Vite dei filosofi/Libro Settimo/Annotazioni
Questo testo è completo. |
◄ | Libro Settimo - Vita di Crisippo | Libro Ottavo | ► |
ANNOTAZIONI
LIBRO SETTIMO
CAPO PRIMO.
Zenone.
„L’erma dei museo vaticano che do intagliato è da me reputato la quasi certa immagine di Zenone. La piegatura del collo, difetto naturale di questo filosolo, parmi un carattere proprio per farcelo riconoscere. La fronte solcata dalle rughe, frons contracta, il triste sopracciglio, l’aria severa, sono tolte particolarità che in questa figura non mancano, e gli antichi notarono nella sua fisonomia. — Una mossa del capo, sì strana in un erme e sì poco conforme al carattere di quiete e di semplicità che gli antichi ponevano per consueto ne’ lavori di simil genere, mi ha fatto credere che non abbiasi dato alla testa di quest’erme un’attitudine così forzata senza gravi ragioni, e fra l’altre, per quella di rendere con maggiore esattezza la verità e fare più agevolmente riconoscere il personaggio rappresentato.“ — E. Q. Visconti.
II. Sarmento egizio. — Altri voltò palmitem aegyptium, altri aegyplinm malleolum; il Menagio vorrebbe aegyptiam clematide, ch’è una specie di pervinca, pianticella gracile, nerastra ec.
I fichi verdi e lo starsi al sole. — [testo greco]. Pare che F. Ambrogio leggesse [testo greco] se tradusse ad solem passis, intendendo dei fichi. Il Faber crede che s’abbia a leggere [testo greco], cioè fichi verdi e olive. — Il Borbeck traduce frutta solatie.
III. Se fosse di un colore co’ morti. — Il Borbeck se avesse passato il tempo co’ morti.
IV. E’ scrisse, la Repubblica, sulla coda del cane. — Casaubuono traduce sotto, tenendo ciò un’allusione alla costellazione del cane. Questa sua repubblica, celebratissima dagli antichi, fu lavoro giovanile e, a quanto pare, dettata per combattere Platone, sebbene, tra l’altre cose, vi si approvi, al pari di lui, la comunanza delle donne e dei beni.
Questi sono i suoi libri. — Alle opere di Zenone si può forse aggiugnere adesso un frammento che il Mai trasse da una raccolta vaticana (Script. veter. nova collectio). Sembra che questo passo facesse parte di qualche Lettera, non menzionata dagli antichi. Il Mai per altro, secondo Leclerc, ha torto di attribuire a Zenone le epistole di Aristone chio riferite dal nostro Diogene, le quali Panezio e Sosicrate tenevano per la sola opera di cui veracemente fosse autore Aristone.
VI. Portico vario ec. — Le pitture di Polignoto e Paneno avevano procacciato questo nome ([testo greco]) al più bell’edifizio d’Atene. Zenone co’ suoi discorsi parificò quel luogo lordato dall’uccisione di mille e quattrocento cittadini, vittime de’ trenta tiranni, e lo rese frequentato di nuovo. — Secondo il Borbeck pare ch’e’ lo scegliesse per essere un posto al tutto quieto.
VII. Immagine di bronzo. — „Questa fu la sola statua che Catone uticense, impossessandosi per la repubblica dell’isola di Cipro, non mise in vendita; perchè era, come dice Plinio, la statua di un filosofo. Poteva aggiugnere di uno Stoico.“ — Visconti.
XIII. Rado usò con fanciulli ec. — Questo passo sarebbe in opposizione con ciò che afferma Antigono Caristio, presso Ateneo, nella vita di Zenone: [testo greco], [testo greco]. Par conciliare i due passi, lo Schweighaeuser vorrebbe che si scrivesse così: [testo greco], [testo greco].
XIV. Re Antigono facea bagordi da lui. — La condiscendenza dei filosofi pei re, dice il Leclerc, non era poi somma come si polrehbe credere; da che Antigono un giorno, colmo più del dovere di vino, promettendo a Zenone compiacerlo di qualunque cosa lo avesse richiesto, udì rispondersi dal filosofo: Dunque va a recere. Lo che mostra in che specie di fratellanza vivessero fra loro re e sapienti!
XV. E ne profitasse per un’altra parte di molestia. — Perchè dall’infimo luogo nessuno moveagii quistione, nè gli ambiziosi volentieri vi si assidevano.
XVI. Quale teatro ho io perduto! — Cioè quale teatro vien tolto alle mie imprese.
XIX. Qual pensi che fosse il patire de’ tuoi commensali ec. [testo greco] — Emendazione dell'lacohilzio.
Molti filosofi insipienti in molte cose ec. — Il Borbeck: Molti filosofi sapere le grandi cose, nelle ordinarie e piccole essere senza esperienza.
XXV. Finì di ott’anni sopra i novanta. — Tutte le date sulla vita di Zenone, secondu Ritter, sono incerte. Secondo il P. Corsini, ne’ Fasti attici, morì di oltre novant’anni.
