè a Dio: imperò che Iddio è lo segno, a che s’addrizza lo intelletto e la carità de’ beati. E però esclamando, prega Iddio che come governa lassù; così guardi a quelli del mondo, dicendo: O Trina luce; cioè o luce del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, che sono tre persone et una sustanzia, sicchè una luce è di tutti; e questo non à posto nel caso vocativo; ma in nominativo: imperò che parla in terza persona, che ’n unica stella; cioè la quale luce in una sola stella; questo dice: imperò che di sopra à detto che vidde una luce a modo d’un punto, che finse che fusse la Divinità, Scintillando a lor vista; cioè gittando raggi, che illuminano la vista de’ beati, sì li appaga; cioè li fa contenti, Guardi qua giuso; cioè nel mondo, nel quale finge essere, quando le cose mostrateli scrisse, a la nostra procella; cioè a la tempesta di noi uomini, li quali siamo a pericolo d’essere sommersi dai peccati nel profondo dello inferno. Se i Barbari; cioè se li stranieri: imperò che, come è stato detto di sopra, ogni gente era chiamata barbara, se non se i Greci et i Latini; sicchè per questo che seguita, s’intende de’ Settentrionali: imperò che dice: venendo di tal plaga; cioè di tal contrada, Che; cioè la quale, ciascun giorno d’Elice; cioè da la tramontana, si cuopra: imperò che ogni di’ lo carro gira una volta per la sua ritondità: di questa Elice è stato detto nel xxv del Purgatorio; e quine chi vuole la sua fizione, troverà posta la faula. Questa fu figliuola di Licaone re d’Acardia, e fu amante di Iove e di lui ebbe figliuolo chiamato Arcade, e fu de la città Parrasi, e fu convertita nell’Orsa maggiore che è lo carro, e lo figliuolo ne l’Orsa minore che è lo corno; e per questa fizione intende la parte settentrionale, Rotante col suo fillio; cioè volgendosi insieme col corno, nel quale si dice essere Arcade, l’Orsa minore per la sua ritondità, che è nel ciclo artico, und’ella è vaga; cioè che per sì fatta rivoluzione fa lo corso suo e la sua vagazione, Veggendo Roma; cioè giungesseno a Roma, e vedeano, e l’ardua sua opra; cioè e li 5 alti suoi edifici, Stupefaciansi; cioè si meravilliavano, quando Laterano; cioè quando essa Roma, intendendo per la parte lo tutto: Laterano è uno luogo in Roma, così chiamato, dove è la chiesa di santo Ioanni, A le cose mortali andò di sopra; cioè avanzò tutte l’altre cose del mondo: imperò che signoreggiorno li Romani tutto lo mondo; e questo, che si pone qui, non è di necessità; ma ponsi qui per una esornazione, e dice lo Grammatico che allora è coniunzione espletiva. Io; cioè Dante, che; cioè lo quale, al divino; cioè a la Divinità, da l’umano; cioè da l’umanità, A l’eterno; cioè a l’eternità, dal tempo; cioè da la temporalità, era venuto; questo dice l’autore: imperò che, essendo omo, era venuto a trattare de la Divinità; et, essendo ancora in carne umana che vive in tempo, era venuto a trattare de le cose eterne: eternità è tutta insieme e perfetta possessione de la vita che non à termine, secondo che dice Boezio nel quinto della Filosofica Consolazione; e tempo è eccessiva successione 6 di vita terminabile; sicchè Dante, essendo nel mondo, era in tempo, et essendo in paradiso, com’elli finge essere, era in eternità; ma questo venire non si debbe intendere, se non secondo lo suo pensieri: imperò che ora era venuto a considerare le cose divine, solente considerare le cose umane, et a considerare le cose eterne, solente 7 considerare le cose temporali, E di Firenze; cioè e di sì fatta città, come è Firenze piena d’uomini iniusti e maliziosi, era venuto, s’intende, al popul iusto e sano; che è in vita eterna, Di che stupor; cioè di che meraviglia: questo stupore è offuscazione et impaccio della fantasia, che non sa discernere sopra la cosa compresa, dovea esser compiuto; cioè insieme ripieno; quasi dica: Grandissima meraviglia: imperò che le cose disusate sono quelle che turbano la fantasia! Certo; cioè certamente, tra esso; cioè tra lo stupore, e ’l gaudio; cioè et allegrezza, che io aveva del considerare la gloria de’ beati, mi facea; cioè faceva a me Dante, Libito; cioè piacere, non udire; cioè quello, che quine si diceva, cioè in vita eterna, e starmi muto; cioè e non parlare in quella tanta gloria.
