Appunti sul metodo della Divina Commedia/Perché Dante sembra subito bello
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APPUNTI SUL METODO
DELLA DIVINA COMMEDIA
Contro quelli che affermano che non sì può dir più niente di nuovo della Divina Commedia. Se due luci sono proiettate sopra uno stesso oggetto producono due ombre.
Dal libretto di Leo, 1926.
PERCHÈ DANTE
SEMBRA SUBITO BELLO
La bellezza di Dante è una di quelle che fanno un’impressione immediata su tutti. (Per i secoli contrari è lo stesso al contrario).
«Conobbi il tremolar della marina»
«La gran variazion dei freschi mai»
tutti se ne accorgono a colpo che sono belli, mentre:
«Parce que elle était très lourde ils la
portèrent alternativement.»
o i versi del Petrarca, ci vuol riflessione, studio, esperienza, per vedere che sono belli. Questo fatto, data la complessità di pensiero e di intenzione della Divina Commedia, resta abbastanza strano. Darei queste soluzioni: VARIETÀ
DELLA
MATERIA
Ognuno vi trova un po’ quello che gli bisogna, data la varietà della materia. Ciò provoca sorpresa, scossa, stupore. Viva, profonda, colorita, appassionata la Divina Commedia tocca mille corde, si indirizza a tutti. C’è in essa di che sedurre i poeti, i filosofi, gli eruditi, ma anche le donne, gli adolescenti, i popolani.
In un’opera che riassume e condensa la filosofia, la religione, la scienza, le arti del suo tempo, nessuna «idea fatta», nessuna concessione alla moda dell’epoca, nessuna immagine, nessun sentimento di convenzione. Tutto è vivo, individuale, fresco, umano.
Il suo fondamento è la religione, cioè un sentimento universale, un’aspirazione profonda, eterna dell’animo; e la religione cattolica, la più universale delle religioni. Ma accanto alla religione abbiamo la scienza, la morale, la politica, la teologia, la storia, la filosofia, l’ironia, l’arte, i tramonti, le aurore, l’amore, il sogno, la nostalgia, l’odio, l’ira.
E l’autore non descrive impassibile come un dio, ma in tutto prende un’attitudine, giudica, discute, approva, disapprova. Questo è molto importante.
Fra i filosofi e i poeti in tutti i tempi e in tutte le società ha fiorito un genere speciale di pensatori, che san scrivere meglio dei filosofi, e san pensare — cioè esprimere le idee astratte — meglio dei poeti. Questi artisti dell’idea sono in genere più potenti, più pericolosi o più utili a una società perchè parlano a un pubblico più vasto. A essi pensiamo quando cerchiamo il simbolo di una epoca, non ai filosofi che han trovato delle verità immortali e universali. Perchè per il pubblico un’attitudine ha più importanza di un sistema.
Dante è il più grande di questi. Dante che ha preso come tema il giudizio universale e che giudica non solo gli uomini del tempo passato, ma i contemporanei, osando ergersi contro papi, imperatori e falsi predicatori.
Dante ha una formula, un’attitudine. Egli esprime una maniera di sentire, di vivere; egli definisce quello che è particolarmente degno di amore, di sdegno, di odio, di invidia, di castigo; egli presenta agli uomini che sono pronti a prenderla per conto loro «una attitudine» davanti a un mondo in cui tutto è arbitrario.
Tutto il mondo fisico, meccanico, astronomico, umano, filosofico, teologico, morale del tempo di Dante è qui rispecchiato in modo fresco, vivo, moderno. Vi troviamo:
immagini facete:
«Onde Beatrice, ch’era un poco scevra,
Ridendo, parve quella che tossio
3Al primo fallo scritto di Ginevra»
Paradiso, XVI, 13-15
«Allor fec’io come color che vanno
Con cosa in capo non da lor saputa,
3Se non che i cenni altrui suspicar fanno;
Per che la mano ad accertar s’aiuta,
E cerca e truova, e quell’ufficio adempie,
6Che non si può fornir per la veduta.»
