Varenna e Monte di Varenna/Secolo XV
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SECOLO XV
La morte di Gian Galeazzo Visconti, l’usurpatore di Barnabò, avvenuta nel 1402, cagionò molte discordie interne nello stato di Milano: Guelfi e Ghibellini, Vitani e Rusconi, ripresero le lotte intestine.
Franchino Rusca postosi alla testa di forze ghibelline s’impadronì di quasi tutto il Lario e pose a sacco Lecco, Mandello e Varenna. In seguito i Rusconi s’impossessarono anche del Monte di Varenna, di Esino e di Bellano, che tennero fino alla pace, stipulata nel 1415, fra Loterio Rusca ed il Duca; a questi venivano restituite le suddette terre, a condizione però che il Rusca esigesse i crediti ed i censi dell’anno in corso, e degli anni passati nei quali aveva avuto il dominio di quelle terre. E queste, con Varenna, ritornate al Duca dovettero prestare giuramento di fedeltà, come consta da un atto 15 maggio 1415, che sarà pubblicato nell’apposito volume dei documenti.
Durante il periodo di dominio dei Rusca, la Valsassina si era messa spontaneamente sotto la protezione dell’arcivescovo di Milano, ed al principio dell’anno 1410 aveva mandato il venerabile Ser Biagio, preposto di Perledo, quale ambasciatore al Duca ed ai reggenti onde contrarre alleanza con essi1.
Poco dopo il ritorno di Varenna e terre adiacenti, alla soggezione dello stato di Milano, e cioè nel 1416, il Duca emanò un decreto datato da Monza, il 19 novembre, con il quale venivano sottoposte alla giurisdizione del Podestà di Varenna, le terre del monte di Varenna e di Esino. Nel decreto queste terre sono enumerate così: Bolonia, Perledum, Cixatium, Vezium et Ixenum2.
Nel 1432 durante la guerra, che già da un decennio imperversava tra Milano e Venezia, un esercito veneziano agli ordini di Giorgio Cornaro occupò la Valtellina Bellano e Varenna. Il Cornaro dalla Valtellina mandò milizie verso il Milanese al comando di Daniele Venturi, il quale riportata una vittoria contro le armi ducali nella valle di S. Martino, venne poi sconfitto e fatto prigioniero presso Lecco. Allora gli abitanti della Valsassina e quelli di Bellano e Varenna, occupate prima dai Veneziani, si ribellarono dichiarandosi in favore di Milano. Varenna e il castello di Vezio (Fot. Adamoli)
La guerra coi veneziani non finì molto presto. In una lettera indirizzata da Pietro Arrigoni al Duca, datata da Varenna il 24 marzo 1442, lo scrivente espone il timore che i nemici dovessero rioccupare Varenna, Bellano, Dervio e Corenno e incita il duca ad occupare con forze quella porzione della Valsassina confinante con i suddetti Paesi «perchè stando uniti la riviera cum quella parte di Valsassina sono fortissimi e facilmente se poria difendere e stando divisi non son forti niente, perchè l’uno può facilmente occupare l’altro et a converso; tamen la prefacta Vostra Signoria proveda come meglio parirà ad essa; non me entendo più oltre perchè credo firmamente essa Signoria essere informata ad plenum maxime dal dicto Iohanne Galeaz, ricordando bene alla prefacta Signoria, che quando essa dispona de mandare a la impresa de questo payse, voglia mandare il dicto Iohanne Galeaz più tosto che altra persona perchè lui è docto e pratico del paise3».
Il consiglio dell’Arrigoni di destinare alla difesa delle terre in pericolo Giovanni Galeazzo de Ligurni fu accettato dal Duca, e vedremo questo comandante insediarsi in Varenna, e di là tenere giornalmente informato il Duca medesimo sulle vicende della guerra le quali non volsero favorevoli per Milano: nel 1447 i nemici entrarono in Valsassina e la saccheggiarono; di là scesero sulla riviera, e si impadronirono di Mandello, di Varenna e di Bellano.
Alla morte di Filippo Maria Visconti, avvenuta nel 1447 in Milano era stata proclamata la repubblica“, ma il ducato versava in tristi condizioni, sia per interne discordie, sia per la fame che soffriva. La repubblica di Venezia approfittò dell’occasione per mandare truppe in Valtellina ed in Valsassina e riuscì ad impadronirsi del Ponte di Lecco. In Valtellina ed in Valsassina i Veneziani furono ricacciati dagli abitanti,4 ma Francesco Sforza, che pretendeva egli pure il Ducato come marito di Bianca Maria, unica figlia del morto duca, si unì segretamente ai Veneziani e rivolse le armi contro Milano riuscendo ad impadronirsi della Brianza.
I Veneziani ritentarono la conquista della Valsassina, e coll’aiuto di Cattaneo di Primaluna riuscirono ad impossessarsene.
Per lo Sforza parteggiavano molti paesi del lago, tra cui Bellano ed i Rusca di Como. Questi riunita una flottiglia mossero contro Como fedele alla repubblica ambrosiana: uno scontro ebbe luogo nelle acque di Cernobbio, ma furono sconfitti e dovettero riparare a Bellano e a Varenna (1449).
Nell’archivio comunale di Como5 vi è, in data 26 giugno 14496, una lettera al podestà e referendario, nella quale si dà ordine di fornire il gatto7, chiamato lupo, di due bombardelle con 16 pietre e di metterle a disposizione degli uomini di Torno per resistere alle molestie del naviglio di quei di Bellano e di Varenna.
In una nota l’Angelucci dice: «Pare da questo documento che gli uomini di Torno tenessero unitamente ai comaschi per la repubblica di Milano» e soggiunge che all’epoca del documento nel 1449, Varenna unitamente a Bellano teneva per lo Sforza.
In data 28 settembre 1449 abbiamo una lettera del consiglio della città di Como, nella quale si ordina che si armino subito e si equipaggino le tre più grosse navi che sono nella darsena del naviglio di Como, e si spediscano in soccorso dei paesi amici sul lago e contro gli Sforzeschi di Bellano e di Varenna che si erano alleati col conte Balbiano di Chiavenna8.
Il partito sforzesco subì una rotta navale nelle acque di Menaggio, e le sue genti si dettero alla fuga; Varenna, Bellano, Dervio, Corenno e Dorio furono occupate dai comaschi, saccheggiate ed arse.
Com’è noto questa guerra ebbe un risultato disastroso per Milano che esausta dalla fame, dalle privazioni e dalle fatiche, fu costretta ad arrendersi il 22 marzo 1449 a Francesco Sforza, ed i Veneziani che avevano mirato ad impadronirsi del Ducato dovettero ritirare le loro forze.
Ma la guerra tra Venezia e Milano non finì e continuò sotto forma di guerriglia lungo tutto il confine, in particolar modo in Valsassina e nei paesi della riviera di Lecco, e cioè Mandello, Varenna e Bellano.
