Vite dei filosofi/Libro Decimo/Annotazioni
Questo testo è completo. |
◄ | Libro Decimo - Vita di Epicuro | Errata corrige del secondo volume | ► |
ANNOTAZIONI
LIBRO DECIMO
Epicuro.
Il ritratto di Epicuro che offriamo a’ lettori è copiato da un piccolo busto di bronzo scoperto in una casa suburbana presso Ercolano. Le immagini dì Epicuro furono moltiplicate per modo che, al dire di Attico presso Cicerone, era pur volendo, impossibile dimenticarne la fisonomia. Nec tamen Epicuri licet oblivisci, si cupiam; cujus imaginem non modo in tabulis nostri familiares, sed etiam in poculis et annulis habent. Tuttavolta erano sfuggite alle ricerche degli iconografici, quando a un tratto, diverse autentiche ne sono venute in luce. — Visconti.
I. Figlio di Neocle. — Lo stesso nome avea il padre di Temistocle. Menandro, il comico, trasse motivo da questa circostanza di altamente lodare Epicuro. Ecco il suo epigramma, che sta nell’antologia: Salve di Neocle doppia schiatta! Grecia
Per l’un di voi fuggia
La schiavitù, per l’altro la pazzia.
E notisi che Menandro era peripatetico.
Quando Samo toccò in sorte agli Ateniesi. — Il verbo [testo greco] significa propriamente ricevere o possedere per sorte una pontone di terreno conquistato; e Samo, dopo molte guerre feroci, era caduta in mano degli Ateniesi, i quali divisa l’isola in due mila parti, la distribuirono ad altrettanti coloni perchè la coltivassero. Neocle fu del numero, e vi si recò in compagnia della Cherestrata.
III. Che trattano della XXIV. — [testo greco] quae sunt de vicesima quarta. — Lo Stefano e l’Aldobrandino traducono: sunt autem fere XXIV. Il Meibomio riferisce il senso all’epistola ventiquattresima. Secondo l’Huebnero si dovrebbe scrivere: [testo greco] sul dì ventesimo.
Peana, re. — [testo greco], che guarisce, ec. Soprannome d’Apollo, grido od inno di trionfo. Si rinfacciava ad Epicuro un abuso di esclamazioni ne’ suoi scritti; questa, di cui si serviva per un satrapo ed una cortigiana, diventava anche sacrilega.
I suoi secreti. [testo greco]. — Cose nascoste, secrete, clandestine. Huebn. Clara ipsius secreta reddiderant. — Ambr. Qui se eatenus obscurum suaque dogmata illustrarent — Aldobr. Qui eius arcana, que antea obscura erant, illustraverant, protulissent. — Clemente Alessandrino dice, che non solo i Pitagorei ed i Platonici molte cose occultavano, ma che era fama eziandio esservi appo gli Epicurei alcuni arcani. — Poche righe più innanzi, il nostro Diogene tocca di notturne filosofie e di mistiche unioni, quantunque per bocca di un nemico di Epicuro.
Leonzietta. — Gli stessi scrittori che vituperano costei chiamandola una cortigianella ardimentosa, che non arrossì di scrìvere contro il grande Teofrasto, confessano, che il sermon suo fu dotto ed attico, eh e fu donna pensante, che filosofò e compose opere. Ebbe a figlia una Danae, che pur fece all’amore, e filosofò. Crede il Gassendi che la prima divenisse anche moglie di Metrodoro, il discepolo e l’amico più distinto di Epicuro. Circa al gran numero di cortigiane che frequentano gli orti epicurei, dobbiamo stimare che alcune s’iniziassero bensì alla nuova filosofia, ma che il maggior numero non fosse ammesso che ai banchetti ed a’ pranzi comuni, secondo l’uso di que’ tempi.
Alla Temista donna di Leonteo. — Come alla Temista se usa il vocabolo [testo greco], e poi scrive voi e la Temista? Nessun commentatore ci pose occhio; nè io, senz’aiuto d’altri testi, saprei sanare il passo.
Spendere nella mensa una mina. — Cento dramme, circa novanta delle nostre lire italiane.
V. Probità senza pari ec. — Il carattere, dice Buhle, e i dommi di questo filosofo erano o al tutto sconosciuti o calunniati prima di P. Gassendi. Tutti omai gli storici ne sono convinti, e lo stesso Droz scrive che la sua morale austera e temperala potè esercitare una benefica influenza. Alcune colpe della scuola furono in seguito attribuite al maestro; ma Epicuro praticò sino all’ultimo le virtù che insegnava. I costumi de’ suoi tempi erano figli di quello scoraggiamento che accompagna ne’ popoli la perdita dell’indipendenza; che al pubblico interesse, alla gloria sostituisce i piaceri. Ai sistemi poetici della filosofia erano succeduti que’ della realtà; alle ipotesi di Platone la stranezza dei Cinici e degli Stoici... Epicuro insegnò ad osservare le cose come sono, come la natura le offre all’esperienza.
