Vite dei filosofi/Libro Quinto/Annotazioni
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ANNOTAZIONI
LIBRO QUINTO
CAPO I.
Aristotele.
Dell’autenticità del nostro ritratto si convinse il Visconti,ne’ diversi paragoni, dagli occhi piccoli, dalle guance crespe, dalla magrezza della persona, non che dai capelli corti, ma non negletti, che osservò in tutti gli altri.
I. Nicomaco di Macaone figlio di Esculapio. — La medicina era una professione ereditaria nella famiglia degli Asclepiadi, i quali da lungo tempo e quasi per tradizione la coltivavano colle scienze naturali, di cui è fama aver lasciato Nicomaco alcune opere. Pretendono alcuni che Aristotele, sciupate in gioventù le proprie sostanza, facesse lo speziale in Atene. Ma forse non si professò che la medicina, vendendo i rimedii all’uso dei medici antichi, ed anche dei moderni che quell’arte esercitano in oriente. I suoi nemici, per altro, non mancarono di appellarlo, per derisione, lo speziale.
III. Aristotele il più genuino tra’ discepoli di Platone. — Molti, dice Ritter, vollero separare questi due nomi, ma d’altro canto s’affermò che l’opposizione tra i due filosofi non era che apparente, e, sendo essi d’accordo nell’essenziale, non avea luogo che sopra accessorii. Bisogna confessare, segue Ritter, che entrambe queste opinioni sono fondate. Aristotele non fu un tanto cattivo discepolo di Platone da sconoscere la verità che risplende in modo sì luminoso nella dottrina del suo maestro; ma la trovò anche mescolata ad una specie di errore ch’e’ volle dissipare, il che lo costrinse ad aprire a sè stesso una strada in filosofia — massime allorchè trattasi di spiegare i fenomeni col mezzo delle idee — allora noi troviamo Aristotele opposto a Platone. — Aristotele, secondo Cousin, riconosce con Platone esservi nello spirito idee non esplicabili dall’esperienza dei sensi; ma non parte da questo per innalzarsi, col mezzo dell’astrazione, alla loro sorgente invisibile; e’ si pone invece a seguirle nella realtà e in questo mondo. Qui sta tutta la differenza tra Platone ed Aristotele.
Si radeva la barba. — Tonsura utens. — Diogene, dice Visconti, parla della cura che si prendeva Aristotele nel radersi; ma non dice espressamente la barba: la voce [testo greco] è generica, e si riferisce più generalmente a’ capelli; ma è provato dai ritratti di Alessandro e degli immediati suoi successori, che i Macedoni avevano il costume di radersi ec., ec.
III. Ebbe Nicomaco dalla concubina Erpillide. — „Aristotele unitosi all’Erpillide, dopo la morte di sua moglie la tenne seco fino ch’ei visse. Alcuni moderni hanno creduto che fosse sua legittima sposa; ma ciò essendo come si spiega il perchè Nicomaco, che si vorrebbe figlio legittimo e naturale, e la di cui madre era viva, sia stato, nel testamento di suo padre, meno favorito di Nicanore, figlio adottivo?“ — Visconti.
IV. Si partì da Platone che tuttora vivea. — Gli antichi hanno già ribattuta questa tradizione d’ingratitudine.
Sino all’unzione. — Cioè sino all’ora destinata all’unzione.
Passeggiatore. — Peripatetico è piu verisimile che derivi dal sito che dall’atto del passeggiare.
Educandoli anche alla maniera dei retori. — La sua scuola non era una semplice scuola di filosofia; vi si apprendeva tutto che allora serviva alla coltura dello spirito, massime l’eloquenza. Aristotele si trasferiva al Liceo due volte il giorno, e i suoi scolari erano divisi in due classi. La mattina esercitava la prima alle ricerche profonde della filosofia; la sera tutti quanti amavano un’istruzione più comune e desideravano udirlo. Il primo genere d’insegnamento chiamavasi acroamatico o acroatico, il secondo exoterico. È naturale che a’ primi esercizi non prendessero parte che discepoli provati e maturi. Questa divisione, come vedremo, passò anche nelle sue opere.
V. Si recò da Ermia l’eunuco. — Ermia, eunuco sin dall’infanzia, e successivamente schiavo di molti, meritò, per l’ingegno e per la virtù di succedere ad Eubulo che fu l’ultimo de’ suoi padroni, e che erasi fatto tiranno degli Atarnei. Narrasi che il povero Ermia, a somiglianza di un nostro musico celebratissimo, non sapea comportare, che in sua presenza si parlasse di nessuno strumento che potea rammentargli il taglio patito.
Scrisse ad Ermia un peana. — Ateneo dice ch’era uno seolion, specie di canzone convivale.
VI. Poscia fu in Macedonia presso Filippo ec. — Aristotele godette di un grande favore presso Filippo; anzi alcuni credono che non da Alessandro, ma da questo fosse rifabbricata, a sua intercessione, Stagira, e che vi si aprisse anche un ginnasio per l’insegnamento della filosofia. In benemerenza di che gli Stagiriti celebravano ogni anno una festa ad onore del loro concittadino, detta Aristotelia. È fama che Aristotele sia rimasto con Alessandro un anno solo dopo ch’ei fu asceso al trono; ma dalla vita di Ammonio pare che il maestro seguitasse l’allievo in alcuna delle sue spedizioni, anzi, dice Cuvier, non si comprende come Alessandro abbia potuto inviare in Atene tutti gli animali di cui Aristotele fece la descrizione anatomica con tale esattezza da non lasciar dubbio ch’egli stesso gli avesse sparati. Cuvier adunque è inclinato a credere che Aristotele abbia seguito Alessandro fino in Egitto, e che sia ritornato in Alene verso l’anno 331 avanti l’e. v. recandovi tutti i materiali necessarii per la composizione della sua Storia degli animali. Memorabile è la munificenza di Alessandro verso il filosofo, se è vero che nelle indagini delle cose naturali spendesse la somma di 800 talenti, che equivalgono, secondo Bartelemy, a più di 4 milioni. La Storia degli animali frutto di queste largizioni è l’opera che più onora il precettore di Alessandro. Non solo, dice Cuvier, ei ne conobbe un gran numero di specie, ma le studiò e le descrisse con vasto e luminoso disegno, al quale forse nessuno de’ suoi successori si è accostato, poich’egli ordinava i fatti non già secondo le specie, ma secondo gli organi e le funzioni, solo mezzo di stabilire risultati comparativi; quindi si può dire ch’egli non solo è l’autore più antico di anatomia comparata, di cui possediamo gli scritti, ma uno di coloro che hanno trattato con maggior ingegno tal parte di storia naturale, e quegli che più inerita di essere tolto a modello.