C. XXXI — v. 43-57. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, stando a contemplare la beatitudine di vita eterna, ebbe vollia di dimandare Beatrice di quelle cose ch’elli vedeva; e, come apparrà nell’altra parte che seguita, ella se n’era ita al suo scanno. Dice dunqua così: E quasi peregrin; qui induce l’autore una comparazione, dicendo ch’elli faceva come lo peregrino: peregrino si chiama colui che si stranea dalla sua patria, per visitare li strani luoghi, che; cioè lo quale, si ricrea; cioè si riposa, Nel tempio; cioè ne la chiesa, la quale è ito a visitare; et è tempio luogo di contemplazione, o vero ampio tetto, del suo voto; cioè del suo desiderio, o della sua promessione, che fatta à di visitare lo detto tempio, riguardando; cioè la forma del detto tempio e le cose che dentro vi sono, E spera; cioè poi che fia tornato a la sua patria, già ridir; cioè nel tempo che debbe venire ai suoi, quando fia tornato, com’elli; cioè come lo detto tempio, stea; cioè stia in che forma lo detto tempio, Su per la viva luce; cioè quella che era nel fondo de la rosa, la quale è viva luce, perchè si fa dei raggi che vegnano da la Deità; passeggiando; cioè io Dante e Beatrice andando a passo a passo, io; cioè Dante, Menava li occhi; cioè miei; secondo la moralità, la ragione e lo intelletto, per li gradi; cioè per le differenzie de’ beati, che fitto à che stiano in diversi gradi, come è stato detto di sopra, Mo; cioè a vale, su; cioè da la parte alta, mo: cioè avale, giù; cioè a la parte bassa della detta rosa, e mo; cioè et avale, ricirculando; cioè girando intorno. Vedeva visi; cioè de’ beati io Dante, suadi 8; cioè splendenti, di carità; che avevano a Dio e tra loro, D’altrui lume; cioè che del loro, fregiati: cioè adornati, e di suo riso; cioè e di sua allegrezza e letizia, E d’atti ornati; cioè vedeva visi ornati d’atti, di tutte onestadi; onestade è cosa che dà onore. La forma general di Paradiso; dice generale: imperò che in particulare non l’avea compresa, Già tutta ’l mio sguardo avea compresa; cioè già lo sguardo di me Dante avea compresa tutta la forma generale di paradiso, In nulla parte ancor fermato fiso; cioè non fermato ancora lo mio sguardo fisamente ad alcuna particularità. E volgeami; cioè io Dante volgeva me, con vollia riaccesa; cioè con voluntà ardente, In dimandar la mia donna; cioè Beatrice, di cose; cioè di quelle di paradiso, Di che; cioè delle quali, la mente mia; cioè di me Dante, era sospesa; cioè in sospeso et in dubbio posta; et ella non v’era, che se n’era ita a la sedia sua, come apparrà nell’altra parte che seguita.
C. XXXI — v. 58-69. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Beatrice si ritornò a la sedia sua, unde si mosse quando ella andò ne lo inferno, mossa dalla donna innominata e da Lucia, per muovere Virgilio che soccorse Dante, che era impedito nella diserta piaggia, dicendo così: Uno intendea; cioè io Dante, quando mi volgeva con voluntà riaccesa di dimandare Beatrice di cose, delle quali la mia mente era sospesa, cioè che io intendea di dimandare Beatrice di quello che detto è, et altro; cioè et altra persona, che Beatrice, mi rispuose; cioè rispuose a me Dante; e questi fu santo Bernardo, come si manifesta di sotto. Credea; cioè io Dante, veder Beatrice; quando io mi volgea, e viddi; io Dante, un Sene; cioè uno vecchio, Vestito; cioè d’abito monacile. Non perchè l’autore vollia dire che li beati siano vestiti in vita eterna, come sono stati nel mondo: imperò che detto à di sopra che la gente gloriosa era vestita di stole candide; ma per mostrare che lo suo vedere fu mentale e non corporale, cioè che a la mente sua si rappresentò santo Bernardo in quello abito, che 9 elli fu nel mondo, quando contemplò, e contemplando scrisse li fatti della Vergine Maria, co le genti gloriose; cioè colle genti beate, che erano vestite di stole