Fuor Metrodoro ec. — Il buon Diogene dice poco prima che anche un Timocrate aveva abbandonata la scuola. Pare che la bontà di Epicuro sia stata la sola cagione che gli alienasse l’animo di Metrodoro. Questo senso, secondo Bayle, urta da prima i lettori, ma è perfettamente d’accordo col pensiero di Diogene; e quando si ridette alle bizzarie del cuore umano, non sembra improbabile trovarsi persone che sieno ributtate, importunate, stancate dall’eccessiva bontà del loro benefattore. Se ciò ha inteso Diogene, il discorso corre. Pare ad altri più naturale che Metrodoro non lasciasse il maestro che per le molte cortesie di Carneade, ec. Ma forse, conchiude il sommo critico, ciò non è quello che ha voluto affermare Diogene, poichè questi non ha guari più esattezza nei suoi ragionamenti che ne’ suoi racconti.
L’orlo che avea comperato ottanta mine. — Ottanta mine equivalgono all’incirca a 7200 delle nostre lire. I suoi discepoli durarono anco dopo la morte di Epicuro nell’unione la più perfetta.
VI. Il loro modo di vivere frugalissimo. — „Forestiero, rimani con noi: il custode del loco è ospitale ed umano: li amministrerà polenta e acqua: qui si estingue la fame, non si irrita, e la sete si smorza, non si fa maggiore beendo; in questa voluttà s’invecchia.“ Così, al dire di Seneca, era scritto sulla porta dell’orticello di Epicuro.
VIII. Usava dizione propria. — Sebbene, dice Ritter, affettasse disprezzare ogni ornamento di stile, il suo discorso non è esente da un falso splendore, e manca di trasparenza placida e chiara, siccome la connessione intricata de’ suoi pensieri mostra deficienza di logica.
Invece di godere ec. — [testo greco], ubi celeri scribebant Gaudere, ipse Bene agere et Honeste vivere praeclarum est. Huebn. — Pro Saivere, Recte agere atque e virtute vivere optimum adscribebat. Aldobr. — Diogeue nella vita di Platone aveva detto che questo filosofo scriveva nelle sue lettere [testo greco], Epicuro [testo greco], lo che afferma anche Suida. Menagio quindi vorrebbe che si leggesse, [testo greco]: ed invece di [testo greco], che non può qui avere luogo, o [testo greco], o [testo greco]. [testo greco] è pel Kühnio un glossema. Luciano scrive che Epicuro poneva in principio delle sue lettere [testo greco]: ma ciò non veggiamo nelle tre riportate da Laerzio.
IX. Sorbì poscia il freddo Stige. — [testo greco]. Merum bibendo mortem quasi frigidam attraxit. Kühnio. — Con questo mio verso, non indegno per avventura dell’originale, ecco finalmente compita la versione di tanti epigrammacci, coi quali il buon Diogene lardellò la sua rassodia. Compatisci, o lettore, a chi ebbe tutti a voltarli!
Secondo il loro potere. — [testo greco]. Veggasi una nostra nota al testamento di Platone. — L’Huebncro traduce, qui pro viribus, e poco sotto, le stesse parole, quantum fieri possit.
Spendano parte in esequie ec. — [testo greco], partiantur redditus. Kühnius.
Il consueto giorno natalizio ec. — Certo, dice il Kühnio, non tanto il dì natalizio, quanto le consuete adunanze in ciascun mese, le quali cadono nel ventesimo. — E soprannome di Icadisti ebbero gli Epicurei dal festeggiare il ventesimo dì d’ogni mese, giorno in cui era nato Epicuro.
XI. Ebbe molti discepoli ec. — La sua scuola durò a lungo senza grandi cangiamenti, e per lo spirito che la distingue, e pel sommo rispetto al maestro, il quale seppe anche preservare le sue dottrine, chiudendole in proposizioni formali o dommi generali, [testo greco]. — Le dottrine epicuree servirono a’ giorni nostri di base al sistema di Gassendi, d’Holbach e di La Metrie, rettificati per altro dalle scoperte della moderna fisica, nella parte teorica, ed offerti sotto più aggradevoli forme.
Metrodoro ateniese. — Il nome di questo filosofo, dice Visconti, è giunto alla posterità con quello del suo maestro. Il ritratto che diamo in intaglio è tratto dall’erme bicipite del museo parigino. „Quest’erme appartenne senza dubbio a’ monumenti icadici, o feste epicuree del venti di ciascun mese. Altr’erme bicipite adatto simile possiede il museo capitolino. — Le opere di Metrodoro sono tutte perite.“ — Visconti.
