Storia di Torino (vol 2)/Libro II/Capo II
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Capo Secondo
La casa alzata su tre portici che separa la via di Dora Grossa dalla piazza già detta dell’Erbe, ed ora del Palazzo di Città, non esisteva, onde questa con quella si congiungeva, e tutte e due facean corpo colla piazzetta che s’allargava sul canto di San Gregorio (San Rocco). In quegli spazii erano allogati i varii mercati, pescivendoli, vivandieri, panattieri, erbaiuoli. Allato alla torre e innanzi a San Gregorio erano i banchi del macello.
La casa del Comune sorgeva prima del secolo xiv nell’isolato a sinistra, ed avea prospetto sulla via di Dora Grossa. In faccia al medesimo giganteggiava l’alta torre del Comune, sulla cima della quale, falò e fuochi artificiati celebravano tempo a tempo le pubbliche allegrezze; la campana del Comune dava segno del radunarsi e’ dello andar in oste, o coi frequenti rintocchi annunziava le esecuzioni della giustizia; l’orologio segnava il diurno correr del tempo all’italiana fino al 1568, e dopo quel tempo alla francese, poi nuovamente all’italiana fino al 4 di gennaio del 1791, nel qual giorno ricominciò a suonare alla francese.1 Finalmente, affissa a mediocre altezza al muro della torre medesima, si vedea la carrucola che serviva a dar i tratti di corda. L’antica torre era fattura del secolo xiv. Nel 1580 la città facea provvisione perchè si finisse la torre. Nove anni dopo comprava una campana dall’abate di San Mauro, e stabiliva a Torino il primo orologio. Nel 1449 il Comune riformava si coprisse la torre nuova. Aprivansi in essa finestrelle gotiche ora sole ora binate, piccole e grandi confusamente. Nel 1666 essendo mezza rovinata, il comune la rifece per festeggiare la nascita di Vittorio Amedeo ii, principe che dovea rendersi ben degno delle allegrezze con cui si onoravano i suoi natali, poichè egli fu che col forte braccio e colla gran mente redense lo Stato dalla soggezione in cui l’avea lungamente tenuto la Francia; egli fu che ne strappò dalle mani di Luigi xiv la nocevole ed insultante preponderanza; e ridonò alla patria l’indipendenza antica.2
In quell’occasione la torre ebbe la base e la porta di marmo, fu ornata di pitture e d’iscrizioni che rammentavano le vere e le favolose origini della città. Il quadrato della torre finiva sopra le campane con una galleria, sopra la quale s’innalzava una piramide ottangolare, cimata da un globo, surmontato dalla croce, nella cui asta inferiore era passato un toro, arme antica de’ Torinesi. Sotto all’orologio, inferiormente alla metà dell’altezza, vedevasi un globo ordinato con tal magistero, che dimostrava i diversi aspetti della luna.
Dalla torre della Città si diedero per assai tempo i segni delle ufficiature e delle feste della chiesa del Corpus Domini; e dal 1687 in poi, in seguito ad invito dell’arcivescovo Michele Beggiamo, si suonò verso le dieci di ciascun giorno festivo l’avviso dell’ora in cui cominciano alla metropolitana i divini uffizi.
Siccome la torre ingombrava la via di Dora Grossa, il Corpo Decisionale deliberò di costrurne un’altra all’angolo nord del suo palazzo e d’abbatter la vecchia. L’architetto Filippo Castelli ne formò il disegno, e se ne gettarono i fondamenti addì 11 novembre 1786.3
Fu condotto l’edificio fino all’altezza del Palazzo Civico; poi l’opera si rimase. Dopo la restaurazione un nuovo e più elegante disegno fu ideato dall’architetto Ferdinando Bonsignore, ed approvato dal re. Ma non si die ancor meno ad un’opera che avrebbe il merito insigne di dar alla nostra città un aspetto più italiano.
Il palagio che alzavasi allato alla torre, disegno dell’architetto Gallo, era posseduto sul declinar del secolo scorso, dal conte Felice Durando di Villa, uomo di lettere che avea raccolto una scelta e copiosissima biblioteca, ricca di manoscritti, e soprattutto abbondevole di libri di storia patria. D’essa biblioteca ha stampato un infelice ed inerudito catalogo in tre volumi il padre Fulgenzio Maria Riccardi, minor osservante.
L’antica torre fu demolita per decreto del governo provvisorio del 1° di marzo 1801.4
Il toro di bronzo fu calato la sera di giovedì 23 d’aprile di quell’anno, quasi a dimostrazione della perduta nazionale indipendenza.
Nel medesimo isolato erano ai tempi antichi le case de’ Borgesi, una delle quattro più nobili casate di Torino, i quali divideano coll’altre case dei Gorzani, dei Beccuti e della Rovere l’onore di portar le aste del baldacchino nella processione del Corpo del Signore.5 Le case di questi nobili erano guernite di torri, e la torre d’Albertino Borgese servì qualche tempo ai bisogni del Comune, finche le venisse rifatta la propria (1356).
