Cavalleria rusticana (dramma)
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Cavalleria Rusticana
scene popolari.
a
PERSONAGGI:
Turiddu Macca. |
SCENA PRIMA.
Lo Zio Brasi attraversa la scena dalla sinistra con un fascio di fieno in capo, che va a deporre sotto la tettoia. - Comare Camilla sulla terrazza, ripiegando della biancheria di bucato. - Donne lungo il viale per andare in chiesa. Un contadino seduto sotto la tettoia, col mento fra le mani, canticchiando. Suona la messa. - La zia Filomena esce dalla bettola della Gnà Nunzia, portando roba sotto il grembiale.
Comare Camilla.
Spesa, zia Filomena?
Zia Filomena.
Oggi è Pasqua, colla grazia di Dio! (entra in casa)
Comare Camilla.
O comare Santa, che andate a confessarvi?
(Santuzza leva il capo verso di lei, e tira via senza rispondere.)
Zio Brasi
(a comare Camilla, dalla porta dello stallatico).
Tu rientra in casa, e bada ai fatti tuoi, linguaccia! (comare Camilla rientra in casa. A un carabiniere ch’è affacciato sul terrazzino della caserma) Mi vuol sempre cimentare, quel diavolo di mia moglie! (al contadino ch’è sotto la tettoia) Venite qua, compare Peppi. (lo conduce via nello stallatico)
Santuzza.
(sull’uscio della bettola).
O gnà Nunzia!
Gnà Nunzia
(affacciandosi).
O tu!... Che vuoi? (il carabiniere rientra)
Santuzza
Non temete, me ne vado subito. Ditemi soltanto se c’è vostro figlio Turiddu.
Gnà Nunzia
Sin qui vieni a cercarmi mio figlio Turiddu?... Non c’è.
Santuzza.
Ah, Signore benedetto!
Gnà Nunzia.
Lo sai che nei vostri pasticci io non voglio entrarvi!
Santuzza
(scostando la mantellina).
Ah, gnà Nunzia, non mi vedete la faccia che ho? Fate come Gesù Cristo a Maria Maddalena.... Ditemi dov’è vostro figlio Turiddu, per carità!
Gnà Nunzia.
È andato a Francofonte per il vino.
(La zia Filomena s’affaccia all’uscio della sua casetta colle mani sul ventre.)
Santuzza.
No! Ier sera era ancor qui. L’hanno visto a due ore di notte.
Gnà Nunzia.
Che vieni a dirmi!... In casa non è tornato stanotte.... Entra.
Santuzza.
No, gnà Nunzia. In casa vostra non ci posso entrare.
Zio Brasi
(dalla tettoia).
O zia Filomena, oggi che è la Santa Pasqua, e fanno pace suocera e nuora, abbiamo da abbracciarci e baciarci anche noi?
Zia Filomena.
— Zitto, scomunicato! (rientra in casa)
Gnà Nunzia.
(a Santuzza).
Parla dunque! Cos’è successo a mio figlio Turiddu?
Santuzza.
Non gridate forte, gnà Nunzia!
Pippuzza.
(dalla stradicciuola in fondo a destra, con un paniere
infilato al braccio).
Volet’ova, gnà Nunzia?
Gnà Nunzia.
A tre due soldi, se ti contenti. Guarda, ne ho tante.
Pippuzza.
Allora mi contento di mangiarmele coi miei figliuoli, e far la Pasqua anch’io, piuttosto. (per andare)
Zio Brasi.
O che non siete stata a confessarvi, gnà Nunzia?
Gnà Nunzia.
Via, perchè oggi è Pasqua, un soldo l’uno! Ne piglio dodici; ma uno me lo darai di giunta, in regalo. Mettile insieme alle altre, là... Senza romperle, bada! E te’ i danari. Un pugno di palanche ti porti via, guarda!
Zio Brasi.
Senti, senti Pippuzza, cerchiamo di far negozio anche noi. Vieni qua, a casa mia. (la conduce nella prima stradicciuola a sinistra)
Gnà Nunzia.
(a Santuzza).
Parla dunque! Che sai di mio figlio Turiddu?
Santuzza.
Niente so.
Gnà Nunzia.
Dov’è stato questa notte, che non è tornato a casa?
Santuzza.
(scoppiando a piangere col viso nella mantellina).
Ah, gnà Nunzia! che chiodo c’è qui dentro nel mio cuore!
Gnà Nunzia.
Dunque lo sai dov’è stato Turiddu?
Compar Alfio.
(dalla prima stradicciuola a destra, con un fiasco in mano).