XIII. Ermarco suo successore. — II ritratto di Ermarco si rinvenne presso Ercolano nella suaccennata casa. Il nome di Ermarco fu sostituito a quello errato di Ermaco, dal Visconti, mercè il busto da cui è tolta l’effigie che noi riproduciamo, e mercè un manoscritto papiraceo dello stesso Ercolano, ed un’altra epigrafe. — Ermarco, dice Visconti, prestò ai fasti della filosofia un nobilissimo esempio della più costante amicizia.
XVII. Scrisse di mollissime cose. — Nel numero degli scritti, dice Ritter, non fu sorpassato che dal solo Crisippo, ed egli stesso contribuì alla perdita delle sue grandi opere, riducendo la propria filosofia ad estratti per comodo de’ suoi seguaci. Diogene ci serbò questi estratti, nè v’è ragione di dubitare della loro autenticità, siccome fanno Harles e Balde. Delle sue grandi opere non si hanno che frammenti, dei quali alcuno si trovò ad Ercolano. Sono frammenti della sua fisica, ma di poca entità, e si pubblicarono stampati ne’ volumi ercolanensi ed a Lipsia per cura dell’Orelli.
XIX. La divide in tre. - L’epicureismo è l’ultimo svolgimento del sensismo greco; la filosofia di Kapila vinta in estensione e in chiarezza. Lo scopo della filosofia di Epicuro si rileva dalla definizione ch’e’ ne dà, e che è riportata da Sesto Empirico: Epicuro diceva essere la filosofia un’attività che per mezzo di idee e di prove procaccia una vita felice. Le dottrine di Piatone aveano mestieri di troppo esaltamento, quelle di Aristotele di troppo sapere, perchè a tutti potessero convenire; Epicuro ne presentò di facili e comode, che non esigevano se non buono il senso naturale. — „Quantunque gli Epicurei ammettessero la divisione della filosofia in Logica, che appellavano Canonica, in Fisica ed in Morale, riducevano la Logica alla teorica dei segni della verità, e la rappiccavano alla Fisica, cui dovea servire d’introduzione. La Fisica dal canto suo non era che un mezzo per la Morale, e in conseguenza non poteva essere intesa che coll’aiuto di questa.“ — Ritter. — „Epicuro si propone di condur l’uomo al suo fine morale. Ora che asconde all’uomo il suo fine? Le proprie illusioni, i proprj errori, i suoi pregiudizi, la sua ignoranza. Quest’ignoranza è di due sorta: ignoranza delle leggi del mondo esteriore in cui l’uomo dee vivere e che può condurlo ad assurde superstizioni, a turbar l’animo con false speranze; quindi necessità della fisica come mezzo morale. Ignoranza della propria natura, delle sue facoltà, e dei limiti e poteri di queste; quindi anzi tutto esalta cognizione dell’umana ragione; quindi quei prolegomeni chiamati Canonici, cioè a dire raccolta di regole intorno la ragione umana e suo uso. — La fisica di Epicuro è la fisica atomistica, in fondo la fisica di Democrito rinnovellata ne’ suoi principii e necessariamente nelle sue conseguenze. Il suo mondo è un composto di atomi possedenti in sè stessi il movimento e le leggi di ogni loro combinazione possibile, e quindi un mondo che basta a sè stesso, si spiega per sè stesso, non ha mestieri nè di un primo motore, nè di un’intelligenza prima; però nessuna provvidenza.“ — Cousin. — „La supposizione di atomi invariabili è nata dai bisogno di trovare permanenti sostegni alle qualità sensibili che variano (vedi in Diog. p. 41 e 5,). — Gli atomi infiniti di numero, pesanti, cadono nel vuoto incessantemente e da tutta l’eternità, non trovandovi nulla che li sostenga; e’ si muovono tutti nella loro caduta colla stessa velocità, perchè il vuoto cede egualmente all’atomo il più pesante come al più leggiero (p. 42, 44). Ma Epicnro fa un gran cangiamento alla dottrina di Democrito. Suppone esso che gli atomi s’allontanino nella loro caduta, quantunque insensibilmente, dalla linea perpendicolare. Dal moto perpendicolare non avrebbe mai potuto derivare un composto di corpi, un mondo sensibile. Ciò che indusse Epicuro a supporre questa anomalia fu il timore dell’onnipotenza della necessità, che si avrebbe dovuto ammettere col voler tutto spiegare mediante la caduta necessaria degli atomi in linea retta, e l’azione di qualche cosa di straniero ad essi. — Una forza interna, indipendente dal loro peso, allontana, quantunque poco e insensibilmemte, gli atomi dalla diritta via; ed Epicuro sfuggendo così dalla potenza della necessità, trovava un mezzo eziandio di spiegare la libertà della volontà. Sola traccia che mostri aver egli compreso che si dovea aggiugnere alla natura esteriore degli atomi una certa forza interna. Per altro questa forza interna è concetta come una attività al tutto arbitraria. Emanando la contingenza dei fenomeni dalla stessa sorgente della libertà del volere, e dovendo, come la formazione di ogni fenomeno fisico, dipendere dallo allontanamento irregolare degli atomi nella loro caduta, egli fa ogni cosa dipendere dal caso o da noi, regnando in noi il medesimo azzardo, la stessa deviazione arbitraria della legge della caduta (p. 133). Gli atomi urlandosi e respingendosi, eseguiscono un movimento di rimbalzo di va e vieni ([testo greco], p. 44); e si uniscono anche insieme per modo da formare certi sistemi che costituiscono allora dei corpi visibili e dei mondi.“ — Ritter.