VII. Un’accusa d’empietà. — „Io ho molti dubbi sul fondamento dell’accusa, anzi sull’accusa stessa. Paragonandogli avvenimeuti politici di quell’epoca, il processo di Aristotele sarebbe accaduto al tempo della guerra lamica, o immediatamente dopo. Le tradizioni s’accordano in questo che Aristotele era un amico di Antipatro. Egli dunque non poterà essere condannato dopo la guerra lamica. Forsechè gli si fece un delitto, al tempo di questa guerra, della sua amicizia con Antipatro. Ma allora non vedo perchè gli se n’avrebbe imputato un altro più difficile da provarsi. Per sopra più la tradizione che porta che Aristotele fu accusato a cagione delle sue dottrine è senza alcun fondamento“. — Ritter.
De’ Persi il rege arciero ec. — Pare che Ermia pagasse un tributo alla Persia. Avend’egli tentato di affrancarsene, Artaserse comandò a Mentore, generale greco a’ suoi stipendii, di ricondurlo al dovere. Costui ricorse all’artifizio, e promettendo a Ermia di riconciliarlo col suo padrone, sotto colore di stabilire le condizioni dell’accordo, lo attirò ad un abboccamento, s’impadronì di lui, e lo mandò al re, che ignominiosamenle lo fece morire.
Un nostro epigramma ch’è così. — Quest’epigrammaccio contiene per soprassello anche il giuoco scipito delle due parole: [testo greco], e [testo greco] aconito e senza fatica. — Dice Visconti, che quello che si narra del suicidio di Aristotele dee porsi tra le favole, e che non sa comprendere come il Bayle abbia potuto stare in forse sul modo delta sua morte. Ma Tennemann inclina a credere che il grand’uomo, vecchio e stanco di persecuzioni, s’avvelenasse da sè medesimo in Calcide, ov’erasi rifuggito per risparmiare agli Ateniesi un nuovo delitto contro la filosofia!
VIII. Raccontasi che per la congiura di Callistene divenisse odioso al re ec., ec. — Pretendono alcuni che l’odio di Alessandro contro Callistene si estendesse fino allo zio, Aristotele, e Plutarco ne reca in prova una lettera nella quale si tocca dell’inimicizia di Aristotele col re. Ma quella lettera è apocrifa, e le persecuzioni patite dal filosofo, subito dopo la morte di Alessandro, sembra che provino gli Ateniesi averlo considerato come dedito intieramente a lui. La condotta di Callistene, dice Visconti, fu sempre riprovata dallo zio, e sembra piuttosto che gli intrighi di Olimpia contro Antipatro, lasciato dal re al governo degli antichi suoi stati, e tenuto da Aristotele come il migliore de’ suoi amici, abbiano negli ultimi anni del conquistatore scemato alquanto l’affetto ch’ei portava al maestro.
Anassimene. — Crede l’Aldobrandino che debbasi leggere Anassarco, il quale ed era abderitano ed era stato di fatto con Alessandro. L’Anassimene del libro II, se di questo si parla, nato essendo nell’Ol. 66, appena poteva aver conversato con Aristotele, nato tanti anni dopo.
Fonti Borbori. — Fiume presso Pella. Alludesi all’andata del filosofo da Filippo e da Alessandro.
IX. Sino all’arrivo di Nicanore. — [testo greco]. Leggi la Nota di Is. Casaubuono del quale ho seguita l’interpretazione.
Statue di pietra di quattro cubiti. — [testo greco]. „Tutti i traduttori di questo passo, in luogo di statue di marmo, scrivono animali di marmo. Ho altrove provato che il greco vocabolo [testo greco] in queste frasi non significa un animale, ma una figura“. Visconti. Mon. gab.
XI. Offerendogli Diogene un ficosecco ec. — „Un uso, tra gli antichi filosofi spiega questo passo. Essi non solo si proponevano a vicenda quistioni, sillogismi ec., ma il proponente era solito porgere in pari tempo un ficosecco, quasi arra della risposta ec. Chi lo accettava vi si era come obbligato; chi non approvava quest’uso, accettata spesso la quistione e il ficosecco, deludeva chi avea dato l’uno e l’altra. Così Aristotele con Diogene. Quindi in vece di [testo greco] dessi leggere [testo greco] ec. — Quando Diogene offerì ad Aristotele un altro ficosecco, questi lo accettò, ma scherzò all’uso dei ragazzi, i quali alzando in alto il dono che ricevevano, lodavano il donatore con queste parole: [testo greco]“. — Kuhnii.
