XV — Sola

../XIV IncludiIntestazione 17 febbraio 2022 75% Da definire

XIV

[p. 189 modifica]

CAPITOLO XV.

Sola.

Dopo tre anni di sacrifizio il dottor Carlo Chiari aveva finalmente la prospettiva di un posto più degno di lui.

Sfidando il freddo, il vento, la pioggia di un brutto giorno di novembre, la cavallina attaccata al vecchio calesse, andava andava per la campagna malinconica, sommersa nella fiumana. Le ultime visite!

Già il nuovo medico condotto aveva preso il suo posto; e da buon collega, egli lo aveva accompagnato da un luogo all’altro, presentandolo ai diversi clienti.

Adesso faceva una corsa per conto proprio, volendo salutare alcuni vecchi amici.

— Un buon diavolaccio — pensava egli rian[p. 190 modifica]dando su i discorsi fatti col suo successore. — Starà qui meglio di me; ha famiglia e nessuna ambizione. Io vado, finalmente, vado!... Il mio destino si allarga; la fortuna comincia a sorridermi... Sono io contento?...

Aveva tutte le ragioni per esserlo. Un bel paese lo aspettava; un discreto stipendio, e molte probabilità di guadagni accessori.

Con tutto questo, egli non sapeva rispondere alla domanda che si era fatta.

Guardava in fondo alla strada, un po’ a sinistra, le case della Cascina Grande: una larga macchia nerastra.

— Che tempaccio! — mormorò gettando il mozzicotto di un cattivo sella, e pensando a tutt’altro.

La malinconia della partenza penetrava anche la sua anima di gaudente ambizioso; quella piccola parte di se medesimo, quei tre anni di vita con le annesse abitudini e i tenui affetti, gli mettevano addosso, al momento di spogliarsene, un senso fastidioso di rimpianto. E accostandosi alla Cascina Grande, questo malessere cresceva, diveniva acuto, pungente. [p. 191 modifica]

— Maria!

Gli pareva che avrebbe quasi fatto meglio a non rivederla.

Il sole tramontava nel cielo grigio dietro alle nuvole. A un tratto una buffata di vento fece uno strappo in quella massa di bambagia sudicia; il disco d’oro sfolgorò su un fondo verdastro. Alcune nuvole nere si tinsero di porpora agli orli. Le vecchie case della Cascina si illuminarono; una vite selvatica, ancora coperta di pampini gialli e sanguigni, che adornava l’orto del fittabile, brillò nel sole. I vetri di alcune finestre scintillarono come bracieri accesi.

Oh! la campagna! La campagna aveva essa pure le sue civetterie... Gli pareva quasi bello quel brutto paese al momento di lasciarlo!

Sorrise, probabilmente di sè.

Trasse dall’astuccio di pelle un altro sigaro e l’accese... Poi, arrovesciando il capo sui guanciali della calessina, restò un momento assorto, spingendo in alto il fumo, in bianche spire sottili.

La nuova «condotta» lo avrebbe messo a contatto di veri signori, di gente colta, di [p. 192 modifica]qualche bella donnina... Certo. Il suo spirito, l’ingegno arguto, avrebbero trovato finalmente le occasioni di farsi valere...

Sbadigliò. Si drizzò con un movimento brusco. Scosse la cenere agglomerata in cima al «virginia» con un movimento istintivamente elegante della sua mano aristocratica, una vera mano di operatore, mano felice, specialmente per certe operazioni; come gli aveva detto il suo successore la sera innanzi, complimentandolo: una mano degna di una clientela signorile.

Mah!... Tutto arrivava fuori di tempo nella sua vita!... Quei tre anni lo avevano invecchiato, o, almeno, reso precocemente maturo. Come avrebbe goduto, tre anni addietro, di quella fortuna, che ora gli appariva scialba, insufficiente...

