Antigone (Alfieri)/Atto secondo
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ANTIGONE TRAGEDIA.
ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
CREONTE, EMONE.
- Creonte.
MA che? Sol tu nella mia gioja, o Figlio,
Mesto ti stai? Di Tebe alfin sul Trono
Vedi ’l tuo Padre; e tuo retaggio farsi
Questo mio Scettro: onde i lamenti? Duolti
D’Edippo forse, o di sua Stirpe rea? 5
- Emone.
E ti parria delitto aver pietade
D’Edippo, e di sua Stirpe? A me non fia
Nel dì funesto, in cui v’ascendi, il Trono
Di così lieto augurio, onde ogni strada
Chiuda al dolor. Tu stesso un dì potresti 10
Pentito pianger l’acquistato Regno.
- Creonte.
I’ piangerò, se pianger dessi, il lungo
Tempo, che a’ rei Nepoti, infami Figli
Del delitto obbedii: ma se l’orrendo
Lor nascimento con più orrenda morte 15
Emendat’hanno, eterno oblio li copra.
Compiuto appena il lor destin, più puro
In Tebe il Sol, l’aer più sereno, i Numi
Tornar più miti: or sì sperar ne giova
Più lieti dì.
- Emone.
Tra le rovine, e il sangue 20
De’ più stretti Congiunti ogn’altra speme,
Che di dolor, fallace torna. Edippo,
Di Tebe un Rè (che tale egli è pur sempre)
Di Tebe un Rè, ch’esul, ramingo, cieco
Spettacol nuovo a tutta Grecia appresta: 25
Duo Fratelli, che svenansi; Fratelli
Del Padre lor; Figli d’incesta Madre
A te Sorella, e di sua man trafitta:
Di nomi or vedi orribile mistura,
E di morti, e di pianto: ecco gli auspicj, 30
Ecco la strada, onde a regnar salisti:
Ahi! Padre, esser puoi lieto?
- Creonte.
Edippo sol
Questa per lui contaminata Terra,
Col suo più starvi, alla terribil’ira
Del Ciel fea segno. Era dover che sgombra 35
L’avesse alfin. — ma i nostri pianti interi
Tu non narrasti: ahi scellerato Edippo!
Che non mi costi tu? La morte i’ piango
Anco d’un Figlio: il tuo maggior Fratello
Menèceo sì, che all’empie, e stolte frodi, 40
A’ vaticinj menzogneri, e stolti
D’un Tiresia credè: Menèceo ucciso
Di propria man, per salvar Tebe; ucciso
Mentre pur vive Edippo. — a’ falli suoi
Poca vendetta è il suo perpetuo esiglio. 45
Ma seco apporti in altri lidi Edippo
Quella, che ovunque i passi ei mova, il segue
Maledizion del Ciel. Pianger non vale
A far, non sia ciò, ch’è. Dare all’oblio
Dessi il passato; e di Fortuna il crine 50
Forte tener.
- Emone.
Instabil Dea, non ella
Forza al mio cor può far. Del Ciel lo sdegno
Bensì temer, Padre, n’è forza. Or soffri,
Libero i’ parli: il tuo crudel divieto,
Che le fiere de’ Greci Ombre insepolte 55
Acheronte varcar non lascia, al Cielo
Grida vendetta. Oh! Che fai tu? Di Regno,
E di prospera sorte ebro, non pensi,
Che Polinice è regio Sangue, e Figlio
Di Madre a te Sorella? E sì pur giace 60
Ignudo in Campo: almen l’esangue busto
Di lui Nipote tuo lascia, che s’arda.
L’ultimo eccidio Antigone de’ Suoi
Tacendo soffre: del Fratello il corpo
Quella Vergine illustre abbiasi in dono. 65
- Creonte.
A par degli empj suoi Fratelli Figlia
Non è costei di Edippo?
- Emone.
A par di loro
Dritto ha di Tebe al Trono. Esangue corpo
Ben dar puoi per un Regno.
- Creonte.
A me nemica
Fiera è Costei.
- Emone.