XXXII. Di tutti in comune i domini stoici ec. — Lo stoicismo, il più legittimo figlio delle dottrine socratiche, succede a’ grandi sistemi di Platone, di Aristotele, di Epicuro. Esso tenta una via più semplice e naturale per isciogliere le alle quistioni della filosofia; oppone un argine alla sregolatezza de’ tempi in cui le società andavano sciogliendosi; viene a’ conforto della libertà e della gloria che si erano smarrite. Però questa setta si collega alla vita, la qual cosa non fecero nè la platonica nè l’aristotelica, troppo elevate pel popolo. Lo stoicismo combatte pel giusto, pel dritto contro i danni dell’errore; e la sua rigidezza è figlia dell’aver esso dovuto azzuffarsi col pirronismo e l’epicureismo, le cui dottrine erano snervatrici della mente e dell’animo. Opera conformemente alla natura; ecco la sentenza che testimonia della semplicità, della moderatezza de’ suoi principi, tendenti a frenare, non ad estinguere, le passioni; non a creare una scuola, ma una nazione d'uomini virtuosi. — Tra i sistemi della greca filosofia questo di preferenza adottarono i Romani. Era il solo sistema che potesse ritardare la caduta della libertà; rialzare gli animi dalla molle tirannia di Augusto. I più celebri giureconsulti romani l’avevano professato; furono suoi seguaci Scipione, Lelio, Bruto, Catone; e Tacito ne annovera una lunga serie di martiri, le virtù de’ quali sono malleveria della bontà di una setta, a danno di cui Augusto favorì l’academica e l’epicurea, gli effetti delle quali non avversano l’assoluto potere. Lo stoicismo romano, osserva un illustre francese, si potrebbe stimare un’ostentazione, se non avessimo riguardo al carattere di que’ conquistatori del mondo. Modificato col tempo comminerò altri seguaci illustri in Epiteto, Seneca, M. Antonino. Gli Stoici successivi si sequestrarono dagli antichi, in particolare pel domma dell’immortalità dell’anima, del quale per altro Seneca non era convinto, sebbene gli paresse una credenza consolatrice nelle sventure. La speranza di un avvenire felice pareva ad esso un sogno da considerarsi almeno come un bel sogno. — Alle dottrine stoiche non mancarono più tardi seguaci. Modernamente l’ipocrisia, l’egoismo, la viltà, fattura di altre istituzioni, sostituirono le antiche sette, massime la stoica.
XXXIII. Paragonano la filosofia ad un animale ec. — Divisione ordinaria della filosofìa. Qui per altro, osserva Ritter, gli Stoici esprimono assai chiaramente il pensiero, che le parti della filosofìa formano un tutto indivisibile, e sono come impiantate dalla natura le une nell’altre. — Al modo che il guscio non è che un inviluppo di ciò che contiene, che le ossa e i nervi non sono che istromento dell’anima, anche la logica non è che un organo per le altre parti della filosofia. All’incontro di Platone, che tenera la dialettica come il punto centrale di tutta la sua filosofia, e di Aristotele, che vedeva nelle ricerche logiche, non solo sopra la scienza, ma anche sui principi generali delle cause e dei fenomeni fisici ed umani, ciò che v’ha di più eccellente e sicuro nelle conoscenze.
XXXIV. Dividere la parte logica. — „Molto più estesa di quella d’Aristotele, perchè forma parte integrante della scienza del savio; perchè si propone per oggetto la materia stessa della verità, e perchè essa abbraccia in sè una parte della psicologia, della logica propriamente detta, della grammatica e della retorica. — Si fonda sopra una teorica delle percezioni. Ogni percezione primitiva risulta da impressioni prodotte sull’anima, e si chiama, a questo rispetto, [testo greco], visum. Da queste prime percezioni sensibili la ragione, forza attiva, superiore e dirigente, [testo greco] (il signoreggiante), genera tutte le altre nostre nozioni e giudizj. Le vere sono [testo greco], altrimenti [testo greco], vale a dire quelle che sono verificate dal loro oggetto stesso, e corrispondenti a questo oggetto, alle quali è sempre congiunto un libero assentimento, e che formano la base della scienza. La regola del vero è per conseguenza la retta ragione, [testo greco], che concepisce l’oggetto conformemente a quello che è.“ — Tenneman.
XXXV. Dividersi la dialettica nel luogo ec. — Secondo la divisione che ne facevano, pare che non solamente trattassero in essa delle idee, dei giudizj, dei ragionamenti, ma anche del criterio e dell’origine della verità, al pari che delle determinazioni generali degli oggetti del nostro pensiero, cioè a dire delle categorie. Rapportavano in vece alla fisica le ricerche sui principj delle cose, su Dio e la materia. Cosi, osserva Ritter, togliendo alla logica le sue parti più importanti, ne stringevano il dominio.
La dimostrazione essere un discorso ec. [testo greco]. G. Hermanno corregge [testo greco]; correzione che, a capello, consuona coll’interpretazione di Cicerone.