Davanti al cancello del vasto recinto la cavalla rallentò il passo spontaneamente. Egli non ebbe che a muovere un momento le redini per farle intendere che doveva entrare.

Il breve sfolgorìo del tramonto era scomparso. Le nuvolaccie si riaddensavano, coprivano tutta la volta del cielo. Le vecchie casu[p. 193 modifica]pole riapparivano nel loro colore naturale, con i muri sudici, affumicati, rosi da vecchia lebbra.

Ricominciava a piovere.

Il dottore saltò dalla calessina e raccomandò al garzone di stalla, venutogli in contro, di metterla al riparo dell’acqua. Poi si avviò quasi correndo verso la stanzuccia, o meglio la cucina, a terreno, dove abitava la vedova del povero Sandro.

L’uscio era socchiuso, secondo il solito. Lo spinse e entrò dicendo allegramente:

— Permetti a un vecchio amico di salutarti prima di partire?...

La giovine donna, curva davanti al focolare dove stava preparando quella poca cena, si drizzò e si voltò di botto.

— Oh! signor dottore!...

Avrebbe voluto dire qualche altra cosa ma non trovò le parole e rimase lì confusa e tutta rossa in viso.

Egli la esaminò un istante in silenzio. Poi le stese la mano.

— E un pezzo che non ci vediamo!... Come stai?... Meglio mi pare. [p. 194 modifica]

— Sì, sì... Ho ricominciato a lavorare. Vado alla canapa.

— Alla canapa? Fai malissimo. Non è lavoro per te ancora.

— Oh!... Mi sento tanta forza! — E sorrise.

— Stai meglio, sì, vedo. Ma non devi strapazzarti.

Ella tornò a sorridere, e si chinò per ravviare i sarmenti che si sparpagliavano. Poi andò in fondo alla cucina a prenderne degli altri e li gettò sul mucchio per ravvivare la fiamma.

— Si accomodi un pochino qui, signor dottore; si scaldi; deve far freddo fuori.

— Un tempo da cani! — esclamò il giovine, mettendosi a sedere, visibilmente contento di quell’invito.

— Dunque, lei se ne va?...

— Domani, Maria cara! domani! e mi dispiace!

— Come?... Non è dunque vero, come mi hanno detto, che va in un posto tanto bello?...

— È vero. Ma, sai, quando ci si allontana da un paese, dopo tanto tempo, si ha sempre [p. 195 modifica]il cuore grosso... E a te, non importa proprio niente che io vada via?...

— È una disgrazia per tutti noi altri, poveri contadini — rispose Maria chinando la fronte. — Un dottore come lei non l’avremo mai più!...

Egli protestò. Il dottore Fortini che lo rimpiazzava era un ottimo uomo.

— Lo credo... ma lei...

Non disse altro.

— Siediti un pochino qui! — fece il dottore, coi nervi irritati dal vederla sempre in piedi. Così!... Si sta bene, soli, vicini, seduti accanto al fuoco... Se tu avessi voluto!...

S’interruppe riflettendo quanto Maria avrebbe sofferto nel separarsi da lui, se avesse dato retta a quel capriccio.

Ma era veramente un capriccio?

Non poteva esser altro.

E tuttavia, provava una tenerezza... uno struggimento...

— Perchè non hai voluto?... — le domandò bruscamente.

Maria lo guardò coi grandi occhi pieni di stupore e d’angoscia. [p. 196 modifica]

— Non parliamo di queste cose — mormorò tristamente facendo l’atto di alzarsi.

— No, no!... Sta qui. Parleremo d’altro Sii buona: è l’ultima volta!...

Senti, devo farti tanti saluti da parte di una persona, anzi di due.

— A me!

— Si, a te. Sai che sono stato a Milano, la settimana passata?

Ella scrollò il capo. Si scusò. Viveva sempre così rintanata: non sapeva mai niente.

— Se avessi saputo, l’avrei pregato di andare un momento a casa di don Giorgio... Son già tre mesi che la Cristina mi ha mandato i denari perchè andassi a trovarla, e non ho mai potuto.