Francesco Sforza appena entrato in Milano, volendo premiare i comuni e gli uomini di Mandello, di Varenna, di Bellagio, di Bellano e della Riviera per le benemerenze acquistate e le fatiche sopportate a pro di lui, rimise loro qualsiasi debito, passato o presente, che avessero verso la camera. E perchè detti comuni fossero indotti a servire sempre più fedelmente, tenuto conto anche della vicinanza di essi al confine veneto che occorreva vigilmente custodire, il Duca li esenta anche per l’avvenire da qualsiasi peso reale, personale o misto, e da qualsiasi pagamento (1 aprile 1450)9.
Nel febbraio 1450 Bartolomeo Colleoni, passando per la Valsassina dal Monte Culmine sopra Introbbio scese a Bellano dove fu accolto festevolmente, e dove lo attendevano le navi per trasportarlo a Bellagio; ma prima di avventurarsi sul lago egli occupò Mandello e Varenna, per aver sicuro il fianco contro ogni sorpresa nemica10.
Del turbinoso periodo della repubblica ambrosiana abbiamo due decreti di confisca di beni: in data 28 novembre 1448. I capitani della repubblica concedono al Conte Giovanni Balbiano di Varenna i beni del ribelle Matteo dei Cattanei, parteggiante per i Veneziani, situati nel territorio di Varenna e di Valsassina. Il Duca Francesco Sforza riconobbe poi al Balbiano questa donazione, e lo nominò governatore e commissario di Chiavenna. Col bando 21 marzo 1449 abbiamo notizia di un’altra confisca di beni, quelli dello stesso Giovanni Balbiano, diventato ribelle alla repubblica ambrosiana, che dovevano essere consegnati al comune di Milano11.
Di queste confische ai cittadini Varennesi avremo altro esempio più tardi, durante il periodo Sforzesco, quando il Duca Galeazzo Maria confiscò i beni che possedeva in Varenna la famiglia Boldoni e li donò al nobile Giorgio Serponti di Melchiorre (25 ott. 1470).
Dal porto di Cernobbio il 7 ottobre 1451 Tommaso Tebaldo di Bologna, commissario del Duca, mandava questa notizia: «De verso Bellano e Varenna altro non è seguito nè se fanno in quelle parti altri movimenti; e fino qui se ne sono facte provvisioni opportune: che seguendo altro gli sarà facto resistentia». Suggeriva poi lo stesso al Duca di mettere un podestà nella montagna d’Introzzo, come già era stato fatto nel passato, per impedire le possibili mene dei Veneziani verso la Valsassina e i monti d’Introzzo12.
Il Duca aveva mandato a Varenna Giovanni Galeazzo de Ligurni con l’incarico di farvi costruire una fortezza, ma questi adempì malamente l’incombenza13.
Il 12 luglio 1452 egli scrisse alla Duchessa di Milano:
«Illustrissima Madona. Avviso la Vostra Signoria como per opera de Ser Petro Arrigone servitore dei nostro illustrissimo Signore et de la Vostra Signoria ancora li homeni del Monte de Varena, de Esine et de Mugiascha sono ritornati e venuti alla obedientia ducale et hanno facto la fidelitate in mia mano et per gente ho mandato in qua et in là del payse per farmi più inanti et per tore Valle Margiascha et Premana tutte contrade de Vallesaxina confinante a questa rivera. Et se havesse alcuni tanti foresterij et cavalli ottegniria tutta la valle et per fine a Lecho, ma per la rocha cum partesani non me ne voglio caciare al modo me caciaria cum gente forestera. Avisando la S. V. che mo questa riviera et tutte queste parte rimangono liberate et non bisognia mo havere dubitanza de inimici perchè havemo el scudo devanti.
Ex Varena XII julij 1452. Eiusden celsitudinis fidelis servitor Iohannes Galeaz»14.
Galeazzo de Ligurni si occupava poco della fortezza di Varenna: invece di stare a Varenna, egli risiedeva a Olginate, e non pagava Giorgio Maza e Giorgio de Marliani che avevano assunta l’impresa dei lavori, come risulta da un reclamo fatto alla Duchessa da questi due danneggiati15.
Il conte Giovanni Balbiano, che risiedeva a Varennna, ebbe parte importantissima negli avvenimenti di quei tempi; si conservano di lui nel R. Archivio di Stato di Milano molte lettere che lumeggiano questa sconosciuta eppur interessante figura di fidato consigliere del Duca. In data 18 Luglio 1452 egli scriveva in questi termini alla Duchessa: «Illustrissima ed excellentissima domina, domina mi singularissima, Credo assay la S. V. sia informata como il vostro Illustrissimo consorte ha fatto de le expense per fare questa nostra fortilitia, la quale non è finita e sta quaxi in pegiore grado non era denanze. E perchè addesso mi pare il tempo de non tardarghe ne dormirghe sopra ad farla conzare, avviso la S. V. che il podestato vostro qui ha nelle mane circha XVI sacchi di Biada tra meglio e seghelle quale expectano a la Camera de la S. V. per una inventione per lui facta contra alcuni da Serono, unde a mi parire ve prego et conforto la Signoria Vostra scriva ad esso podestato che mi la daga per dispensarla in reparatione de la meta forteza la quale gli sarà utilissima. Gli è stato lavorato infina hanno avuto dinari, ma adesso non glie più dinari hano cessati de lavorare se la S. V. non gli provede almancho de questa pocha de biada, che gli farà bono fructo. E de questo ne expecto la risposta da S. V. per lo presente portatore et cussi se la S. V. volle sia data scriva per lo presente al dicto potestato che la daga fuora, perchè qui non è da darghe sopra dimora. Vi ricordo ancora la monitione che gli è molto necessario. M’aricomando humilmente a la S. V. Ex Varena XVIII julij 1452.
Eiusdem Dominationes vestre Fidelissimus servitor Iohannes de Balbiano miles et comes ecc.»16.
Inoltre Galeazzo de Ligurni senza averne ricevuto incarico tentò di aizzare i Veneziani in Valsassina e ciò dette molta noia a Milano, che non desiderava per il momento fare aperta guerra.
Il 31 luglio Cicco Simonetta scriveva al capitano del lago di Como «Vostra intencione è sempre stata et è per quelli nostri homini del lago se tegna bona amicicia e vicinanza cum li suoi vicini sottoposti al dominio veneciano e tutte quelle novità e differenzia seguite là a questi dì sono seguite preter mentem et voluntatem nostram. Il perchè volimo che tu te studi mantenere quieto e pacifico essere là in quelle parte. Et attendi sopra tutto con ogni tua diligentia che fraude de biave non se ne commetiano e questa cura e carico dassimo a ti non intendendo che Iohanne Galeazzo de Ligurno se impazi de cosa veruna se non solamente de la forteza de Varena. Ex castris apud quinzanum die ultimo julij 1452»16.