XII. Compose un gran numero di libri. — Molte opere attribuite ad Aristotele ancora sussistono, che sono ben lungi dal comprendere tutte quelle che gli antichi possederano sotto il nome di lui, e delle quali abbiamo due cataloghi oltre questo del nostro Diogene. Le stesse citazioni di Aristotele provano che la maggior parte delle sue opere è perita, sebbene citando spesso la stessa opera sotto titoli differenti, non sia facile decidere, al dire di Ritter, quali siano gli scritti citati, perduti o serbati sott’altro titolo. — Vedi in proposito la lunga nota dello stesso Ritter. — Alla divisione della sua scuola dobbiamo quella delle sue opere in acroatiche o acroamatiche ([testo greco] che si ode) ed exoteriche ([testo greco] esterno). Questa divisione, dice Ritter, sembra fondata sulle stesse espressioni di Aristotele, quantunque per lo più equivoche, ad eccezione di un passo solo, dal quale risulta ch’e’ mettea differenza tra le ricerche exoteriche e le ricerche filosofiche. Le prime contenevano una dottrina comune che tutti potevano intendere, le seconde, destinate a’ suoi discepoli, avevano mestieri di essere spiegate colle lezioni. — Sono note le supposte avventure corse dalle opere di Aristotele, prima di giugnere sino a noi; che forse non ebbero altro scopo che di aumentare il pregio dell’edizione di Andronico.
XIII. Che doppio sia il concetto della filosofia ec. — Si attribuì ad Aristotele anche questa divisione, ma egli ne dà espressamente un’altra, quella cioè che già si trova in Platone, e che divide la filosofia in logica, fisica ed etica. Per conciliare queste divisioni fra loro converrebbe ammettere che la logica e la fisica non fossero che suddivisioni. Aristotele, dice Ritter, non è stato abbastanza preciso nel determinare l’idea delle differenti parti della filosofia, anzi risulta dall’esame de’ suoi scritti ch’e’ non rimane sempre fedele alla divisione da lui fatta. — „La filosofia teorica o speculativa ha per oggetto l’ordine reale che non dipende dalla nostra volontà; la pratica, l’accidentale ed il volontario. Gli enti reali sono o invariabili o variabili; questi ultimi caduchi, o non caduchi. Le cose sublunari sono variabili e caduche; il cielo non caduco, ma variabile; Dio solo non può mutare nè perire. Per conseguenza, la filosofia speculativa, in ragione che più o meno ci innalziamo ad astrattezze è, o la fisica, o la matematica, o la filosofia prima (metafisica); in ragione de’ suoi oggetti essa diventa fisica, cosmologia, psicologia, teologia. La filosofia pratica comprende la morale, la politica e l’economia“. — Tennemann.
Del pratico l’uno morale, l’altro politico. — „La politica, che così Aristotele chiama piuttosto tutta la sua morale, abbraccia ogni maniera di ricerche le quali hanno per iscopo il bene dell’uomo, sia nell’individuo, sia nella famiglia e nello stato. Aristotele parte di là per dividere la politica in tre parti, etica, economica e politica, nel senso stretto della parola. L’etica, che ha per iscopo il bene morale dell’individuo, gli sembra come il fondamento delle altre parti della politica, poichè nulla di bene puossi fare in uno stato se buoni non sono i costumi. Viene in seguito l’economico, che tratta della buona amministrazione della casa, e che dee precedere la politica, perchè la famiglia è il fondamento dello stato. — Il nostro filosofo non è molto severo nella sua morale. Egli insegua come l’abile uomo di stato, ne’ cerchi liberi della società, dee sviluppare con misura ciò che promove la vera gloria, la magnificenza e l’allegrezza della vita, e a noi moderni par quasi, ch’egli abbia fatto a questi beni un troppo ampio partaggio. Ma ve lo determinarono le circostanze tra le quali ci vivea, siccome le circostanze determinarono gli altri, i quali hanno seguito una direzione opposta.“ — Ritter. — Nella Politica Aristotele distingue ciò ch’e’ trova assolutamente buono nello stato, da ciò che non è buono che relativamente. — La politica dee non solo considerare il meglio, ma anche il praticabile, il quale consiste appunto nel mezzo tra il bene e il male. Ei va sì lunge in questo intendimento suo ch’e’ non solo dà regole per raffermare i governi imperfetti, ma giugne persino a dare consigli ai tiranni, agli oligarchi ed a’ più sfrenati democrati sul modo col quale possono conservarsi per mezzo di artifizii che hanno servito di modello al Segretario fiorentino. — Ritter. — La politica come la morale consiste, secondo Aristotele, in una specie di temperamento fra contrarii; in un mezzo fra la tirannia e l’anarchia, in un governo o costituzione, in cui la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia si combinano. — Dall’utile ch’ei dà per fine alla politica dedusse la legittimità della schiavitù. Essendo la più vantaggiosa tra le proprietà quella dell’uomo, ei riguarda lo schiavo come elemento necessario della famiglia. Si trova in Aristotele non solo, ma in Platone l’antica opinione che la schiavitù entra ne’ disegni della natura, avendo essa destinato tuttoquanto ad un fine, e per conseguenza anche l’uomo ad essere servito od a servire. — Nè ciò solo, dice Ritter, ma da vero greco Aristotele trova giusto che i Greci comandino ai barbari; la barbarie e la schiavitù sono egualmente l’opera della natura cc., ec. — Il governo dipende dalla qualità dei cittadini, ma e questa e il primo, dal clima. I cittadini devono aver coraggio ed intelligenza. Il coraggio manca agli abitanti della calda Asia. L’intelligenza a quelli delle fredde contrade d’Europa. Quindi i Greci che abitano un paese intermedio possono soli avere un buon governo. — Aristotele aveva compilato le leggi e le costituzioni di più che cencinquantotto stati, cominciando dall’opulenta Cartagine fino alla povera e piccola Itaca; che poi epilogò negli otto suoi libri che a taluno piacque chiamare l’esprit des loix degli antichi.