— Hai fatto male.

— Santo Dio! come si fa!... Prima, il padrone non mi ha dato mai il permesso: poi s’è malato il bambino della mia vicina, il povero Gigino, e mi voleva sempre alla culla, povero angelo!... Volevo appunto mandarle a dire alla Cristina, che oramai andrò per le feste...

— Sarà troppo tardi, figliuola mia!... [p. 197 modifica]

— Troppo tardi?... Oh Dio!... Non mi metta questa paura addosso! È forse malata?... Dio! Dio...

— No no, sta tranquilla. Non è malata, anzi...

— Dunque l’ha vista?

— Sicuro. Non t’ho detto che avevo dei saluti a farti?...

— Ah! me n’ero scordata. E dove l’ha vista? Si sono incontrati?...

— Si, ci siamo incontrati...! Ma se tu mi fai quella faccia non ti dico niente.

— Oh! signor dottore!...

— Calmati. Ho visto tua sorella...

— E il Castellani, non l’ha visto!... L’ha abbandonata?!...

— Non vuoi finirla di tormentarti?... Il Castellani è sempre con lei.

Non sai che si sono sposati?... Non te l’hanno scritto?...

— Si si... è vero. Ma non mi posso convincere che sia un matrimonio per davvero. Mi pare un sogno.

— Invece è la verità; e si vogliono molto bene e sono felici... Ma... [p. 198 modifica]

— Ma?...

— Senti, ascoltami con tutta la calma. Scendevo alla stazione di Pavia e siccome sapevo che nel treno avviato per Genova erano circa dugento emigranti — che non avevo potuto vedere alla stazione di Milano — mi fermai un momento per salutare quelli che conoscevo. A un tratto vedo un uomo, una specie d’operaio, robusto e giovane, che si sporge da un finestrino, agitando le braccia verso di me, e sento una voce sonora che mi chiama... Guardo meglio, mi accosto... Figurati! Riconosco il Castellani... e dietro le sue spalle la bella testa di tua sorella...

— Oh! — gridò Maria scoppiando in un pianto dirotto. — Vanno in America!... Povera sorella mia!... In America!... Non la vedrò mai più!...

Il dottore che aveva preveduto questo scoppio, lo lasciò passare. Poi a poco a poco, cercò di consolare la povera Maria. Non doveva disperarsi così. La Cristina aveva buonissimo aspetto... Erano tutti e due assai ben vestiti, e poi felici, innamorati — avevano l’amore negli occhi, facevano invidia... [p. 199 modifica]

— La più disgraziata sei tu, non capisci?... Tu che resti qui sola, in questa miseria, dopo tutto quello che ti è toccato!...

Ella non era disposta a intenerirsi sopra se stessa. Alzò le spalle. Che le importava mai di sè?... Ma sua sorella... oh! era tutt’altra cosa!...

E raccontava che appunto la settimana passata, avendo assistito alla partenza di sette poveri uomini, che lasciavano il paese per recarsi a Milano e di là a Genova, e da Genova lontano lontano, tanto che loro non potevano neppure farsi un’idea di quella lontananza, si era sentita così sgomenta che aveva pianto, per degli estranei. Ed ora le toccava di sentire che sua sorella pure, e quel povero don Giorgio... andavano laggiù... oh!... una cosa da morire... E si rimetteva a singhiozzare.

Ma il medico non voleva che si disperasse così. Doveva consolarsi invece. A Milano stavano poco bene. Il Castellani non poteva adattarsi a fare l’impiegato; Cristina era come un pesce fuori dell’acqua. In America avrebbero vissuto in campagna. Il Castellani non aveva preso [p. 200 modifica]quella risoluzione alla cieca: andava a dirigere i fondi di un ricco possidente dell’Argentina, un italiano che aveva dato l’incombenza a una casa milanese di trovargli un uomo così e così. Una vera fortuna.

