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annotazioni. | 427 |
eguale a sè stesso; non piacere ch’abbia in sè più valore di un altro piacere. Che se tolti i piaceri sono eguali in dignità, [testo greco], non lo sono in intensità; non in durata; non per le conseguenze. Prima distinzione che conduce Epicuro ad un’altra distinzione più generale, nella quale sta l’originalità della sua filosofia. — Il piacere più vivo è quello che suppone il più grande sviluppamento dell’attività fisica e morale. Il nostro filosofo lo chiama [testo greco], il piacere del movimento. Ora condizione di questo piacere è di essere misto di piacere e di pena. E la felicità della passione, il cui godimento è inquieto, e spesso amare sono le conseguenze. Aristippo non era ito più oltre. Epicuro vide benissimo che quella era una felicità secondaria e accessoria, cui bisogna afferrare se ti si presenti per via, ma della quale dobbiamo usare con estrema sobrietà, e sempre subordinandola alla vera felicità, la quale risulta dal riposo dell’anima, la felicità della pace, [testo greco]. V’ha egli felicità possibile senza di questo? Se l’anima non è in pace, non v’è felicità, v’è solo piacere. Alle attrattive del piacere s’ha da opporre la ragione che ne pesi non solo l’intensità, ma la durata, ma le conseguenze. L’applicazione della ragione alle passioni è la morale; di là la virtù, e la virtù suprema, la saggezza, [testo greco]. Epicuro non pensò mai a separarsi dalla virtù, che in ciò va distinto da Aristippo; ma del pari non pensò mai a dare alla virtù un’eccellenza che le fosse propria. Ne ha fatto un mezzo di felicità da rispettarsi per l’utile.“ — Cousin.
XX. Bastare a’ fisici l’intendersi per mezzo della denominazione delle cose. — „La dottrina semplice degli Epicurei sulla conoscenza fece sì ch’e’ sdegnarono più profonde ricerche sulla formazione del pensiero e sul verace carattere della scienza; poichè basta al fisico di innoltrarsi nella scienza collo attaccarsi fermamente alle parole che signifi-