Purgatorio, XII, 127-132
immagini prosaiche:
«Non altrimenti i cuochi a’ lor vassalli
Fanno attuffare in mezzo la caldaia
3La carne con gli uncin, perchè non galli.»
Inferno, XXI, 55-57
scene mondane:
«Donne mi parver non da ballo sciolte,
Ma che s’arrestin tacite, ascoltando,
3Fin che le nuove note hanno ricolte.»
Paradiso, X. 79-81
«Come si volge con le piante strette
A terra ed intra sé donna che balli,
3E piede innanzi piede appena mette»
Purgatorio. XXVIII, 52-54
«Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera che cavalchi,
3E va per farsi onor del primo intoppo»
Purgatorio, XXIV, 94-96
scene popolari, giuochi sportivi:
«Quando si parte il gioco della zara,
Colui che perde si riman dolente,
3Ripetendo le volte, e tristo impara;
Con l’altro se ne va tutta la gente;
Qual va dinanzi, e qual diretro il prende,
6E qual da lato gli si reca a mente.
Ei non s’arresta, e questo e quello intende;
A cui porge la man, più non fa pressa:
9E così dalla calca si difende»
Purgatorio, VI, 1-9
«....E parve di coloro
Che corrono a Verona il drappo verde
3Per la campagna; e parve di costoro
Quegli che vince, e non colui che perde.»
Inferno, XV, 121-124
immagini famigliari, madri, spose e bambini in tutte le pose:
«O fortunate! e ciascuna era certa
Della sua sepoltura; ed ancor nulla
3Era per Francia nel letto deserta.
L’una vegghiava a studio della culla,
E consolando usava l’idioma
6Che pria li padri e le madri trastulla:
L’altra, traendo alla rocca la chioma,
Favoleggiava con la sua famiglia
9De’ Troiani e di Fiesole e di Roma.»
Paradiso, XV, 118-126
«Volsimi alla sinistra col respitto,
Col quale il fantolin corre alla mamma,
3Quando ha paura, o quando egli è afflitto»
Purgatorio, XXX, 43-45
«E quella, come madre che soccorre
Subito al figlio pallido ed anelo
3Con la sua voce, che il suol ben disporre»
Paradiso, XXII, 4-6
«E come fantolin, che inver la mamma
Tende le braccia, poi che il latte prese,
3Per l’animo che infin di fuor s’infiamma»
Paradiso, XXIII, 121-123
«Così la madre al figlio par superba,
Com’ella parve a me....»
Purgatorio, XXX, 79-80
«La cieca cupidigia, che v’ammalia,
Simili fatti v’ha al fantolino,
3Che muor di fame e caccia via la balia.»
Paradiso, XXX, 139-141
pacate scene campestri:
«Maggiore aperta molte volte impruna,
Con una forcatella di sue spine,
3L’uom della villa, quando l’uva imbruna»
Purgatorio, IV, 19-21
movimentate scene artigianali:
«Quale nell’arzanà de’ Viniziani
Bolle l’inverno la tenace pece,
3A rimpalmar li legni lor non sani,
Che navicar non ponno; e in quella vece
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
6Le coste a quel che più viaggi fece;
Chi ribatte da proda e chi da poppa;
Altri fa remi, ed altri volge sarte;
9Chi terzeruolo ed artimon rintoppa...»
Inferno, XXI, 7-15
sentenze passate in proverbio:
«Però giri fortuna la sua ruota,
Come le piace, e il villan la sua marra»
Inferno, XV, 95-95
«Non v’accorgete voi, che noi siam vermi,
Nati a formar l’angelica farfalla....»
Purgatorio, X, 124-125
«O creature sciocche,
Quanta ignoranza è quella che v’offende!»
Inferno, VII, 70-71
«Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
Sta, come torre, fermo, che non crolla
3Giammai la cima per soffiar de’ venti!»