candidissime. Diffuso; cioè ripieno, era per li occhi; cioè suoi lo detto vecchio, e per le gene; cioè e per le sue guancie, Di benigna letizia; cioè d’allegrezza d’animo, benigna; cioè disposta a ben fare et invitante li altri a bene, in atto pio; cioè in atto pietoso, pieno di carità, Quale; cioè chente atto, a tenero padre si convene; cioè si conviene a padre, che sia 10 desideroso della salute del suo figliuolo. E queste condizioni furno in santo Bernardo, quando fu abbate nel mondo al suo monasterio in verso li suoi monaci; e però finge l’autore che con esse a lui si rappresentasse, cioè alla mente sua, Et: Ov’è ella?; cioè Beatrice, di subito diss’io: cioè io Dante dissi: Ov’è ella? subitamente, quando viddi voltomi lo detto vecchio, e non Beatrice. Und’elli; cioè lo detto vecchio disse a me, s’intende, Beatrice Mosse me del loco mio; cioè Beatrice, che tu dimandi, venne a me e fecemi muovere dal luogo, ove io era ne la mia beatitudine, perch’io venissi a te, A terminar; cioè a compiere, lo tuo desiro; cioè lo tuo desiderio, che è di compiere la tua opera e lo tuo poema, lo quale si compierà ne la visione divina beatifica, la quale non si può avere se non per mezzo de la grazia, e la grazia non si può avere se non si dimanda. E nessuna creatura è sofficiente ad impetrare la divina grazia, quanto la Vergine Maria; e però finge che santo Bernardo li apparisse ad insegnarli a pregare la Vergine Maria, perchè nessuno Dottore ne scrisse mai tante belle meditazioni, quante santo Bernardo, come appare nella sua opera. E se riguardi; cioè e se tu, Dante, un’altra volta ragguardi, su nel terzo giro Dal sommo grado; cioè nel terzo circulo, incominciando dal supremo e venendo in giù, tu; cioè Dante, la rivedrai; cioè vedrai lei, cioè Beatrice da capo, Nel trono; cioè nella sedia, che i suoi merti; cioè che li meriti d’essa Beatrice, li sortiro; cioè in sorte e per sorte li diedono, cioè dove ella à meritato d’essere. E benchè l’autore, secondo la lettera, paia dire d’una donna della quale àe mostrato d’essere stato innamorato, come è stato detto di sopra, elli intende della santa Teologia; e ch’ella sia tornata ora al terzo grado intende delli santi Dottori, che la santa Teologia, come istrumento dello Spirito Santo, ànno composta e scritta. E qui finisce la prima lezione del canto xxxi, et incominciasi la seconda.
Senza risponder ec. Questa è la seconda lezione del canto xxxi de l’ultima cantica del nostro autore Dante, nella quale finge com’elli vidde Beatrice nel suo scanno e com’elli la ringraziò, e come santo Bernardo lo dispuose a ragguardare la nostra Donna Vergine Maria, e come santo Bernardo defisse li occhi suoi a contemplare la gloria de la Vergine Maria. E dividesi tutta in parti sei: imperò che prima finge com’elli, ragguardando insù, vidde Beatrice in luogo altissimo, e benchè la distanzia fusse grande, anco grandissima, non l’impediva la vista; nella seconda finge com’elli fece una diciaria a lei, ringraziandola del beneficio da lei 11 a lui ricevuto e conceduto, et incominciasi quine: O donna, in cui ec.; nella terza finge come santo Bernardo lo invita e dispone a riguardare la Vergine Maria, et incominciasi quine: El santo Sene: ec.; nella quarta parte finge com’elli si meravilliò, vedendo la carità di santo Bernardo, et incominciasi quine: Quale colui, ec.; nella quinta parte finge come, confortato da santo Bernardo che levasse su li occhi a vedere la Vergine Maria, elli lo fece, e narra quello che vidde, et incominciasi quine: Figliuol di grazia ec.; nella sesta parte finge com’elli vidde infinita moltitudine d’Agnoli intorno a la Vergine Maria e nella distanzia da lui a lei, e come santo Bernardo defisse li occhi suoi in lei e così anco elli, et incominciasi quine: Et in quel mezzo ec.; Divisa ora la lezione, è da vedere lo testo co la esposizione letterale, allegorica e morale.