Etica. — „Poste le sensazioni piacevoli o spiacevoli, il [testo greco], ne deriva la ricerca delle prime, la fuga delle seconde, [testo greco]. Per questo mezzo si giugne al piacere, in generale alla felicità, [testo greco]. V’ha piaceri del corpo, piaceri dello spirito. Il piacere, come piacere, è eguale a sè stesso; non piacere ch’abbia in sè più valore di un altro piacere. Che se tolti i piaceri sono eguali in dignità, [testo greco], non lo sono in intensità; non in durata; non per le conseguenze. Prima distinzione che conduce Epicuro ad un’altra distinzione più generale, nella quale sta l’originalità della sua filosofia. — Il piacere più vivo è quello che suppone il più grande sviluppamento dell’attività fisica e morale. Il nostro filosofo lo chiama [testo greco], il piacere del movimento. Ora condizione di questo piacere è di essere misto di piacere e di pena. E la felicità della passione, il cui godimento è inquieto, e spesso amare sono le conseguenze. Aristippo non era ito più oltre. Epicuro vide benissimo che quella era una felicità secondaria e accessoria, cui bisogna afferrare se ti si presenti per via, ma della quale dobbiamo usare con estrema sobrietà, e sempre subordinandola alla vera felicità, la quale risulta dal riposo dell’anima, la felicità della pace, [testo greco]. V’ha egli felicità possibile senza di questo? Se l’anima non è in pace, non v’è felicità, v’è solo piacere. Alle attrattive del piacere s’ha da opporre la ragione che ne pesi non solo l’intensità, ma la durata, ma le conseguenze. L’applicazione della ragione alle passioni è la morale; di là la virtù, e la virtù suprema, la saggezza, [testo greco]. Epicuro non pensò mai a separarsi dalla virtù, che in ciò va distinto da Aristippo; ma del pari non pensò mai a dare alla virtù un’eccellenza che le fosse propria. Ne ha fatto un mezzo di felicità da rispettarsi per l’utile.“ — Cousin.
XX. Bastare a’ fisici l’intendersi per mezzo della denominazione delle cose. — „La dottrina semplice degli Epicurei sulla conoscenza fece sì ch’e’ sdegnarono più profonde ricerche sulla formazione del pensiero e sul verace carattere della scienza; poichè basta al fisico di innoltrarsi nella scienza collo attaccarsi fermamente alle parole che significano la cosa. La definizione pareva ad essi superficiale, essendo sufficiente lo starsene all’impressione sensibile che ha prodotta l’idea. Non trovando la verità delle opinioni che nel legame delle sensazioni, è evidente che Epicuro può negare il principio di contraddizione; poichè non puossi negare che sensazioni opposte e contraddittorie possono essere riunite. Ammette egli bensì certa somiglianza fra le sensazioni e le cose; ma oltre che questa somiglianza non può essere nè determinata nè dimostrata, e’ non è nelle sensazioni che s’ha da cercare la verità del pensiero e della parola. Ella si opera per mezzo delle rappresentazioni generali, per mezzo delle parole e delle loro associazioni. Sia ciò che può essere detto ([testo greco]), ciò che la parola e la rappresentazione generale esprimono non è nulla per confessione di Epicuro. Nel che si volle conchiudere con qualche ragione, che gli Epicurei non facevano della verità che un affare di parole, ec. (p. 37).“ — Ritter.
XX. Criteri della verità i sensi ec. — Il movimento dell’anima risulta da certe emanazioni dei corpi esterni e dalla loro infiltrazione nel nostro col mezzo dei sensi. Essa è la dottrina di Democrito sulle immagini corporee, o idoli, che eccitano la nostra sensazione. Epicuro non allargò questa dottrina che in alcuni punti accessorj, per esempio, nel come la sensazione segue l’emanazione corporea dopo un istante insensibile (p. 47 , ec.), poichè, secondo lui, le immagini corporee sono estremamente, sottili e delicate di modo che esse penetrano colla più grande velocità pei pori dei corpi. Quanto alla possibilità di sentire delle immagini estremamente sottili, pare che Epicuro la spiegasse supponendo che per fare una più grande impressione queste immagini si riunissero in forma di composto col mezzo degli organi dei sensi (p. 48). Si può anche indicare una differenza tra le rappresentazioni dell’immaginazione e le sensazioni in ciò, che le prime risulterebbero dì immagini più sottili, queste di immagini più grossolane, le quali hanno eziandio una certa analogia colle cose da cui risultano ed una unità particolare congiunta col loro obbietto, mentre le prime sono variabili (p. 32, 52, 53).“ — Ritter.