Del teoretico l’uno fisico l’altro logico ec. — „Potrebbe dirsi in favore di questa divisione che Aristotele separa le sue quistioni sulle cause in tre parti: l’una che tratta dell’immutabile, l’altra di ciò che si muta ma non passa, la terza di ciò che si muta e passa. Di queste tre parti la prima non appartiene alla fisica; (Phys. II, 7; ef.); e d’altro canto questa divisione non sarebbe d’accordo colla sua divisione della filosofia teoretica in teologia, che tratta dell’ente immutabile, in matematica e in fisica. (Met. VI, 1)“. — Ritter.
Fisico. — L’idea della natura, dice Ritter, è per Aristotele l’opposto delle idee della ragione e dell’arte. La fisica non si occupa che di ciò che ha relazione ai corpi; sia questo qualche cosa di corporeo in sè, o qualche cosa che abbia un corpo, o il principio di un corpo, o qualche cosa di relativo ad un corpo. L’anima, per questo mezzo, si fa ricca di ricerche fisiche; ma non la ragione, essendb questa alcun che di separabile dal corporeo. — „Aristotele fa concorrere tre ordini di nozioni alla spiegazione fisica del mondo, i principii, le cause e gli elementi. Egli stabilisce due principii contrarii, la forma e la privazione combinati con un terzo principio, la materia che l’una e l’altra comporta. Le cause sono di quattro specie: la causa materiale, ex qua aliquid fit; la causa formale, per quam, la causa efficiente, a qua; la causa finale, propter quam. Degli elementi se n’ha due di primordiali, la terra, ch’è pesante, e il fuoco, ch’è leggiero. Essi sono uniti col mezzo di due altri elementi, l’aria e l’acqua che sono analoghi fra loro, e partecipano in pari tempo l’una alla natura della terra, l’altra alla natura del fuoco. Quest’idea si trova nella filosofia di Platone ed in quella di Kanada. I tre principii, le quattro cause, i quattro elementi, combinati colle leggi del movimento, sono le sorgenti della fisica generale di Aristotele ». — De Salinis ec.
Logico. — Aristotele ha cercato, al dire di molti, un mezzo tra l’idealismo e il sensismo; tra Platone e la scuola di Elea; ma non è chiaro in che consistesse. „V’hanno nello spirito umano due parti, le forme logiche e gli elementi forniti dalla sensazione. In virtù delle forme che la costituiscono essenzialmente, la ragione produce delle affermazioni che imprimono al variabile e all’industriale il carattere della necessità e dell’universalità logica, che si risolve nel principio di contradizione, in conseguenza del quale la stessa cosa non può essere e non essere nello stesso tempo. Ma queste forme della ragione e le affermazioni che da esse procedono hanno mestieri di una materia cui applicarsi: questa materia è la sensazione; ed è fornita dall’esperienza. Aristotele ammette con Platone che la conoscenza rinchiude un elemento radicalmente distinto dalla sensazione. Ammette con Epicuro, che senza la sensazione nessuna conoscenza potrebbe esistere. Si distingue da Platone, perchè nella costui dottrina le idee, sorgente delle affermazioni assolute, che non si risolvono in verità puramente logiche, sono realtà eterne, indipendenti dalla ragione, ad essa estrinseche, e soltanto ad essa manifestate. Si separa da Epicuro, perchè le anticipazioni di questo non sono che la generalizzazione delle sensazioni stesse, mentre nel sistema aristotelico le forme della ragione, benchè non possano applicarsi che alle sensazioni, vi aggiungono, per costituire la conoscenza, un elemento, indipendente dall’esperienza. Seguiva da ciò, dovere la filosofia incominciare dal determinare le leggi interne della ragione, o in altri termini, essere primitivamente dipendente dalla logica. La logica in effetto è la grand’opera di Aristotele, la chiave di tutte le speculazioni, il legame che unisce tolte le parti de’ suoi immensi lavori. — La logica inchiudendo le leggi della dimostrazione, e quindi stesso della scienza, suppone, secondo questo filosofo, alcune nozioni indimostrabili che gli servono di base. Supposte queste basi, Aristotele divide la logica in tre parti. La prima tratta dei termini, espressioni delle idee; la seconda delle enunciazioni, espressioni dei giudizii; la terza del ragionamento. Siccome il ragionamento, ch’è l’istromento della dimostrazione generatrice della scienza, è l’oggetto proprio della logica, è necessano conoscere i suoi elementi. Egli si compone di proposizioni; bisogna adunque esaminare da prima le proposizioni. Ma le proposizioni si compongono esse stesse di termini; è mestieri adunque incominciare dai termini, che sono gli elementi primitivi del ragionamento.“ — De Salinis ec.
La dialettica pel verisimile. — Oltre la logica dimostrativa, che parte da ciò ch’è certo per giugnere a conclusioni certe, avvì una logica, la quale non è che l’arte delle congetture, che opera sul probabile, e che riceve il nome di dialettica. Le sue leggi sono fondamentalmente quelle della logica dimostrativa, il suo valore solo è diverso. — Fu detto che Callistene abbia mandato ad Aristotele un compiuto sistema tecnico di logica, comunicatogli da’ Bramini, i! quale divenne fondamento del metodo aristotelico. Il suo sillogismo trovasi di fatti in Kanada.
Per le morali la mente. — „Il principio della morale di questo filosofo è la moderazione dei desiderj secondo il giudizio della ragione. Al principio positivo del dovere assoluto, stabilito da Platone, al principio positivo del piacere, slabilito da Epicnro, egli sostituisce, conformemente al carattere generale della sua filosofia, una regola astratta. La virtù consiste, in conseguenza di questa regola, in un mezzo tra passioni contrarie. Lo scopo della morale è il contento che deriva da codesta moderazione di desideri. Si dee notare, in ciò ch’ei dice della giustizia, una distinzione che fu in seguito generalmente adottata dai teologi casuisti e giureconsulti, la distinzione cioè della giustizia commutativa, che regola le transazioni e i rapporti da privato a privato, seguendo una proporzione aritmetica, e la giustizia distributiva, che, nello stato distribuisce le ricompense e le pene secondo una proporzione geometrica.“ — Salinis ec.