C. XXXI — v. 70-78. In questi tre ternari lo nostro autore finge come, levato su li occhi, sì rividde Beatrice; e come la distanzia, benchè fusse grandissima et altissima, non lo impediva, dicendo così: Poi che santo Bernardo mi disse le parole dette di sopra, Senza risponder; cioè a li detti di santo Bernardo, li occhi; cioè di me Dante, la ragione e lo intelletto, su levai; cioè in alto, per vedere Beatrice, E viddi; cioè io Dante, lei; cioè Beatrice, che; cioè la quale, si facea corona; in sul capo suo, Riflettendo da sè li eterni rai; cioè riflettendo e mandando insù li raggi della carità d’Iddio, che discendevano da Dio sopra lei e dal capo suo si riflettevano in qua e là intorno al suo capo, e così parevano una corona ch’ella avesse in testa. E per questo intende l’autore che la grazia de lo Spirito Santo discese e discende ne le menti dei santi Teologi e Dottori, che illuminano lo loro intelletto; e quello così illuminato manifesta le cose divine, e questo è riflettere li raggi, cioè illuminare li altri fideli cristiani, che sono intorno a loro e studiano li loro libri. Da quella region; cioè dall’aire che, come è stato detto altro, si divide in tre regioni, che; cioè la quale regione, più su tona; che è infine a le confine della terza regione; nel quale luogo si generano li tuoni, Occhio mortale; cioè occhio d’omo, che sia ancora nel mondo, alcun tanto non dista; cioè non è tanto dilungi, quanto era Beatrice da me. Qualunqua; cioè occhio, in mare più giù s’abbandona; cioè qualunqua omo fusse nel maggiore fondo di mare: imperò che più di lungi sarebbe colui da la terza region dell’aire, che fusse giù in fondo di mare, che colui che fusse insù la superficie de la terra, Quanto; cioè spazio distava, la mia vista; cioè lo mio vedere, lì da Beatrice; Ma nulla; cioè d’impedimento, mi facea; la detta distanzia, chè; cioè imperò che, la sua effige; cioè la sua figura, che le’ mi rappresenta, Non descendeva; cioè a me Dante non venia da l’altezza di Beatrice, a me; cioè Dante, mista; cioè meschiata, per mezzo; cioè per alcuno mezzo; quasi dica: Non era mezzo, che dividesse l’effige di Beatrice da me: imperò che immediate io la vedeva, sicchè tra lei e me non era mezzo locale; e per questo dà ad intendere come elli vedeva Beatrice; cioè colli occhi mentali, e non corporali; e tra li occhi mentali e la cosa veduta non è alcuno mezzo. Dante comprendeva collo intelletto e co la ragione umana quanta è l’altezza de la santa Teologia.
C. XXXI — v. 79-93. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, veduta Beatrice, la ringraziò del beneficio che da lei avea ricevuto, e pregolla che conservasse la grazia, ne la quale elli era, dicendo: O donna; ecco che drizza lo suo parlare inverso Beatrice che, come è stato detto di sopra, figura la santa Teologia e la grazia cooperante e consummante che dà beatitudine. La santa Teologia non è intesa senza la grazia cooperante e consummante, e nessuno si beatifica senza la detta grazia, e chi è beato conviene avere notizia d’Iddio, e notizia non si può avere senza la santa Teologia: però che la santa Scrittura è quella che dà notizia d’Iddio; e però la Teologia e la grazia si pone per una medesima cosa; chiamasi dirittamente Beatrice: imperò che beatifica l’omo; e però ben figura l’autore che sia donna: imperò.che, secondo lo Grammatico, l’uno e l’altro vocabulo è f. generis; e bene sta colui che l’una e l’altra signoreggia, in cui; cioè nella quale donna, la mia speranza vige; cioè la speranza di me Dante dura: ogni buono uomo debbe sempre sperare ne la grazia d’Iddio, E che soffristi; cioè e la quale, donna sofferisti, per la mia salute; cioè per la salute di me Dante, In Inferno lasciar le tue vestige; cioè lasciare le tue pedate nel luogo de’ dannati. Come fu sposto nella prima cantica, Dante errava ne la selva de’ vizi, e la grazia d’Iddio venne da cielo ne lo inferno; cioè nel mondo, che è luogo basso, e massimamente quello luogo, dove sono li viziosi, e mosse Virgilio, cioè la ragione pratica di Dante, a guidare la sensualità di Dante et a cavarla de’ vizi, e similmente la ragione superiore 12: e come le pedate sono segno che ’l piè sia stato posto ne la polvere; così la correzione dell’omo è segno che la grazia d’Iddio è discesa in lui; e però ben dice l’autore a Beatrice le parole dette di sopra, Ricognosco; cioè Dante, la grazia e la virtute Di tante cose; cioè sì