Purgatorio, V, 13-15
immagini psicofisiologiche sul sonno e sui sogni, veri freudismi:
«Che mi sooss’io, siccome dalla faccia
Mi fuggio ’l sonno; e diventai smorto,
3Come fa l’uom che spaventato agghiaccia.»
Purgatorio, IX,40-42
«Lo Duca mio, che mi potea vedere
Far sì com’uom che dal sonno si slega,
3Disse: «Che hai, che non ti puoi tenere?
Ma se’ venuto più che mezza lega
Velando gli occhi, e con le gambe avvolte,
6A guisa di cui vino o sonno piega?»
Purgatorio, XV, 118-123
«E come al lume acuto si dissonna
Per lo spirto visivo, che ricorre
3Allo splendor che va di gonna in gonna,
E lo svegliato ciò che vede abborre
(Sì nescia è la sua subita vigilia)
6Fin che la stimativa noi soccorre....»
Paradiso, XXVI, 70-75
«E quale è quei, che suo dannaggio sogna,
Che sognando desidera sognare,
3Sì che quel ch’è, come non fosse, agogna....»
Inferno, XXX, 136-138
«Quale è colui che somniando vede,
E dopo il sogno la passione impressa
3Rimane, e l’altro alla mente non riede....»
Paradiso, XXXIII, 58-60
«Ruppe mi l’alto sonno nella testa
Un greve tuono, sì ch’io mi riscossi
3Come persona che per forza è desta;
E l’occhio riposato intorno mossi....»
Inferno, IV, 1-4
«Come si frange il sonno, ove di butto
Nuova luce percuote il viso chiuso,
3Che fratto guizza, pria che muoia tutto....»
Purgatorio, XVII, 40-42
immagini filosofiche profonde, personali:
«Non è il mondan rumore altro che un fiato
Di vento, ch’or vien quinci ed or vien quindi,
3E muta nome, perchè muta lato.
Che fama avrai tu più, se vecchia scindi
Da te la carne, che se fossi morto
6Innanzi che lasciassi il «pappo» e il «dindi»
Pria che passin mill’anni?»
Purgatorio, XI, 100-106
immagini puramente fisiche, meccaniche:
«....Rompeo
Sè per sè stessa, a guisa d’una bulla
Cui manca l’acqua, sotto qual si feo....»
Purgatorio, XVII, 31-33
«Ben sai come nell’aere si raccoglie
Quell’umido vapor, che in acqua riede
3Tosto che sale dove il freddo il coglie....»
Purgatorio, V, 109-111
introspezioni profonde, veri proustismi:
«Nell’ora che comincia i tristi lai
La rondinella presso la mattina
3... e che la mente nostra pellegrina
Più dalla carne e men dai pensier presa
Alle sue vision quasi è divina»
Purgatorio, IX, 13-18
«La turba, che rimase lì, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno
3Come colui che nuove cose assaggia»
Purgatorio, II, 52-54
«Poi come gente stata sotto larve,
Che pare altra che prima se si sveste
3La sembianza non sua in che disparve»
Paradiso, XXX, 91-93
«Ma sì com’egli avvien, se un cibo sazia
E d’un altro riman ancor la gola,
3Che quel si chere, e di quel si ringrazia»
Paradiso, III, 91-93
Tutti gli animali del creato, anche quelli immaginari, appaiono nei versi di Dante; non solo «i maggiori, quelli che hanno apparenza umana, spirito di pecora e d’altra bestia abbominevole» ma pur li minori: biscie, pesci, rane, ranocchi, tafani, api, lucciole, scorpioni, ragni, formiche, pulci, ecc. Tutte le terre d’Italia, mari, monti, golfi, colli, sono rammentate nella Divina Commedia, e ciascuna coi suoi attributi; ora fisici:
«Come fa l’onda là sovra Cariddi,
Che si frange con quella in cui s’intoppa»
Inferno, VII, 22-23
ora morali:
«Siede la terra, dove nata fui,
Sulla marina dove il Po discende
3Per aver pace co’ seguaci sui.»