Dio affermava incorporeo, non altrimenti che Platone. — Ritter non osserva una differenza essenziale tra Platone e Aristotele nella maniera con cui si formano l’idea di Dio. In Platone la dottrina sopra Dio e sulle sue relazioni col mondo è assai più mitica che in Aristotele. Questo filosofo è lontano dallo accontentarsi di un’esposizione mitica, volendo tutto rivestire di un’espressione scientifica determinata.
Estendere la sua provvidenza ec. — Nella spiegnzinne del mondo, dice Ritter, tanto in Platone quanto in Aristotele, la necessità si colloca insensibilmente e quasi in maniera non visibile, a lato della forza divina e razionale. La dottrina di Aristotele non si differenzia in questo dalla dottrina del maestro; essa non cerca nella natura delle cose subordinate il principio dell’imperfezione del mondo, ma fa sussistere eternamente la materia e il divenire a lato di Dio, senza Cercarne ragione. Così, nel vero, l’attività divina non dee essere limitata a sè sola, alla immutabile contemplazione di sè medesima, ma Dio invece appare in relazione un po’ strana colle cose del mondo. Poichè e’ non dà ad esse la loro facoltà d’essere o di divenire: questa facoltà è ben piuttosto nella materia; solo puossi affermare ch’è in virtù dell’azione divina ch’esse giungono ad un’esistenza, ad una realtà determinata. E in questo stesso, Dio agisce in una maniera quasi indifferente, se chiedendo come e perchè Dio muove il mondo, noi vediamo nonostante ch’ei non agisce primitivamente nella formazione di quello, ma dà solamente il nascimento alle forme nelle cose messe in movimento. — Dalla conoscenza delle cose, segue Ritter, che ora sono in riposo, ora in movimento, Aristotele è convinto dover esistere un motore, il quale non possa essere nè mosso, nè non mosso. Ora se il movimento deve essere eterno e continuo, fatto attestato dalla conoscenza che noi abbiamo del movimento dei corpi celesti, deve esistere un motore, il quale non sia mosso egli stesso, poichè non avvi che l’immutabile che sempre possa muovere alla stessa maniera; e reciprocamente del pari, se vi dee essere un movimento variabile, come la nascita e la morte, esservi dee un’altra natura motrice mezzana, tutt’insieme in movimento e in cangiamento, la quale per questa ragione sia abile ad agire in diverse maniere e in tempi differenti. Tre specie di enti sono dunque necessari alla spiegazione della natura: uno fuori dalla materia, il non mosso, o Dio; due materiali, il cielo eterno e che non può perire, il quale non si muove che nello spazio, in maniera uniforme e sempre in giro; e l’ente in fine che perisce, che abita la terra.
Oltre i quattro elementi un altro quinto. — „Aristotele in generale considera gli elementi come corpi semplici. Lor base è la materia che è sempre in opposizione. Egli è dalle opposizioni che s’incontrano nella materia, che gli elementi derivano, i quali, in conseguenza della natura del materiale sulla terra, non hanno nulla di stabile, ma si trasformano fra loro. — I contrarii delle qualità sensibili o fisiche, i contrarii del movimento naturale, sono tutte opposizioni che costituiscono il principio delle differenze degli elementi. Le opposizioni sensibili o corporee sono il freddo e il caldo, il secco e l’umido. Ora siccome l’opposto non può essere unito coll’opposto, le sue qualità contrarie, unite a due a due, formano quattro specie di corpi semplici, il caldo e il secco, il fuoco; il caldo e l’umido, l’aria; il freddo e il fuoco, l’acqua; e finalmente il freddo ed il secco, la terra. Ciò nulla meno d’ordinario e in pari tempo in maniera più compita, Aristotele deriva gli elementi, dalla differenza del movimento del mondo. Nel mondo, per la sua sfericità, si distinguono naturalmente due luoghi, il centro e la circonferenza. Ciò ch’è nel mezzo è il di sotto naturale, ciò ch’è alla circonferenza è il di sopra naturale. V’hanno adunque tre movimenti principali nel mondo: il movimento circolare, il movimento d’alto in basso e quello di basso in alto. Ora siccome il movimento naturale precede il movimento ricevuto, questi movimenti principali devono, del pari aver luogo in una maniera naturale, prima di aver luogo in un’altra maniera, e debbonvi essere dei corpi che si muovono naturalmente, come altri si muovono naturalmente di basso in alto, o di alto in basso. Ma perchè nessuno dei corpi semplici che noi rinveniamo sulla terra non si muove naturalmente a cerchio, Aristotele immaginò un quinto elemento, ch’è anteriore ai quattro altri e più divino di essi, allo stesso modo che il movimento circolare è più antico e più divino che il movimento in linea retta. Ei lo chiama secondo un’antica tradizione l’etere. Quest’elemento non ha nè pesantezza nè leggierezza, perchè e’ non tende nè verso il centro, nè verso l’alto. Non è soggetto alle imperfezioni, alle quali di altri elementi sono soggetti; è impassibile, perchè nel movimento circolare che di è proprio non incontra alcuna opposizione; ei non ha per conseguenza che un movimento locale e sul posto, e non un movimento d’aumentazione o di diminuzione, nè un movimento di trasformazione, di nascita o di morte. Il cielo e le stelle provengono da esso; come loro egli è eterno; il che provano del pari le tradizioni, le quali non attestano alcun cangiamento nel cielo. Se non esistesse che questo solo elemento, non vi sarebbe nè nascimento, nè morte, ma unicamente movimento. — Ritter.