Le anticipazioni. — [testo greco], opinione anticipata, che si è formata innanzi; prevenzione, ec. — Il Ritter, almeno nella traduzione francese, volta il [testo greco] col vocabolo représentation, e dice questa parola mal definita da Cicerone, ed inesatto il romano oratore nel traslatare i passi relativi a questo sistema. — „Epicuro ammetteva come sorgente della verità, oltre la sensazione, la rappresentazione. Questa è per lui la ricordanza di molti fenomeni passati cui l’impressione sensibile esterna ha prodotti nell’anima, rappresentazione generale che si è formata di molte sensazioni. Il perchè ogni sensazione in sè stessa è senza idea o ragione ([testo greco]), e senza ricordanza. Egli è per tal modo ch’Epicuro colloca, nel dominio della conoscenza, la reminiscenza a lato della sensazione, allo stesso modo che il morale rapportasi al piacere attuale e alla memoria del passato. Ogni razionale ricerca sale ad una rappresentazione che risulta dal ricordarsi; poichè, se ci siamo fatti da prima un’idea di una cosa, non possiamo nè far ricerche nè dubitare all’occasione di questa cosa, ma a riguardo di ciò ch’è sconosciuto, noi dobbiamo spiegarlo per mezzo dei fenomeni, o per mezzo, delle rappresentazioni, che si hanno già. Epicuro adunque riconduce tutti i pensieri generali alla sensazione e alla memoria delle nostre sensazioni; le idee generali si formano per la coincidenza cogli oggetti, per l’analogia, per la rassomiglianza e per la composizione, in cui la riflessione ha pur qualche parte. Epicuro non conosce attivita libera nello spirito: la riflessione non può dunque essere per luì che il rinnovamento delle sensazioni passate. Ma per designare la reminiscenza e’ si serve dello stesso nome che esprime l’idea, la rappresentazione.“ — Ritter. — „Dalla sensazione si traggono le nostre idee generali, perchè le sensazioni ne contengono i germi, e le rinchiudono come anticipazione. Quindi le anticipazioni di Epicuro, sulle quali si disputa tuttavia. Risultano da queste le idee generali, [testo greco]: quelle idee generali che appartengono all’uomo stesso e che sono l’opera della sua ragione, sono sole soggette all’errore. L’errore non è nella sensazione nè nell’idea di sensazione, ma nella generalizzazione che noi ne facciamo. Quest’idee generali non sono che puramente collettive e derivate, bene o male, dalle idee sensibili; non esistono idee necessarie e assolute, ma solo contingenti e relative.“ — Cousin.
Le passioni. — Le passioni, secondo Epicuro, erano due, piacere e dolore. Egli, come tant’altri filosofi del suo tempo, cercò il tiene sovrano nella felicità. L’idea di questa felicità prese in parte dalle dottrine di Democrito, in parte da quelle di Aristotele; s’accosta anco a Cirenaici, ma non volendo che la tendenza morale abbia per fine il piacere del momento, sibbene la felicità totale nell’insieme della vita (p. 148). Con Aristotele lega intimamente il piacere e la felicità colle virtù. A prova che il piacere costituisce una parte di felicità, e che l’uomo vi tende per natura e senza riflessione, adduce il fatto ch'esso non solo, ma gli animali tutti lo cercano, fuggendo il dolore. Però gli uomini devono fare con riflessione quello che fanno gli animali senza riflessione (p. 129, 137). Il piacere del nostro filosofo, non s’ha da interpretare nel senso che vi annettevano i suoi nemici. Esso propriamente significò per lui una gioconda tranquillità, una soave indolenza, una placida voluttà, una quiete senza dolori e senza perturbazioni. Il piacere di Epicuro non è il piacere che inebria, che corrompe, ma quello che nasce dall’impassibilità, e procura la più perfetta calma.
I fantastici conati dello spirito. — Questi fantastici conati degli Epicurei, secondo Ritter, non sono pel maestro che le anticipazioni.