Ed a Galeazzo de Ligurni mandava questa missiva:
«Havimo ricevuto le toe lettere et per quelle inteso quanto hai operato in quelle parti circha el reducere a la obedientia nostra quelle tere. Dicimo che siamo contentissimi, hai fatto ogni cosa a buona fede ma pur non vorressimo che tu te impagasse de quello de che non hai commissione da nuy. Tu te debbi ricordare che non te dessimo altra commissione se non de la fortezza de Varena, et cossì de nuovo te dicemo che non te impazi d’altro, anzi lassa la commissione al Capitano del Lago e tu attende solamente a la dicta forteza e quando la sarà reducta in forma che gli possa stare el castellano et reponerli le municioni avvisarane e tu poray a Mediolano. Ex castris apud Quinzanum die ultimo julij 1452»17.
L’ultimo documento che abbiamo sulla fortezza di Varenna è una lettera scritta dai due costruttori Giorgio Mazza e Giorgio Marliano, delli 18 dicembre 1462 dalla quale risulta che per essere ultimata questa fortezza abbisognava di altri lavori. Non sappiamo poi, per non avere più rinvenuto documenti, quando questi lavori vennero ultimati18.
⁂
Al principio del secolo XV essendo notevole il movimento navale commerciale nel ducato di Milano, in tutti i principali fiumi e laghi il traffico era protetto da navi armate che prendevano il nome di brigantini gatti e corrobiesse. L’equipaggio era reclutato dalle popolazioni rivierasche dei laghi e dei fiumi e si divideva in tre categorie: i connestabili che erano a capo, i nautici che avevano la direzione della nave ed i navaroli che erano addetti ai remi o ad altri uffici19.
Ecco alcuni nomi di navaroli:
die XVI septembris scripti | |
Baldasar de Varena | Johannis |
Johannes de Onnis | Cornadi |
Golius de Lavello | Johannis |
Manfredus de Caginolis | Antonij |
Novitate facte per me Johaninum de Magneris offitialem stipendiarum Cumarum in Garlate conestabile deputato in corabissa deputatto in Brioppio die XV octobris.
In partito Francischi de Cagnolis condeputato super corabissa de putato Brippio
Johannes de Locarno | |
Johannes de Varena | Gandortij |
Iohannes de Maroxiis | Ambrosij |
Johannes de Turno | Antonij |
Albertus de Luonio | Antonij |
A proposito di navi armate sul lago di Como, da una lettera che Bianca Maria, Duchessa di Milano, indirizzava al Duca si ricavano interessanti notizie sul modo come veniva compiuto il servizio di vigilanza doganale sul lago, oggi fatto con le torpediniere, allora con le corrobiesse ed affidato, come risulta. dalla lettera, che pubblichiamo, a due Varennati: «Illustrissime Princeps et Excellentissime domine consors precordialissime. Per la risposta quale me fa la S. V. circa la materia de la carrobissa, la cura de la quale parma che sii data a Giovannegaleazzo da Ligurni, comprehendo che essa V. S. forse per la maiore occupatione non ha bene possuto intendere quanto gli scripsi circa de ciò. Sichè gli ricordo como l’officio del Capitaneato del Lago di Como haveva due carrobisse de le quale l’una è pagata da li lacuali et questa se adopera per la persona del Capitaneo, ni may gli fu tolta; l’altra si deva pagare per li datieri de Como et alcune volte per la felice memoria del Illustrissimo Signore mio padre fu concessa et donata a terze persone quale ne havevano la commoditate et ne cavavano tanto il mese o l’anno. Et questa al mio credere et comprendere e quella de la quale parla et feci già passati duy anni concessione la Vostra Exellentia a Zorzo Maza et Zorzo de Marliano servitori vostri de Varena per li fideli et buoni deportamenti et meriti suoy ben ch’el capitaneo pare haverla tenuta.
Trascriviamo alcuni altri elenchi di navaroli, comprendenti individui di Varenna che prestavano servizio su corrobisse del lago di Como nel 143320.
die XVI jullij scripti
Franciscus de Varena | Jacobi |
Antonius de Varena | Melchionis |
Johannes de Varena | Lambertij |
Bertolus de Cremona | Johannis |
Mostra di Francesco de Cagnola deputato sopra le corobiesse, fatta nel mese di Luglio in Garlate.
Janinus de Lavello | Antonij |
Manfredus de Lavello | Johannis |
Paulus de Galbiate | Petijt |
Jacobus de Bellasio | Bertrami |
Johannis de Cagnolis | Martinij |
Antonius de Manarexio | Petroli |
Antoninus de Bellesio | Gaudentij |
Johannes de Varena | Gaudentij |
Franciscus de Varena | Jacobi |
Johannes de Lavello | Johannis |
Angelus de Nobiallo | Bertramij |
Johannes de Merotijs | Ambrosij |
Bartolomeus de Cremona | Johannis |
Antonius de Menaxio | Fogaxoli |
Johannes de Fino | Antonij |
Baldassar de Carono | Andreoli |
Antonius de Varena | Melchionis |
Si è più su accennato alla perdita degli statuti di Varenna. Nell’Archivio di Stato di Milano in «Feudi camerali» abbiamo potuto rinvenire una copia di capitoli che il Duca di Milano avrebbe concesso in epoca dubbia, ma certamente tra il 1450 ed il 1470, agli uomini di Varenna; non si sa però se questi capitoli siano stati poi elargiti oppure siano rimasti allo stato di progetto.
Sono confermati gli statuti di Varenna con facoltà di farne dei nuovi e di sottoporli all’approvazione del Duca. Sono pure confermati i privilegi, le esenzioni e i dazi. È confermato al Podestà di Varenna il mero e misto imperio.
Questi capitoli sono nella filza dell’anno 1470 ed è da ritenersi siano di quest’anno; di più il documento è tagliato il che lascia supporre che i capitoli non siano mai stati applicati.
Li daremo per esteso nell’apposito volume, limitandoci qui solo a dire che in essi sono confermati gli statuti della terra di Varenna e che con essi il Duca condonava al borgo tutti i debiti.
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In quegli anni di guerra risiedeva a Perledo con la carica di Vice podestà Pietro Arrigoni, il quale sopraintendeva agli apparecchi bellici nella zona di Monte di Varenna e di Esino, ed era in diretta corrispondenza col Duca di Milano. E’ molto interessante questa sua relazione del 2 maggio 1453 dalla quale si ha notizia del modo come aveva compiuto il servizio di vigilanza verso la Valsassina:
«Questi homeni del Monte di Varena non fano la guardia al Portone come altre volte è stato ordinato cioè 14 o 15 homini il dì e che mi debia comandare a li predicti homeni che a pena de 400 ducati d’oro debrano attendere ad guardare dicto Portone con ogni loro solicitudine in quello modo che alias è stato ordinato et non facendo la dicta guardia li debia condannare etc. et rispondendo cum la prefata riverentia ad esse lettere dico che dece giorni proximi passati non l’è stato dato alcun ordine fermo ne continuo de numero alcuno de fare la dicta guardia al dicto Portone.