Non poteva capitargli meglio.

— Ma così all’improvviso! — gemeva Maria. — Se avessi saputo sarei andata a Pavia avrei abbracciato mia sorella.

— Hai ragione. Ma è stata una cosa improvvisa davvero. Il vapore partiva, da Genova la sera appresso, il posto era pagato. Due giorni soli per prepararsi! La Cristina piangeva, perdeva la testa. Avrebbero forse potuto scriverti di trovarti alla stazione di Pavia, ma il Castellani ebbe paura che fosse peggio, tanto per te che per la Cristina. Vedersi un momento solo è orribile. Ti scriveranno da Genova e da Marsiglia. E quando la gli andrà bene, si ricorderanno anche di te, sta sicura.

A poco a poco, Maria si lasciò distrarre; rasciugò le sue lagrime.

— Hai sentito che tuo cognato è fuori? — domandò il dottore per cambiar discorso. [p. 201 modifica]

— No. Come!... Ha già finito la condanna?...

— Sicuro; è un anno...

— È vero. Ma io non ho mai capito perchè gli hanno dato così poco. Non è un grande delitto ammazzare un fratello?...

— Si; ma lui ha avuto le circostanze attenuanti; si è riconosciuto che doveva averlo ammazzato per una forza quasi irresistibile... Sai bene, perchè Sandro lo tradiva...

— E chi andò a dirlo a quei signori?...

— Tutti i testimoni. Tu non ti ricordi perchè eri tanto ammalata e non sei potuta andare ai dibattimenti.

Ella fece un gesto d’orrore. Non poteva comprendere che la giustizia si facesse così; nessuno aveva secondo lei, il diritto di accusare Sandro, un morto, uno che non poteva difendersi!

Il dottore la lasciava dire; non cercava di spiegarle il complicato organamento della legge; un po’ perchè pensava ch’ella non avrebbe compreso; molto più perchè quel sentimento ingenuo, quella maniera di giudicare le cose, da un punto di vista così inaspettato, lo interessava profondamente, e lo inteneriva. [p. 202 modifica]

Povera Maria!... Come erano forti i suoi sentimenti, e che strano istinto di elevatezza era nell’animo suo!

La guardava sempre più commosso: l’ammirava.

— Maria! — mormorò accostando il suo viso al viso di lei. — Maria vuoi venire con me?

Ella alzò la testa con impeto. Lo guardò di sfuggita, impallidì e chinò gli occhi.

Non so fare a servire — disse finalmente con un filo di voce. — Sono troppo contadina.

— Oh! Maria! Chi ti parla di servire?...

S’interruppe, e non potè ripigliarsi. I grandi occhi ingenui lo fissavano ed ei si sentiva sconcertato.

Avrebbe voluto dirle una parola capace di commoverla e di convincerla; ma non trovava quella parola; e sotto l’indagine di quegli occhi, non poteva dire una cosa non vera, non profondamente sentita.

Avrebbe voluto dirle:

— Sarai la compagna della mia vita. Ti amerò sempre. [p. 203 modifica]

Ma non era vero. Quegli occhi gli dicevano che non era vero.

Che cosa provava veramente per lei?

Una grande attrazione, un desiderio ardente, intenerito dall’affetto e dalla pietà. Avrebbe voluto stringerla fra le sue braccia, prendersela...

E poi?...

Portarsela via.

E poi?...

— E poi, io non so — pensava, irritandosi con se stesso: — la vita è la vita: l’oggi non risponde del domani. Non l’abbandonerei mai però; le farei uno stato...

— Maria — mormorò incoraggiato da questo proponimento che gli pareva onesto.

— Maria! ti voglio bene. Vieni con me!

Ella crollò il capo tristamente.

Non so fare a servire — ripetè con quella pertinacia contadinesca che formava un lato del suo carattere.