L’esistenza delle percezioni ec. [testo greco]. — Il verbo [testo greco] significa sentire, risentire, comprendere, essere informato di una cosa, ec. Dal Ritter inclinerebbesi a paragonare il senso di [testo greco] a quello di [testo greco], ed a credere questo più convenevole al presente passo ed a molti altri, ch’ei dice espressi in maniera oscurissima. — La cognizione dell’oggetto è compresa nell’atto immediato della percezione sensibile, [testo greco]. Da questo stess’atto, dice il Tennemann, risultano pure le idee generali, che sono già anticipatamente in germe nella sensibilità, [testo greco]; ciò nullameno l’intendimento contribuisce anche dal canto suo a formarle. — „I corpi di cui si compone l’universo, composti essi stessi di atomi, sono in una perpetua emissione di qualcuna delle loro parti, [testo greco]. Queste in contatto co’ sensi producono la sensazione, [testo greco]. Una sensazione è piacevole o spiacevole, e genera i sentimenti, le passioni primitive, [testo greco]. Alla sensazione è unita inseparabilmente la conoscenza dell’oggetto che la eccita; ed Epicuro ha indicata la relazione intima di questi due fenomeni dando ad essi due nomi analoghi. Egli ha chiamato il secondo [testo greco], fenomeno annesso al primo, che è la sensazione, [testo greco], per rapporto al suo obbietto, la sensazione rappresentativa, l’idea di sensazione, l’idea sensibile dei moderni. Ora ogni sensazione è sempre vera; in quanto sensazione non può essere nè provata nè contraddetta, [testo greco]: ella è evidente di per sè stessa, [testo greco].“ — Cousin.
XXII. Sono evidenti le anticipazioni. — „Tutte le rappresentazioni sono vere al pari delle sensazioni; poichè non sono se non l'eco delle sensazioni in noi. Pare che qui seguasi da Epicuro l’opinione di Aristotele, secondo la quale l’errore non può nascere che dal legame delle rappresentazioni fra loro. L’errore non s’incontra che nell’opinione, o nella supposizione ([testo greco]), che dimanda ancora di essere confermata dalla sensazione. Se nel sentire v’è un movimento dell’anima unito a questa sensazione, ma che non sia interamente identico con essa, è desso un legame che ha mestieri ancora di essere confermato. Ora se esso è confermato e non confutato, l’opinione è sera; se al contrario è confutato e non confermato, l’opinione è falsa (p. 50 e 51). E ad alcune opinioni di tal natura che gli Epicurei riducevano tutto che appellavano illusione dei sensi. Per esempio, una torre veduta da lunge pare rotonda, e noi aggiugniamo a questa sensazione della rotondità l’idea di una torre; ma avvicinandosi la troviamo quadrata; la nostra ultima sensazione confuta l’idea che ci avevamo fatta della torre, senza per altro che la prima sensazione fosse falsa.“ — Ritter.
L’anima è un corpo ec. ec. - „Epicuro nella dottrina dell’anima segue particolarmente Democrito. L’anima è per lui qualche cosa di corporeo, non considerando egli come immateriale altro che il vuoto, che non ha nè passività nè attività, e non fa che lasciar muovere i corpi a traverso di esso; e quindi è assurdo chiamarla immateriale, attesochè reggasi chiaro ch’ella agisce e ch’ella patisce. L’anima vivificando tutto il corpo, per tutto il corpo è sparsa del pari. Come invisibile, e soggetta a molti cangiamenti, ella deve essere un corpo dilicatissimo facile al moto. Epicuro la paragona ad un soffio che è compostoci! una certa mescolanza del caldo. Essa consta d’atomi ritondetti e levigatissimi, i quali perciò di leggieri si muovono. Quattro attività si possono scorgere nell’anima: ella è cagione del movimento, del riposo, del calore del corpo e della sensazione. Epicuro riferisce ciascuna di queste attività ad un diverso elemento della composizione dell’anima: il moto al soffio, il riposo all’aria, il calore del corpo al fuoco, e la sensazione ad una specie di atomi senza nome, che sono estremamente sottili ed agili. L’altre parti costitutive dell’anima sono egualmente distribuite per tutto il corpo; l’ultima parte solo sembra aver sede principale nel petto. Avvi in ciò un tentativo di spiegare l’unità dell’anima ragionevole; ma il corpo vivificato e l’anima vivificante si appartengono a vicenda, perchè quello non è animato che da questa; quando l’anima ha lasciato il corpo, non v’ha più in esso nè moto nè sensazione. Per altro l’anima ancora non ha senso e moto che nel corpo; ella è, per così dire, ricoperta dal corpo; ma quando il corpo è disciolto, ell’è egualmente dissipata. L’anima essendo un composto, può naturalmente essere decomposta; egli è ciò che accade di necessità per la dissoluzione del corpo, che la guarentisce contro l’influenza delle forze esteriori.“ — Ritter. — Quest’anima di Epicuro sembra trovarsi già nel Sankhia di Kapila, ed è, come la definisce Colebrooke, una specie di compromesso tra un’anima materiale ed un’anima immateriale. È il non so che di qualche naturalista moderno. Ma non è forse in Epicuro che un elemento materiale, come gli spiriti animali e il fluido nerveo dei filosofi de’ nostri giorni.
XXV. Occupazione ordinaria ec. — [testo greco], qui non significa, secondo il Kühnio, disciplinarum liberalium orbis, nè pe’ loro cultori scrisse quest’epitome Epicuro, nemico aperto dell’arti liberali; ma vulgaria vitae humanae officia. Questo passo fu male interpretato eziandio dal Gassendi.
