Vite dei filosofi/Libro Quinto/Vita di Eraclide
Questo testo è completo. |
◄ | Libro Quinto - Vita di Demetrio | Libro Quinto - Annotazioni | ► |
CAPO VI.
Eraclide.
I. Eraclide di Eutifrone, eracleote del Ponto, era uom ricco.
II. In Atene da prima s’accostò a Speusippo; poi fu discepolo de’ Pitagorici e imitatore di Platone; da ultimo, al dire di Sozione nelle Successioni, scolaro di Aristotele.
III. Egli usava abiti molli, ed era corpulento a segno che gli Attici non pontico lo chiamavano, ma pompico; ed avea l’andare facile e grave.
IV. Di costui si hanno opere bellissime ed ottime. Tra i dialoghi sono morali: Della giustizia, tre — e uno Della temperanza — e Della pietà, 1 — e Della fortezza, 1 — e in generale Della virtù, 1 — ed un altro — Della felicità — Della signoria, 1 — e Delle leggi, 1 — e Delle cose affini a queste — Dei nomi, 1 — Convenzioni, 1 — L’amoroso per forza e Clinia, 1 — Sono fisici: Della mente — Dell’anima — e separatamente Dell’anima — e Della natura — e Dei simulacri — Contro Democrito — Delle cose che sono in cielo — Delle cose che sono in inferno — Delle vite, 1, 2 — Cagioni dei mali, 1 — Del bene, 1 — Contro le opinioni di Zenone, 1 — Contro le opinioni di Metrone, 1, — Sono gramaticali: Dell’età di Omero e di Esiodo. 1, 2 — Di Archiloco e di Omero, 1, 2. — E musicali: Delle cose che sono in Euripide ed in Sofocle, 1, 2, 3 — Della musica, 1, 2 — Di soluzioni omeriche, 1, 2 — Speculativo, 1 — Dei tre poeti tragici, 1 — Di caratteri, 1 — Di poetica e dei poeti, 1 — Di congettura, 1 — Di preveggenze, 1 — Esposizioni di Eraclito, 4 — Esposizioni a Democrito, 1 — Di soluzioni controverse 1, 2 — Assiomi, 1 — Delle specie, 1 — Soluzioni, 1 — Avvertimenti, 1 — A Dionisio 1. — Sono retorici: Dell’officio di retore o Protagora. — Istorici: Dei Pitagorici e delle invenzioni. — Di questi libri gli uni foggiò alla maniera dei comici, come quello Della voluttà e Della modestia, gli altri tragicamente, come quello Delle cose che sono in inferno e quello Della pietà e Del potere; e tiene non so qual mezzo quando conversano filosofi, capitani e politici. E parimente suoi ve n’ha di geometrici e dialettici, e, ch’è più, in tutti è anche vario e distinto lo stile e a sufficienza potente per attrarre gli animi.
V. Pare ch’ei liberasse la patria tiranneggiata, uccidendo il monarca, come afferma Demetrio magnesio negli Omonimi.
VI. Il quale anche questo racconta di lui: „Che avendo egli allevato un serpente da piccolo, e questo cresciuto essendo, da poi ch’e’ fu sul punto di morire, ordinò ad un suo fidato di ascondere il cadavere e di porre il serpente sul letto, affinchè si credesse ch’ei fosse passato fra gli dei; che tutto accadde; ma che mentre i cittadini accompagnavano il funerale di Eraclide e lo celebravano con acclamazioni, il serpente, udite le grida, uscì dalle coltri e urne in iscompiglio la maggior parte; che da ultimo poi tutto si scoperse, e fu veduto Eraclide non quale si credette, ma quale era“. — Ed è nostro un epigramma sovra di lui cbe è così:
Fama volesti, o Eraclide, lasciare
Tra gli uomin, ch’eri, nel morire, un vivo
Serpente divenuto; e pure, scaltro,
T’ingannasti, chè fiera era il serpente,
E tu fiera convinto e non serpente.
Questo racconta anche Ippobolo. Ma Ermippo dice che assalito da fame il paese, gli Eracleoti, interpellarono la Pitia per esserne liberati, cbe Eraclide corruppe con danari e i teori e la Pitia perchè annunziassero pubblicamente che sarebbero liberati dai mali se Eraclide di Eutifrone, fosse da essi, vivente, con una corona d’oro incoronato, morto, onorato come eroe; che di fatto l’oracolo fu recato, ma che di nulla profittò a coloro che ne furono gli inventori, poichè sul punto istesso che in teatro s’incoronava, Eraclide fu collo d’apoplessia e i teori morirono lapidati. Anzi all’ora medesima, scesa la Pitia nell’adito, e appena presentatasi, punta da uno dei serpenti, incontanente spirò — Tali sono le cose riguardanti la morte di lui.
VII. Afferma il musico Aristosseno ch’e’ compose anche delle tragedie e quelle attribuì a Tespide. E Cameleonte dice che gli rubò ciò ch’esso avea scritto di Esiodo e di Omero. E lo biasima del pari Autodoro epicureo nel confutare le cose ch’egli scrisse della giustizia. Inoltre, ancora Dionisio il Metatemene, o Spintaro, com’altri dice, scritto il Partenopeo, lo attribuì a Sofocle, ed Eraclide, credendolo, in alcuna delle proprie opere se ne valse per le citazioni come fosse di Sofocle. Saputo questo Dionisio gli avvisò ciò che era e, negando egli e non se ne persuadendo, gli scrisse di osservare il principio dei versi, in cui vi avea pancalo — era costui amante di Dionisio — e siccome poi non credeva ancora e diceva essere possibile che ciò fosse per caso, Dionisio gli riscrisse di nuovo: Anche questo ci troverai:
Vecchia scimia non pigliasi nel laccio:
Si piglia è ver, ma pigliasi col tempo.
E dopo: Eraclide non conosce le lettere, nè si vergogna.
VIII. Vi furono quattordici Eraclidi. — Il primo questo medesimo. — Secondo, un concittadino di esso, il quale compose pirriche e frottole. — Terzo, un cumano che scrisse le cose persiane in cinque libri. — Quarto, un cumano, retore, il quale compose Le arti. — Quinto, un calaziano, o alessandrino, scrittore di una successione in sei libri e di un’orazione Lembeutica, per la quale fu anco Lembo chiamato. — Sesto, un alessandrino, che compose le particolarità persiane. — Settimo, un dialettico bargileite, che scrisse contro Epicuro. — Ottavo, un medico della scuola d’Icesio. — Nono, un medico empirico tarentino. — Decimo, uno scrittore, poetico, di precetti. — Undecimo, uno scultore focese. — Dodicesimo, uno scrittore pungente di epigrammi. — Tredicesimo, un magnesio, il quale scrisse le Mitridatiche. — Quattordicesimo, uno scrittore di cose astrologiche.