grandi cose e di tante in numero, quant’io; cioè quante cose io Dante, ò vedute; cioè considerando l’infernali, considerando quelli delle virtù purgatorie, e quelli che sono d’animo purgato, cioè li beati e contemplativi, Dal tuo podere; cioè dal potere di te Beatrice, e da la tua bontate; cioè da la bontà di te Beatrice, intendendo Beatrice per la santa Teologia e per la grazia divina: imperò che l’una non è senza l’altra ne l’omo, sicchè ben dice Dante ch’elli ricognosce la grazia e la virtù d’avere veduto la vita viziosa, quanto sia la sua viltà, lo suo tormento e lo suo periculo; e così quanto sia lo merito de la vita che sta in atto di penitenzia, e così la beatitudine de la vita confirmata ne le virtù, e quanto sia lo premio di sì fatta vita. Tu; cioè Beatrice, m’ài; cioè ài me Dante, di servo tratto a libertate; cioè da la servitù del peccato m’ài cavato e menato a la libertà de la virtù, Per tutte quelle vie: molte sono le vie di cavare l’omo del vizio, per tutt’i modi; e molti sono li modi di cavare l’omo de la vita viziosa, Che; cioè le quali vie e li qual modi, avean potestate; cioè potenzia, di ciò fare; cioè di traere l’omo dal vizio a la virtù, La tua magnificenzia; cioè la magnificenzia di te Beatrice, che m’ài fatto grande, in me; cioè Dante, custodi: cioè guarda e conserva tu, Beatrice, Sì, che l’anima mia; cioè per si fatto modo, che l’anima di me Dante, che; cioè la quale, fatt’ài sana; cioè tu, Beatrice, ài sanato, cavandola de’ vizi e mettendola ne le virtù, Piacente a Dio la disnodi dal corpo; cioè la sciolghi dal corpo in sì fatto stato, che piaccia a Dio. Così orai; cioè io Dante, come detto è, e quella; cioè Beatrice, sì lontana; cioè sì di lungi, com’ella era, Come parea; cioè che pareva altissima, come fu detto di sopra; ma l’autore dice parea: imperò che, benchè Iddio paia di lungi, elli è molto presso a chi lo chiama, e così la grazia sua, dicente la santa Scrittura: Deus prope est invocantibus se -, sorrise; cioè fece cenno di ridere inverso di me Dante: quando lo signore sorride inverso lo servo che dimanda, segno è d’esaudizione; e però finge Dante che Beatrice sorridesse, a dimostrare ch’elli era nella grazia d’Iddio, e che dovea essere esaudito, e riguardommi; cioè ragguardò me Dante: chi la grazia d’Iddio ragguarda esaudisce. Poi si tornò; cioè Beatrice, a l’eterna fontana; cioè a la contemplazione divina, che è fonte indeficiente, unde deriva la beatitudine de’ santi. E questo è secondo la lettera; ma secondo l’allegoria s’intende che la grazia d’Iddio è indeficiente: imperò che da Dio viene et a Dio ritorna, e rimena e riflette l’anime in che ella descende.
C. XXXI— v. 94-102. In questi tre ternari lo nostro autore finge come santo Bernardo lo confortò a ragguardare la beatitudine de’ beati, e nominossi chi elli era, dicendo così: El santo Sene disse; cioè santo Bernardo, che finge che gli apparisse: sene è vecchio, come fu detto di sopra, perchè in sì fatta età passò di questa vita. Acciò che tu assommi; cioè disse a me Dante: Acciò che tu compi, Perfettamente il tuo cammino; cioè la visitazione de’ beati, cioè lo poema tuo, che tu ài presso che compiuto, A che; cioè a la quale cosa, cioè ad aiutarti ad arrecare a compimento la tua opera, priego; cioè Beatrice, et amor santo mandommi; cioè mandò me Bernardo: però che per carità fui mosso, Vola; cioè prestamente considera, co li occhi; cioè tuoi corporali, secondo la lettera, ragguardando; ma, secondo l’allegoria, co la ragione e co lo intelletto, per questo giardino; cioè per questo dilettevile luogo, Chè; cioè imperò che, veder lui; cioè vedere esso giardino, t’acconcerà lo sguardo; cioè la tua vista: vedere le cose d’Iddio acconcia lo vedere, cioè mentale, a montar Più per lo raggio divino; cioè a montare più suso per lo raggio divino, cioè per la grazia divina, che non è altro che uno raggio della sua Divinità, che raggia nelle sue creature. E la Regina del Cielo; cioè la Vergine Maria, unde io; cioè da la quale e per la quale io Bernardo, ardo; cioè per carità, che io òne in lei, Tutto d’amore: imperò che non fu mai alcuno Dottore, che tanto bene parlasse e contemplasse della Vergine Maria, ne farà ogni grazia; cioè farà ogni grazia a me, che pregherò per te. Però; ecco che assegna la cagione: Però ch’io sono il suo fidel Bernardo: imperò che io sono lo suo fedele Bernardo spero, anco sono certo che ci farà grazia tutta.