— Ma chi ti parla di servire? — ribattè lui.

Ella ebbe un momento di sospensione. Lo fissò ancora; sembrò riflettere. Poi si riscosse, e [p. 204 modifica]con la voce rotta da una profonda commozione, disse:

— Capisco... Ma io, stando con lei... in qualunque maniera, sarei sempre la sua serva. Anche se, per un poco, fossi altro... tornerei presto la serva. E non so fare a servire: sono troppo contadina!

Egli chinò la fronte. Quanta verità nelle rozze parole, e che profondo sentimento! Ella aveva tutto compreso, e tutto sintetizzava, senza studio nè esperienza, nella sua sublime ignoranza, guidata dal solo divino intuito dell’anima femminile.

Era una creatura superiore quella povera donna; ed egli, qualunque cosa facesse, non poteva che abbassarla. Fatalità della vita.

Restarono qualche tempo in silenzio.

Il fuoco si spense.

Maria si turbò. Chinata sul focolare cercò di ravvivare la fiamma con le poche bacchette più che a metà consumate.

Ma vedendo che non le riusciva, uscì dalla cucina e ritornò con un fascetto di legna meno sottile, ma assai più umida, che empì la stanza di fumo. [p. 205 modifica]

Il dottore le andava dicendo di non darsi pena. Ma lei si disperava di non poter essere ospitale come voleva. Per fortuna trovò un poco di paglia secca, e con quest’aiuto il fumo fu vinto e la legna cominciò ad ardere.

Il giovine si levò per andarsene. Non c’era altro da fare.

— Ti ricorderai di me qualche volta?

— Oh! signor dottore! Ho tanti obblighi verso di lei; non me ne scorderò finchè vivo.

Egli rimase ancora. La interrogò minutamente sulla sua malattia, senza farla arrossire. Le raccomandò certe cure; non lavorasse troppo; e continuasse a prendere le medicine che le avrebbe mandate, come prima.

Ella diceva sempre di si, ringraziandolo ripetutamente.

Erano in piedi presso alla porta. Ora egli doveva andarsene: esauriti i pretesti.

Ma gli pareva di non potersi staccare dal pavimento.

Il cuore gli diceva:

— È l’unica vera felicità questa che tu abbandoni. La vita non ti offrirà mai più qualche cosa di simile. [p. 206 modifica]

Quasi senza sapere, trascinato dalla commozione interna, disse ancora:

— Risolviti... vieni con me!

E ancora ella crollò il capo tristamente senza rispondere.

Ma dopo alcuni istanti di silenzio, temendo di averlo mortificato, balbettò con la voce velata:

— Non si affanni per me. Non resto sola. Ho la bimba laggiù... e la Giulia e Sandro... tutti morti male... Devo pregare per loro...

— Povera Maria! taci... taci!... — esclamò il medico rabbrividendo.

Una mano di ferro gli serrava la gola.

— Addio! Addio!...

Si chinò un momento su lei, la baciò in fronte e fuggì nell’oscurità.

La calessina aspettava. Ancora un saluto, e via.

Pioveva. Il freddo umido gli calmò la febbre.

Sferzò la cavallina, pensando di omettere le alcune visite che gli rimanevano ancora e che gli seccavano in quel momento. S’avviò verso Gel.

Lagrime amare scorrevano in fondo al suo [p. 207 modifica]cuore, ma gli occhi rimanevano asciutti, brucenti. L’oscurità quasi completa della campagna s’addiceva alle disposizioni de’ suoi nervi: l’aria fredda penetrandogli sotto le palpebre gli recava un senso di refrigerio.

Si sentiva diverso. Gli pareva che l’anima sua piccolina si fosse ingrandita smisuratamente; come quella pianura monotona e fastidiosa a cui la notte dava il carattere solenne e tragico di una landa sterminata.

Maria!... Povera Maria!...

Era sdegnato con se medesimo. Eppure non poteva negarsi una certa stima.