La fantasia. — [testo greco], visione; rappresentazione; idea netta, immagine viva di una cosa assente: immaginazione. — Fantasia è veder mentale; potenza immaginativa dell’anima. Cr. — Ho serbato il greco vocabolo, poichè nella parola rappresentazione, usata dal Ritter e da altri, non è reso, o m’inganno, il vero senso che ad esso davano gli Stoici. — „Gli Stoici, nelle loro ricerche, partivano dalla supposizione della preesistenza delle idee in noi, e cercavano di far vedere come queste idee si sviluppano necessariamente, passando dal particolare al generale, e, quand’elle son vere, qual sia la natura della loro verità, e com’esse possano essere distinte dalle vane immagini della nostra immaginazione. Questa teorica è in generale semplice e facile ad intendersi; pure essi la rendevano lunga e difficile per ogni maniera di ricerche sapienti; e per mezzo di divisioni fatte con più scrupolo che precisione ne’ loro termini tecnici. Pare che gli Stoici abbiano inteso per rappresentazione, [testo greco], tutto ciò che si trova nell’anima, considerato come coscienza; poichè essi estendevano la rappresentazione non solo alla coscienza degli uomini dotati di ragione, ma anche a quella degli animali; non solamente alla sensazione, ma anche al pensiero del non sensibile; finalmente non solo alla rappresentazione che producono in noi gli oggetti reali e presenti, ma eziandio all’idea che formasi in noi senz’essere prodotta da un oggetto somiglievole. Ma la rappresentazione dee avere un obbietto corrispondente, suscettivo di essere rappresentato ([testo greco]), ed ella dee essere concepita come un patire ([testo greco]) dell’anima; il che soppone qualche cosa di attivo che la produce nell’anima; questo qualche cosa d’attivo è un obbietto esterno che, per mezzo degli organi, produce una sensazione nell’anima. — I primi Stoici riducevano il criterio della verità a questa forza interna dell’anima, che si manifesta nell’atto di afferrare la sensazione; ma Crisippo la cerca piuttosto nell’energia e nell’evidenza empirica dell’impulso esteriore. — Era mestieri collocare nelle rappresentazioni medesime il criterio della loro verità o della loro falsità, se si voleva derivare dalle rappresentazioni la verità della conoscenza. Tale pare che fosse anche l’opinione di Crisippo, quand’egli pretendeva che la rappresentazione vera o concepibile ([testo greco]) non manifesti solo sè stessa; ma ch’ella manifesti ancora il suo obbietto. Essa, dice egli, non è altra cosa che la rappresentazione che è prodotta da un oggetto reale, e in modo analogo alla sua natura. Ciò per vero, non è considerare, che l’evidenza empirica dell’impressione sensibile, come criterio di verità; ma da che si voleva derivare dall’impressione sensibile la conoscenza della verità, alcun altro mezzo non era realmente possibile; e la spiegazione di Crisippo, in questo proposito, deve essere considerata come uno sviluppamenlo conseguente del corso della dottrina stoica.“ — Ritter.
XXXVI. Differiscono fantasia e fantasmi. — La distinzione di [testo greco] e [testo greco] non risguarda in realtà che la [testo greco], essendo l’idea della prima presa in un senso al tutto generale, e inchiedendo quella di [testo greco]. Anche l’[testo greco] è chiamato un [testo greco]; ma per ciò che si disse è anche una [testo greco].
Parte principale dell’anima. — Gli Stoici, riconducevano ad una forza generale i fenomeni psicologici, poichè ammettevano nell’animo una forza signoreggiante, dominante ([testo greco]), che si doveva considerare come la sorgente di tutte le facoltà dell’anima. Essi, dice Ritter, sono forzati naturalmente ad ammettere una facoltà di tal natura, da che si studiano conservare l’unità dell’anima. Il perchè Crisippo considerava la forza dominante dell’anima siccome una cosa sola coll’Io. Ella è, secondo la definizione degli Stoici, ciò che domina sulla sensazione e sull’istinto, cioè; sulla sensazione come sorgente della conoscenza, e sull’istinto come sorgente del desiderio e dell’azione. Egli è per ciò che anche riguardavano questo principio dominante nell’anima come l’intendimento ([testo greco]), come il principio della parola, d’ogni pensiero ed ogni senso nel discorso, al pari che di ogni risoluzione.
Alcune s’intendono per incidenza, alcune per similitudine ec. — „Cercando di mostrare che le loro dottrine erano d’accordo colla maniera di vedere naturale e ordinaria, si provarono gli Stoici di stabilire che tutte le idee che non ci vengono immediatamente dall’impressione sensibile non sono formate da noi che a mezzo di una trasformazione delle rappresentazioni sensibili. Poichè, dicono, tutti i nostri pensieri risultano, o da ciò che noi gli incontriamo, o da ciò che noi, partendo da rappresentazioni che cosi abbiamo incontrate, ci eleviamo ad altre. E indicano molte maniere di passare per tal modo da rappresentazioni immediate ad altre, cioè per rassomiglianza o analogia, per trasposizione ec.“ — Ritter.
XXXIX. Cinque sono le parti del discorso. — Alle quattro parti del discorso, sole ammesse da’ primi Stoici, ne aggiunse Crisippo una quinta, dividendo il nome sostantivo di proprio e comune. Quelli che vennero dopo contribuirono del pari a moltiplicare le divisioni del discorso. — Non è inverisimile, dice Ritter, che alle forine del linguaggio fosse anche applicata la divisione delle categorie, per la ragione che in generale la logica degli antichi era attaccata alla loro grammatica; tuttavolta l’aggiunta fatta ad esse da Crisippo, della quinta parte già detta, potrebbe indurci a credere ingannevole questa supposizione, non essendo che di sole quattro il numero delle Categorie.
XL. Cinque sono i pregi del discorso. — Tra questi pregi o virtù del discorso, il buon Diogene annovera primo il Grecismo — l’ellenismo, come dicono i moderni — e la spiegazione ch’e’ ne dà, per certo non sua, contradice ad alcune moderne dottrine! [testo greco], frase corretta; [testo greco] che non cade; che non può cadere; solido. Cioè la frase sicura, secondo i principj dell’arte, non seguace dell’uso.
XLII. La definizione è un discorso ec. — Questo passo è incompito. Crisippo chiama la definizione l’indicazione del particolare senza che vi sia quistione del generale. [testo greco]. — Bekker anecd. gr.
Specialissimo è ciò, che essendo specie ec. — La specie propriamente detta è, per gli Stoici, l’individuo. Secondo essi, dice Ritter, le idee generali non sono nè intieramente vere, nè intieramente false, perchè non esprimono il carattere individuale delle cose particolari, che sole hanno verità, e perchè non disegnano una cosa qualunque; anzi credono non esistere idee che nel nostro pensiero.
XLIV. Dizione significante due cose. — [testo greco], così come sta, significa, La suonatrice di flauto è caduta: diviso, in questo modo, [testo greco], il palazzo, l’aula, la sala è caduta tre volte.