C. XXXI — v. 103-111. In questi tre ternari lo nostro autore finge come in grande ammirazione venne, vedendo la vivace carità di santo Bernardo, adducendo una comparazione, dicendo così: Quale colui; cioè come è colui, che forse di Cloazia; cioè lo quale, partendosi per avventura di quella contrada che si chiama Cloazia, che confina colla Dalmazia e co la Schiavonia, di là dal mare adriaco, Viene a veder la Veronica nostra; cioè viene a vedere lo volto santo, che si dimostra a Roma che si chiama Veronica: imperò che santa Veronica di Ierusalem fu quella femina, che ebbe grande devozione a Cristo, e pertanto ella lo seguitò là unqua andava; und’ella, vedendo Cristo fatigato o per l’andare o per lo predicare o per la turba che li era intorno, tanto che fortemente sudava, ella li porse uno suo sudario di sendado 13, e Cristo sei fregò al volto, et in esso rimase impressa la figura del suo volto. E perchè questa donna ebbe nome Veronica, però fu chiamato questo sudario Veronica; e questo sudario, nel quale era figurata la faccia di Iesu, si legge mandato da lui al re Abagaro, re de la città Edessene, città d’Asia che desiderava di vederlo; e l’imbasciadori che lo portavano, quando furno a la casa del re, l’appiattorno sotto uno coprimento e velo, e per divino miraculo rimase impressa questa medesima figura nel detto coprimento e nel velo: poi fu portato questo sudario a Roma, e quine si mostra; e lo coprimento, in che rimase figurato lo volto di Cristo, rimase in Edessene, e quine ancora si mostra; e questo dice una Epistola di papa Adriano, mandata a Carlo imperadore; e bene dice l’autore nostra, a differenzia di quella che rimase in Edessene, Che; cioè la quale, per l’antica fame; cioè che lungo tempo àe 14 udito dire di questo sudario, et àe avuto desiderio di vederlo; e però dice per l’antica fame; cioè per l’antico desiderio, non sen sazia; cioè non sene sazia di vederlo; ma quanto più lo vede, più desidera di vederlo, Ma dice nel pensier; cioè suo quello tale Romeo, finchè si mostra; cioè tanto quanto si mostra, e mentre che si mostra: Signor mio, lesu Cristo, Iddio verace; ecco che confessa nel suo pensieri che egli è Iddio et omo, Or fu sì fatta la sembianza vostra? Questo Or si pone qui per interiezione ammirativa: quasi meravigliandosi, dice dentro da sè le parole dette di sopra: sembianza è a dire figura. Tale era io; cioè Dante, quale è colui, del quale è stato detto di sopra, mirando la vivace Carità di colui; cioè di santo Bernardo, che ’n questo mondo; cioè lo quale in questo mondo, cioè nella vita mortale, Contemplando: imperò che santo Bernardo fu monaco e contemplativo, e massimamente della vita de la Vergine Maria, gustò di quella pace; cioè assaggiò della pace di vita eterna: imperò che li contemplativi sono quelli, che in questa vita sentono la dolcezza di vita eterna. E perchè l’autore nostro intendeva di fare menzione de la Vergine Maria et invocare lo suo aiuto, però finse che Beatrice si tornasse a la sua sedia, e mandasse a lui santo Bernardo. Perchè l’autore avea compiuto la sua intenzione, e non avea più a toccare cosa che si contengna ne la santa Scrittura, se non della Vergine Maria; e perchè santo Bernardo fu colui, che più disse de la Vergine Maria, che nessuno altro, e la santa Scrittura fa menzione di santo Bernardo, però finge ch’ella lo mandasse a lui. Seguita.