Nol credi.
- Creonte.
Edippo ell’ama, 70
E Polinice; odia Creonte dunque.
- Emone.
Oh Ciel! Del Padre, del Fratel pietade
vuoi tu ch’ella non senta? In pregio forse
Più la terresti, se spietata.....
- Creonte.
In pregio
Più, nò; ma meno i’ l’odieria d’assai. 75
Rè prevenir dè gli odj; ognun nemico
Stimar, che offeso stima. Ogni pretesto
Di ribellarsi Antigone superba
Perdè col Padre. Esuli, uniti entrambi
Potean, vagando, un Rè trovar, che velo 80
Fesse all’innata ambizion d’Impero
Di mentita pietade; e in armi a Tebe,
Qual venne Adrasto, ne venisse. Figlio,
Biasmare i’ t’odo il mio divieto, a cui
Alta ragione, che tu non sai, mi spinse. 85
Ti fia poi nota; e benchè dura legge,
Vedrai, ch’ell’era necessaria.
- Emone.
Ignota
M’è la ragion, di’ tu; ma ignoti, parmi,
Ten son gli effetti. Antigone può in Tebe
Dell’esul Padre, e del rapito Trono, 90
E del Fratello, che insepolto stassi,
Non la cercando, ritrovar vendetta.
Mormora il Volgo, a cui tua legge spiace,
E assai ne sparla, e la vorria delusa,
E rotta la vorrà.
- Creonte.
Rompasi; ch’altro 95
I’ non chiegg’io, purchè la vita io m’abbia
Di qual primier l’infrangerà.
- Emone.
Qual fiero
Nemico a danno tuo ciò ti consiglia?
- Creonte.
Amor di te sol v’astringe: il frutto
Tu raccorrai di quanto or biasmi. Avvezzo 100
A ben altri veder delitti in Tebe.
È il Cittadin: che può far altro omai,
Che obbedirmi, e tacer?
- Emone.
Talor si cova
Nel silenzio vendetta.
- Creonte.
In quel di pochi;
Ma nel silenzio d’una gente intera 105
Timor si cova, e servitù. Tralascia,
D’opporti a’ miei saggj disegni, o Figlio:
Non ho di te maggior, non ho più dolce
Cura di te: solo m’avanzi; e solo
Godrai tu un dì di mie fatiche. Ingrato 110
Anzi tempo non far ti veggia il Padre.....
Ma qual d’Armati, e di catene suono?.....
- Emone.
Oh! Chi mai vien?... Fra duri lacci avvolte
Donne son tratte?... Antigone! Che miro?
- Creonte.
L’incauta cadde entro la rete; uscirne 115
Mal ne potrà.
SCENA SECONDA.
GUARDIE con fiaccole, ANTIGONE, ARGÌA, CREONTE, EMONE.
- Creonte.
CHe fia? Qual’han delitto
Queste Donzelle?
- Antigone.
I’ ’l vo’ dir io.
- Creonte.
Più innanzi
Si lascin trarre il piè.
- Antigone.
Ti sono innante;
Ecco; rotta ho tua legge, e tel dico io:
Acceso io stessa al mio Fratello ho il rogo. 120
- Creonte.
E avrai tu stessa il guiderdon promesso
Da me; l’avrai: ma tu, Donna, chi sei,
Ch’io non ravviso alle straniere fogge?
- Argìa.
Emula son di sua virtude.
- Emone.
Padre,
Lo sdegno tuo rattempra: ira non merta 125
Di Rè donnesco ardir.
- Creonte.
Ira? Che parli?
Imperturbabil Giudice quì seggo.
Morte è con esse già: suo nome pria
Sveli Costei; poi la cercata pena
S’abbiano entrambe.
- Antigone.
Il guiderdon vogli’io, 130
Lo vogl’io sola: io la trovai nel Campo;
Io del Fratello il corpo a lei mostrava;
Dal Ciel guidata i’ deludea l’infame
De’ Satelliti tuoi vegliante cura:
Io la richiesi alla sant’opra; ed essa 135
Di sua man mi prestò debile aiuto.