XLIX. Il coperto è di siffatta maniera. — Onesto esempio essendo di sorite, non di [testo greco], indica mutilo il luogo. Tutti sanno che cosa è sorite; vediamo un esempio dell’altro: Conosci tu il padre tuo? — Lo conosco. Conosci tu questo che è coperto da un lenzuolo? — Nol conosco. Dunque non conosci tuo padre.
L’impersonale che ha forza congiuntiva. — [testo greco], nessuno. Argomento impersonale, o cavillo preso da Omero, la cui storia di Polifemo non è chi ignori. Se alcuno brama saperne da vantaggio, legga il passo del Cujacio riferito da E. Menagio. — Gli argomenti impersonali sono quelli che non indicano nessuno.
L. Solo il sapiente dialettico. — Gli Stoici prendendo a modello Aristotele, cercarono fondare la scienza per mezzo del ragionamento. ([testo greco]).
Poichè che s’abbia a dire in logica e circa le opere ec. [testo greco]... [testo greco]. Quid dicere oportet de rectitudine nominum, quo pacto statuerunt leges in operibus non possum dicere. Ambr. — Nam et quid dicere oporteal et de recto nominum ratione loqui pertinet ad disserendi rationem; quid vero de rebus ipsis leges constituennt, non habere eam quid dicere possit. Aldobrand. — Veggansi le note dello Stefano, del Küehnio e del Casaubuono, dopo le quali l’Huebnero conchiude: Locus insanabilis sine codicibus melioribus.
LI. La parte morale. — La morale degli Stoici è strettamente unita colla loro fisica. Lo che fece dire a Crisippo, non potersi trovare la cagione, l’origine della giustizia che in Giove e nella natura universale, e che quegli che vuol parlare del bene, del male, della virtù e della felicita dee cominciare dalla natura universale, dall’organizzazione del mando. Anzj pretendono gli Stoici non doverci noi occupare di fisica che per distinguere il bene ed il male, non essendo la vita virtuosa che una vita regolata secondo l’esperienza di ciò che accade in natura, non altro essendo la nostra natura che una parte dell’intera natura. E però la loro morale si rannoda alle idee più generali e più elevate della fisica. Un altro legame di queste due parti di filosofia stoica consiste nell’idea dell’inclinazione; poichè questi filosofi, al pari di Aristotele, consideravano tutte le virtù fondate sull’istinto. Ora questo istinto è una proprieta fisica dell’animale, un movimento verso qualche cosa, movimento unito naturalmente e necessariamente coll’anima. La morale degli Stoici ha qualche legame eziandio colla loro logica, ma un legame meno stretto che colla fisica, un legame mediato, non operando la logica sulla morale che col contribuire alla conoscenza della fisica. — Ritter.“ Zenone stabilì la legge del dovere traendola da un profondo convincimento, e parlando come di una verità geometrica. — „I principj più osservabili del sistema pratico degli Stoici sono questi: L’onesto, [testo greco], è il solo bene che abbia valore: il vizio il solo male positivo; indifferente il resto. La virtù posa sulla sapienza, [testo greco], il vizio è una maniera di agire inconseguente, che risulta dalla ragione sdegnata o pervertita. La virtù, come solo bene, può sola farne giugnere alla felicità, [testo greco]. Non v’ha che una sola virtù ed un solo vizio, non suscettivo, nè l’una nè l’altro, di accrescimento o di diminuzione. Tutte le buone azioni sono equivalenti fra loro, e così le cattive. L’uomo virtuoso è esente da passione, [testo greco], ma non insensibile; (così vuol esser intesa l’[testo greco] degli Stoici). — Distinguono due specie d'uomini, buoni, [testo greco], cattivi, [testo greco] senza ammettere, fra queste, classi intermedie, e senza considerare nel ritratto de! loro sapiente la differenza che è tra l’ideale e la realtà.“ — Tennemann.
LII. Aggiunta, se tant’è che esista, la voluttà. [testo greco]. — „La felicità a cui tutti aspiriamo non è, altra cosa chi; il libero corso della vita. Il piacere all’incontro, io quanto è cercato in un rilassamento dell’attività , non è ammesso dagli Stoici che come un’interruzione della vita e come un male. Cleante il diceva in generale nè conforme a natura, nè scopo di essa; e se alcuni Stoici il consideravano come qualche cosa di conforme a natura e, sotto alcuni rispetti, come un bene, non pensavano allora però aL suo valor morale, ma solo alla sua origine naturale; e s’accordavano sempre cogli altri nel non vedervi alcun valore morale o scopo di natura, ma soltanto alcun che, risultato dipendente e accessorio ([testo greco]) dell’attività libera e convenevole della natura particolare, e non una attività, ma uno stato passivo dell’anima. Tale è la ragione di tutta la severità della morale stoica.“ — Ritter.
Addivenendo l’artefìce dell’appetito. — „L’istinto dell’uomo differisce dall’istinto dell’animale irragionevole in ciò ch’esso deve svilupparsi in modo conforme alla ragione e con coscienza; o, con altri termini, la ragione dee essere la formatrice dell’istinto dell’uomo. Questo istinto altro non è che l’assenso ch’ei dà ad un’idea; o, ciò che torna lo stesso, l’idea del buono determinato dall’azione. —“ Ritter.
LIII. Vivere conformemente a natura. — [testo greco]. „Secondo Stobeo, Zenone diceva soltanto; [testo greco]. Questa espressione elittica fu compita da Cleante e dalla maggior parte degli Stoici aggiuguendo le parole [testo greco]. — Sommettendo l’universo ad una legge universale, ogni parte del mondo doveva considerarsi sommessa a questa legge. — È incerto se qui si tratti di natura universale od individuale dell’uomo. La prima non potevasi escludere se la teorica generale della morale si faceva derivare da Giove e dalla natura universale. Il perchè Cleante pretende doversi seguire solo la natura universale e non la particolare: Crisippo intendeva non solo l’universale, ma l’umana.“ — Ritter.