Che ne avete ancora di quello buono da sei soldi, gnà Nunzia?
Gnà Nunzia.
Vado a vedere. Turiddu doveva portarne oggi da Francofonte.
Compar Alfio.
Vostro figlio Turiddu è ancora qui. L’ho visto stamattina. Non ha il berretto rosso di bersagliere?
(Comare Camilla si affaccia di nuovo sulla terrazza.)
Santuzza.
(levando il fiasco di mano a compare Alfio e dandolo alla gnà Nunzia).
Intanto andate a vedere se ce n’è ancora. (la gnà Nunzia rientra nella bettola)
Compar Alfio.
Si capisce che siete di casa, ormai, comare Santa.
Comare Camilla.
Siete venuto a far la Pasqua colla gnà Lola vostra moglie, compar Alfio?
Compar Alfio.
Sì, almeno le feste principali.
Zia Filomena.
(dall’uscio, colla mantellina sul braccio, a comare Camilla).
Che non ci venite a messa voi?
Zio Brasi.
(accorrendo dalla sinistra).
Viene! viene! O compar Alfio, che potete pigliarlo un viaggio per Militello?
Compar Alfio.
S’è per domani, sì, zio Brasi. Oggi son venuto a far la Pasqua a casa mia.
Zia Filomena.
“Il Carnevale fallo con chi vuoi. Pasqua e Natale falli con i tuoi. „
Comare Camilla.
(a compar Alfio).
E vostra moglie, che vi vede soltanto a Pasqua e a Natale, cosa dice?
Compar Alfio.
Io non lo so, cosa dice. Questo è il mio mestiere, comare Camilla. Il mio mestiere è di fare il vetturale e di andare sempre in viaggio di qua e di là.
Gnà Nunzia.
(ritornando col fiasco colmo e colla mantellina ripiegata, che lascia sul panchetto della verdura).
È meglio di quell’altro, compar Alfio; me lo direte poi, quando l’avrete bevuto, buon prò vi faccia. Diciotto soldi.
Zia Filomena.
Non è bene quello che avete detto, compar Alfio; chè avete la moglie giovane.
Compar Alfio.
Mia moglie sa che la berretta la porto a modo mio; (battendo sulla tasca del petto) e qui ci porto il giudizio per mia moglie, e per gli altri anche, (due carabinieri in tenuta escono dalla caserma e si allontanano pel viale della chiesa) — I miei interessi me li guardo io, da me, senza bisogno di quelli del pennacchio. E in paese tutti lo sanno, grazie a Dio! (suona la messa una seconda volta).
Zia Filomena.
(facendosi il segno della croce).
Lontano sia! (chiude l’uscio a chiave, e si mette la mantellina in capo, avviandosi verso la chiesa)
Comare Camilla.
Vengo anch’io, vengo anch’io, zia Filomena. (via dalla terrazza)
Zia Filomena
(a compare Alfio).
Piuttosto andate a dire a vostra moglie che suona la messa, scomunicato!
Compar Alfio.
Corro a governare le mie bestie, e vado a dirglielo. Non dubitate, son cristiano anch’io.
Gnà Nunzia.
(a compare Alfio).
Diciotto soldi.
Compar Alfio.
Vengo, vengo, pittima! Lasciatemi contare i denari.
Comare Camilla.
(dalla prima stradicciuola a sinistra, con la mantellina In capo, va a dare la chiave a suo marito).
Eccovi la chiave, se mai. E voi non venite al solito quando stanno per terminare le funzioni in chiesa, (via verso la chiesa colla zia Filomena).
(Lo zio Brasi rientra nello stallatico. Dell’altra gente attraversa la piazzetta alla spicciolata per andare in chiesa.
Compar Alfio
(alla gnà Nunzia).
E diciotto, a voi! Buon pro vi facciano.
(s’avvia per andarsene dond’è venuto).
Gnà Nunzia.
O dove l’avete visto mio figlio Turiddu, compar Alfio?
Santuzza
(piano, dandole una strappata alla veste).
Non gli dite nulla, per carità!
Compar Alfio
(tornando indietro).
L’ho visto dalle mie parti, all’alba, mentre arrivavo a casa mia. Egli andava correndo, come avesse fretta, e non si accorse di me. Volete che ve lo mandi, se l’incontro?
Gnà Nunzia.
No, no. (compar Alfio via. A Santuzza). Perchè mi hai fatto segno di star zitta?
(Santuzza non risponde e china il capo.)
Gnà Nunzia.
Ah!... Cosa ti salta in mente?