Inferno, V, 97-99
ora politici:
«Sì come a Pola presso del Quannaro,
Che Italia chiude e i suoi termini bagna».
Inferno, IX, 113-114
ora naturali:
«Intra Tupino e l’acqua che discende
Dal colle eletto del beato Ubaldo,
3Fertile costa d’alto monte pende,
Onde Perugia sente freddo e caldo
Da Porta Sole; e diretro le piange
6Per breve giogo Nocera con Gualdo.»
Paradiso, XI, 43-48
ora storici e naturali insieme:
«Suso in Italia bella giace un laco
Appiè dell’Alpi, che serran Lamagna,
3Sovra Tiratili, ed ha nome Benaco.
Per mille fonti e più, credo, si bagna,
Tra Garda e Val Camonica, Pennino
6Dell’acqua, che nel detto lago stagna.
Luogo è nel mezzo là, dove il trentino
Pastore, e quel di Brescia, e il veronese
9Segnar patria, se fosse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
12Ove la riva intorno più discese.
Ivi convien che tutto quanto caschi
Ciò che in grembo a Benaco star non può;
15E fassi fiume giù pe’ verdi paschi.
Tosto che l’acqua a correr mette co’,
Non più Benaco, ma Mincio si chiama
18Fino a Governolo, ove cade in Po.
Non molto ha corso, che trova una lama,
Per la qual si distende, e la impaluda;
21E suol di state talora esser grama.
Quindi passando la vergine cruda
Vide terra nel mezzo del pantano
24Senza coltura, e d’abitanti nuda.
Lì per fuggire ogni consorzio umano,
Ristette co’ suoi servi a far sue arti,
27E visse, e vi lasciò suo corpo vano.
Già uomini poi, che intorno erano sparti,
S’accolsero a quel luogo, ch’era forte
30Per lo pantan, ch’aveva da tutte parti.
Fêr la città sovra quell’ossa morte.
E per colei, che il luogo prima elesse,
33Mantova rappellair senz’altra sorte.»
Inferno, XX, 61-93
ORIGINE IMMAGINI DANTESCHE
Se considero la moltitudine, l’aderenza e lo splendore delle immagini di Dante, mi sento, alle volte, il diritto di supporre un rovesciamento di metodo, che il pubblico giudicherà, non so perchè, arrischiato, ma che avrà forse il consenso dei poeti. Io mi domando dunque, se Dante non abbia concepito spesso la cosa in base all’immagine, piuttosto che l’immagine in base alla cosa; se Dante, cioè, non abbia, mentre spendeva la vita a raggranellare immagini per rendere le cose, messo in granaio una buona raccolta di immagini eventuali che hanno poi, al momento opportuno, provocato la genesi della cosa relativa.
Non escludo con questo che Dante si sia spesso tenuto al processo diretto, ma mi sento di supporre che talvolta abbia proceduto al rovescio, e mi chiedo se non è proprio in questo caso che è stato più forte: perchè se può esserci qualche crepa in un’immagine concepita in base alla cosa, deve esserci assoluta aderenza tra immagine e cosa, quando l’immagine è stata concepita prima. 1
E non si dica che questi sono mezzi da poeta di quattro soldi; perchè a capire che una cosa della realtà può diventare immagine per un’altra cosa, anche se quest’altra non s’è ancora trovata, ci vuole tant’occhio quanto a scoprir l’immagine per una cosa che si vuol dipingere, e che c’è. Anzi, direi che a questo procedimento non può arrivare che un poeta in istato di grande allenamento, mentre al procedimento diritto arrivano, chi più chi meno alto, tutti i borghesi che discorrono. Perchè, se si considera attentamente il travaglio interiore di un poeta che lavora a un poema come la Divina Commedia, ci si domanda piuttosto come potrebbe non succedere il fenomeno che ho detto or ora.