Prima perfezione, [testo greco] — [testo greco], perfezinne, atto, continuità di movimento nella materia ec. Così il Lessico. — Osserva Ritter che in Aristotele non v’ha differenza di sorta tra energia e entelechia. Queste espressioni, dice egli, vi sono adoperate assai spesso indifferentemente l’uno per l’altra. Trovasi una spiegazione di entelechia nel lib. II, 4, De An. [testo greco]. In questa spiegazione è mestieri ricordarsi che [testo greco], come idea, e [testo greco] suonano una stessa cosa pel nostro filosofo. Secondo questa spiegazione, l’entelechia significherebbe la forma del materiale; ina ella è troppo ristretta, poichè l’ente primitivo è parimente chiamato entelechia. Met. XII, ec. — I peripatetici trassero questa celebre parola a significare tutto che loro parve. Narrasi perfino, che Erm. Barbaro ricorse al diavolo per saperne il senso, il quale con voce sottile e simile al sibilo, praetenuem et pene subsibilantem, glielo svelò col vocabolo perfectihabia. Altri di questa parola fa inventore Budè. — Monlorius, scrisse un trattato de Entelechia. — V. Bayle. — Secondo Buble le monadi di Leibnizio non sono che l’entelechia di Aristotele.
Avendo vita nella potenza del corpo. — Aristotele riferisce le differenti funzioni delle diverse parti del corpo organico ad altrettante facoltà dell’anima; ciò che dà chiaramente a conoscere la sua idea, non esserti alcuna parte del corpo che non sia in relazione coll’anima. — L’anima non può significare per lui se non la riunione delle differenti funzioni che si manifestano ne’ corpi organici, la qual cosa egli spiega manifestamente dicendo che ciascun organo ha una destinazione, ma che la destinazione è un’azione; donde ne viene per conseguenza, che tutto il corpo è destinato ad un’azione totale, e che quest’azione totale è l’anima. Lo che fa che l’anima è anche concepita come un’azione che porta seco il suo fine, come un’energia o entelechia, e che la perfetta definizione dell’anima si risolve nel dire ch’ella è la prima entelechia di un corpo organizzato. — Prima entelechia in questo che, come anima ella si trova anche negli enti che non hanno precisamente attività, ma che sono come addormentati e non posseggono che la facoltà d’essere attivi. Poichè la prima entelechia, nella prefata definizione, significa la forza già sviluppata in una maniera qualunque, e che non ha precisamente mestieri di essere in giuoco. — La qual cosa fa che dal nostro filosofo si dovea concepire lo sviluppo del corpo e quello dell’anima come indissolubilmente legati l’uno all’altro, poichè il corpo organico formato dalla natura è la condizione dell’anima. — L’anima, secondo Aristotele, non è nè corpo, nè alcuna grandezza estensiva, ma qualche cosa di corporeo, e qualche cosa in grandezza. — È un’antica quistione quella di sapere se Aristotele abbia insegnata o negata l’immortalità dell’anima. I passi staccati delle opere di questo filosofo che ci rimangono, non provano nè in favore, nè contro. Non puossi adunque giudicare che dal complesso della sua dottrina, e questo complesso prova chiaramente che lo Stagirita non pensava affatto ad una immortalità dell’ente individuale ragionevole, ma ch’egli attribuiva alla ragione generale una esistenza eterna e un’essenza immortale.“ — Ritter.
Il nome di Aristotele, del maestro di color che sanno; al quale, secondo lo stesso Dante, la natura più aperse li suoi segreti, e fu il duca della vita e della umana ragione, è il solo che intuita l’antichità faccia veramente riscontro a quel di Platone. — Aristotele e Platone, dice Cousin, sono uomini piuttosto diversi che opposti. Dall’uno vennero in occidente le idee fondamentali intorno a cui aggirasi la filosofia, dall’altro il metodo che ad essa conviene e ch’essa serbò. I loro sistemi hanno radici sì profonde nella natura dello spirito umano e in quella delle cose, che il tempo, che tutto cangia, non ha potuto mutare le loro forme; anzi è lecito rigorosamente affermare, che l’umano pensiero non altro fece di poi se non se mano mano passare dall’uno all’altro, modificandogli e perfezionandogli sempre. — L’ammirazione ch’ebbero i posteri a questo grande filosofo sorpassò quella tributata al maestro. La filosofia d’Aristotele trasandata dai Greci, alla cui ridente fantasia poco garbeggiava e dai Romani ai quali ogni filosofia speculativa era indifferente, riprovata dai primi cristiani, pressochè tutti platonici, trovò favore appo gli Arabi, che nel medio evo la introdussero in Europa ove le si tributò un culto al tutto superstizioso. Nè alla scienza sola ma al maestro si rese questa pazza venerazione! Fu detto che prima del nascimento di Aristotele la natura non era compita; ch’egli era il colmo dell’umana perfezione: che senza di lui molti articoli di fede mancherebbero a’ cristiani; ch’egli vincerà di lunga mano Salomone e Maometto: ch’egli era un santo e che si dovea celebrarne la festa, ec. ec. Quindi l’anatema di chi non s’inchinava al filosofo, i decreti della Sorbona: quindi le persecuzioni di Cartesio, il carcere di Valeriano, l’assassinio di Ramo. Finalmente si cadde, al solito, in un eccesso opposto, e la filosofia aristotelica fu dispregiata; e le opere dello Stagirita si stettero affatto senza lettori, e senza un’intera traduzione nelle moderne lingue di Francia e d’Italia. Ma Aristotele, dice Cuvier, è capo di uno dei due grandi partiti che divisero la filosofia sino a’ nostri giorni, — e forse la dividono tuttora e la divideranno per molto tempo mascherata sotto forme di altri sistemi.
CAPO II.
Teofrasto.