Già son dece giorni passati contentioni tra li dicti del Monte di Varena per una parte e li homini di Belano per l’altra...»
Perchè il Portone è una località che si trova ai confine tra Bellano Monte di Varenna e la Valsassina ed era stato convenuto che Bellano ed il Monte Varenna concorressero per metà ciascuno nel prestare questo servizio di guardia.
L’Arrigoni si lamenta col Duca che Bellano non voglia più fornire il suo contingente di uomini, mentre il comune di Monte di Varenna è per conto suo obbligato a mandare un altro distaccamento di quattro uomini a fare la guardia su di un poggio più a monte e lontano circa un miglio dal Portone e domanda al Duca stesso che voglia intervenire presso il podestà di Bellano21.
In data 9 gennaio 1453 gli uomini del monte di Varenna prestarono giuramento di fedeltà al Duca Francesco Sforza: la cerimonia venne compiuta in Milano dai rappresentanti il comune, e precisamente Iacobus de Gisatio ser Antoni Bartolomeus de Bolonia f. q. ser Iacobi, Iohannes de Pirona, Philippus de Pirodis, Antonius et Petrus de Scazzatis inviati dai maggiorenti del paese appositamente congregati; dell’atto venne rogato dal notaio Perego il relativo istrumento22.
Il 7 aprile 1454 veniva conclusa la pace tra Francesco Sforza e lo Stato Veneto. Tutte le terre del Bresciano e del Bergamasco in mano del Duca, ritornarono a Venezia, alla quale veniva pure aggiudicata la valle di S. Martino. La Valsassina, la Rocca di Baiedo, Lecco e la sua riviera spettarono al Duca di Milano.
Nell’anno stesso della pace, Varenna con Bellano, Dervio e Corenno ebbero dal Duca di Milano il privilegio di essere esonerati dall’alloggiare gente d’arme; rimase a questi paesi il solo onere dell’alloggiamento degli incaricati delle provvigioni, come risulta dalla missiva ai consoli ed uomini di Varenna, Bellano, Dervio e Corenno, in data 10 dicembre 1454 nella quale è spiegato che venendo da quelle parti Giovanni Manzoni «nostro capo di squadra de provvisionati» vada ad alloggiare «fra voi ma non resterà a vostro carico che di dar loro la stanza e la legna per il fuoco e lo strame per due cavalli»23.
⁂
Il primo feudatario di Varenna24 di cui noi abbiamo potuto trovare notizia, è Lorenzo da Pesaro, che nel 1472 venne investito dal Duca di Milano del feudo di Varenna, Bellano, Dervio e Corenno. Gli uomini di Varenna e di Bellano si sottomisero di buon grado al nuovo signore, ma colsero l’occasione per domandargli dei capitoli o privilegi. Ce ne dà notizia lo stesso Lorenzo da Pesaro il quale così scrive al Duca il 26 luglio 147225.
«Post recommendationem. Vostra lllustrissima Signoria se è degnata darme Bellano, Varena, Dervio e Correno alli quali ho mandato uno procuratore per torre il juramento della fedeltà e li homeni de Dervio e Coreno hanno senza alcuna exceptione jurato, Bellano e Varena hanno mandato octo homini cioè Bellano 5 e Varena 3. E dicono essere molto contenti haverme per loro patrone. Nondimeno per certi loro respecti mi domandano che io voglia concederli certi capitoli la copia delli quali io mando a Vostra celsitudine.
Io ho risposto che non seria possibile trovare uno che avesse recevuto feudo da V. Ill. Signoria e nante la fedeltà havesse capitolato cum li homini e che sia cusì me portino una copia e che io farrò ciò che domandano: in perochè li capitoli se fanno cum chi dà e che io queste terre da Vostra Excellentia e loro me danno quello che per necessità li convene fare. E nondimeno in lo juramento suo se reserva la superiorità a Vostra Celsitudine la quale quando io sarrò a dicte terre e Vostra illustrissima Signoria gli scriva che me pigliano seranno matti a non obedire subiungendo che de omne mio mal fare poteranno havere ricorso a Vostra Celsitudine ipsi me pregaro che io ne volessi signare qualche uno a ciò poriasseno gratia da mi. Io respuse che questo capitulare partene a Vostra Celsitudine e che a mi partene a governarli a rasone e che io non lo faria senza licenza de V. Ill. Signoria. E vedendo io che erano venuti senza littera di credenza e senza il mandato de jurare la fideltà gli remandai cum questa conclusione che io scriviria a V. E. e secondo la risposta ne governaria. Ipsi furono contenti e me prega che io volesse andare là a torre la fedeltà, lo rispose che se V. Ill. Signoria me dava licentia che io andaria, ma che dubitava che V. Ill. Signoria me la daria, Ipsi respunsero che se la Signoria Vostra non me deva dicta licentia che io li advisasse e che loro mandariano li homini cum lo mandato a giurare. Se a V. Ill. Signoria pare che io vada andarò, se li pare che io non vada lassarò stare e in ogni caso prego e supplico a Vostra Celsitudine de scriverne e se li piacie dica qualche parola per lo facto delli capitoli in però che io non li mutaria privilegij de V. Ill. Signoria per tutto l’oro del mondo, nè faria una cosa fora de ragione nè deshonesta e seria contento che V. Ill. Signoria scrivesse a loro e a mi che io li governi honestamente e cum justitia e se io farrò altramenti che ipsi recorgano a Vostra Excellentia la quale ha a provedere a omne cosa. E questo è il capitolo che regula il tutto; nondimeno queste sono cose de Vostra Celsitudine. Io harrò caro adimpere la mente de V. Ill. Signoria la quale per sua umanità se digne fare quella risposta che gli pare et io manderò ad exequtione quanto harò da quella alla quale me recomando. Mediolani 27 junij 1472 Servulus Laurentius de Pesaro».
Da questa lettera si vede come Lorenzo di Pesaro non avesse alcuna volontà di concedere dei privilegi ai due paesi.