LIV. La virtù una perfezione in comune a tutto. — „Gli Stoici chiamavano virtù, in senso lato, ogni specie di perfezione; ed è per questo rispetto che la salute e la forza sono nel novero delle virtù. Pure questa sorta di virtù, posseder la possono anco i malvagi. Ma la vera virtù, o morale, consiste in una forza dell’anima, che ha il suo principio, nella ragione, e in un modo di condursi invariabile, che non patisce nè più nè meno, e pel quale l’anima in tutto il corso della vita è d’ accordo con sè stessa. E siccome questa direzione ha il suo principio nella conoscenza razionale, così essi appellano scienze anche le virtù, e virtù teoretica la virtù morale, per opposizione alla virtù fisica, che è senza intelligenza.“ — Ritter.
LIX. Onesto... perchè accoglie tutti i numeri richiesti dalla natura. — Gli Stoici mettevano dei numeri della virtù e M. Aurelio dice: Ogni dovere è composto di un certo numero. — V, 26.
LX. Poichè non sono beni, ma cose indifferenti. — [testo greco]. Passo monco per certo, ma ottimamente corretto dall’Ermanno così [testo greco].
LXI. Delle indifferenti alcune preferite, altre rejette. — [testo greco], è tutto ciò che in generale ha un valor qualunque. Il preferibile non s’accosta che fino ad un certo punto del buono. Questa differenza tra il buono ed il preferibile ci insegna, dice Ritter, che gli Stoici non aspiravano a prendere il buono che nella sua più alta significazione, e ad allontanare dalla sua idea tutto che è relativo. Il preferibile non sembra evidentemente ad essi che un bene particolare: ma il carattere generale della loro dottrina li conduceva al disprezzo del particolare.
LXVII. Discorso fisico. — „Tutto quello che è reale, tutto quello che può agire e patire è corpo, secondo gli Stoici. Distinguono essi corpi solidi, [testo greco], e corpi non solidi. Il luogo, lo spazio, il tempo sono cose incorporee. — Due principi eterni di ogni cosa, l’uno passivo, la materia, [testo greco], l’altro attivo, dio, il principio plastico, che non forma che uno colla natura, e dal quale derivano l’azione, la forma e la costituzione finale delle cose. Dio è un fuoco vivente artificiale, non simile al fuoco ordinario; ed è pur chiamato [testo greco] od etere, e forma e ingenera e penetra tutto, secondo certe leggi, [testo greco], in somma egli è la legge universale che si esercita sulla materia, e la legge di tutta la natura. — Dio è nel mondo, non fuori del mondo. Anche il mondo è un essere vivente e divino. Da ciò l’associazione, in questa dottrina, della previdenza, [testo greco], e del destino, [testo greco], considerato cometa concoordanza necessaria delle cause e degli effetti nel mondo. L’idea di concordanza condusse Crisippo alla dottrina del determinismo; dal che muovono ancora l’ottimismo, la divinazione, [testo greco], e l’interpretazione del politeismo mitologico per mezzo della fisiologia e della teologia.“ — Tennemann.
LXVIII. Due essere i principi di tutte le cose ec. — „Dalla distinzione tra l’attivo e il passivo nasceva il doverli legare intimamente. La teorica degli Stoici si divide io due parti, di cui l’una esamina ciò che agisce, l’altra ciò ch’è prodotto. Il passivo, considerato come principio delle cose, è la materia sproveduta di qualità, l’attiro è dio nella materia. La materia, come il principio passivo delle cose, senza alcuna proprietà, è anche ciò che v’ha di più fondamentale, è l’essenza generale; ma dio come Forza attiva, e formatrice della materia, è necessariamente legato con essa, al modo stesso che non si può nemmeno separare la materia dalla forza attiva, poichè questa abita in quella e la penetra. Giove, esso stesso, è la natura generale e il suo principio razionale; il cielo e il mondo non sono precisamente che l’essenza e la materia di dio, e quand’anche il cielo e la terra passassero, nonostante la materia e dio durerebbero eternamente; e un tale annientamento del cielo e del mondo non consisterebbe che in questo, che dio farebbe rientrare in sè la materia come la produsse da sè e ancora potrebbe riprodurla.“ — Ritter.
Corpo è quello che ha triplice dimensione. — „Primamente gli Stoici partivano, senza dubbio, nella definizione di questa idea, da quella dell’estensione in ispazio. Corpo, secondo essi, è ciò che ha un’estensione secondo le tre dimensioni dello spazio. Ma aggiugnevano la determinazione che il corpo dee essere nello stesso tempo qualche cosa che agisce o patisce. Attaccavano dunque all’idea di corpo, oltre la sua significazione matematica, le qualità fisica di possedere, od una facoltà di agire, od una capacità di patire. Ora gli Stoici facevano entrare, sotto questo rispetto, nell’idea di corpo, molte cose, che a’ loro avversarj appajono, per la maggior parte, incorporee.“ — Ritter.
Ragione seminale dei mondo, [testo greco]. - Riguardano la forza formatrice del mondo come un fuoco, perchè il fuoco ba il suo movimento in sè stesso, ed è la forza attiva universale. Se e’ fanno tutto nascere e perire in un tempo determinato da certa legge del destino, egli è perchè, secondo essi, tutto è ordinato da una necessità legittima, e regge la vita di un animale che naturalmente si sviluppa. Per altro si compiaciono a paragonare dio a una semenza delle cose, semenza da cui germina, per così dire, il mondo in una maniera regolare, e seguendo un rapporto determinato e razionalmente ordinato di tutte le sue parti. Tale è la loro idea concernente al rapporto spermatico, che è in tutte le cose, e seguendo il quale ogni cosa esiste. Dio è il rapporto spermatico razionale del mondo, ovvero egli racchiude tutti i rapporti spermatici razionali che si sviluppano nel mondo. Ma questi non si svolgono che nello svilupparsi del mondo, e dall’unità primitiva di dio passano alla diversità; il perchè, chiamavano dio anche l’uno, moltiplice.“ — Ritter.
