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annotazioni 167

coscienza; poichè essi estendevano la rappresentazione non solo alla coscienza degli uomini dotati di ragione, ma anche a quella degli animali; non solamente alla sensazione, ma anche al pensiero del non sensibile; finalmente non solo alla rappresentazione che producono in noi gli oggetti reali e presenti, ma eziandio all’idea che formasi in noi senz’essere prodotta da un oggetto somiglievole. Ma la rappresentazione dee avere un obbietto corrispondente, suscettivo di essere rappresentato ([testo greco]), ed ella dee essere concepita come un patire ([testo greco]) dell’anima; il che soppone qualche cosa di attivo che la produce nell’anima; questo qualche cosa d’attivo è un obbietto esterno che, per mezzo degli organi, produce una sensazione nell’anima. — I primi Stoici riducevano il criterio della verità a questa forza interna dell’anima, che si manifesta nell’atto di afferrare la sensazione; ma Crisippo la cerca piuttosto nell’energia e nell’evidenza empirica dell’impulso esteriore. — Era mestieri collocare nelle rappresentazioni medesime il criterio della loro verità o della loro falsità, se si voleva derivare dalle rappresentazioni la verità della conoscenza. Tale pare che fosse anche l’opinione di Crisippo, quand’egli pretendeva che la rappresentazione vera o concepibile ([testo greco]) non manifesti solo sè stessa; ma ch’ella manifesti ancora il suo obbietto. Essa, dice egli, non è altra cosa che la rappresentazione che è prodotta da un oggetto reale, e in modo analogo alla sua natura. Ciò per vero, non è considerare, che l’evidenza empirica dell’impressione sensibile, come criterio di verità; ma da che si voleva derivare dall’impressione sensibile la conoscenza della verità, alcun altro mezzo non era realmente possibile; e la spiegazione di Crisippo, in questo proposito, deve essere considerata come uno sviluppamenlo conseguente del corso della dottrina stoica.“ — Ritter.