È giunto a noi il testo del capitoli che gli uomini ed il comune di Varenna avevano presentato al feudatario: essi volevano che fossero riconosciuti tutti i singoli privilegi, autorizzazioni e lettere concesse alla comunità ed agli abitanti per parte dei duchi di Milano, nonchè gli statuti provvigioni ed ordini tanto nelle cause civili che nelle criminali, che fossero continuate le prerogative, gli onori, le dignità, le preminenze le consuetudini, le entrate e i dazi sino allora esistenti, nonche i condoni e i benefici spettanti al comune ed agli abitanti secondo il modo indicato dagli statuti. Volevano che il feudatario osservasse le provvisioni e gli ordini, che li confermasse e dichiarasse irrevocabili e che tanto lui come i suoi figli in avvenire non dovessero intromettersi nei dazi, nelle entrate, negli emolumenti, nè in tutto nè in parte, e che il comune e gli abitanti fossero liberi di disporre dei loro dazi e delle loro entrate e prerogative. Che i vicini e gli abitanti di Varenna non potessero esser chiamati in alcun giudizio civile o criminale per qualsiasi causa che avanti al solo podestà o rettore di Varenna, e che il podestà di Bellano od altro qualsiasi ufficiale non dovesse avere alcuna giurisdizione contro gli abitanti di Varenna ed i loro vicini; che il feudatario non potesse, nè allora ne in tempo futuro imporre dazi, gabelle, pedaggi, nè altro aggravio agli abitanti, e che non dovesse esigere dal comune e dagli abitanti somma superiore a quella che era convenuta con Francesco Sforza e cioè lire centosei, soldi tredici e denari quattro imperiali ogni anno. Che il feudatario non si prendesse l’arbitrio di obbligare gli uomini di Varenna a compiere lavori di fortilizi, ponti, palazzi ecc. nel territorio di Varenna come altrove a meno che essi non lo facessero di spontanea volontà. Che non fosse imposto al comune di Varenna alcun ufficiale o rettore di paesi circonvicini, ma di paesi lontani almeno trenta miglia.
I castelli ossia le rocche di Varenna dovevano esser lasciate alla custodia e potestà del comune e dei suoi uomini; al comune ed agli abitanti doveva darsi pieno e generale perdono di ogni offesa, ingiuria, omicidio, porto d’armi, ferite, percosse perpetrati in qualunque modo tanto contro gli uomini della terra di Varenna, che contro qualsiasi altra persona26.
Non si conosce se questi capitoli siano stati alla fine accettati dal feudatario, ma è molto probabile di no.
Nei 1480 il feudo di Varenna passò a Pietro Dal Verme, condottiero ducale. Questi, con scrittura 10 aprile 1480, aveva stipulato contratto di nozze con Chiara Sforza, figlia naturale del defunto Gian Galeazzo Maria.
In base a questo contratto la duchessa Bona, nella sua qualità di madre e tutrice del minorenne suo figlio Giovanni Galeazzo Maria, e reggente dello stato, pagava al Dal Verme nel successivo giorno 28 a titolo di dote la somma di ducatoni d’oro 14000 per l’assicurazione della quale lo sposo dovette assegnare a titolo di restituzione dotale tutta la Valsassina, la Pieve d’Incino, Mandello, Varenna e Bellano, con le rispettive terre e giurisdizioni. A tali concessioni aggiungevasi, nel gennaio dell’anno successivo, l’altra dei feudi di Dervio, Corenno e Monteintrozzo, onde la riviera orientale del Lario veniva a trovarsi tutta alla dipendenza degli sposi.
Gli uomini di Varenna giurarono fedeltà a Pietro dal Verme, e l’atto venne redatto dal notaio di Milano Pomponio Vignarca (8 sett. 1480).
Ma il conte Dal Verme ebbe corta vita e morì nel 1486 senza lasciare prole, onde i suoi beni furono devoluti alla Camera. Il Duca assegnò allora alla vedova l’annua rendita di lire novemila, da ricavarsi dal luoghi che le erano stati già costituiti in dote, ed altri proventi.
Passata Chiara a seconde nozze col conte Fregosino di Campo Fulgoso, tutte le suaccennate terre furono confermate a Chiara Sforza ed al suo nuovo coniuge, con diploma 11 marzo 1494, dato a Sprea, da Massimiliano I, re dei Romani.
Ma questo feudo doveva con molta frequenza cambiar possessore.
Il 12 giugno 1495 Ludovico Maria Sforza, concedeva a Gaspare Sanseverino, detto il Fracasso, uno dei suoi favoriti condottieri, figlio del famoso Roberto, altro condottiero, la Pieve d’Incino, la Vallassina, Mandello, Bellano, Varenna, Dervio, Corenno e Monte Introzzo.
Vennero subito le predette terre invitate a prestare il giuramento consueto di fedeltà al nuovo feudatario, ma nessuna di esse obbedì, perchè la detta nomina del Sanseverino non tornò gradita.
«Per altre nostre ve habiamo un’altra volta scripto» così il segretario del Duca il 27 ottobre 1495 a Varenna, Bellano ecc. «doveste jurare fidelità in mano de messer Gaspare de Sanseverino per quelli lochi nostri, reservata la superiorità nostra, il che non essendo per voi facto ne meravigliamo. Però per questa nostra ve replicamo et commettemo che fra octo giorni proximi habiate electo vostri messi cum oportuno mandato et li habiate facti venire qui a Milano ad jurare epsa fidelità nel modo predicto in mano de Paulo e Bartholomeo Pagano mandatari d’esso messer Gaspare et in questo non li addurrete alcuna difficoltà altrimente incorrerete ne la desgratia nostra».
A questa lettera, gli uomini delle terre della riviera e della Valsassina, cosi risposero al Duca, dimostrando tutta la loro ripugnanza nel riconoscere come loro Signore il Sanseverino.
«Illustrissimo et Excellentissimo Signor nostro metuendissimo. La S. V. per sue littere del dì 28 de otobre signate B. Calchus à mandato a le comunità et homini de la vostra riperia del laco et de Valassina che mandano soy procuratori cum oportuno mandato ad jurare la fidelità a la prefata Vostra Excellentia et ad la Illustrissima Madona vostra consorte et vosti fioli etc., per il che esse comunità et homini cum maxima letitia anno fatto di loro solemni sindacati in noy ad jurare la dicta fidelità.
