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non me deva dicta licentia che io li advisasse e che loro mandariano li homini cum lo mandato a giurare. Se a V. Ill. Signoria pare che io vada andarò, se li pare che io non vada lassarò stare e in ogni caso prego e supplico a Vostra Celsitudine de scriverne e se li piacie dica qualche parola per lo facto delli capitoli in però che io non li mutaria privilegij de V. Ill. Signoria per tutto l’oro del mondo, nè faria una cosa fora de ragione nè deshonesta e seria contento che V. Ill. Signoria scrivesse a loro e a mi che io li governi honestamente e cum justitia e se io farrò altramenti che ipsi recorgano a Vostra Excellentia la quale ha a provedere a omne cosa. E questo è il capitolo che regula il tutto; nondimeno queste sono cose de Vostra Celsitudine. Io harrò caro adimpere la mente de V. Ill. Signoria la quale per sua umanità se digne fare quella risposta che gli pare et io manderò ad exequtione quanto harò da quella alla quale me recomando. Mediolani 27 junij 1472 Servulus Laurentius de Pesaro».

Da questa lettera si vede come Lorenzo di Pesaro non avesse alcuna volontà di concedere dei privilegi ai due paesi.

È giunto a noi il testo del capitoli che gli uomini ed il comune di Varenna avevano presentato al feudatario: essi volevano che fossero riconosciuti tutti i singoli privilegi, autorizzazioni e lettere concesse alla comunità ed agli abitanti per parte dei duchi di Milano, nonchè gli statuti provvigioni ed ordini tanto nelle cause civili che nelle criminali, che fossero continuate le prerogative, gli onori, le dignità, le preminenze le consuetudini, le entrate e i dazi sino allora esistenti, nonche i condoni e i benefici spettanti al comune ed agli abitanti secondo il modo indicato dagli statuti. Volevano che il feudatario osservasse le provvisioni e gli ordini, che li confermasse e dichiarasse irrevocabili e che tanto lui come i suoi figli in avvenire non dovessero intromettersi nei dazi, nelle entrate, negli emolumenti, nè in tutto nè in parte, e che il comune e gli abitanti fossero liberi di disporre dei loro dazi e delle loro entrate e prerogative. Che i vicini e gli abitanti di Varenna non potessero esser chiamati in alcun giudizio civile o criminale per qualsiasi causa che avanti al solo podestà o rettore di Varenna, e che il podestà di Bellano od altro qualsiasi ufficiale non dovesse avere alcuna giurisdizione contro gli abitanti di Varenna ed i loro vicini; che il feudatario non potesse, nè allora ne in tempo futuro imporre dazi, gabelle, pedaggi, nè altro aggravio agli abitanti, e che non dovesse esigere dal comune e dagli abitanti somma superiore a quella che era convenuta con Francesco Sforza e cioè lire centosei, soldi tredici e denari quattro imperiali ogni anno. Che il feudatario non si prendesse l’arbitrio di obbligare gli uomini di Varenna a compiere lavori di fortilizi, ponti, palazzi ecc. nel territorio di Varenna come altrove a meno che essi non lo facessero di spontanea volontà. Che non fosse imposto al comune di Varenna alcun ufficiale o rettore di paesi circonvicini, ma di paesi lontani almeno trenta miglia.