Storia di Torino (vol 2)/Libro VI/Capo VI

Libro VI - Capo VI

../Capo V ../Capo VII IncludiIntestazione 29 ottobre 2023 75% Da definire

Libro VI - Capo V Libro VI - Capo VII
[p. 710 modifica]

Capo Sesto


Via Carlo Alberto, via della Madonna degli Angioli.— Palazzo de’ conti di Borgaro.— Chiesa e monastero dell’Annunciata.— Chiesa e convento della Madonna degli Angioli.— Francescani -dell’Osservanza riformati, o zoccolanti. — Introduzione della riforma in Piemonte, e breve storia del convento. — Il venerabile fra Lorenzo da Revello e Margarita di Roussillon di Chatelard, marchesa di Riva, madre di D. Maurizio di Savoia. — Uomini illustri sepolti in questa chiesa. — Monsignor del Verme, altra vittima del commendator Pasero. — Missioni di Lucerna e d’Angrogna, rette da questi padri.


La prima via che s’apre a destra della grande strada di Po, e che ora s’intitola dal nome del re Carlo Alberto, era interrotta dal giardino de’ principi di Carignano, per mezzo al quale, son pochi anni, fu condotta a raggiungere quella della Madonna degli Angioli.

La quarta isola a destra è nobilitata dal palazzo dei conti Birago di Borgaro, architettura del Juvara. [p. 711 modifica]Qui ebbe stanza il primo ambasciadore del re Luigi Filippo presso la nostra corte, barone di Barante, di cui volontieri fo memoria in questo luogo, come d’uomo amabile e dotto, e come di fondatore d’una novella scuola storica, e autore d’opere celebrale.

Il principio dell’isola che segue, a sinistra, conserva ancora la forma della facciata d’una chiesa. Era diffatto quella delle monache Turchine, architettura del Lanfranchi, nella quale vedevansi due statue di Carlo Plura di Lugano (morto verso il 1735), dodici statue degli Apostoli del Borelli, una tavola dell’Annunziata, e dodici quadretti della vita di Maria Santissima, del Molineri da Savigliano.

Vittorio Amedeo i onde render grazie a Dio della fecondità conceduta a Cristina di Francia, sua moglie, chiamava nel 1632 sei monache Turchine dalla Borgogna, assegnando alle medesime dote sufficiente per mantenersi. Le monache costrussero poscia a loro spese questa nuova Gerusalemme, come dicea l’iscrizione posta nel 1682 sopra la porta del monastero.1

Sul canto dell’isola seguente, dalla medesima parte, si vede la chiesa della Madonna degli Angioli che ricerca più lungo commento.

Questa chiesa è ufficiata dai Zoccolanti.

La grande tribù di S. Francesco, illustre sposo della povertà, si suddivise coll’andar del lempo in Ire principali famiglie. [p. 712 modifica]

L’una chiamata de’ Minori conventuali, ha, con dispensa de’ sommi pontefici, rimesso assai de’ rigori prescritti dal santo fondatore, onde renderne la regola più adattata all’umana fralezza.

L’altra, chiamata de’ Francescani dell’osservanza, seguitava le primiere discipline; ma perchè parve ad alcuni più zelanti che in qualche punto se ne dilungasse, nacque tra questi frati dell’osservanza una riforma, alla quale aderirono quelli che voleano camminare tra i più perfetti; senza lasciar per altro di formare un solo ordine ed una sola regola. Ma acciocchè gli uni non servissero d’impedimento agli altri, Clemente vii ed altri pontefici prescrissero che i non riformati assegnassero in ogni provincia ai riformati qualche convento in cui potessero praticare a loro piacimento le maggiori austerità, mercè le quali si pensavano d’imitar meglio il glorioso loro patriarca.

Questi erano i tre rami della tribù Francescana, senza contare i Cappuccini, nuova riforma ordinata collo stesso pio pensiero di riprodurre l’esempio della vita religiosa, quale venne da S. Francesco instituita e praticata.