Santuzza.
(celandosi il viso nel grembiale, e scoppiando in lagrime).
Ah, gnà Nunzia!
Gnà Nunzia.
(stupefatta).
La gnà Lola?... La moglie di compar Alfio?...
Santuzza.
Come farò adesso che Turiddu mi abbandona?...
Gnà Nunzia.
O poveretta me! Cosa mi vieni a dire!... Non può essere; ti sbagli; compar Alfio si sbaglia anche lui!... Poi ci sono tanti che hanno il berretto rosso di bersagliere....
Santuzza.
No, non si sbaglia compar Alfio. Era lui, Turiddu!
Gnà Nunzia.
Come lo sai?
Santuzza.
Lo so.... Compare Turiddu, prima d’andar soldato.... si parlavano colla gnà Lola.
Gnà Nunzia.
Bè! Poi al suo ritorno la trovò maritata con compar Alfio di Licodiano, e si mise il cuore in pace.
Santuzza.
Ma essa no! Essa non se lo mise il cuore in pace.
Gnà Nunzia.
O come sai quest’altra cosa?
Santuzza.
Lo so, che si affacciava ogni volta, quando lo vedeva passare dinanzi la mia porta, e me lo rubava cogli occhi quella scomunicata! e cercava di attaccar discorso con lui anche! — Compare Turiddu, che ci venite a fare da queste parti? Non lo sapete che non ci fu la volontà di Dio? Ora lasciatemi stare che son di mio marito. — La volontà di Dio era per tentarlo! Egli si metteva a cantare sotto la mia finestra per far dispetto a lei che s’era maritata con un altro. Tanto è vero che l’amore antico non si scorda più. Io come lo sentivo cantare, quel cristiano, sembrava che il cuore mi scappasse via dal petto. Ero pazza, sì! Come potevo dir di no quand’egli mi pregava: — Apri, Santuzza, s’è vero che mi vuoi bene!... — Come potevo? Allora gli dissi: — Sentite, compare Turiddu, giuratemi innanzi a Dio, prima! — Egli giurò. Dopo, come lo seppe lei, quella mala femmina, diventò gelosa a morte; e si mise in testa di rubarmelo. Mi cambiò Turiddu di qua a qua (col gesto della mano). Egli nega, perchè gli faccio compassione; ma d’amore non mi ama più!... Ora che sono in questo stato.... che i miei fratelli quando lo sapranno m’ammazzano colle sue mani stesse! Ma di ciò non m’importa. Se Turiddu non volesse bene a quell’altra, morirei contenta. Ieri sera venne a dirmi: — Addio, vado, per un servizio. — Colla faccia tanto buona! Signore! com’è possibile avere in core il tradimento di Giuda con quella faccia? Più tardi una vicina che veniva pel filato mi disse di aver visto compare Turiddu lì dalle nostre parti, dinanzi all’uscio della gnà Lola.
Gnà Nunzia
(facendosi la croce).
O figlia di Dio, cosa mai vieni a contarmi la santa giornata ch’è oggi!...
Santuzza.
Ah! che giornata spuntò oggi per me, gnà Nunzia!
Gnà Nunzia.
Senti, va a buttarti ai piedi del Crocifisso.
Santuzza.
No, in chiesa non ci posso andare, gnà Nunzia.
Gnà Nunzia.
(spiegando la mantellina e mettendosela sul capo).
Le funzioni sacre non voglio perderle anch’io però.
Santuzza.
Voi andateci, chè vi terrò d’occhio la bottega.... Non temete, non sono ladra anche!
Gnà Nunzia.
Ma che vuoi fare?
Santuzza.
Non lo so. L’aspetterò qui (accennando la panca accanto all’uscio). come una poveretta di limosina.
Gnà Nunzia.
Qui? in casa mia?
Santuzza.
Non dubitate, in casa non entrerò. Non mi scacciate anche dalla porta, gnà Nunzia, se volete fare come il Signore misericordioso, che andate a pregare in chiesa. Lasciatemi qui, vi dico! Lasciate che parli con lui quest’ultima volta, per l’anima dei vostri morti!
Gnà Nunzia.
(s’avvia verso la chiesa brontolando).
O Signore, pensateci voi!
Zio Brasi
(accorrendo dallo stallatico).
Aspettate, aspettate, gnà Nunzia; noi che abbiamo bottega aperta e arriviamo sempre gli ultimi, (la gnà Nunzia è andata via. — Lo zio Brasi a Santuzza). Ah, voi non andate neppure alle funzioni di Pasqua, comare Santa? Volete che recitiamo insieme il santo rosario?