LXIX. Elemento. — Per elementi intendono le qualità più semplici de’ corpi, nelle quali l’essenza fondamentale si trasforma da principio e le cose si risolvono anche in fine, prima che tutto si risolva in una unità nella combustione del mondo. Così, secondo Ritter, debbesi intendere la definizione riferita da Laerzio.
LXX. A guisa di mente, come la parte signoreggiante — Gli Stoici, dice Ritter, distinguevano il migliore dal meno buono, chiamandolo il divino in un senso più elevato; di modo che le parti meno perfette del mondo dovevano parere sino a un certo punto come non divine. Gli Stoici, a questo riguardo, ammettevano una parte dominante ([testo greco]) nel mondo razionale, parte che penetra e vivifica ogni cosa e che designa la forza divina. Zenone e Crisippo credettero trovare questa parte dominante nell’etere della più alta sfera del cielo. Cleante nel sole.
Sostanza del fuoco... volta in umore. — „Distinguevano il fuoco elementare dall’artificiale, che non è elemento, ma principio di tutti gli elementi, poichè questo principio non ha qualità determinate. — La produzione degli elementi per mezzo del fuoco artificiale, era da essi considerata come un corso naturale e necessario. Il fuoco, per la condensazione, si trasforma in aria, più condensato ancora, diventa acqua, e dall’acqua si forma, per una parte, condensandosi, la terra, per l’altra, dilatandosi e vaporandosi, l’aria, che più ancor rarefatta, ridiviene fuoco. Questa metamorfosi comincia quando il centro del mondo viene a formare una specie di precipitato, e che in seguito stendendo più lungi la sua azione, ei spegne quello che lo circonda; ma allora l’opposta periferia, ch’è di natura ignea, comincia a sua posta a reagire; e in questo modo si forma tutto l’universo. Questi elementi avevano anche, conformemente all’idee comuni de’ Greci, il loro posto determinato nel mondo: la terra nel mezzo, intorno alla terra l’acqua, in seguilo l’aria, finalmente il fuoco, che tutto abbraccia.“ — Ritter.
LXXII. Dio — appellano con diversi nomi ec. — „Zenone rigettava il culto delle immagini e dei templi , dicendo, che, come opera dell’arte, nulla avevano di sacro. Molti numi popolari riferivano gli Stoici ai grandi Corpi celesti, al sole, alla luna, alle stelle; altri agli elementi, alle stagioni ec.; anche ad uomini che acquistarono immortalità, alla virtù, all’arti che sono di molta utilità per gli uomini; cose tutte che e’ riguardavano come corpi e forze vive; ma tenevano gli dei di questa specie quai numi inferiori; numi generati, caduchi, che tutti ritornano, alla combustione del mondo, alla loro origine comune, al dio supremo, Giove, sorgente d’ogni vita, che non è nè generato, nè caduco. Così salvavano, con una libera interpretazione, l’antica mitologia e le favole. — La religione degli Stoici non era che una credenza artificiale, come quella che nasce d’ordinario in tempi ne' quali gli uomini vorrebbero nuovamente ravvicinarsi all’antica semplicità della immediata convinzione, perchè essi, hanno ancora il sentimento dell’energia di que’ tempi, ma non possono più sodisfare il loro sogno di credere che per mezzo dell’esame scientifico, il che gli fa tendere alla tranquillità dello spirito, senza per altro procacciargliela.“ — Ritter.
LXXVIII. Le mistioni farsi nel totale. — „Gli Stoici riguardavano il legame tra le cose del mondo come illimitato e al tutto generale. Così pretendeva Crisippo che una goccia di vino versata nel mare sarebbesi mescolata con tutto il mare, ed anche che questa mescolanza avrebbe penetrato tutto l’universo. Esprimevano sì fatto concetto coll’ideare le attività materiali nello spazio come compenetrantisi spargendo in tutta la materia un soffio che ne tenesse tutte le parti riunite, e che vi producesse una perfetta armonia tra l’essere e il patire. Ora questo soffio non è altro precisamente che la causa generale attiva, il dio degli Stoici, o la ragione che penetra tutto, alla stessa maniera che l’anima penetra il nostro corpo, e che si annunzia in ogni cosa come la forza che lega, ma in modo differente nelle differenti cose.“ — Ritter.
LXXX. Verso donde soffiano. — [testo greco]. Lacuna indicata dall’asterisco di alcune edizioni, ma non avvertita nè dal Menagio, nè dall’Aldobrandino, nè da F. Ambrogio. Supplì il Casaubuono coll’ajuto di Plutarco così: [testo greco].
LXXXI. 'Nelle cavità della terra. — [testo greco]. Questa lacuna, indicata dall’asterisco di alcune edizioni, fu osservata dall’Aldobrandino il quale sospettò che alcuna cosa si desiderasse intorno a tremuoti. E. Menagio vi sopperì con Suida: [testo greco] [testo greco].
LXXXIV. La natura un fuoco artificiale. — La forza formatrice del mondo riguardavano come un fuoco, avendo il fuoco un movimento in sè stesso, ed essendo la forza attiva universale. — Il fuoco seguiva un corso determinato; serbava una legge fissa; e percorsi certi gradi intermedj e certi periodi, ritornava in sè stesso. Alla formazione del mondo seguiva la sua combustione.