Si trovava forte e vigliacco.

Forte, per averla rispettata; vigliacco, per non aver saputo convincerla dell’amor suo.

Povera Maria! Che destino perverso la incalzava nella vita! Creatura sacra, destinata dalla natura ad un altissimo fine; perfetta di corpo, senza quella bellezza procace che turba i sensi e offusca lo spirito; perfetta nell’anima, e ignara del proprio valore: la vera madre: la vera compagna dell’uomo semplice e saggio. Ed egli che l’aveva compresa, ammirata, amata [p. 208 modifica]da scienziato che sa e pesa il valore di un essere; da poeta che aspira all’ideale felicità; da uomo, anelante alla gloria di dare quella madre ai suoi figli, egli pure l’abbandonava!

Perchè?

Perchè non possedeva un cuore semplice; perchè non era un uomo saggio. Perchè intendere non serve a nulla! — concretava sorridendo del suo vecchio sorriso pieno di amari sottintesi.

— Beati quelli che non ragionano: beati quelli che si lasciano condurre da un istinto affettuoso, da un concetto semplice della vita!...

... Beato don Giorgio emigrante in America con la sua Cristina al fianco!...

Cristina!

Meno perfetta di Maria, tanto nell’anima che nel corpo; ma più seducente, più femmina, più voluttuosa. Come l’aveva desiderata!...

Era egli certo di non desiderarla ancora?...

Ah! Ah!... Ah!...

Sferzò la cavalla, che già correva fiutando da lontano la domestica stalla.

Ah! il male era nel cuore, reso impotente [p. 209 modifica]dal cervello analizzatore e dalla sensualità dominante.

Compiangeva Maria, ma avrebbe speso meglio il tempo a compiangere se stesso. Maria, sola, attaccata alla tomba della sua bimba, alla memoria del marito infedele, Maria, col cuore lacerato per la sorella che emigrava, per lui stesso, forse: Maria, mezzo malata, e povera tanto da essere costretta a faticare come una bestia per isfamarsi: Maria era ricca in confronto di lui.

Che cos’era lui in fine?...

Un gaudente povero, pieno di voglie inacerbite; un goloso dallo stomaco guasto, tormentato da inappetenze intermittenti. Capace di mutar gusti ed affetti per un cambiamento di luce, o di prospettiva. Capace, se avesse preso Maria con sè, di non amarla più affatto, di trovarla volgare, fuori della sua bella cornice di infelicità e di miseria! Capace di preferirle, al pari di Sandro — campagnuolo sciupato dalla caserma — una prostituta nata, come la Virginia.

Oh! se si conosceva!

Era destinato a impazzire — vecchio impe[p. 210 modifica]nitente — per qualche femminuccia abituata a trastullarsi con le debolezze dei maschi: destinato a far morire di crepacuore la donna amante che gli avesse fatto realmente un grande sacrificio. Natura di belva e di gaudente raffinato.

Rise, sbadigliò, e si stirò tutto.

Niente da cambiare, del resto!

Eredità. Effetti dolorosi di vecchie cause, non sempre facili a rintracciare.

Una volta dicevano: fatalità.

Mutano i nomi...

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Arrivato a Gel, il dottore scese davanti alla farmacia dov’erano riuniti ad attenderlo i suoi pochi amici. E la viva luce, l’aria calda e le chiacchiere clamorose fugarono ben presto i fantasmi della notte — le chiaroveggenze dell’anima.

Soltanto nel coricarsi, tra la veglia e il sonno, per un ritorno quasi meccanico della memoria, egli ripensò:

— Beati i cuori semplici! Se v’ha felicità al mondo, non è che per loro. [p. 211 modifica]

E più tardi, nell’ultimo crepuscolo della coscienza:

— Povera Maria... Povero me!... Tutti e due senza amore!... Soli!...

La mattina, si risvegliò come un uomo nuovo.