C. XXXI — v. 112-129. In questi sei ternari lo nostro autore finge che santo Bernardo lo confortasse ch’elli ragguardasse insù, s’elli voleva avere notizia del paradiso; e com’elli seguitte lo suo conforto, et in genere dichiara quello che vidde, dicendo cosi: Figliuol di grazia: ecco che finge che santo Bernardo chiamasse lui figliuolo di grazia: imperò che grande grazia aveva avuto da Dio, quest’esser iocondo; cioè questo essere allegro di paradiso, Cominciò elli; cioè santo Bernardo a parlare a me Dante, non ti sarà noto; cioè non sarà manifesto a te Dante questo esser iocondo, che è qui in vita eterna, Tenendo li occhi; cioè tuoi corporali, secondo la lettera; ma intellettuali, secondo l’allegoria, pur quaggiù al fondo; cioè ragguardando solamente le parti basse, cioè quelli che sono in el grado infimo. Ma guarda i cerchi; cioè delle sedie, che dette sono essere intorno in forma di rosa, fin al più remoto; cioè infine a quello, che è più dilungi, Tanto che veggi seder la Regina; cioè tanto, che tu, Dante, vegghi sedere la reina di vita eterna, cioè la Vergine Maria, Cui; cioè a la quale regina, questo regno; cioè di vita eterna, è suddito e devoto: però che tutti li gradi sono di sotto al suo, e tutti li beati ànno devozione a lei. Io; cioè Dante, levai li occhi; cioè miei corporali, secondo la lettera; e secondo l’allegoria s’intende mentali, suso a li gradi alti, e come da mattina; ecco che l’autore, per adornare lo suo poema e perchè mellio s’intenda, adduce una similitudine, dicendo: Come la mattina, La parte oriental; cioè quella che è, unde lo Sole si leva, dall’orizonte; cioè dal cerchio, che divide l’uno emisperio dall’altro, Soverchia; cioè avanza in isplendore, quella, dove ’l Sol declina; cioè avanza in splendore e chiarore quella parte del zodiaco, dove lo Sole cala 15 e partesi del nostro emisperio, Cosi; ecco che adatta la similitudine, quasi di valle andando al monte Colli occhi; ecco che dice, andando colli occhi suoi l’autore, quasi di valle: imperò che ragguardava prima giù nel fiore della rosa, e poi levò su li occhi in alto a vedere la sua altezza; e però dice: vidi parte; cioè della detta rosa, ne lo stremo; cioè nell’ultima parte de la sua altezza, Vincer di lume; cioè avanzare di lume e splendore, tutta l’altra fronte; cioè tutta l’altra altezza, che era in tondo, l’una parte incontra a l’altra. E come; ecco che arreca similitudine poetica, per adornare lo poema, quivi; cioè in quello luogo del cielo, ove; cioè nel quale, s’aspetta ’l temo; cioè s’aspetta lo carro del Sole, ponendo la parte per lo tutto; lo temo, cioè lo timone del carro, e ponsi qui per lo carro, Che mal guidò Fetonte; cioè lo quale carro guidoe male Fetonte, cioè lo figliuolo del Sole. Questa fizione pone Ovidio nel ii de la sua Metamorfosi, e fu detta di sopra nella prima cantica nel canto xvii, più s’infiamma; cioè più diventa lo cielo splendido, E quinci e quindi; cioè e dall’una parte e dall’altra, cioè dall’oriente e dall’occidente, il lume si fa scemo; cioè manca lo lume. Così quella pacifica Oriafiamma 16; cioè lo luogo, dove era la Vergine Maria; e per essa Vergine Maria si debbe intendere; e dice Oriafiamma; cioè termino di fiamma, o vero navicula di fiamma, o vero orientale fiamma pura e chiara, come quella dell’oriente, pacifica: però ch’ella fece pace tra Dio e l’omo, Nel mezzo s’avvivava; cioè s’invaloria nel mezzo, dove era la Vergine Maria, e d’ogni parte; cioè d’ogni lato al detto mezzo, allentava la fiamma; cioè mancava la fiamma e lo splendore, Per equal modo; cioè parimente, siccome le parti erano rimote da quella, che era cagione dello splendore. Seguita.