L’anima dopo morte perdurare. — „All'anima individuale, come parte dell’anima universale, rifiutavano l’immortalità propriamente detta; ma, considerandola per altro come una specie di corpo particolare, ben potevano ammettere ch’ella avrebbe durato ancora dopo la morte e che non sarebbesi risolta nel tutto. Origine comune delle cose, che al tempo della combustione del mondo. Taluni, al numero dei quali è Cleante, ammettevano che tutte le anime vivrebbero dopo la morte; le più deboli soltanto in un modo più debole, forse per non favorire i malvagi eziandio nell’altro mondo. Crisippo al contrario era d’avviso che le anime più forti, de’ sapienti, sussisterebbero solo dopo la morte.“ — Ritter. — Alcuni Padri credettero l’immortalità un dono particolarmente concesso agli eletti.
L’anima uno spirito riscaldante. — [testo greco]. — „Gli Stoici considerano l’anima, al pari di tutte le cose, come corporea. Oltre le ragioni che tendono in generale a provare la materialità delle cose, altri argomenti adducevano per provare quella dell’anima; i più importanti dei quali si riferiscono all’unione di essa col corpo, ed al non poter avvenire alcun contatto tra cosa incorporea ed il corpo, ed esserne separata. Più l’anima era perfetta più doveva essere simile al fuoco. E però chiamavano l’anima un fuoco, ovvero un soffio caldo, un’aria calda, una evaporazione ([testo greco]), denominazioni ch’hanno evidentemente per base l’idea, che l’anima delle cose individue non agguaglia per verità la natura perfetta di dio, ma se ne accosta vicinissimo. Considerano essi l’unione dell’anima col corpo come un’unione di due corpi permanenti, quanto alle loro qualità, e che si penetrano l’uno l’altro in tutte le loro parti, come tutto l’universo è penetrato dall’anima universale, di cui l’individuale non è che una parte.“ — Ritter.
Otto dicono le parti dell’anima. — „In quel modo che dio, o l’anima del mondo, si divide in più forze ed è concepito in opposizione alle sue forze, così anche la facoltà dominante ([testo greco]) dell’anima, si divide in varie facoltà che da essa sono rette. — Paragonano la maniera con cui la parte dominante estende la sua attività sovra tutte le parti subordinate dell’anima ad un soffio vivificante che espandesi per le membra. Come il polipo di mare s’allunga pe’ piedi, del pari estendesi il soffio caldo della ragione verso gli organi dei sensi e del resto del corpo. — Prendendo il cuore per sede della parte dominante dell’anima, gli Stoici non si fondarono su di un argomento scientifico; ma non fecero in questo che seguire l’opinione generale, confermata da Aristotele, e combattere Platone. La vita razionale per altro espande la sua influenza, la sua attività dal cuore a tutto il corpo. Ora attaccando essi ogni cosa alla realtà corporea, dovevano fondare la classificazione delle funzioni vitali, che sono dominate dalla ragione, sui diversi organi per mezzo dei quali esse sono eseguite. Egli è per questo che ammettevano otto parti dell’anima, la parte dominante, che ha la sua sede nel cuore, le parti che agiscono negli organi per le sensazioni, quella ch’è situata nell’organo della voce, in fine quella degli organi genitali.“ — Ritter.
CAPO II.
Aristone.
II. Toglieva di mezzo il luogo fisico e il logico. — Nè sopprimerà solo tutte l’altre parti della filosofia, eccetto la morale, ma la stessa morale impiccioliva, non volendo ch’ella trattasse dei doveri particolari e delle esortazioni al bene, cose da nutrici e da pedagoghi, la filosofia dovendo far vedere soltanto in che consista il sommo bene, dal quale deriva ogni conoscenza a noi necessaria. Pare quindi che la scuola stoica non fosse da principio gran fatto d’accordo con sè stessa. Atenodoro disapprovava molte cose nelle opere del suo maestro e de’ suoi condiscepoli. Aristone ed Erillo si allontanavano da Zenone, fondando scuole particolari. — Aristone spiacque eziandio al maestro, perchè a’ ragionamenti aspri e stringati preferiva il parlar dolce, copioso, che gli procacciò il soprannome di Sirena. Pari alle parole ebbe i costumi. Amò la voluttà; e abbandonata la scuola, si fece capo di altra setta, e si stabilì nel Cinosarge, lo che indicava qualche ravvicinamento alle dottrine ciniche.
IV. Nè introdusse molte virtù ec. — Forse potevasi interpretare meglio: Nè introdusse molte virtù ec., ma bensì il come governarsi nelle circostanze, essendo per gli Stoici virtù l’assecondare la natura. — „Egli non ammetteva che una sola virtù, la salute dell’anima.“ Plutarco. Ciò non s’accorda, dice Ritter, con quello ch’altri riferiscono, cioè, ch’egli considerasse la virtù come la scienza del bene e del male. Pure, secondo Ritter, queste due opinioni potevano sussistere l’una accanto dell’altra.
VI. Osservando un toro che aveva una matrice mostruosa. — „Dall’avere quel toro mostruoso la matrice, che si ha per pria delle vacche, potè Arcesilao trarre argomento contro l’evidenza dei sensi. Costui disputò primo per le due parti.“ — Menagio.
VII. Sue le epìstole sole. — Pure l’opera intitolata [testo greco], non ricordata da Laerzio, ma della quale Stobeo riporta alcuni frammenti, ha tutti i caratteri della dottrina di Aristone.
CAPO III.
Erillo.