Ennio Visconti tiene per vero il solo ritratto di Teofrasto che noi diamo qui, e che è quello della villa Albani. Il sig. Verity di Parigi misurandone frenologicamente un altro del musco Borbonico di Napoli, trova in esso più o meno sviluppati i seguenti organi: Molto larghi que’ della Concentratività; Secretivilà; Benevolenza; Paragone. — Larghi, que’ dall’Acquisività; Venerazione; Speranza, ed i percettivi. — Piuttosto larghi que’ della Stima di sè; Approbatività; Linguaggio; Causalità. — Pieni que’ della Maravigliosità e dell’Idealità. Non offerendoci il sig. Verity nè il disegno, nè alcun’altra particolarità del suo busto, rimane dubbio se il Teofrasto napolitano, simile o diverso dall’altro, sia stato ignorato dal Visconti, o scoperto dopo la morte dell’illustre archeologo.
V. Usò il vocabolo scolastico. — [testo greco]: ma pensa il Menagio doversi leggere [testo greco].
VI. Lui, Tirtamo chiamato, Teofrasto nomò Aristotele. — Le opere che vanno sotto il nome di Teofrasto troppo si rassomigliano nello stile a quelle di Aristotele per meritarsi un tanto elogio. Pure Strabone, e Suida. e Fabio, e Plinio, e Cicerone dicono press’a poco ciò che Diogene. La moderna critica non si piega neppure a queste autorità! „Spiacendo ad Aristotele il barbaro nome di Tirtamo, vuolsi che gliel mutasse prima in Eufrasto, che significa buon-parlatore, poscia in Teofrasto, parlatore-divino. Può darsi che il giovine filosofo abbia mutalo il proprio nome per averne un altro più attico, ma la particolarità che qui si tocca ha tutte le sembianze di una favola. Se Teofrasto significa parlatore-divino, non pare che il discepolo d’Aristotele abbia potuto sì presto meritare un elogio tanto esagerato. Oltrechè questa spiegazione non è conforme all’indole del greco idioma. [testo greco] non può veramente significare che annunziato-dagli-dei; ciò che potè di leggieri supporsi in un paese pieno di oracoli. Anche un figlio di Temistocle aveva gran tempo prima portato lo stesso nome.“ — Visconti.
IX. Un orto privato. — Tengono alcuni che quest’orto fosse botanico e che fosse il primo di questo genere.
XI. Lui accompagnarono a piedi. — Menagio vorrebbe mutato il [testo greco] in [testo greco] per leggere: [testo greco], [testo greco], non essendo costume degli Ateniesi accompagnare i morti in cocchio od a cavallo.
XIII. Lasciò dei libri in numero sterminato, la maggior parte dei quali è perduta. T. de Berneud ne ha raccolti con lungo amore tutti i frammenti sparsi in altre opere per tessere la storia di questo filosofo, della quale intrattenne l’Istituto di Francia. Gli scritti principali che ancor ci rimangono di Teofrasto sono: La storia delle piante; il trattato della causa della vegetazione, ed i Caratteri. Il prefato Bernend, nel primo tomo della società Lineana, facendo conoscere le dottrine botaniche dei due primi, ha mostrato come ivi Teofrasto abbandoni le ipotesi de’ suoi predecessori, e stabilisca le regole, dianzi ignorate, dell’arte di sperimentare; ha detto i forti che per fondare le loro classificazioni gli hanno fatto i moderni senza nominarlo; ha raccontato come Teofrasto trovi nei caratteri generali ed essenziali delle piante un’affinità diretta col sistema che regge la vita degli animali; come li vegga soggetti alle stesse leggi per l’organizzazione e l’incremento, per la nutrizione e la riproduzione ec., ha finalmente provato come, secondo il nostro filosofo, la riproduzione abbia luogo per l’unione intima dei sessi; come il polviglio de’ fiori maschi fecondi i fiori feminei, e faccia loro produrre i frutti: come, se i sessi non sono uniti sul medesimo stelo, l’imeneo si compia pel ministero dei venti o degli insetti; come Teofrasto abbia dato al sistema dei sessi tutto l’incremento possibile in tempi in cui l’occhio non aveva ajuto di lenti. — Vedi l’articolo Teofraslo della Biografia. — Il suo libro dei Caratteri, voltato in tutte le lingue e a tutti noto, sebbene non egualmente giudicato, offre bellezze originali e difetti di cui devesi accagionare l’epoca nella quale fu scritto e chi ne ha fatto il sunto, chè opera imperfetta e da rapsoda è quella che ci è rimasta, e servi di modello al La Bruvère. — Le opere di Teofrasto aspettano ancora lo studio degli Italiani. — „Teofrasto non era intieramente d’accordo col suo maestro circa l’idea del movimento. — Attaccò egli la dottrina di Aristotele che nell’anima non vi ha movimento, ma sole energie. Anzi cercò mostrare che l’anima è in movimento, sebbene non al modo del corpo. — Parsegli anche possibile che l’energia non fosse che un movimento. — Al pari di Aristotele stimando non poco l’influenza dei beni esterni sull’umana felicità, dovette consigliare di cercarne l’acquisto; ma egli con ciò diminuì il pregio della virtù e non temette asseverare che la vita dell’uomo non è retta dalla saviezza, ma dal caso.“ Ritter.
XIV. L’immagine di Nicomaco facciasi di tutta grandezza — [testo greco]. „Cioè: immagine pari in grandezza allo stesso Nicomaco. Noi francesi la diciamo figura intiera.“ — Menagio.
CAPO III.
Stratone.