Chi sia non sò; mai non la vidi in Tebe;
Fors’ella è d’Argo; e alcun de’ Suoi nel Campo,
Ad arder nò, ma ad abbracciar pietosa
Veniva....
- Argìa.
Or sì rea daddover saria, 140
Or degna sì d’ogni più cruda pena,
Se per timore osassi opra sì santa
Negar. Tiranno Rè, sappi ’l mio nome;
Godine, esulta.....
- Antigone.
Taci!....
- Argìa.
Io son; io Figlia
d’Adrasto; io son di Polinice Sposa; 145
Argìa....
- Emone.
Che sento?
- Creonte.
Oh! degna Coppia! Il Cielo
Oggi v’ha posto in mano mia: ministro
A sua vendetta oggi m’ha il Ciel prescelto. —
Ma dì, tenera Sposa, il dolce frutto
Teco recasti dell’amor tuo breve? 150
Madre tu se’ di Pargoletto erede
di Tebe; ov’è? D’Edippo egli è pur sangue:
Tebe l’aspetta.
- Emone.
Inorridisco.... fremo.
O tu, cui tolto un Figlio fù, con motti
Puoi tu il dolore esacerbar di Madre? 155
Piange l’una il Fratel, l’altra il Marito:
Tu le deridi? Oh Ciel!
- Antigone.
O di tal Padre
Non abbastanza degno Figlio, taci:
Preghi non mesci ad avvilirne: certa
È d’innocenza prova ottener morte 160
Dove regna Creonte.
- Creonte.
Imbelle rabbia
Sfoga pur tu; me non offendi; sprezza,
Purchè tu l’abbi, morte.
- Argìa.
In me, deh! volgi
Il tuo furore, in me; quì venni io, sola,
Sconosciuta, di furto. In queste Soglie 165
Di notte entrai, per ischernir tua legge.
Gonfio Antigone, è ver, di velenoso
Sdegno avea il cor: vero è, che in mente mille
Volgea pensier; ma tacita soffria
Pur l’orribil divieto; e s’io non era, 170
Mai calpestato non l’avria. Delitto
È di chi ’l pensa: a chi l’ordisce spetta
La pena....
- Antigone.
A lei fè non prestar: pietade
La fà mentir inopportuna, e vana.
Di furto, è ver, pos’ella il piede in questa 175
Reggia; ma non sapea la cruda legge.
Me quì cercava; e timida, tremante
La fatal urna dell’amor suo dolce
Chiedea da me. Vedi, se in Argo giunta
Dell’inuman divieto era la fama. 180
I’ non vo’ dir, che già non t’odiass’ella;
(Chi non t’odia?) ma pur di te temea.
Da te fuggir coll’ottenuto pegno
Del cener sacro; agli occhj tuoi sperava,
Semplice troppo, ella sottrarsi, e in Argo 185
Gli amati avanzi riportar. — Non io,
Non io così, che al tuo cospetto innante
Venir sperava, ed esser godo; e dirti,
Che d’essa al par, più ch’ella assai t’abborro;
Ch’io son, che in petto inestinguibil fiamma 190
Trasfuso ho in lei d’odio, e di sdegno, ond’ardo;
Ch’è mia l’audacia, e la fierezza, mia;
E l’ira, ond’ella si riveste, mia.
- Creonte.
Qual sia di voi più rea, perfide, invano
Voi contendete. I’ mostrerò ben’io, 195
Qual sia di voi più vil. Dappresso vista
Morte, che infame qual si dè v’appresto,
Farà tra voi sorger ben’altra gara
Di preghi, e pianti.
- Emone.
A morte infame? Oh Padre! —
Nol cred’io, nò; tu nol farai. Consiglio, 200
Se non pietade, a raddolcir l’acerbo
Tuo sdegno vaglia. Argìa d’Adrasto è Figlia;
Di Rè possente: Adrasto, il sai, di Tebe
La via conosce, e ricalcarla puote.
- Creonte.