La stirpe dei Gorzano si estinse a’ tempi d’Emmanuele Filiberto; e nello stesso regno venne meno con Aleramo Beccuti anche quest’altro generoso lignaggio. Fin dal 1397 possedevano i Beccuti il feudo di Lucento; quel castello passò poi ad Emmanuele Filiberto, il quale assai di quel luogo si ricreava. Poichè nel 1405 Ludovico, principe d’Acaia, fondò l’università di Torino, Ribaldino Beccuti si travagliò per allogarlo in case convenienti, e gli die stanza avanti alla chiesa di San Gregorio (San Rocco).6
Quel lungo vôlto seguitato da un vicolo che andava e va ancora a finire nella strada che costeggia la chiesa de’ Gesuiti accanto alla casa Gazzelli, aveva a destra e a sinistra botteghe di librai; al di sopra s’aprivano le scuole delle varie facoltà. Il vôlto era a sesto acuto alla gotica, le finestre sulla strada che pigliava nome dallo studio, quadrate e senza ornamento.7 Ne ho veduto il disegno nell’archivio di Città.
Le adunanze solenni de’ varii collegi per conferir gradi accademici si teneano nel vicino convento de’ frati minori (San Francesco), alla cui fede era anche commessa la custodia dell’archivio del Comune.8
Fin dal 1225 si trova ricordato il palazzo del Comune di Torino,9 e secondo Fuso di que’ tempi, molti atti giuridici e tabellionali faceansi nel portico annesso al medesimo. Il vicario rendea ragione nella casa de’ Borgesi accanto al palazzo; ma nel 1335 Catterina di Vienna, principessa d’Acaia, gli concedette una casa attigua allo stesso palazzo. Il Comune vi fece un ballatoio da cui si potessero leggere le sentenze al popolo, e un belfredo in cui collocò la campana per suonar l’aringo.
Nel volgere del medesimo secolo, per quanto parmi, fu edificato l’altro palagio comunale col prospetto verso la piazza. Era una fabbrica a due piani oltra il terreno, con grandi finestre gotiche incorniciate, le superiori schiette, le inferiori suddivise in due altri archi gotici da una colonnetta che stava in mezzo.10 Nel piano terreno aprivasi un porticato similmente gotico. Dietro al Palazzo Civico, allato al vasto cortile allora aperto a levante, chiamato del burro, alzavasi la chiesa parrocchiale di San Benigno. Questo stesso cortile chiamavasi piazza di San Benigno; e fu assegnato nel 1574 ai panattieri forestieri per vendervi il loro pane.
La chiesa parrocchiale di San Benigno era stata di fresco riedificata nel 1335. Nel 1568 vi vennero i Servi di Maria, ossia, come allora li chiamavano, i Frati della Madonna del Popolo, e ne fu perpetuo priore fra Giovanni Battista Migliavacca, lettore di metafìsica nell’università di Torino.
Ma sette anni dopo il Comune desiderando di allargar le sue case, e però volendo ridurre quella chiesa ad usi profani, ne trattò coll’arcivescovo e ne ottenne, mediante i debiti compensi, la facoltà.
La parrochia fu soppressa e le rendite della medesima unite al seminario.
Il novello palagio dei Comune fu disegnato nel 1659 da Francesco Lanfranchi.
La pietra fondamentale fu posta addì 6 di giugno di quell’anno, giorno commemorativo del miracolo del SS. Sacramento, da Giulio Cesare Bergera, arcivescovo di Torino, in presenza di Madama Reale Cristina e di Carlo Emmanuele ii con una ampollosa iscrizione del Tesauro.11
Nel 1665, in occasione del matrimonio di Carlo Emmanuele ii con Francesca di Borbone, era già quasi condotto a termine, onde sulla loggia che ne adorna la facciata fu posta un’iscrizione commemorativa di tale imeneo12 che non ebbe lieto fine, poichè la bella e virtuosa Francese dopo un anno di matrimonio, passò di vita in età d’anni 16 (14 gennaio, 1664).
Et rose elle a vécu, ce que vivent les roses, L’espace d’un matin. |
E il Palazzo Civico uno de’ più notabili edifìzi di Torino; soda ad un tempo e maestosa n’è l’architettura, ricca di marmi e di pietre. Bella è la loggia che n’orna il prospetto sostenuta da quattro grosse colonne. Di vaghe proporzioni è il cortile quadrilungo, colle gallerie che s’alzano alle due estremità. Le due grandi nicchie tra gl’intercolunnii dove ora sgorgano due fili d’acqua, doveano, secondo il disegno, accoglier le statue di Carlo Emmanuele ii e di Madama Reale Cristina. In alto, sopra la loggia, all’ultimo piano, vedeansi le armi reali di bronzo fuse con rara maestria da Lafontaine e da Simone Boucheron,13 venuto poco prima di Francia, e molto adoperato, come vedremo, ne’ lavori della cappella del Santo Sudario.
L’arme della città trovasi ricordata assai sovente nei fregi architettonici di questo palagio. È noto che Torino fa per arme un toro d’oro in campo azzurro; questa era l’insegna del Comune fin da’ tempi antichissimi. Ne ho vedute memorie del secolo xiv, e non dubito che fosse usata anteriormente e fin dall’epoca in cui s’introdusse l’uso di tali insegne (secoli xi e xii). È questa una delle così dette arme parlanti.