Prima del 1593 i Frali dell’osservanza di Genova, dello Stato di Milano, di Monferrato e di Piemonte formavano una sola vasta provincia, chiamata di Genova. Poi si divise in due, mercè la creazione di una nuova provincia chiamata di S. Diego. Nel [p. 713 modifica]1622 volendo Carlo Emmanuele i l’unità, non solo politica ma anche religiosa del suo Stato, fe’ istanza si creasse una nuova provincia composta unicamente de’ conventi posti ne’ paesi di suo dominio; il papa vi aderì, e la nuova provincia si chiamò di S. Tommaso. Ma non avendo monsignor nunzio Costa, a cui erasi commessa l’esecuzione del breve, assegnato contemporaneamente alcuni conventi ai Frati dell’osservanza riformati, ne seguirono richiami e contestazioni, e discordie, le quali penossi alquanto a risolvere.2

Il vero è che nello Stato di Piemonte non v’erano ancora riformati, sebbene vi fossero sudditi piemontesi riformati in conventi d’estero dominio, i quali, creata una provincia Piemontese, chiedeano d’esservi trasferiti. Carlo Emmanuele i, che nel suo viaggio al monte di Varallo avea ritrailo grande edificazione da questi frati della riforma, desiderava introdurli in Piemonte; il che essendo venuto a notizia de’ superiori dell’ordine, dier precetto al padre Giovanni Francesco Blancardi di Sospello, riformato della provincia di Genova che si trovava in Torino, ed avea dedicato a S. Altezza alcuni discorsi sul Santo Sudario, d’introdurre questa pratica. Il padre Blancardi ebbe per aiutatori il padre Filippo del Maro, ed il venerabile fra Lorenzo di Revello, del convento di Pavia.

Infiniti furono i contrasti che la gelosia di alcuni [p. 714 modifica]fra i non riformati venne loro suscitando: mentre s’adoperavano ad ogni potere di vincer l’impresa, aveano stabilito un ospizio provvisorio nella casa che il senatore Blancardi, fratello del padre già nominato, tenea a pigione dai fratelli Alessandretti nella parrocchia di Sant’Agostino; colà venne a morte il 18 febbraio del 1623 in età d’anni quarantatre il venerabile fra Lorenzo, il quale solo nei due ultimi mesi di sua vita ebbe il conforto di veder superati gli ostacoli, e tracciato con fossi l’ambito che doveva occupare il convento nel sito comprato con danari dati in elemosina da Margarita di Roussillon di Chatelard, marchesa di Riva, per segno di gratitudine dell’essere stato D. Maurizio di Savoia, suo figliuolo, liberato dalla morte per intercessione di fra Lorenzo.

In tal occasione dovea piantarsi la croce con grande solennità. Il duca, i principi, le infanti doveano onorare di loro presenza la sacra funzione. Ma quel giorno mai non giungeva. Ora un impedimento ora un altro s’attraversavano al pio disegno. Accortosi il padre Blancardi che tutto ciò procedeva dalle arti de’ nemici della riforma, un bel dì, messosi la cotta e la stola, procedette egli stesso assistito da due de’ suoi padri a piantar la croce, e rimosse col suo fatto ogni difficoltà ed ogni indugio ulteriore (2 maggio 1625).

Abbandonato poi l’ospizio di casa Blancardi, [p. 715 modifica]appigionarono una casa in città nuova vicino al sito dove s’avea da fabbricare il convento; ed avuta dal sig. Ottavio Baronis una copia dell’imagine della Madonna di Trapani, posero quel quadro in una bottega di detta casa che convertirono in cappella, dove traeva molto concorso di popolo, e dove è fama che molte grazie ad intercession della Vergine si operassero. Frattanto, mentre alcuni giovani stavan giuocando in un prato in faccia al bastion verde, dove un secolo prima sorgeva il convento della Madonna degli Angioli, accadde che trovassero il sigillo antico di quel convento, che era una Madonna portata in cielo dagli angioli. Questo sigillo essendo stato recato al duca, egli lo mandò ai padri dell’osservanza riformali, facendo loro intendere esser volontà di Dio che denominassero il loro convento dalla Madonna degli Angioli.