La grandezza del sole e delle stelle ec. — „Epicuro intende ridurre le forze della natura a fenomeni insignificanti. La grandezza del sole, dice egli, e quella delle altre stelle, per rapporto a noi, è tanto grande, nè più nè meno, di quanto ci appare; non trattandosi per noi di sapere quale è la grandezza reale del sole in sè stesso, ma solo qual’è l’impressione sensibile che il sole fa sopra di noi. — Al passo intercalato da Diogene, va unito, secondo un’altra opera di Epicuro, anche la frase, [testo greco]; cioè, poichè nessun altro intervallo è piò proporzionato a questo colore che quello tra il colore del sole e noi.“ — Ritter'.
L’arti abbiette degli astrologi. — Per quanto il Gassendi cerchi scusarlo, è innegabile un qualche disprezzo di Epicuro per gli studi scientifici, massime perchè stimavali inutili alla felicità.
XXVI. Nè il sapiente dovrà mischiarsi con donne ec. ec. — Alcuni di questi dommi particolari, che si attribuiscono agli Epicurei, principalmente quello contra l’amor fisico, non corrispondono per certo agli elogi ch’Epicuro faceva dei piaceri dei sensi. — „In generale non bisogna accostarsi a questi passi speciali che con molta precauzione e critica circospetta; e quanto al domma attribuitogli del [testo greco], la forma mezzo ionica fa presumere che questa sia una sentenza di Democrito, il quale, come tutti sanno, rigetta assolutamente il concubinaggio, essendoci noto per altre tradizioni che Epicuro non faceva lo stesso.“ — Ritter.
Non amministrerà gli affari pubblici. — Secondo il Ritter, gli Epicurei non erano conseguenti in questi particolari precetti, poichè altrove si dice il contrario.
A nessun amico sarà di carico. — Rifiutate altre lezioni, l’Huebnero seguì la congettura del Rondelli, sostituendo al [testo greco].
XXVII. Nel piacere delle cose passate ec. — [testo greco]. Il Ritter vorrebbe sostituito a [testo greco] ma forse la frase suona lo stesso. — „Secondo Epicuro ogni piacere dell’anima risulta da quello che la carne gode per anticipazione del piacere; poichè nel primo non si gode solamente del momento attuale, ma anche del passato e dell’avvenire; lo che forse non significa altro se non, che il piacere dello spirito consiste nella memoria del piacere passato e nella certa speranza del saggio, ch’egli gioirà del piacere nell’avvenire. — Opposizioni alla dottrina dei Cirenaici.“ — Ritter.
Stimando dio un animale immortale ec. ec. — „Un mondo composto di atomi, che possiedono in sè stessi il moto e le leggi di ogni loro combinazione possibile, è un mondo che basta a sè stesso, che si spiega di per sè stesso e non ha mestieri nè di un primo motore nè di un’intelligenza prima; quindi nessuna provvidenza. Epicuro non ammette dio, ma dei. Non sono puri spiriti, perchè nella dottrina atomistica non v’ha spirito; non sono corpi nemmeno, perchè non si danno corpi che possano chiamarsi dei. — Epicuro si volge ad una vecchia teorica di Democrito, e ne appella ai sogni. Come ne’ sogni v’ha immagini che agiscono sopra di noi, determinando sensazioni aggradevoli o penose, senza venir nonostante dai corpi esterni, del pari gli dei sono immagini simili a quelle dei nostri sogni, ma più grandi, aventi umana forma; immagini che precisamente non sono corpi, ma che pur non sono sprovvedute di materialità, che sono ciò che voi vorrete, ma che per altro bisogna ammettere, poichè la specie umana crede agli dei, e l’universalità del sentimento religioso è on fatto, al quale è mestieri assegnare una cagione; e la si trova in fantasmi che producono sull’animo umano, fatto com’è, un’impressione incontestabile, analoga a quella che noi riceviamo dai sogni.“ — Cousin. — Non trovando nulla cui rannodare con certezza la convinzione dell’esistenza dei numi col sistema epicureo, molti hanno dubitato che Epicuro fosse persuaso dell’esistenza dei suoi; molti che per solo timore di un’accusa d’empietà gli avesse ammessi; ma il Ritter giustamente osserva, che a’ tempi di Epicuro il popolo istesso negava e pubblicamente insultava gli dei, e che poi il filosofo negava quelli del popolo. Qualche traccia di argomenti in favore almeno della possibilità dei numi traspare dalla sua dottrina della conoscenza, e Tennemann riconosce in lui un deista inconseguente. Gli dei come enti eterni e sovranamente felici, secondo Epicuro, sono degni dei nostri omaggi, quantunque vivano in un riposo ed in una indifferenza che forma la loro felicità, senza per nulla darsi pensiero del mondo. L’uomo pio è quello che onora gli dei dal fondo del suo cuore, per la loro perfezione infinita, senza speranze di ricompensa. Questo culto è un dovere, e somiglia al rispetto ed all’amore che portiamo ai genitori. Nuova e sorprendente contraddizione, dice Degerando, sfuggita agli storici; specie di quietismo simile a quello che concepì l’anima tenera e pia di Fènèlon, il culto dell’amore disinteressato, unito ad un sistema che pe’ suoi risultali si confonde quasi coll’ateismo!