Il sentimento della realtà, l’ambizione e il desiderio indistruttibile di vivere e di godere lo avevano ripreso con nuova forza.

Finito il vecchio libro!

Inutile pensarci su.

Una pagina bianca stava dinanzi a lui e chi sa che belle cose, e se non belle curiose certo, ci avrebbe scritte il destino!

Vi è un genere di miseria che si dissimula o si dimentica, tanto più facilmente, quanto più è squallida.


Quella stessa mattina Maria si alzò con l’aurora per andare al lavoro della canape.

Lavorando il suo pensiero viaggiava, viaggiava coi lontani, coi morti...

Rievocava la imagine della povera Giulia già da tre anni sepolta. E rivedeva il suo Sandro e la Cristina... e la perversa Virginia... [p. 212 modifica]

Ma un’altra immagine s’imponeva al suo pensiero... quella del giovine medico... partito anche lui! E si sentiva così sola, così sola, che le si stringeva il cuore. Come avrebbe fatto a vivere così sola?...

Intorno a lei bisbigliavano sommessamente di fatti inauditi. Il vecchio Melica, acceso in volto, narrava che i contadini erano stanchi di soffrire, che si ribellavano, scioperavano, uccidevano!...

— Dove?... Quando? — chiedevasi da voci strozzate.

— Poco lontano...

— Più lontano...

— Nel Mantovano...

— Più in qua...

— Sul Comasco...

— ... a Gallarate...

— ... da per tutto...

Tutti parlavano: — il lavoro languiva.

Un guardiano passò: poi il padrone stesso, pallido, arcigno.

Nessuno fiatava: la macchina sola si era messa a strepitare come un uragano. [p. 213 modifica]

— Cantiamo! — mormorò la Meroni, impaurita.

— Cantiamo le lodi della Beata Vergine.

— Cominciate voi, Maria, cominciate!... supplicò la Menica, povera donna, con quella faccia di febbre.

— Non posso — rispondeva Maria. — Non posso.

Aveva un peso sul cuore, un peso che le mozzava il respiro.

Nessuno aprì bocca, neppure il padrone, che si allontanò ben presto con un ronzìo negli orecchi.

La macchina continuava il suo verso.

Maria pensava: I contadini si ribellano!... Sono stanchi di soffrire!... Ma che speranze possono avere?... Cosa vogliono fare?... Cosa, in nome di Dio?!... Saranno schiacciati, puniti... Siamo nati per lavorare e soffrire, noi poveretti: è così da per tutto... lo diceva anche il povero Sandro!...

Ma nel medesimo tempo, ella provava per la prima volta in vita sua un bisogno strano di gridare, di strepitare, di picchiare i suoi pugni [p. 214 modifica]pesanti su qualcheduno, di sfogarsi in qualche maniera.

Quasi senza sapere, per una ispirazione improvvisa le vennero sul labbro alcune strofe del Canto dei lavoratori, che certi giovinotti avevano sentito a Pavia e subito imparato, e insegnato agli altri. Il canto le sgorgò dal petto pieno di schianti e di lagrime.

     «Su fratelli, su compagne,
su, venite in fitta schiera;
sulla libera bandiera
splende il sol dell’avvenir.»
     «Nelle pene, nell’insulto
ci stringemmo a mutuo patto;
la gran causa del riscatto
niun di noi vorrà tradir.»

Tutti ascoltavano sbigottiti, non osando seguire quella voce profonda e appassionata, che li rimescolava.

Ma quando Maria cominciò il ritornello

     «Il riscatto del lavoro
de’ suoi figli opra sarà;
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà!»

[p. 215 modifica]
le donne, trascinate da una forza arcana, si slanciarono. Alla seconda ripresa gli uomini le seguirono, tutti d’accordo.

Le pareti tremarono; il rumore della macchina fu soverchiato.

E il padrone che già s’allontanava, sostò in mezzo alla strada, ascoltando a denti stretti.