Le immagini, neanche ai geni, non piovono dal cielo. (Suppongo che questo sia il convincimento dei borghesi, i quali, per non aver mai avuto possibilità poetiche, non riescono a dare a questo mistero una spiegazione ragionevole, e non ammettendo che altri abbia qualità umane che essi non hanno, cercano di togliere al poeta ogni merito e serietà concedendogli delle ispirazioni divine).
In verità le immagini, come tutto il materiale, vengono ai poeti che le cercano.
Ora, per riuscire a condensare nel suo poema una così varia, profonda e splendente moltitudine di immagini, Dante aveva dovuto orientare a questa continua ricerca tutto il suo intelletto, da mane a sera, fino a trasformare questo orientamento, provocato dalla volontà, in un istinto irragionevole. Perchè nessuna persona sensata può credere che immagini di quella mole gli venissero a tavolino, al momento buono, e con tanta abbondanza.
Ma non è nemmeno lecito supporre che un poeta istradato a trovare, non solo nelle cose naturali, ma anche nei fuggitivi impalpabili moti del pensiero, perennemente immagini, orientato a vedere in ogni aspetto della realtà quello simbolico, e in ogni faccia del mondo un senso di schiavitù artistica ai suoi concetti personali, per associazione di idee non sia arrivato a concepire un’immagine che non aveva ancora la cosa relativa nella sua mente, e, se l’immagine lo seduceva, a trovargliela. Quando si contempla con quella splendida cupidigia, il mondo materiale e l’umano appaiono tutti una concatenata combinazione di simboli, sulla quale il pensiero scivola senza potersi fermare, fino a che s’è perso nel sogno insensato. Non c’è quindi poeta che possa sottrarsi a certe leggi, come l’associazione di idee, e a una certa avarizia, che gli fa ammucchiare gelosamente la sua sostanza dorata. Questo è necessario perchè diventi poeticamente ricco.
Notare che Dante è il primo (l’unico?) che adopera per rendere l’idea di un fatto fisico delle similitudini tratte dal morale. (Ciò è possibile solo a uno scrittore uso alle introspezioni).
«Al mondo non fur mai persone ratte
A far lor prò, ed a fuggir lor danno,
3Com’io, dopo cotai parole fatte.»
Inferno, II, 109-111
(la rapidità di una decisione morale è adoprata per esprimere la rapidità materiale con cui Beatrice si muove per soccorrere Dante).
«E mai non furon strenne,
Che fosser di piacere a queste uguali.»
Purgatorio, XXVII, 119-120
«E qual’è il trasmutare, in picciol varco
Di tempo, in bianca donna, quando il volto
3Suo si discarchi di vergogna il carco....»
Paradiso, XVIII, 64-66
(l’impallidire della donna pudica è adoperato per indicare la rapidità con cui Dante è materialmente trasportato in un’altra stella).
Analogamente Dante è il primo (l’unico?) che usi delle similitudini tratte dal mondo celeste per le cose umane:
«E come il volger del ciel della luna
Cuopre e discuopre i liti senza posa,
3Così fa di Fiorenza la fortuna.»
Paradiso, XVI, 82-84
(la luna immagine celeste l’adopera per le cose umane) mentre per le cose celesti adopera immagini umane:
«Come in peschiera ch’è tranquilla e pura
Traggono i pesci a ciò che vien di fuori,
3Per modo che lo stimin lor pastura,
Sì vid’io ben più di mille splendori...»
Paradiso, V, 100-104
Il movimento degli splendori è paragonato all’accorrere dei pesci.
Note
- ↑ Questo appunto è preso da un articolo di Leo pubblicato in Solaria, 1928, ma sul suo Diario 1926 sta scritto: «Questo m’è venuto in mente lucidando la baionetta con dell’acido e vedendo come la lama a poco a poco si riempiva di mondo, illuminandosi. Io mi son detto: Questo potrebbe servire per un’immagine del Paradiso. Poi ho pensato: Perchè Dante non avrebbe fatto così?