Santuzza.
Lasciatemi stare.
Zio Brasi
Eh!... che non vi mangio, diavolo!... Come se non si sapesse....
Santuzza.
Lasciatemi stare.
Pippuzza.
(dalla prima viottola a sinistra, affannata).
Che ci arrivo alle funzioni, zio Brasi?
Zio Brasi.
Se corri, ci arrivi. (Pippuzza via. — Lo zio Brasi a Santuzza). Vedete, io faccio come il campanaro, che chiama la gente in chiesa, ma lui se ne sta fuori, (guardando verso la viottola in fondo, a destra). Ah! ecco perchè volevate che vi lasciassi stare!... Eccolo il merlo.... Ora me ne vado anch’io.... (via verso la chiesa).
SCENA II.
Turiddu Macca in fretta dalla viottola in fondo a destra e Santuzza che balza in piedi al vederlo.
Tauriddu.
Oh, Santuzza!... che fai qui?
Santuzza.
Vi aspettavo.
Tauriddu.
Dov’è mia madre?
Santuzza.
È andata in chiesa.
Turiddu.
Allora vacci anche tu: che qui ci abbado io.
Santuzza.
No, non ci vado in chiesa.
Tauriddu.
Il giorno di Pasqua!
Santuzza.
Lo sapete che non posso andarci.
Turiddu.
Allora cosa vuoi fare?
Santuzza.
Voglio parlarvi.
Turiddu.
Qui? In mezzo alla strada?
Santuzza.
Non me ne importa.
Turiddu.
La gente che può vederci!
Santuzza.
Non me ne importa.
Tauriddu.
Che hai?
Santuzza.
Ditemi donde venite.
Tauriddu.
Oh, oh! Che vuol dire questa cosa?
Santuzza.
Dove siete stato questa notte?
Tauriddu.
Ah! devo dire dove sono stato?
Santuzza.
Perchè andate in collera se vi domando dove siete stato? Non me lo potete dire?
Tauriddu.
Sono stato a Francofonte, sono stato.
Santuzza.
Non è vero. Ieri sera a due ore di notte eravate ancora qui.
Turiddu.
Allora sono stato dove mi pare e piace.
Santuzza.
(lasciandosi cadere la mantellina sulle spalle).
O compare Turiddu, perchè mi trattate in tal modo? Non mi vedete in faccia? Non vedete che piglio morte e passione?
Turiddu.
Colpa tua; che ti sei messa in capo non so che cosa; e vai a svergognarmi con questo e con quello; e a spiare dei fatti miei, come se fossi ancora un ragazzo; e non sono più padrone di fare ciò che voglio?
Santuzza.
No, non sono andata a domandare. L’hanno detto qui, or ora, che vi hanno visto all’alba sull’uscio della gnà Lola.
Turiddu.
Chi l’ha detto?
Santuzza.
Compar Alfio stesso, suo marito.
Turiddu.
Lui! Ah, è questo il grande amore che mi porti? che vai a mettere di queste pulci nell’orecchio di compar Alfio? e risichi di farmi ammazzare?
Santuzza.
(cadendo ginocchioni a mani giunte).
Ah! compare Turiddu, come potete dirlo?
Turiddu.
Alzati, non mi fare la commedia! Alzati io me ne vado.
Santuzza.
(rialzandosi lentamente).
Ah, ora ve ne andate? Ora che mi lasciate come Maria Addolorata?
Turiddu.
Cosa vuoi che faccia se non credi più alle mie parole? A ciò che ti dicono gli altri invece, sì, ci credi! Non è vero niente, ti ripeto. Compar Alfio ha sbagliato. Andavo pei fatti miei. Guarda, ti sei messa in capo questa storia della gnà Lola, giusto quando c’è qui in paese suo marito! Vedi quanto sei sciocca?
Santuzza.
Suo marito è giunto stamattina soltanto.
Turiddu.
Ah, sai anche cotesto? Brava! Mi fai la spia in tutto e per tutto! Non sono più padrone di nulla!
Santuzza.
Sì, compare Turiddu, siete padrone di scannarmi colle vostre mani stesse come un agnello, se volete; che vi leccherei le mani come un cane.
Turiddu.
O dunque?
Santuzza.
Ma la gnà Lola, no, vedete! Quella li mi vuol far dannare l’anima.
Turiddu.
Lascia stare la gnà Lola ch’è per casa sua.
Santuzza.
E lei perchè non mi lascia stare, me? Perchè mi vuol rubare voi, che non ho altro?