Cominciarono quindi i padri ad edificare il convento e la chiesa, con soccorsi de’ principi e divoti cittadini. Il convento era costrutto con sì aperta professione di povertà, che le celle aveano sembianza di sepolture piucchè d’abitazioni di vivi.

La prima pietra della chiesa fu posta il 13 luglio 1631 da monsignor Giovanni Ferrero Ponziglione referendario d’ambe le segnature, prelato domestico, ed uditor generale del cardinale Maurizio di Savoia, a nome d’esso cardinale.

Il coro fu edificato dalla marchesa d’Este di Lanzo. [p. 716 modifica]L’altar maggiore coll’elegante ornato in legno è do vuto alla magnificenza della duchessa Cristina.3

La cappella di Sant’Antonio venne costruita dai signori Carelli, ma poi arricchita di marmi e dotata di lampada perpetua dalla medesima duchessa.4

Quella di Santa Elisabetta regina di Portogallo fu eretta per voto fatto dalle serenissime infanti di Savoia Maria ed Isabella, affinchè procurasse sicurtà dai pericoli della guerra a Carlo Emmanuele loro padre; quella della visitazione dal senatore Pastoris; la cappella di San Pietro d’Alcantara dalla signora Maria di Geneva contessa di Masino e marchesa di Pancalieri, della quale fu erede Madama Reale Maria Giovanna Battista. Il padronato d’essa cappella passò più lardi ai marchesi Gonteri di Cavaglià.

Nell’anno 1641 l’ambasciadore di Francia costrusse a proprie spese l’infermeria, la quale fu poi ridotta ad abitazione dei religiosi quando Madama Reale Maria Giovanna Battista ne edificò una migliore e più capace.

Terminata la chiesa, vi venne trasferito il corpo del venerabile fra Lorenzo stato prima deposto in San Martiniano, e fu allogato nella cappella di San Stefano, ora chiamata della Concezione; ma ricevendo in quel sito dalla devozione de’ popoli onori che precorrano il giudicio della Santa Sede, ne fu rimosso e collocato in coro dietro l’altar maggiore, dove tuttora si vede il suo deposito.5 [p. 717 modifica]

Nel 1724 questo convento annoverava settantacinque religiosi. Molli insigni personaggi dormono in questa chiesa il sonno eterno.

Il primo che vi fu portato il 15 d’ottobre del 1637 fu monsignor Onofrio Del Verme, vescovo Ravalense e di Scalea; questo prelato era uomo d’ingegno molto acuto, di gran parentado, di gran pratica negli affari politici, e di grande attrattiva, per cui subito si conciliava le altrui inclinazioni. Vittorio Amedeo i, il cui Stato si trovava in difficili condizioni e che aveva avuto qualche corrispondenza con lui per causa del testamento del principe Filiberto Emmanuele di Savoia, lo avea fatto venir di Sicilia onde giovarsi de’ suoi consigli. Il commendatore Pasero, della cui nequizia si è già in altro luogo abbondantemente discorso, vedendo il vescovo Del Verme salito in gran favore, tocco da gelosia, studiò il mezzo di farlo partire.

Era accaduto in que’ dì a Roma che papa Urbano vin trovandosi assediato dall’importunità di alcuni vescovi spagnuoli, che chiedevano con pertinaci istanze ciò che non poteva o non volea concedere, avea, per liberarsene, richiamato con decreto di molto rigore all’osservanza della residenza i vescovi che abbandonavano la loro diocesi.

Pasero colse il destro, e denunciò al papa il vescovo Scalense che invece di pascere il gregge alle sue cure affidato, occupavasi in affari temporali [p. 718 modifica]all’altra estremità d’Italia. Il papa ordinò pertanto a monsignor Del Verme di restituirsi alla propria sede. Il duca di ciò informato, sentì ottimamente donde veniva il colpo, e ne scrisse al Santo Padre, onde gli fosse permesso di ritenere appresso di sé un consigliere di cui avea sperimentato non meno la fede, che la prudenza e la sagacità. Ma non potè ottener altro che dilazioni, spirate le quali, il vescovo che non avea ubbidito, fu punito colle censure ecclesiastiche.