Nel mezzo della piazza del mercato, poi chiamata dell’Erbe, eravi nel secolo xiv un pozzo, vicino al quale s’alzò più d’una volta lo stromento dell’estremo supplizio a punizione de’ traditori e d’altri scellerati.
Note
- ↑ [p. 173 modifica]Ordinato del 21 d’aprile.
- ↑ [p. 173 modifica]Leggevasi sopra la porta della torre la seguente iscrizione, che trovo
nella Guida di Torino stampata da Gaspare Craveri l’anno 1753.
CAROLI EMANVELIS II
ET MARIAE IOANNAE BAPTISTAE A SABAVDIA
SABAVDIAE DVCVM CYPRI REGVM
AVGVSTISSIMO ATQ. AVSPICATISSIMO EX CONIUGIO
VICTORIS AMEDEI II
PRIMIGENII PEDEMONTIVM PRINCIPIS
OPTATISSIMO ATQVE OPPORTVNISSIMO EXORTV
REGIA FAMILIA SVBALPINA GENTE AVGVSTA VRBE
INCOMPARABILI FELICITATE AVCTA
AVGVSTO TAVRINENSES
VRBANAM TVRRIM PENE COLLAPSAM
VT LAETITIAE PVBLICAE INCREMENTA LATIVS TESTETVR
ALTIOREM LATIOREMQVE RESTITVVNT
ANNO OMNIVM TRANQUILLISSIMO
MDCLXVI.
- ↑ [p. 174 modifica]Vi si pose la seguente iscrizione:
VICTORIO AMEDEO III REGE OPT. FEL. AVG. VRBANAM TVRRIM RECTO VIAE MAGNAE DVRIAE OBSISTENTEM ORDINI SOLO AEQVANDAM AD CONSVLARES AEDES RESTITVENDAM AVG. TAVRINOR. DECVRIONES AMPLISS. DECREVERVNT JACTA FVNDAMENTA XIV KAL. DECEMB. AN. MDCCLXXXVI KAR. PHIL. TANA INTERAQ. MARCH.
KAR. LVD. PANSOIA I. C.⎱
⎰SYNDICIS JOS. FRANCISCO VALPERGIAE COM. RATIONVM MAGISTRO KAR. THOMA ROTARIO CORTANT. MARCH. PROSPERO LAVR. BALBO VINADII COM. PETRO FRANCISCO BVRGESIO I. C. IOSEPHO ANDREA RIGNONO HIAC. MARCHETTO I. C. AB ACTIS.
- ↑ [p. 174 modifica]Raccolta del Soffietti, tom. xxiii.
- ↑ [p. 174 modifica]I Borgesi portavano l’asta diritta anteriore.
I Gorzani portavano l’asta sinistra anteriore.
I Della Rovere, l’asta diritta posteriore.
I Beccuti, l’asta sinistra.— E questi due ultimi erano i luoghi più degni.
Mancato l’ultimo de’ Gorzani, la città concedette quell’asta al gran cancelliere Tommaso Langosco, conte di Stroppiana; dopo la morte d’Aleramo Beccuti, riservò l’onore di portar l’asta de’ Beccuti ad uno dei suoi sindaci. — Ordinati del 1575. - ↑ [p. 174 modifica]Liber consil., a. 1412, fol. 112.
- ↑ [p. 174 modifica]Nel 1724 l’università essendo stata trasferita in via di Po, la casa dell’antico studio, che era mezza in rovina, fu rifatta sui disegni dell’architetto Gallo. — Ordinati della città.
- ↑ [p. 174 modifica]Ex libris consil., passim.
- ↑ [p. 174 modifica]1225 die veneris Io mensis angusti.— Actum est hoc in Taurino, in porticu Palacii.
- ↑ [p. 175 modifica]Così vedesi in un quadro dipinto tra il 1630 e il 1660, conservato nei guardamobili della città.
- ↑ [p. 175 modifica]
ALMA DIE SEXTA IVNII MEMORABILI DIVINI CORPORIS MIRACVLO SACRA AVGVSTA TAVRINORVM VRBANVM PALATIVM IVCVNDISSIMA REGII CONIVGII SPE SPECIOSIVS REDIVIVVM AETERNO HOC LAPIDE AETERNAE FIDELITATIS AC PIETATIS TESTIMONIVM INAVGVRABAT.
- ↑ [p. 175 modifica]
CAROLO EMMANVELI ET FRANCISCAE A FRANCIA AVGVSTISSIMIS REGIBVS AVGVSTA TAVRINORVM QVAS OPTATI CONIVGII SPE FVNDARAT AEDES FAVSTISSIME CELEBRATI GRATVLATIONE DEDICAVIT ANNO MDCLXIII.
- ↑ [p. 175 modifica]Ceppo della linea torinese dei Boucheron, dalla quale nascevano il cavaliere Carlo, professore d’eloquenza latina, morto nel 1838, ed il professore di disegno Angelo, tuttora vivente.