Novamente pare che li agenti per il magnifico domino Gaspare de Santo Severino instano cum altre littere de Vostra Signoria che dite comunità et homini debiano prestare essa fidelità in mane de li mandatari del prefato magnifico d. Gaspare et perchè dite comunità allo pacto non intendano avere altro signore che la Vostra Signoria et sua illustrissima domina consorte et soy fioli, como anche a li giorni passati haveano risposto ad quella per loro littere et anche quella giuramente ha intexo a la presentia de li loro agenti et mandatarii in effectu che non intendevano adorare altro che un solo Dio et non reconoscere altro Signore che la Vostra Signoria ut supra, cum farli intendere etiam cum designo formale como esse terre sono a li confinie de veneti et de todeschi che importano et sempre sono stati soldati Sforzeschi senza soldo al beneficio de questo stato et che la Vostra Excellentia non li vogli astringere ad sottomettersi ad altri, però che più presto eligeriano de abbandonare la loro patria et habitare in altri loci, come del tutto quella de havere bono ricordo. Pertanto essendo nox mandati da le nostre comunità cum oportuni mandati per fare dita fidelità a la Vostra Signoria, come è dito, pregamo quella che, considerato l’amore immenso et cordialissimo che essi buoni mi hanno portato et portano alla prefata Vostra Signoria voglia da noi aceptare la dita fidelità desiderata in la V. E. et de la illustrissima domina vostra consorte et fioli, la quale se persuademo non debia ricusare, maxime avendoli così promisso alias la V. S. la quale pò conoscere et toccare cum mano che in diti homi non è altro che amore Sforzesco inseparabile da quella, licet li dolia in questo non potere innestare de animo ad compiacere a la V. S. Et per quanto noy potemo conoscere, essi nomini may non reconosceranno altro signore ch’a la V. S., anchora che fosseno certi di essere perseverati, exhempi da altri, et che più presto patirano ogni morte et suplicio che rivolgere la loro fede e divotione in altri. Et quando in tal caxo non se attendesse lo acceso loro animo verso la V. E. et caxa sua anno per certo che la V. Signoria quale egualmente provede che iustitia habia loco, non li debi mancare de raxone, però che se pretendeno non si debia nec possa alcuno essere artato ad iurare fideltà in altri contra il suo volere. Et se a la V. S. piaze che andiamo a caxa per essere noi molte persone cum grande spexa de esse comunitade stati molti giorni sopra le hostarie per aspetare la Celsitudine Vostra qui a Milano, ritomaremo da la V. E. queste feste de Natale a la dita fidelltà in la V. S., corno gli è scripto, et desideramo a ciochè dite comunitate non siano più agravate de tante spexe et affani et che oramay eschano de tante travalia et possano perseverare ne la gratia de la V. E. a la quale ex corde se recomandiamo. Date Mediolani die 29 novembris 1495.
Eiusdem Excellentie Vestre fidelissimi servitores mandatarii Vestre Ripperie, Leuci et Commitatis Valassine»27.
E poichè nessuno si era mosso per andare a prestare il famoso giuramento di fedeltà, il 7 dicembre, il segretario del duca riscrive in questi termini: «Fecimo dire alli dì proximi ad li nunci vostri la pretentione nostra essere che prestiate la fidelità, al magnifico messer Gaspare de Sanseverino. Ma parendone, per quello che ci è riferito, che ve ne prestata renitenti, vi replicamo et commendamo che o prestate el dicto giuramento de fideltà al dicto messer Gaspare o vero ad Paulo Pagano suo mandatario legitimo aut in termine di octo giorni dopo la presentatione de queste veniate da noi, quali ve declameremo l’animo et intentione nostre»28.
Ma quelli non se ne dettero ancora per inteso ed il segretario il 22 gennaio 1496 così replicò: «Como per più nostre ve avemo scripto et anche alli messi vostri fatto intendere ad boca, havemo concesso quella nostra terra in feudo al magnifico messer Gasparo de Santo Severino nostro affine et capitaneo Carissimo, et essendo nostro firmo proposito che li giurate fedeltà volimo et vi comandamo alla pena di mille ducati da essere applicati a la camera nostra irremissibilmente mandate qui ad Milano fra sei giorni da poi la presentatione de queste nostre vostri messi cum mandato opportuno per giurare fideltà in vostro nome in mano d’esso messer Gaspare overo suoi agenti, reservata la superiorità nostra»29.
Ma nemmeno queste minaccie valsero a smuovere gli abitanti di quelle terre dal loro fermo preposito di non volerne sapere di questo nuovo signore gli agenti del quale frattanto coglievano ogni pretesto per angariare gli irriducibili vassalli. Questi si misero d’accordo per esporre al Duca nuovamente le loro ragioni che espressero nella seguente lettera del 19 giugno 1497:
«Illustrissimo ed excellentissimo Signore nostro metuendissimo. Nuy siamo ancora novamente admoniti per il nostro pretore in executione di lettere de la V. E. de VI del presente signate B. Calchus in effectu che a la penna de la disgrazia vostra debiamo infra oto o deci giorni mandare da la V. E. persone con facultate et mandato suffitiente ad fare la fidelitate in mano del magnifico D. Gasparo de Sanseverino, overo de li agenti suoi etc. De la qual cosa non poco si dolemo, però che la S. V. zà grande tempo et per molte volte ha veduto et conosuto che la totale volontade et deliberatione nostra è stata et è de non riconoscere may altro Signore che la S. V. et suo primogenito. Et tanto più, perchè quella così ne ha promisso più volte; et maxime da po la morte del quondem conte Pietro del Verme quando facessemo la fidelitate in mane de la S. V. et anche da poy più volte ne ha promisso de dare contracambio al prefato D. Gasparo, como del tuto la S. V. ne debbe havere bono ricordo. Et in veritate, Illustrissimo Signore, ormay li agenti per il prefato magnifico D. Gaspare doverebeno rispetare la Vostra Signoria in non darli più affano nè tedio sopra ciò; et ormai doverebeno essere satii de vindicarsi contra di nuy, havendone fato spendere la vita et mandato provixionati in possessione et fato retenire li agenti et nuntii nostri tanto tempo incarcerati. Et per questo conosemo che ancora non satii di queste fatiche ad nuy date, voriamo procedere più oltra ad esserne signore, per meglio poterse vindicare contra di nuy, che non credemo deba esser mente de la prefata S. V. la quale may non ebbe un solo dispiacere da nui; ymo per essere nuy stati fideli a la caxa sforzesca, havemo venduto le nostre robe et sparso il sangue in servitio de quella. Se persuademo non ne debba abandonare nè refutare per abiecti, avendo nuy il core et volere tuto dedito a li servitii fede et devotione de la S. V. da la quale may non ne poterà partire altro che la morte, per il che con lacrime dolente pregamo la Vostra Illustrssima Signoria che ormai voglia deliberare de riteniro questi homini sforzeschi vostri a l’ombro et governo di quella, et non darni in escha et perditione ad alcuno altro, sia chi si voglia, como è sforzato ad far Dio onnipotente, il quale per la sua divina iustitia è sforzato ad acceptare l’homo, volendo l’homo per il libero arbitrio a luy concesso. Et così se persuademo deba fare la V. S. inmitatore de esso Dio Omnipotente a ciò li concedi longa vita, a la cui E. V. piangendo ne comendamo. Ex terris vestris Ripperie Leuci die 18 junij 1497.
Eiusdem Vestre Dominationis fidelissimi servitores Comunia et homines Mandelli, Bellani et Varene30.
Non si sa poi quale esito abbia avuto l’appassionata difesa dei rivieraschi.