Turiddu.
Bada che ti sbagli.
Santuzza.
No, che non mi sbaglio! Non le correvate dietro prima d’andar soldato?
Turiddu.
Acqua passata! Ora la gnà Lola è maritata per casa sua.
Santuzza.
Che importa! Non le volete bene ancora, quantunque sia maritata? Ed essa non vi ha rubato a me per gelosia? E non mi sento qui dentro il fuoco per voi che mi tradite?
Turiddu.
Taci, taci.
Santuzza.
No, non posso tacere, che ho la rabbia canina in cuore! Ora come farò se voi mi abbandonate?
Turiddu.
Io non ti abbandono, se tu non mi metti colle spalle al muro. Ma te l’ho detto: voglio essere padrone di fare quel che mi pare e piace. Sinora, grazie a Dio, catena al collo non ne ho.
Santuzza.
Cosa intendete di dire?
Turiddu.
Intendo che sei una matta con questa gelosia senza motivo.
Santuzza.
Che colpa ci ho io? Vedete come son ridotta? La gnà Lola è meglio di me, lo so! Ha il collo e le mani cariche d’oro! Suo marito non le fa mancare nulla, e la tiene come la Madonna sull’altare, quella scomunicata!
Turiddu.
Lasciala stare!
Santuzza.
Vedete se la difendete?
Turiddu.
Non la difendo. A me non me ne importa se suo marito la tiene come la Madonna sopra l’altare. Quello che m’importa è di non passare per uno che non sia padrone di fare quello che gli pare e piace. Questo no!
SCENA III.
La Gnà Lola. dalla prima viottola a destra. Turiddu e Santuzza.
Gnà Lola.
Oh, compare Turiddu! Che l’avete visto andare in chiesa mio marito?
Turiddu.
Non so, comare Lola, arrivo in questo momento.
Gnà Lola.
Mi disse: vado dal maniscalco pel baio che gli manca un ferro, e subito ti raggiungo in chiesa. Voi, che state a sentirle di qua fuori le funzioni di Pasqua, facendo conversazione?
Turiddu.
Comare Santa qui, che stava dicendomi....
Santuzza.
Gli dicevo che oggi è giornata grande; e il Signore, di lassù, vede ogni cosa!
Gnà Lola.
E voi che non ci andate in chiesa?
Santuzza.
In chiesa ci ha da andare chi ha la coscienza netta, gnà Lola.
Gnà Lola.
Io ringrazio Iddio, e bacio in terra (si china a toccare il suolo colla punta delle dita, che poscia si reca alle labbra).
Santuzza.
Ringraziatela, gnà Lola, quand’è così. Chè alle volte si dice: “Quello, nella terra su cui posa i piedi, non è degno di metterci il viso".
Turiddu.
Andiamo via, gnà Lola, che qui non abbiamo nulla da fare.
Gnà Lola.
Non v’incomodate per me, compare Turiddu, che la strada la so coi miei piedi, e non voglio guastare i fatti vostri.
Turiddu.
Se vi dico che non abbiamo nulla da fare!
Santuzza.
(trattenendolo per la giacchetta).
No, abbiamo da parlare ancora
Gnà Lola.
(via per andare in chiesa).
SCENA IV.
Turiddu e Santuzza.
Turiddu.
(furibondo)
Ah! vedi cosa hai fatto?
Santuzza.
Sì, lo vedo!
Turiddu.
L’hai fatto apposta dunque?
Santuzza.
Sì, l’ho fatto apposta!
Turiddu.
Ah! sangue di Giuda!
Santuzza.
Ammazzami.
Turiddu.
L’hai fatto apposta! l’hai fatto apposta!
Santuzza.
Ammazzami, non me ne importa, via!
Turiddu.
No, non voglio manco ammazzarti! (per andare).
Santuzza.
Mi lasci?
Turiddu.
Sì, questo ti meriti, (suona la campana dell’elevazione).
Santuzza.
Non mi lasciare, Turiddu! Senti questa campana che suona?
Turiddu.
Non voglio essere menato pel naso, intendi?
Santuzza.
Tu puoi camminarmi coi piedi sulla faccia. Ma essa, no!
Turiddu.
Finiamola! Me ne vado per troncare queste scenate!
Santuzza.
Dove corri?
Turiddu.
Dove mi pare.... Vado a messa.
Santuzza.
No, tu vai a far vedere alla gnà Lola che m’hai piantata qui per lei; che di me non t’importa!
Turiddu.
Sei pazza!
Santuzza.