C. XXXI — v. 130-142. In questi quattro ternari et uno versetto lo nostro autore, fingendo, dichiara in che forma vidde la Vergine Maria; e come tutto et elli e santo Bernardo s’affisseno in lei, dicendo cosi: Et in quel mezzo; cioè delle parti lontane, dove mancava la fiamma, come detto fu di sopra, co le penne sparte; cioè coll’ali aperte, che significa applauso e letizia: veggiamo li uccelli, quando si rallegrano, stendere l’ali, e così facevano questi Agnoli; le quali ali significano e figurano li fervori della carità ch’elli ànno in verso la Vergine Maria, Vidd’io; cioè io Dante, più di mille Angnoli; cioè numero infinito per questo intende, festanti; cioè facenti festa intorno a la Vergine Maria, Ciascun; cioè de’ santi Angnoli; e di fulgore e d’arte distinto; cioè variato di splendore e di canto e festa; questo dice, per denotare che tutta quella moltitudine d’Agnoli era variata nelli splendori e ne le feste, che facevano intorno a la reina del cielo: imperò che ciascuno aveva lo suo splendore, secondo lo grado della carità sua. Viddi; cioè io Daute, ai lor giuochi; cioè de’ detti Agnoli, quivi; cioè in quello luogo, et ai lor canti; cioè ai canti, che facevano li detti Agnoli, Ridere; cioè rallegrarsi, et aveva letizia, una bellezza; e questa era la Vergine Maria, che; cioè la quale, Era letizia nelli occhi a tutti li altri Santi: imperò che tutti li altri santi, vedendo lei, avevano letizia e festa grandissima. E s’io; cioè e se io Dante, avesse in dir tanta divizia; cioè avesse tanta abondanzia di potere dire, Quanto in imaginar; cioè quanta abbondanzia io òne in potere imaginare: imperò che mellio e più eccellentemente l’omo immagina, che non dice; e niente di meno dice che, se tanta fusse in lui la potenzia del dire, quanto quella dello imaginare, non ardirei; cioè io Dante, tentar Lo minimo; cioè di tentare di dire la minima parte, di sua delizia; cioè della sua gloria e diletto, che avea la Vergine Maria. Bernardo; cioè santo Bernardo, del quale è stato detto di sopra, che me guidava a vedere la Vergine Maria, come vidde li occhi miei; cioè di me Dante, cioè, secondo l’allegoria, la ragione e lo intelletto, Nel caldo suo calor; cioè nel caldo fervore, ch’elli ebbe in verso la Vergine Maria, fissi et attenti; cioè fermati et attenti a considerare l’amore grandissimo, ch’elli, cioè santo Bernardo, ebbe in verso la Vergine Maria, Li suoi; cioè occhi, con tanto affetto; cioè con tanto desiderio, volse a lei; cioè a la Vergine Maria, Che i miei; cioè occhi di me Dante, fe più ardenti; cioè più desiderosi, di rimirar; cioè d’un’altra volta ragguardare la Vergine Maria. E qui finisce lo canto xxxi, et incominciasi lo xxxii de la terza cantica.
Note
- ↑ Lape; ape, unito l’articolo, secondo che talora costuma il popolo della Toscana e di qualche altra provincia d’Italia. E.
- ↑ Labore; giusta il labor dei Latini. E.
- ↑ C. M. cioè nel bianco e nel giallo della detta rosa, di bianco in bianco;
- ↑ C. M. turbazione, anco v’è somma letizia, Frequente;
- ↑ C. M. li alti e grandi suoi benefizi. Stupefaciansi,
- ↑ successione possessiva? E.
- ↑ Solente. Apprendasi da’ Classici l’uso de’ participi così opportuni a indurre varietà nel discorso. E.
- ↑ Suadi; persuasivi. E.
- ↑ che; in che, vaga e frequente ellissi appo dei Classici. E.
- ↑ C. M. sia tenero della salute del prossimo. E perchè queste
- ↑ C. M. da lei concedutogli, et
- ↑ C. M. superiore, messa ancora a considerare le cose superne: e come
- ↑ Sendado; giusta il provenzale sendal. E.
- ↑ C. M. àe avuto di vedere questo
- ↑ C. M. cala, quando si parte del
- ↑ Orifiamma, od Oriafiamma dicevasi lo stendardo sacro della Badia di san Dionigi. Esso consisteva in un pezzo di stoffa liscia e rossa, partita abbasso in tre code, intorniata di seta verde e sospesa ad una lancia dorata. E.