Poco dopo monsignor Del Verme infermò, e venne a morte. Recato con magnifica pompa alla Madonna degli Angioli, vi fu tumulato avanti all’altare del Salvatore, e il duca gli eresse un nobile monumento, che fu levato qualche anno dopo, quando cessato il bollor degli animi, il nunzio potè far intendere la sconvenevolezza di quella perenne dimostrazione d’onore per un vescovo, morto in disgrazia della Santa Sede.6

A’ 28 luglio del 1639 fu sepolto innanzi all’altar di S. Diego monsù di Santena, cav. dell’ordine, e governatore di Torino.

Gian Giacomo della Barthe di Guascogna col figliuolo Francesco, il primo di 42 anni, il secondo d’anni 17, morirono combattendo presso Ivrea pel duca di Savoia nel 1641, ed ebbero in questa chiesa sepolcro e memoria del glorioso loro fine; fu ucciso nella medesima occasione, e qui fu similmente portato, il nobile Carlo di San Martino. Un distico latino [p. 719 modifica]scolpito sopra la tomba, scherza con scipita ricercatezza sulla parola saxum. Era soldato, dice, morì d’un colpo di pietra ciò che ora la pietra ricuopre, nulla che non sia petrigno splende nella fortezza di Marte.

A’ 10 di settembre del 1644 don Maurizio di Savoia, figliuolo della marchesa di Riva, fu tumulato nella cappella di San Pietro d’Alcantara.

A’ 5 di gennaio del 1665 Carlo Morelli ingegnere di S. A.

L’8 d’ottobre del 1672 il cav. Azarini di Genova.

Il 5 gennaio del 1681, Simone Boucheron, mastro della fonderia di S. A. di cui abbiam già parlato, furono pure sepolti in questa chiesa.

Addì 14 di giugno dell’anno medesimo fu deposta nella sua cappella di San Pier d’Alcantara Maria di Geneva contessa di Masino e marchesa di Pancalieri.

Addì 24 novembre 1700 fu sepolto nella sepoltura dei conti Fecia di Cossato, Onorato Ghibert ingegnere generale di S. A.

« 1703 25 luglio a hore 24 morì l’eccell.mo signor marchese Carlo Filiberto d’Este di Dronero e fu sepolto in questa nostra chiesa alli 26 nella sepoltura de’ religiosi comune alla casa d’Este, come appare dalle patenti ( sotto al coro che la casa d’Este avea costrutto), e per essere principe del sangue è sialo imbalsamato e riposto in una [p. 720 modifica]cassa di legno coperta di panno negro, ed il suo cuore con le interiora sono state mandate al Monte, convento de’ MM. RR. padri Cappuccini, avendo questi fatta grande istanza alla signora marchesa di Dronero per avere qualche memoria del medesimo signore nella sua chiesa per essere stato loro benefattore particolare, come lo fu della nostra Serafìca provincia. »7

Teresa de Mesme vedova di questo principe gli pose iscrizione in lapide di marmo nero con busto nel 1704; morì nel 1741, in abito di carmelitana scalza, e fu sepolta ne’ sotterranei di Santa Teresa, dove se ne vede la tomba.

A’ 13 luglio del 1708 fu sepolto il conte e protomedico Bartolomeo Torrini.

Aveva egli acquistato il feudo di Quincinetto. E noto che l’ufficio di protomedico di corte serviva ordinariamente di scala all’acquisto d’un feudo, od anche del titolo comitale senza feudo, e che la medesima prerogativa aveano i gradi più rilevati di senatore, di senator camerlengo, ora collaterale e di mastro uditore; talché scarsissimo era il numero di quelli che dopo qualche anno d’esercizio di dette cariche non avessero conseguito alcun titolo di nobiltà. Ha quest’origine togata, epperciò tanto più illustre, perchè procede dall’ingegno, la nobiltà di molte e molte famiglie principali di Torino.