Dunque pria che ritorni Adrasto in Tebe, 205
Argìa s’immoli. E che? Figlio, vorresti
Me per timor pietoso?
- Argìa.
Adrasto in Tebe
Tornar non può; contrarj ha i tempi, e i Numi;
D’Uomini esausto, e d’armi, e di tesoro
Me vendicar non puote. Osa, Creonte; 210
M’uccidi pur; non sia, che ten punisca
Il Rè d’Argo per or. Argìa s’uccida,
Che nessun danno all’uccisor ne torna.
Ma Antigone si salvi; a mille a mille
Vendicator di lei sorgere in Tebe
Vedresti....
- Antigone.
Omai cessa, Sorella; e meglio
Costui conosci: a caso ei non è crudo,
Nè invan: per te già spero; e già ben veggo,
Ch’io gli basto, e n’esulto. Il Trono ci vuole,
E tu non l’hai: ma per infausto dritto 220
Questo, ch’ei vuole, e ch’ei s’usurpa, è mio.
Vittima a lui l’ambizion soltanto
Addita or me.
- Creonte.
Tu questo Trono? Infami
Figli d’incesto, a voi di morte dritto,
Non di Regno riman. Gli empj Fratelli 225
L’un dell’altro uccisor atroce prova
Non son di quanto io dico?
- Antigone.
Empio tu, vile,
Che lor spingesti a scellerati colpi.
Sì, del proprio Fratello nascer Figli,
Nostro è delitto; ma con noi la pena 230
Già stava allor nel nascerti Nepoti.
Ministro tu della nefanda guerra,
Tu nutritor degli odj, a fuoco fuoco
Ivi aggiungendo ognor; l’uno adulavi,
L’altro instigavi, ambo tradivi. Strada
Così ti se’, Creonte, al Soglio sgombra,
Ed all’infamia.
- Emone.
A viva forza vuoi
Perder te stessa, Antigone?
- Antigone.
Sì voglio,
Vo’, che il Tiranno ascolti il ver sol’una,
Una fiata. A lui non stà d’intorno 240
Chi dirgliel’osi. Oh! se silenzio imporre
A’ tuoi rimorsi a par che all’altrui lingua
Potessi tu, Creonte; oh qual saria
Piena tua gioja allor! Ma più che a tutti
Odioso a te stesso hai tu nel torvo, 245
Nell’inquieto sogguardar scolpito
E il delitto, e la pena.
- Creonte.
A trarvi a morte,
Fratelli abbominevoli del Padre,
Mestier non eran tradimenti miei:
Tutti a prova il volean gl’irati Numi. 250
- Antigone.
Che nomi tu gli Dei? Tu, ch’altro Dio
Non hai, che l’util tuo: Per cui se’ presto
Ad immolar e Amici, e Figli; e Fama;
Se pur n’avessi.
- Creonte.
Altro hai che dir? Stà bene.
Chieggon diversi Numi Ostie diverse. 255
Vittima tu già consegrata ai Numi
D’Averno, ultima andrai d’infame Prole.
- Emone.
Padre, i’ ti chieggio pria breve udienza.
Deh! tu sospendi alquanto: io deggio cose
Assai narrarti, ed importanti.
- Creonte.
Avanza 260
Della per loro intorbidata notte
Alquanto ancor. Già in mio pensiero ho fisso
Termine il Sol nascente al viver suo:
T’udrò frattanto.
- Argìa.
Oimè! Sol di lei parli?
Or sì ch’io tremo. E me con essa a morte 265
Non manderai?
- Creonte.
Frattanto entro l’orrore
D’atra prigion guidinsi entrambe.
- Argìa.
Insieme
Con te, Sorella.....
- Antigone.
Sì.....
- Creonte.
Disgiunte sieno.
Meco Antigone venga: io son custode
A sì gran pegno: Andiam. Guardie, si tragga 270
In altro carcer l’altra.
- Emone.
Oh ciel!...
- Antigone.
Si vada.
- Argìa.
Ahi lassa me!....
- Emone.
Seguir ne vogl’io l’orme.