Non ci andare, Turiddu! Non andare in chiesa a far peccato oggi! Non mi fare quest’altro affronto di faccia a quella donna.
Turiddu.
Tu piuttosto! Vuoi farmi l’affronto di mostrare a tutto il mondo che non son padrone di muovere un passo; che mi tieni sotto la tua scarpa come un ragazzo!...
Santuzza.
Che te ne importa di quel che dice lei, se non mi vuoi far morire disperata?...
Turiddu.
Sei pazza!
Santuzza.
Sì, è vero, son pazza! Non mi lasciare con questa pazzia in testa!
Turiddu.
(strappandosi da lei).
Finiamola ti dico! mannaggia!
Santuzza.
Turiddu! per questo Dio che scende nell’ostia consacrata adesso, non mi lasciare per la gnà Lola! (Turiddu via) Ah! mala Pasqua a te!
SCENA V.
Compar Alfio in fretta, dalla viottola in fondo a destra,
e Santuzza a metà della scena.
Santuzza.
Oh, il Signore che vi manda, compar Alfio!
Compar Alfio.
A che punto è la messa, comare Santa?
Santuzza.
Tardi arrivate. Ma vostra moglie c’è andata per voi con Turiddu Macca.
Compar Alfio.
Cosa volete dire?
Santuzza.
Dico che vostra moglie va attorno carica d’oro come la Madonna dell’altare, e vi fa onore, compare Alfio!
Compar Alfio.
Oh, a voi che ve ne importa?
Santuzza.
Me ne importa per voi che, mentre girate il mondo a buscarvi il pane e a comprar dei regali per vostra moglie, essa vi adorna la casa in altro modo!
Compar Alfio.
Cosa avete detto, comare Santa?
Santuzza.
Dico che mentre voi siete fuorivia, all’acqua e al vento, per amor del guadagno, comare Lola, vostra moglie, vi adorna la casa in malo modo!
Compar Alfio.
Pel nome di Dio, gnà Santa, che se siete ubbriaca di buon’ora la mattina di Pasqua, vi faccio escire il vino dal naso!
Santuzza.
Non sono ubbriaca, compar Alfio, e parlo da senno.
Compar Alfio.
Sentite! S’è la verità che m’avete detto, allora vi ringrazio, e vi bacio le mani, come se fosse tornata mia madre istessa dal camposanto, comare Santuzza! Ma se mentite, per l’anima dei miei morti! vi giuro che non vi lascerò gli occhi per piangere, a voi e a tutto il vostro infame parentado!
Santuzza.
Piangere non posso, compar Alfio; e questi occhi non hanno pianto neppure quando hanno visto Turiddu Macca che m’ha tolto l’onore, andare dalla gnà Lola vostra moglie!
Compar Alfio.
(tornando calmo tutto ad un tratto).
Quand’è così, va bene, e vi ringrazio, comare.
Santuzza.
Non mi ringraziate, no, chè sono una scellerata!
Compar Alfio.
Scellerata non siete voi, comare Santa. Scellerati son coloro che ci mettono questo coltello nel cuore, a voi e a me. Che se gli si spaccasse il cuore davvero a tutti e due con un coltello avvelenato d’aglio, ancora non sarebbe niente! Ora, se vedete mia moglie che mi cerca, ditele che vado a casa a pigliare il regalo pel suo compare Turiddu. (via dalla prima viottola a destra).
(La gente comincia a tornare dalla chiesa e si disperde a destra e a sinistra. Turiddu Macca, la gnà Lola, comare Camilla, la gnà Nunzia, la zia Filomena vengono avanti senza badare a Santuzza che resta verso la viottola in fondo a destra, imbacuccata nella mantellina. Solo lo zio Brasi, che viene l’ultimo, accorgendosi di lei)
Zio Brasi
O comare Santa, che va in chiesa quando non c’è più nessuno!
Santuzza.
Sono in peccato mortale, zio Brasi! (via verso la chiesa)
SCENA VI.
Lo Zio Brasi rientra un momento nello stallatico. Comare Camilla s’avvia a casa sua. La Zia Filomena mette la chiave nella toppa. La Gnà Nunzia entra nella bettola per togliersi la mantellina.
Turiddu.
(alla gnà Lola che s’avvia a casa anche lei).
Comare Lola, che ve ne andate così, senza dirci niente!
Gnà Lola.
Vado a casa perchè sono in pensiero per mio marito, che non l’ho visto in chiesa.
Turiddu.
Non ci pensate, che capiterà qui in piazza. Ora abbiamo a bere un dito di vino tutti qui, amici e vicini, alla nostra salute, e far la buona Pasqua, Qua, gnà Camilla! e anche voi, zia Filomena!