Anche l’infeudazione Sanseverino ebbe corta durata. Nel 1499 la pieve d’Incino, Mandello, Varenna, Bellano, Dervio, Corenno e tutta la Valsassina vennero dal duca Ludovico Maria Sforza date in feudo al Marchesino Stanga del fu Cristoforo, in cambio del luogo di Popilio nel Parmense ceduto dallo Stanga al Duca.
Gli abitanti di Varenna, gelosi custodi delle loro libertà e dei loro diritti approfittarono della solenne cerimonia del giuramento per domandare al nuovo feudatario l’osservanza di certi articoli dei loro statuti, il che risulta dall’atto di giuramento, rogato da notar Giov. Pietro Calvasina, di Antonio, l’8 aprile 1499, atto del quale riteniamo opportuno dare ampia notizia per la sua importanza, e perchè contiene una lunga lista di abitanti di Varenna presenti alla convocaziooe fatta nella Chiesa di S. Giorgio per ordine del nob. Guglielmino de Maziis luogotenente dello spett. Antonio de Mozanica podestà.
Gli intervenuti, furono i seguenti:
d. Guglielmo de Maziis di Giorgio, procuratore della comunità
d. Giovanni de Serponte di Luchino «caneparius» della comunità
d. Iacobinus de Scotis di Pietro
d. Bartolomeo Panizza di Giovanni
d. Francesco de Manticis di maestro Lorenzo
d. Andrea de Mazis di Beltramo
d. Simone e Giovanni fratelli de Schotis di Giacomo
d. Tomaso de Mazis di Baldassare
d. Giovanni de Campiono di Pietro
d. Bartolomeo Tencha di Filippo
d. Giovanni de Mazis di Antonio
d. Giov. Pietro de Serponte di Giov. Antonio
d. Giov. Pietro de Marliano di Giorgio
Bernardo de Mazis di Donato
Michele de Cella di Donato
Giorgio de Mazis di ser Giovanni
Ser Pietro e Michele fratelli Campiono di ser Stefano
Giorgio detto «Mutalus» de Campiono di ser Tognino
Ser Luca de Serponte di ser Baldassare
Giov. Antonio de Serponte di maestro Stefano
Giov. Pietro de Brentis di ser Giacomo
Giov. Maria de Mazis di Cristoforo
Giov. Antonio de Mazis di Andrea
Giorgio de Schotis di Foncaso (cancellato)
Beltramo de Schotis » »
Antonio de Schotis » »
Giovanni de Schetis di Foncaso (cancellato)
Pietro de Serponte di maestro Stefano
Antonio de Serponte di ser Andrea
Giorgio de Cella di ser Agostino
Donato de Paniziis di ser Augustino (cancellato)
Coronino de Serponte di d. Luca
Battista e Cosino fratelli de Campiono di Beltramo
Giovanni de Bordono di ser Giovanni
Giovanni de Madernis di Giovanazzo
Bartolomeo de Campiono di ser Bernardo
Antonio de Campiono di Zanino
Pietrino de Mazis di Antonio
Silvestro de Quartiroii di Lazzaro
Nicola de Lecascho di ser Bortolo
Nicola de Mazis di Giacomino
Antonio de Nazareni di Ambrogio
Nicola de Paniziis di Petrolo
Giovanni de Brentis di Antonio
Marchetto de Brentis di Pietrino
Marco de Brentis di Ambrosolo
Allegro de Paniziis di Bernardo
maestro Ventura de Bordono di ser Beltramo
Giuseppe de Maziis di ser Antonio
Stefano Tenca di d. Filippo (cancellato)
Antonio de Serponte di Luchino
Giovanni Brenta di maestro Antonio
Antonio de Maziis di d. Filippo
d. Giov. Battista Arrigoni di Giov. Pietro
Giov. Andrea de Serponte di maestro Pietro Paolo
Giovanni de Scotis di ser Giacomo
Antonio e Petrino fratelli de Campiono del detto ser Giovanni
Giorgio de Campiono del detto ser Giovanni
Giov. Simone de Campiono di Pietrino
Giov. Pietro de Maziis di Giorgio
Tonino de Paniziis di Giorgio
Santo de Campiono di Antonio
Alessandro de Tenchis di Simone
Pietre de Bordono di Cristoforo
Maestro Stefano de Bordono di ser Giovanni
Bernardo de Venenis di maestro Giorgio
Giov. Pietro de Bordono di maestro Ventura
Antonio Brenta di ser Giacomo
Vittore «de Lacu maiori» di Biagio
Giacomo de Baceriis
In loco de Ugha
Giorgio e Andrea fratelli de Venenis di maestro Abondio.
Giovanni de Venenis di Ambrogino
Antono Fagiolo di ser Cesco
Giovanni Fagiolo fratello
Giorgio, detto Bregio, de Grepis di Ser Beltrami
Gregorio de Rasariis (lettura incerta) di Giovanni
Giovanni de Tarelis di Giovanni
Giovanni, detto Bio, de Grepis di Ser Baldassare
Beltramo de Venenis di Ser Pietro
In castro Lierni
Bartolomeo de Paniziis di ser Giovanni
Andrea de Paniziis di ser Sangii (sic)
Giov. Pietro de Paniziis di Ser Antonio
Giovanni de Scottis di Ser Zenino
Tonino suo fratello
Vanino de Grepis di Toniolo
In loco de Villa
Arigeto de Caghinosis di Pietro
Alessandro de Balbiano di Battistino
In loco del Cisale
Tomaso e Stefano fratelli de la Fiore di Ser Giuliano
Domenico de la Fiore di Ser Pietro
In loco de Musatio
Pietro de Veninis di ser Giovanni
Giacomo del Caro di Ser Santino.
Baldassare de Fonio di Giovanni
Giovannolo del Caro di Giovanni
In loco de Giunischo
Antonio del Caro di Francesco
agli intervenuti il signor Marchesino Stanga, segretario ducale, cui era stata concessa in feudo tutto la pieve con le pertinenze, diede da leggere la seguente lettera del Duca:
«Dilecti nostri. Havendo noy concessa in feudo al egregio cavalero messere Marchexino Stanga quella nostra terra et datoli le intrate et tutte le altre pertinentie sue como consta per instrumento pubblico del quale è rogato Stephano Gusperto da Cremona nostro cancellero e notaro per rispecto al feudo et per Francisco Barro notario milanese quanto appartene a le dicte intrate a li quali instrumenti se referemo, pure volemo et ricomandiamo che el dicto messer Marchixino o vero Ludovico Pinzono suo procuratore acceptati per vostro legiptimo patrono et superiore, reservata però la superiorità nostra ne in questo usareti renitenzia alchuna quantunque per il passato ne siati prestati difficili con qualche altro al quale ve havevamo infeudati, perchè essendo el dicto messer marchexino nostro allevo de quella sorte ch’el e estimaremo che la fidelità quali prestareti a luy o al dicto suo procuratore sia prestata in le mani nostre proprie perchè non gli facemo differentia alcuna et così gli risponderete de le intrate predicte incomenzando calende de genaro proxime passato. Mediolani 4 aprilis 1499.