II. Soprannomato il fisico. — Questo soprannome, dice Ritter, prova già per sè solo che Stratone nelle sue ricerche dirigeva particolarmente i suoi sguardi sul corporeo e il sensibile, mentre la morale lo occupava assai meno. — „Stratone, fra’ peripatetici, è quello che più si è allontanato da Aristotele, combattendolo con sagacità. — Teofrasto già lo avea preceduto considerando l’energia della ragione pensante come un movimento. Lo seguì Stratone, il quale sembra essersi fondato su questo, che l’intendimento è una facoltà da assegnarsi all’attività reale, e che nulla può pensare senza la precedente sensazione. Ma la sensazione che mette in giuoco l’intendimento è essa stessa posta in moto dai sensi. Al che sembra anche riferirsi quello che Stratone diceva di un organo corporeo particolare da lui attribuito all’intendimento. — Stratone, battendo questa via con poca intelligenza, dovette farsi tutt’altra idea che Aristotele del primo principio delle cose, poichè se il pensiero della mente è un movimento, il principio di tutti gli sviluppamenti cosmici non può essere concepito come un ente pensante immobile; non avvi allora nè meno ente immutabile, esistente, per dir così, fuori della natura, e soltanto comprensibile dall’intelletto, ma ogni cosa deve dedursi, secondo il principio d’Aristotele, alla natura che per tutto è il movimento e la cagione di qualunque movimento. Il che dovette condurlo a tutto spiegare col mezzo della sola natura, senza intendere il bisogno di un Dio, che nella sua immobilità mette il mondo in movimento. L’opinione di Aristotele che il movimento si propaghi nel mondo da tutta l’eternità, sembra a Stratone interamente d’accordo colla non necessità di un Dio. Può dirsi ch’ei concepì la natura come Dio, e come essente a un tratto il principio della forma e della materia. — Pare che Stratone sia ito più lungi. Egli rifiuta al suo Dio, alla natura, l’anima e la vita di un ente vivo, cioè il sentimento e la sensazione; lo che, in generale, Aristotele chiamava, nel senso proprio della parola, se non c’inganniamo, forma o idea. È palese che Stratone concepì la natura come un principio senza coscienza delle cose, come una materia che porta in essa la facoltà e il motore della forma, e ch’è in istato di produrre nelle sue opere più perfette questa forma, e con essa l’anima e l’intelligenza. — Ei si mostrò per converso alieno alla meccanica atomistica.“ — Ritter.
VI. Quarto l’istorico ec. Sesto un poeta ec. — Il quinto Stratone è rimasto nella penna o di Diogene o degli amanuensi.
CAPO IV.
Licone.
I. Aggiugnevano il gamma al suo nome. — Cioè di [testo greco] facevano [testo greco], dolce.
III. Le orecchie ammaccate e il corpo unto. — Attritis auribus et habilior esset. — Contusis auribus oleoque politior esset. Tali erano coloro che si esercitavano alla palestra. — [testo greco], che fu spesso unto dal [testo greco], o olio palestrico. Gli Spartani perchè dediti a quell’esercizio erano chiamati dagli Ateniesi: que’ dalle orecchie rotte.
IX. Un pajo di tazze tericle.' — [testo greco]. Così dette, secondo Plinio, dal nome del primo inventore delle tazze di cristallo.
Rodie. — [testo greco], Il Westenio legge [testo greco]; H. Stefano [testo greco]. — „[testo greco] che già mi piacque, ora non mi garba più. Penso che fosse una specie di bicchieri come que’ che [testo greco], e [testo greco] si chiamavano“. — Is. Casaub. — Leggi una lunga nota di Menagio. — Seguo l’emendazione del Lennep.
CAPO V.
Demetrio.
II. Fu stimato degno di trecensessanta statue di bronzo. — Dice Strabone che secondo alcuni Atene non fu mai tanto felice quanto sotto il governo di Demetrio, nonostante il lusso e le sfrenate libidini di cui lo accusa Duri, che forse Demetrio Falereo confuse col Poliorcete. Il popolo che si avventò contro le sue statue era certo sdegnato con lui, perchè si vedeva escluso dall’amministrazione della repubblica, e non piaggiato come al solito.
IX. Libri. — Corre sotto il nome di Demetrio un Trattato dell’elocuzione, che tiensi di altro, e del quale abbiamo due versioni, una di P. Segni, una di M. Adriani.
Del decennio. — [testo greco] spazio di dieci anni. Secondo Menagio, forse quello dell’assedio di Troja.
Del trave. — [testo greco]. — Striscia di luce che di notte a ciel sereno si vede talvolta nell’aria; se orizzontale, chiamata Trave, se perpendicolare Colonna; Bolide, o Dardo se colla punta.
X. Non essere piccola parte le sopracciglia ec. — O [testo greco], sopracciglio, significa anche orgoglio, quindi non piccola parte le sopracciglia il cui portamento lo dimostra.
Mercurio quadrato. — I Greci tenevano Mercurio per inspettore del discorso e della verità, e ne facevano l’immagine quadrata e in forma di dado per significare copertamente che in qualunque parte cadesse, era per tutto stabile e retta. — Secondo un commentatore di Omero quattro grandi cose aveva trovato Mercurio quando fu tra gli uomini: le lettere, la musica, la palestra e la geometria; il perchè i Greci lo foggiavano quadrato. — Il chiamare Erma o Mercurio quadrato un giovine d’allora tornava come dire pilastro, pezzo di pietra ec.
CAPO VI.
Eraclide.
IV. Opere. — Non rimangono che pochi brani di un compendio del sno trattato delle repubbliche ([testo greco]), dimenticato da Laerzio, e che al dire di Coray non è altro che un epitome della grand’opera di Aristotele sullo stesso argomento, tradotti con bel garbo in volgare da Spiridione Blandi, unitamente a questa stessa fila di Diogene. Corre sotto il nome di Eraclide anche un’altro trattato dalle allegorie omeriche, il quale non è suo.
VI. Avendo egli allevato un serpente. — „Eraclide aveva nodrito e addomesticato un serpente, e lo teneva seco mangiando e dormendo. Questo solo si trovò sul letto non rinvenendosi Eraclide che pure si era corcato sano. Altri tennero ch’e’ fosse divenuto immortale; altri che si fosse gettato in qualche pozzo.“ — Suida.