Zia Filomena
Vengo, vengo, (entra in casa a lasciare la mantellina e torna subito).
Gnà Lola.
Vi ringrazio, compare Turiddu, ma sete non ne ho.
Turiddu.
Non mi fate quest’affronto, comare!... Allora vuol dire che siete in collera con me?...
Gnà Lola.
Per qual motivo dovrei essere in collera con voi?
Turiddu.
Questo dico io: per qual motivo dovreste essere in collera con me che non vi ho fatto nulla?... E poi il giorno di Pasqua ha da essere come il bucato, se abbiamo dei torti l’un coll’altro. Ora manderemo a chiamare compar Alfio vostro marito, e ha da bere con noi lui pure.
Zio Brasi
(avvicinandosi)
Allegria! Allegria!
Comare Camilla.
A queste allegrie vi ci trovate sempre voi! (ripiega la mantellina e se la mette sul braccio).
Turiddu.
(chiamando verso l’interno della bettola).
O madre! Che ne avete ancora di quel buono?
Gnà Nunzia
(s’affaccia brontolando).
Sì, di quel buono che dovevi portar oggi da Francofonte!...
Turiddu.
Via, via, oggi ch’è Pasqua! Non mi fate il muso lungo anche voi. Vi spiegherò più tardi. Vedete gli amici qui che aspettano?
Zia Filomena
O gnà Nunzia, a questa vendita oggi non ci guadagnate nulla!
Turiddu.
Pago io, pago io coi miei denari! (la gnà Nunzia rientra).
Zio Brasi.
Chi ne ha ne spende!
Gnà Lola.
Chi sa quante ne avete fatte di queste galanterie colle donne di laggiù, fuorivia, mentre eravate soldato! Si vede che ci avete pratica!
Turiddu.
Ma che donne! ma che donne! Io la testa l’avevo sempre qui, al mio paese.
Comare Camilla.
Questa poi andate a contarla ai morti
Turiddu.
Parola mia, comare Camilla! I bersaglieri, sapete bene, sono come il miele per le donne.... con quelle piume. Bel moretto di qua, occhiate che volevano dire dall’altra parte.... Ma io non ero di quelli che, dice il dettato, Lontan dagli occhi, lontan dal cuore.
Gnà Lola.
O gli uomini! Chi li crede?
Turiddu.
Dite le donne, piuttosto! che prima vi fanno mille giuramenti; e poi, quando un povero diavolo se n’è andato lontano, che il cuore l’ha lasciato via, e la testa anche, e non mangia, e non dorme più, pensando sempre a una cosa, tutt’a un tratto gli arriva come una schioppettata la notizia: — Sai? la tale si marita! — Come se vi pigliasse un accidente!
Zia Filomena
Matrimoni e vescovati dal cielo destinati.
Gnà Lola.
Voi che ci credete? Che ci credete che pensano sempre a una cosa quando son via, in mezzo alle altre donne? e non le guardano neppure? Lo volete vedere che subito poi si mettono il cuore in pace colla prima che gli capita?
Turiddu.
Scusate, scusate....
Gnà Nunzia
(tornando col boccale e un bicchiere).
Di quello che c’è rimasto. Colpa sua!
Comare Camilla.
Allegria! Allegria!
Zio Brasi
Ora s’ha da berci su, come avete detto voi.
Turiddu.
L’ho detto e lo faccio. Voi, madre, che non ne volete?
Gnà Nunzia
No, non ne voglio. (rientra in casa brontolando).
Turiddu.
E in collera perchè so io.... Vecchi benedetti! che non si vogliono rammentare di quel che hanno fatto in gioventù! Alla vostra salute, gnà Lola! Voi, comare Camilla! Bevete, zio Brasi. Oggi vogliamo uccidere la malinconia.
SCENA VII .
Compar Alfio, dalla destra, Turiddu, lo Zio Brasi, la Gnà Lola, Comare Camilla e la Zia Filomena.
Compar Alfio.
Salute alla compagnia.
Turiddu.
Venite qua, compar Alfio, chè avete a bere un dito di vino con noi, alla nostra salute l’uno dell’altro. (colmandogli il bicchiere).
Compar Alfio.
(respingendo il bicchiere col rovescio della mano).
Grazie tante, compare Turiddu. Del vostro vino non ne voglio, che mi fa male.
Turiddu.
A piacer vostro. (butta il vino per terra e posa il bicchiere sul deschetto. Rimangono a guardarsi un istante negli occhi).