A’ 27 luglio del 1726, venne a riposare in questa [p. 721 modifica]chiesa Gerolamo Mota, di nazione Turco, condotto da giovane in questa città, tesoriere dello spedale di Carità, agente del gran principe Eugenio. Egli instituì in erede universale della cospicua sua sostanza lo stesso spedale di Carità.

In febbraio del 1730 vi fu recato il marchese Nicolò Pensabene, di Palermo, primo presidente e capo del Magistrato della Riforma, al quale tiene obblighi infiniti la restaurata università, uno di que’ Siciliani che l’occhio altoveggente di Vittorio Amedeo ii scelse quando fu coronato re di quell’isola, e de’ quali si valse poderosamente per far rifiorire in Piemonte le scienze e le lettere o intormentite, o assiderate, o neglette. Giace presso l’altare della Concezione, ed ha monumento.

Nel 1764 qui fu deposto l’abate Giovanni Antonio Palazzi economo generale, e bibliotecario dell’università: sei anni dopo lo seguì Giuseppe Luca Pasini di Padova, prevosto del Moncenisio, e professore d’ebraico e di Sacra Scrittura.

Infine, allato alla balaustra dell’altar maggiore, dal lato del vangelo, è una lapide leggiadramente lavorata a bassi rilievi di stile gotico, lavoro di madamigella Fauveau, memoria del sepolcro della contessa Luisa di Psenft-Pilsach, figliuola dell’inviato d’Austria a Torino, la quale ai nostri giorni vi fu tumulata.

Fin dall’anno 1627 questi Francescani riformati, [p. 722 modifica]per invito del priore Marc’Aurelio Rorengo Lucerna di Rorà, pigliarono V impresa delle missioni nelle valli di Lucerna e d’Angrogna, che i Gesuiti aveano abbandonata; e molte furono le abiure che ottennero, come si può veder dalle note che in diversi tempi ne hanno stampate, e dalla storia ms. del padre Giovanni Battista da Saorgio che presso a loro si conserva.

In fine dell’isola che segue, a destra, v’è il palazzo de’ marchesi di Parella, ora Chiusano, restaurato dal conte Dellala, con un salone dipinto da Bernardino Galliari.

Note

  1. [p. 727 modifica]

    VITTORIO AMEDEO I PEDEMONTIVM PRINCIPE
    OB CHRISTIANAE CONIVGI REGIAE
    DATA CAELITVS PROLE
    SEX BVRGONDAE VIRGINES
    QVASl QVADRATI SELECTI LAPIDES
    NOVAM HANC FVNDARVNT HIERVSALEM
    A. 1632
    EARVMDEM VIVENTES GRATISSIMAE FILIAE
    HOC MEMORIALE PERPETVVM POSVERVNT
    1682.

    Iscrizioni patrie. Archivi di corte.

  2. [p. 727 modifica]Vedi il Consulto latino stampato di Domenico Anfossi, canonico di Pavia.
  3. [p. 727 modifica]Archivi camerali, Registri del Controllo, cxvi, 38; cxvii, 21, 151; cxix, 100, 232; cxx, 83; cxxii, 11, ecc.
  4. [p. 727 modifica]Dichiarazione del custode della riforma e padri del convento della Madonna degli Angioli del 5 dicembre 1628. — Relatione della introdutdone della riforma in Piemonte, ed altre carte autentiche dell’Archivio del convento della Madonna degli Angioli.
  5. [p. 727 modifica]Vita del venerabile fra Lorenzo da Revello, de’ Minori riformati di S. Francesco. Torino 1759.
  6. [p. 727 modifica]Memorie sovra alle calunnie nere ed esecrabili contro alli presidenti Cauda, Muffino, etc., ms. già citato.
  7. [p. 727 modifica]Libro de’ morti della Madonna degli Angioli, che ho, con molte altre carte dell’archivio di quel convento, potuto consultare per cortesia di quei M.M. RR. Padri.