Ê evidente la cognizione di essi (i numi). — Nel p. 139 dice che gli dei sono visibili al raziocinio. — „L’idea degli dei, sparsa dovunque, doveva essere per Epicuro una rappresentazione derivata da sensazioni precedenti. Quindi egli crede che le idee degli dei risultino da visioni divine, sia nella veglia, sia nel sonno, e vi debbano corrispondere immagini corporee tanto fine da non poter essere sentite dai sensi esterni, ma solamente dall’anima. — Donde avviene sovente che uno spirito forte, che nega l’esistenza di dio, crede ancora all’esistenza degli spiriti.“ — Ritter.
Non essere un male il non vivere. — „Si rimprovera Epicuro di non avere ammesso alcuno scopo positivo alla vita, e di non conoscere altre tendenze del saggio, fuor l’insensibilità. Di ciò lo assolve l’intenzione espressa nella sua dottrina. La sua opinione si riduce semplicemente a questo: che la saggezza e la prudenza non servono, per vero dire, che ad insegnare a fuggir le cose perniciose ed a trovare soddisfacimento quasi in ogni stato; ma che quando per tal modo la calma dell’anima, la non sofferenza, è una volta prodotta, la natura fa nascere allora da sè stessa il piacere nel godimento temperato del presente, nella certa speranza per l’avvenire, forse ancora nel sentimento non interrotto della salute. — Così a lato dell’[testo greco] si trova l’[testo greco], e a lato dell’[testo greco], l’[testo greco]. —“ (Vedi p. 128, 131, 136). — Ritter.
Le principali sentenze. — [testo greco]. — Le scorrezioni e le oscurità che s’incontrano in questo libro, e massime in queste Sentenze, e che sono attestati dalle molte varianti e congetture, spesso infruttuose, proposte da uomini assai eruditi, ci indussero a voltare anche più fedelmente del solito, e quasi parola per parola, alcuni passi, che ci parvero oscurissimi, onde offerire a’ non dotti di greco un qualche mezzo di giudicare se ad Epicuro, al testo od a noi debbansi attribuire gli imbarazzi da’ quali non ci fu dato per avventura di torgli. E questo modo parmi tenessero anche que’ traduttori che non vollero interpretare a capriccio, tra quali l’Huebnero, i cui dubbj appalesano le lunghe annotazioni.
Il giusto della natura ec. (Vedi anche il p. 153). — „La legge e la giustizia preservano il saggio dal timore degli uomini. La legge è stabilita pel saggio, non perch’egli non faccia il male, ma perchè non patisca ingiustizia. (Presso Stobeo). — La legge si fonda in un contratto di reciproca utilità; dove non avvi un simile contratto, del pari non v’ha diritto. Esiste per verità un diritto naturale universale, ma non è profittevole che a quelli che hanno conchiuso il contratto, e cambia secondo i differenti aspetti sotto i quali si mostra l’utile comune.“ — Ritter.
Non lamentarono come di un misero ec. — Cioè, se non ci inganniamo, giunsero a quella felicità che fa tenere beato chi, morendo, esce dal timore di perderla. Sentenza che suggerì forse a L. Byron di chiamare fortunato colui che muore prima del quarantesim’anno!
E qui dovrebbero succedere alcune appendici annunciate ne’ cenni premessi all’opera, ma la tarda pubblicazione di questo lavoro, smesso e ripreso le troppe volte, indusse, com’è naturale, e forse pel meglio, qualche perplessità e mutamento nel disegno del traduttore. Da prima egli pensò una introduzione storica, che trascorrendo le epoche della greca filosofia, preparasse in qualche modo alla lettura di un libro imperfettissimo. Trovatolo in progresso più sempre imperfetto, credette miglior partito un corredo di note, che oltre al dichiarare i passi oscuri, ne adempisse le molte lacune.... Ma dove sarebb’ito egli mai? Limitò quindi le note, e serbò l’esposizione dei principali sistemi, manomessi dal buon Laerzio, per alcune appendici che tenessero dietro alla traduzione. Questo oscillare non venne meno che quando il lavoro toccò verso al suo fine. Oimè, nè introduzioni, nè lunghe note, nè appendici poteano ridurre a qualche perfezione questo prezioso centone! Fors’era un rincarare la derrata. Sparita adunque l’introduzione, sminuite al possibile le note, anco le appendici dovettero rimanere un vano pensiero; e certo i lettori ne sapranno grado al traduttore, il quale sagrificò alla convenienza molti studi preparatorii, fatti non senza amore, che poteano (e non è rado l’esempio) mettergli il ticchio di usarli soltanto per fare dell’erudito.