Zio Brasi
(fingendo che qualcuno lo chiami dalla stalla).
Vengo, vengo.
Turiddu.
Che avete da comandarmi qualche cosa, compar Alfio?
Compar Alfio.
Niente, compare. Quello che volevo dirvi lo sapete.
Turiddu.
Allora sono qui ai vostri comandi.
Gnà Lola.
Ma che volete dire?
Compar Alfio
(senza dar retta alla moglie e scostandola col braccio).
Se volete venire un momento qui fuori, potremo discorrere di quell’affare in libertà.
Turiddu.
Aspettatemi alle ultime case del paese, che entro in casa un momento a pigliare quel che fa bisogno, e son subito da voi. (si abbracciano e si baciano. Turiddu gli morde lievemente l’orecchio).
Compar Alfio.
Forte avete fatto, compare Turiddu! e vuol dire che avete buona intenzione. Questa si chiama parola di giovane d’onore.
Gnà Lola.
O Vergine Maria! Dove andate, compar Alfio?
Compar Alfio.
Vado qui vicino. Che te ne importa? Meglio sarebbe per te che non tornassi più
Zia Filomena
(s’allontana balbettando).
O Gesummaria!
Turiddu.
(chiamando in disparte compar Alfio).
Sentite, compar Alfio, come è vero Dio so che ho torto, e mi lascierei scannare da voi senza dir nulla. Ma ci ho un debito di coscienza con comare Santa, chè son io che l’ho fatta cadere nel precipizio; e quant’è vero Dio, vi ammazzerò come un cane, per non lasciare quella poveretta in mezzo alla strada.
Compar Alfio.
Va bene. Voi fate l’interesse vostro. (via dalla viottola in fondo a destra).
SCENA VIII.
Turiddu e la Gnà Lola.
Gnà Lola.
O compare Turiddu! In questo stato mi lasciate anche voi?
Turiddu.
Non ci ho più nulla a fare con voi. Adesso è finita fra noi due. Non avete visto che ci siamo abbracciati e baciati per la vita e per la morte con vostro marito? O madre.
Gnà Nunzia
(affacciandosi).
Che c’è ancora?
Turiddu.
Vado per un servizio, madre. Non ne posso fare a meno. Datemi la chiave del cancello, che esco dall’orto per far più presto. E voi, madre, abbracciatemi come quando sono andato soldato, e credevate che non avessi a tornar più, chè oggi è il giorno di Pasqua.
Gnà Nunzia
O che vai dicendo?
Turiddu.
Dico così, come parla il vino, che ne ho bevuto un dito di soverchio, e vado a far quattro passi per dar aria al cervello. E se mai.... alla Santa, che non ha nessuno al mondo, pensateci voi, madre. (entra in casa).
SCENA IX ed ultima.
La Gnà Nunzia attonita; la Gnà Lola in gran turbamento; Comare Camilla che fa capolino dalla cantonata; la Zia Filomena sull’uscio di casa; lo Zio Brasi presso la tettoia.
Gnà Nunzia.
O cosa vuol dire?
Zio Brasi
(accostandosi premuroso).
Gnà Lola, tornate a casa, tornate!
Gnà Lola.
(turbatissima).
Perchè devo tornare a casa?
Zio Brasi
Non sta bene in questo momento che vi troviate qui, in piazza! Se volete essere accompagnata.... Tu, Camilla, resta qui con comare Nunzia, se mai.
Zia Filomena
(avvicinandosi).
O Gesummaria! Gesummaria!
Gnà Nunzia
Ma dov’è andato mio figlio?
Comare Camilla.
(accostandosi all’orecchio di suo marito).
O ch’è stato?
Zio Brasi.
(piano).
Non hai visto, sciocca, quando gli ha morsicato l’orecchio? Vuol dire, o io ammazzo voi, o voi ammazzate me.
Comare Camilla.
O Maria Santissima del pericolo!
Gnà Nunzia
(sempre di più in più smarrita).
Ma dov’è andato mio figlio Turiddu? Ma che vuol dire tutto questo?
Gnà Lola.
Vuol dire che facciamo la mala Pasqua, gnà Nunzia! E il vino che abbiamo bevuto insieme ci andrà tutto in veleno!
Pippuzza
(accorre dal fondo gridando).
Hanno ammazzato compare Turiddu! Hanno ammazzato compare Turiddu!
(Tutti corrono verso il fondo, vociando; la gnà Nunzia colle mani nei capelli, fuori di sè. Due carabinieri attraversano correndo la scena.)
Cala la tela