Signatum B. Calchus et sigilatum ducali vero sigillo in cera alba ut morts est». a tergo: Prudentibus viris comunibus et hominibus terre Varene et pertinentiarum nostris dillectis».
Letta questa lettera i soprascritti uomini, piegate le ginocchia a terra davanti al detto magnifico signor Marchexino, gli prestarono giuramento di essere fedeli sudditi sì a lui che ai suoi discendenti. Presenziarono come testi il magnifico signor Simone Arigone di Simone di P. O. parr. S. Babila, il magnif. sig. Giov. Giacomo, detto Raschericho di Baratino, capitano della Valtellina ed altri, abitanti «burgi Belaxii».
Al documento surriferito è allegata una Petitio Varene nella quale si chiede:
«1. — che li nostri statuti et ordini siano confirmati prout iacent ad literam che non se li possa azonzere chosa alchuna, ma che irrevocabiliter siano observati.
2. — che alcuni de la iurisditione de Varena non possa aliquo modo esser tirati fora de la sua iurisditlone in loco alcuno et precipue a Belaso, per esser Belaso episcopato di Como, et Varenna del ducato, per causa nè cosa alchuna cossì criminale como civile.
3. — che non possano esser costretti ad pagare commissaria nè salario de comissario per el divieto de biade perchè may non fu solito, excepto da tri o vero quatro mesi in qua perchè non se froxa nè se po froxare biada alchuna ad Varena,
4. — che non se li possa incovare ne essere curgariati ad cosa alchuna ultra el solito.
5. — che non se possano actare ad pagare la conventione nè altri carigi che se pagano nixi ad Kalende de Zenaro in fine de cadauno anno, como el solito.
6. — che tutti li delicti et excessi commissi et perpetrati di qualunque natura volle se sia et processi pendenti et condempnatione fatte da qui indietro siano casati, iritati et anulati etiam si di tali delicti non fossero venuto in luce et como in la liberatione generale fatta per la excellentia dell’illustrissimo signore duca di Milano contene excessi li casi in ipsa reservati.
7. — che la capit. de Belaso non possa fare executione alcuna per cosa veruna nè intromettere nel lato de la riviera videlicet da Meza acqua in qua, como el solito, attexo la sententia sopra ciò datta.
8. — Se prega et suplica la Signoria Vostra per la sua humanità se digna remettere la conventione de questo anno che è de l. 106 soldi 10 imperiali, attexo li gravi et intollerabili carigi supertati per questa povera comunità et questo reputerano singularissimo dono».
⁂
Nell’estate del 1499 Luigi XII, alleato al duca di Savoia, al Pontefice Alessandro VI e ai Veneziani, scese in Italia con un forte esercito, e depose dal trono Ludovico il Moro, (2. sett.), il quale se ne fuggì in Germania, passando per Lecco e attraversando il lago di Como.
Il 6 settembre i francesi entrarono in Milano, i Veneziani cercarono di occupare Lecco e la riviera, ma incontrarono viva resistenza da parte dei Milanesi.
Il maresciallo Trivulzio mandò il generale Ligny verso Bellinzona per contrastare il passaggio alle truppe tedesche che appoggiavano Ludovico il Moro: Bellagio e Menaggio furono occupate senza difficoltà l’8 settembre; in seguito Bellano, Varenna e Lecco si diedero ai Francesi, e il 15 settembre tutto il lago era sottomesso a questi.
Governatore del lago fu nominato Branda di Castiglione.
Note
- ↑ Arrigoni, Statuti civili et criminalis Vallisaxinae pag. 114.
- ↑ Il doc. trovasi nell’arch. del Pio Albergo Trivulzio: sarà pubblicato nell’apposito volume.
- ↑ Osio, Docum. diplomatici, vol. III. pag. 263.
- ↑ Quadrio, Dissertazioni critico-storiche intorno alla Valtellina. Tomo I, pag. 344.
- ↑ Registro lettere ducali v. 70. fo 75.
- ↑ Angelucci Angelo, Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco italiane.
- ↑ Specie di nave.
- ↑ Lib. Ord. Magnif. Communitatis Cumarum. Vol. IV, f. 143:
- ↑ Archivio di Stato di Milano, Censo p. a. Comuni: Mandello. Crediti, debiti, fondi. C. 1448.
- ↑ Arch. Stor. Lomb., Francesco Sforza in Brianza. Anno I, 1874, fasc. III, p. 287.
- ↑ Biblioteca Ambrosiana, carteggio di provenienza Casati.
- ↑ Arch. di St. di Milano, reg. ducale n. 7, fasc. 210.
- ↑ Arch. di St. di Milano, carteggio Sforzesco, c. 6.
- ↑ Ib.
- ↑ Arch. di St. di Milano, carteggio Sforzesco, c. 6.
- ↑ 16,0 16,1 Arch. di St. di Milano, registro ducale 129 A. fasc. 222.
- ↑ Archivio Storico di Milano, Carteggio Sforzesco. C. 6.
- ↑ È bene qui ricordare che Bartolomeo Gadio, noto architetto ducale si recò in Varenna a visitarvi la fortezza il 5 marzo 1453.
- ↑ Rossi Luigi, Gli Eustachi di Pavia e la flotta Visconteo-Sforzesca. Pavia Fusi, 1915.
- ↑ Questi elementi sono tratti dall’Archivio Comunale di Como. Registro ducale n. 4, f. 36 e segg.
- ↑ Arch. di St. di Milano, Archivio Sforzesco, Carteggio Generale: Como, Cart. 60.
- ↑ Arch. Not. di Milano, Imbreviature di N. Jacobo de Perego, il doc. è riprodotto in appendice.
- ↑ Arch. di St. di Milano, Registro missiva n. 15.
- ↑ Emilio Motta nel suo studio «I Sanseverino feudatari di Lugano e Balerna» inserito nel volume II del Periodico della Soc. Storica Comense, scrive che i Malacrida e consorti erano feudatari di Corenno, Dervio, Bellano e Varenna nell’anno 1467, ma, nonostante le ricerche fatte nelle carte di quegli anni non ci è stato possibile trovare la minima conferma di tale notizia.
- ↑ Arch. di St. di Milano, Carteggio generale sforzesco.
- ↑ A. S. M., Feudi camerali (Varenna).
- ↑ Arch. di St. di Milano, Carteggio Generale, c. 528
- ↑ Ivi, Registro missive, n. 200 f. 199 t. o.
- ↑ Ivi, Registro missive. n. 203, f. 7.
- ↑ Arch. di St. di Milano, Carteggio generale, c. 577.