„Quanto rimane delle dottrine di Erillo basta per mostrarle in assoluta opposizione con quelle di Aristone. Troppo egli aveva in riguardo i beni esteriori, troppo li negligeva il secondo. Per altro Erillo non volea derivate da questi il sommo bene; la qual cosa fece credere ch’egli ammettesse, per così dire, due beni supremi, distinti l’uno dall’altro. Lo che torna alla distinzione da esso stabilita tra il fine del saggio ed il fine del volgare, che si propone l’acquisto de’ beni esterni. Voleva Erillo che questo fine non fosse al tutto negletto dal savio, almeno il sejuncta di Cicerone, e l’epiteto d’[testo greco], ch’ei dava al fine del volgo, portano a crederlo. Probabilmente egli è in rispetto di questo fine secondario, che Laerzio gli fa insegnare che non eravi punto un fine sovrano, ma che il fine cangia assolutamente secondo i rapporti. Non cercando Erillo il bene del sapiente che nella scienza, o conoscenza, pare ch’ei voglia in modo assoluto ridurre la vita morale al lato teoretico. Qui dunque la dottrina di Erillo, facendo spiccare l’elemento che Zenone pare abbia tratto dalla filosofia megarica e academica, forma un’opposizione decisa coll’opinione tutta cinica di Aristone.“ — Ritter.
CAPO IV.
Dionisio.
I. Dionisio il Disertore. — Così chiamato per la sua apostasia dal Portico.
CAPO V.
Cleante.
I. Fu da prima atleta. — Questa condizione non meno del suo peculio di 4 dramme (3,50) , col quale venne in Atene, lo dicono di bassa estrazione e povero; il che gli fa onore.
II. Tratto in giudizio a dar ragione in qual modo vivesse. — Ciò accadde per una legge di Solone, e assai dimostra quanto la pubblica morale fosse in pensiero di que’ liberi governamenti, se per fino l’aspetto florido di un forestiero era soggetto di indagini. I moderni si danno altre brighe!
Anche Zenone lo esercitava ec. — [testo greco] significa propriamente esercitavasi ec. — Cleante lavorava non solo pel vitto, ma per pagare a Zenone un tenue salario ch’era di uso fra gli Stoici.
IV. Gli condussero un bagascione ec. — Gli antichi non erano osservatori tanto superficiali, come da taluno si spaccia. Già toccammo, nella vita di Socrate, del fisionomista Zopiro. Or ecco chi da uno starnuto giudica dell’altrui effeminatezza. Anche Gall registra alcuni moti, che da lui tengonsi come indizj dell’azione di organi particolari.
V. Potè succedere a Zenone. — Pare seguisse religiosamente le dottrine del maestro, non allontanandosi forse da lui che nel modo di sporle.
VI. Lasciò molti libri bellissimi. — Dai frammenti di questi veggiamo ch’egli scriverà in prosa e in verso, forse mescolati fra loro, secondo un uso generale a quell’epoca, massime presso gli Stoici. Stobeo ci serbò quasi intero un inno di Cleante a Giove, bello come le più belle preci. — Si vegga ne’ poeti gnomici del Brunck (Argentor., 1784), ove al testo ed alla versione latina ne succede una francese del Bougainville ed una italiana del Pompei.
CAPO VI.
Spero.
II. Tolomeo non esser re ec. — Lo Stefano ed il Casaubuono credono mutilo il passo; Menagio l’ha per intero. Così e’ lo interpreta: Diceva che non era re, cioè non lo diceva re per la ragione che lo salutavano re, comandava all’Egitto e portava regie insegne; ma perchè era tale quale egli era; cioè sapiente; per questo era re.
CAPO VII.
Crisippo.
L’acuto Visconti ravvisò sur una medaglia di Soli (Pompejopoli) l’effigie di Crisippo con quella del poeta Arato, nati entrambi nella stessa città. „Arato, dice il sommo Archeologo, ha gli occhi rivolti al cielo; l’altro ritratto raffigura un secchio, involto nel pallio, col pugno chiuso presso il mento, attitudine ch’era riguardata dagli Stoici come l’emblema della dialettica.“ — E soggiugne circa i! nostro ritratto; „Ho fatto intagliare un erme che ci dà lo stesso ritratto, ravvisato già nella medaglia, per quel di Crisippo. Questa effigie del più grande stoico è la sola in marmo che si conosca. Essa è in Roma (villa Albani) ed è inedita. Il ritratto di Crisippo ha qui la stessa disposizione del panneggiamento che sulla medaglia, mercè di cui ci venne fatto di conoscerlo: per altro i lineamenti del filosofo vi sono più decisi; e la sua aria concentrata e pensosa manifesta la profonda meditazione di un sottile e penetrante ingegno.“ — E. Q. Visconti.
I. Si esercitò alla corsa. — Come a tutti i principali della setta stoica, gli si fa esercitare da prima una professione bassa.
E vivo tuttora si separò da lui. — Ritter a buon dritto unisce [testo greco], compresivi i due versi che seguono, e pone dopo ciò che ha tolto di mezzo.
IV. Statua ch’è nel Ceramica. — Questa statua, da Cicerone veduta e descritta, era sedente colla mano distesa ed aperta, porrecta manu, nell’attendine di chi parla. Un tal gesto, dice il Visconti, era allusivo ad una quistione proposta da Crisippo agli Epicurei.
XII. Finge cose riguardanti Giove e Giunone. — Pare interpretasse una dipintura di Samo, nella quale Giunone era rappresentala in atto di compiacere, in modo turpissimo, al marito. Crisippo era solito torcere a fisiche significazioni molte stranezze dell’antica mitologia, onde vestire alla stoica i vetusti poeti. Forse questa volta, al dire del buon Laerzio, il fece con linguaggio da prostituta.
Coloro che scrissero delle figure. — [testo greco], cioè, secondo il Menagìo, delle tavole dei pittori, e non come volle il Casaubuono, degli indici dei libri. Forse alludesi ad altre figure.